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Autore: Redferne    24/02/2021    4 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 80

 

 

 

…E VENNE UN UOMO (?) DI NOME CYRUS

 

 

(TERZA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andarono avanti con quella sorta di lento e mesto balletto ancora per un poco.

In verità era il più vetusto tra i due combattenti a condurre il gioco, e le danze.

Lo si capiva perché era sempre il primo a muoversi, con l'altro che immancabilmente lo seguiva a ruota. E ad ogni volta ci metteva sempre un secondo di più di ritardo, a reagire e a stargli dietro.

Era chiaro che chi stava dominando la tenzone lo stava portando dovunque voleva, e dove meglio desiderasse. Così come era palese che che chi stava subendo l'iniziativa non ne avrebbe potuto ancora per molto.

Non riusciva a spezzare il suo ritmo, che in genere é la prima cosa da fare per iniziare ad imporre il proprio, e a condurre l'incontro e lo spettacolo.

Il vecchio non glielo permetteva. Continuava ad essere lui, il primo attore. Con gli altri ridotti a misere comparse, anche se non ci facevano assolutamente caso e non se la prendevano proprio per nulla, di fronte a quello che era un fin troppo lampante dato di fatto. Per il semplice motivo che lì dentro si era tutti uguali.

Eguali tra gli eguali. Pari tra pari. Tutti contavano, e non contava un niente nessuno.

Lo stesso niente, va precisato.

Ma tutto questo il giovane non lo accettava.

Non lo aveva mai accettato, in cuor suo. E non lo avrebbe mai accettato, ne adesso né da lì in avanti. Perché lui si sentiva superiore, al di sopra di tutto e di tutti.

Si sentiva il predestinato. Il prescelto.

Non lo avrebbe riconosciuto, quello stato di cose. Né ora, né mai. Nemmeno se tutto il mondo si fosse messo ad urlarglielo diritto in faccia, e a squarciagola.

Tanto...ci avrebbe pensato lui a zittirlo, una volta al comando.

Lo avrebbe ammutolito a suon di pugni, di morsi e di artigli.

Tanto lo si sa. Una gola squarciata, una cavità orale privata di tutti quanti i denti e delle corde vocali strappate non possono gridare, o parlare. Non possono fare più nulla.

Per poter parlare, anche se non se ne ha diritto né merito e nemmeno li si é guadagnati, bisogna avere prima di tutto una bocca, una faringe e una laringe. E lo si può fare fin tanto che le si ha, e che se ne dispone. Ma quando non le si ha più? Mai più? Per sempre?

Cosa avrebbero avuto da dire, allora?

Non poteva fare a meno di domanderselo. Ed insieme era tanto curioso, di sapere e di vedere com'era. Come sarebbe stato.

Negare. Negare tutto, anche quando si ha davanti e di fronte l'evidenza. E non riconoscere mai nulla all'altro, anche quando sarebbe più saggio farlo. Anche quando sarebbe per amore o per forza di cose inevitabile.

Fu come se quel pensiero, quella volontà ferrea, ostinata ed insieme incrollabile fossero passati d'impulso dal centro e dal profondo del suo encefalo dritte dritte a tutte quante le membra del suo gigantesco e corpulento fisico.

Nel giro di un'istante. Paragonabile, dal punto di vista temporale, allo stesso istante che ci aveva messo a generarsi in una maniera che stava all'esatta metà tra lo spontaneo ed il volontario. Perché i pensieri si formulano in parte per ragionamento, questo si. Ma é l'intima natura di un individuo a caratterizzarli, e a dargli spessore. E consistenza.

Un malvagio...può dare origine solo a pensieri malvagi. Può solamente sviluppare progetti, idee e sogni di morte. E di sangue e distruzione.

Come le due parole che aveva inciso per proprio conto sulle nocche e i suoi bicipiti.

Morte e distruzione.

Quella era la sua massima. Il suo credo. La sua filosofia. La sua fissa.

Non ci impiegò che un niente ad entrare in azione, quella fissa. Ci mise il medesimo lasso di tempo impiegato dalla scarica elettrica di un neurone o di una fibra nervosa. O dalla sostanza chimica di cui era composto un neurotrasmettitore rilasciato dalla fusione di una vescicola sinaptica. Che nel suo caso doveva essere di tipo prettamente ECCITANTE.

Ogni volta che nutriva un dubbio o che si ritrovava con le spalle al muro, e considerando che entrambe le eventualità accadevano assai di rado...non gli rimaneva che una certezza, a cui poteva sempre ricorrere ed aggrapparsi.

I suoi muscoli. Loro non lo avevano mai tradito, e mai lo avrebbero fatto.

Quando aveva una domanda bastava che si rivolgesse a loro. E alla sua forza. E al suo istinto assassino. E subito trovava la risposta.

E dovette trovarla anche questa volta, a giudicare dal ringhio sommesso e a denti stretti che fuoriuscì dalle fauci e dalle labbra mezze socchiuse.

“Ghrrhh...”

Scattò in avanti verso la sua versione più anziana, con le braccia protese verso la sua figura nel tentativo di afferrarlo. E una volta che gli fosse riuscito di prenderlo...gliel'avrebbe fatta senz'altro vedere.

Lo avrebbe fatto a pezzi. Anche lui, come tutti gli altri.

Lui non faceva nessuna differenza, per come la vedeva. Nessun tipo di distinzione.

Fu un movimento velocissimo, che a malapena tutti i presenti riuscirono a percepire.

Il vecchio, invece, lo vide benissimo. E non si mosse, nonostante il suo avversario fosse ormai vicinissimo.

Solo quando gli fu addosso, si decise a fare qualcosa.

Si girò. Con calma e compostezza. Con la massima naturalezza del mondo, prendendosi il suo tempo. E si permise e concese persino il lusso di dargli le spalle.

Una cosa a dir poco inaudita, almeno in apparenza. Almeno per gli altri. Ma non per lui.

Poi, giusto un attimo prima di ritrovarsi in parallelo rispetto alla minaccia che ormai gli incombeva sopra, sporse il fianco più vicino ad essa buttandolo all'infuori con un colpetto secco e leggero.

La mossa risultò ancora più impercettibile della precedente. Si intuì e si capì che era successo, doveva essere successo qualcosa solo da un fatto. Dal fatto che l'attaccante, l'attimo dopo, se ne volò zampe posteriori all'aria ed effettuando una serie di giravolte su é stesso e in avanti, per poi carambolare rovinosamente al suolo e di schiena.

Una proiezione con spinta d'anca che avrebbe fatto invidia e suscitato rispetto ed insieme ammirazione a un lottatore esperto e navigato di libera o di greco – romana, oppure ad un judoka o a un jiu – jitsuka entrambi professionisti.

La stessa che stava animando tutti quanti gli spettatori, anche se si ostinavano a mantenere un rigoroso riserbo unito ad un religioso silenzio.

Non aveva avuto nemmeno bisogno di cingerlo alla testa o al busto o alla vita insieme ad un altro braccio, per darsi maggior forza e sostegno.

Aveva fatto tutto quello che lo aveva aggredito, che aveva osato aggredirlo. Ed il vecchio non aveva fatto altro che guidarlo.

Aveva preso la sua forza a prestito e gliel'aveva ritorta contro.

Era stato a dir poco incredibile. Era incredibile come avesse potuto eseguire una mossa così complicata con la massima semplicità di questo mondo.

Come se l'avesse eseguita per centinaia di volte all'interno di un allenamento ben specifico. Per settimane. Mesi. Anni.

Ed in teoria era proprio quello che avrebbe dovuto fare, dato che simili tecniche non si arrivano a controllare e padroneggiare così facilmente E il discorso non vale solamente per i neofiti, ma anche per coloro che sono più avvezzi e navigati.

Non le si acquisisce non dopo una lunga, lunghissima pratica con estenuanti ripetizioni in maniera reiterata e persino ossessiva, sino a più completo sfinimento.

Fino a crollare a terra esausti e spossati. Solo così si riescono ad ottenere pienamente.

E non solo. Perché il punto non é solo impararle, ma anche essere in grado di applicarle ed utilizzarle in un contesto reale, in modo che non rimangano soltanto mera teoria fine a sé stessa.

Pura lettera morta, come tutte le cose scritte ed illustrate. Peccato che...

Peccato che nessuno lo avesse mai visto allenarsi un solo minuto, da quando lo conoscevano.

A memoria loro avrebbe potuto giurarlo praticamente chiunque, tra quelli che lo stavano osservando e tra chi lo conosceva anche solo di vista.

Eppure...sembrava davvero che non facesse altro tutto il santo giorno, a giudicare dal modo perfetto in cui le eseguiva.

Lui, Cyrus...non aveva bisogno di allenarsi. Perché certe cose gli venivano così. Per puro istinto.

Naturalmente. E spontaneamente.

Lui, Cyrus...non le faceva, le cose.

Con lui...ACCADEVANO.

Così. Punto e basta.

Accadevano. Tutto qui, senza bisogno di dover aggiungere altro.

Era davvero incredibile. Almeno tanto quanto doveva esserlo l'esasperata ostinazione con cui il suo rivale insisteva a voler negare l'evidenza e la realtà dei fatti.

Ad una persona dotata di un minimo di raziocinio, buon senso e sale in zucca sarebbe bastato e stato più che sufficiente vedere come si era risolto il loro ultimo scambio per capire l'enorme differenza tra loro due. E abbandonare all'istante il combattimento.

Il vecchio era più forte. Cyrus era più forte. Non c'era alcuna storia né giustificazioni che tenessero, a tal riguardo.

Ma il giovane non lo accettava. Non voleva assolutamente riconoscere questa verità. Così come non voleva riconoscere il valore di chi gli stava davanti, e la sua manifesta quanto infinita superiorità. E neanche la sua superiorità.

Non voleva accettare la sua ormai imminente vittoria poiché essa era, doveva essere per forza il preludio, la preparazione alla messa in scena ed in atto della sua imminente e cocente sconfitta.

E lui non era abituato a perdere, nossignore.

Non voleva perdere. Non sapeva perdere.

Non aveva mai perso, in vita sua. E non avrebbe iniziato certo ora. E proprio col vecchio.

La parola SCONFITTA non esisteva, dentro al suo vocabolario.

Ne aveva cancellato il termine stesso, tracciandovi sopra una bella riga. Poi aveva strappato con le sue zampe la pagina che conteneva quella parola. Ed infine, giusto per stare sicuro...aveva dato fuoco a ciò che restava del dizionario. Per fare in modo che non la si potesse vedere né leggere mai più, almeno nel suo specifico caso.

In quanto agli altri, che facessero quel che volevano e che più gli aggradava.

Che se la tenessero pure quella parola infamante, volgare, meschina e schifosa. Lui non la voleva.

Non sapeva che farsene. Non faceva per lui.

La sconfitta era per gli sciocchi e i perdenti. E lui non ne faceva parte, di quella categoria.

Non la sentiva, quella sensazione. E non l'aveva mai sentita. Almeno prima di adesso.

Ma avrebbe seguitato a far finta di nulla, e a non sentirla.

Non la voleva sentire.

Si issò da dove si trovava con un colpo di reni, rimettendosi in piedi. E si girò verso Cyrus.

Partì di nuovo all'attacco e sferrò un poderoso calcio mirando al ginocchio, con l'intento di spezzarlo e sfondarlo da parte a parte.

Cyrus abbassò il braccio ed intercettò la gamba, afferrandola per il collo del piede con una mano.

Una pedata del genere avrebbe potuto come minimo rompre tre assi di legno piazzate e legate l'una vicino all'altra, come se fossero tre miseri stecchini o fiammiferi. Ma lui l'aveva assorbita e incassata senza battere ciglio. E senza fare una sola piega.

Alzò quindi verso la volta del soffitto il braccio che aveva eretto a propria barriera e difesa, e al giovane mancò letteralmente il terreno sotto alle piante. E a tal proposito...

Il gesto con cui lo aveva neutralizzato ricordava quello di un giardiniere alle prese ed intento a sradicare un grosso cespuglio o il ceppo di un gigantesco albero appena troncato di netto, per metterne a nudo e al sole le radici.

Ma non c'era il sole, da quelle parti. E di solito si impiegano entrambi gli arti superiori, quando ci si cimenta in una simile e ardita manovra. E si fa molta ma molta più fatica.

Ma il vecchio, ancora una volta, aveva fatto tutto quanto senza tradire il benché minimo sforzo. Ed usando quello che, ad occhio e croce, doveva costituire e rappresentare un briciolo della sua reale potenza e delle sue capacità.

E di nuovo la giovane pantera si ritovò scaraventata di peso in aria a volteggiare per poi finirsene subito dopo a baciare un'altra volta il pavimento.

L'ennesima. Ma di ventre pieno, però. E dopo una serie di giravolte all'indietro.

Rimase lì e giù dov'era, masticando e sputando terriccio molle e sabbia secca, insieme a manciate e ondate di saliva a spruzzi.

Doveva averne ingoiata bella parecchia, durante i suoi ultimi due voli fuori programma.

Un retrogusto amaro e stopposo di umido, chiuso e muffa. Unito al sapore della bile che stava versando. E della sconfitta che ormai si delineava e preannunciava prossima ed imminente, per lui.

Una cosa insopportabile, davvero. Da gustare, da assaporare e da sentire. E anche solo da accettare.

Non poteva, non voleva farsene assolutamente una ragione. In alcun modo.

Cyrus tornò a farsi immobile come una statua, al centro della grossa stanza.

Padrone unico ed assoluto del campo e della scena, come avrebbe potuto esserlo un monarca con i suoi domini o un latifondista o coltivatore con la sua vallata.

Uno che conosce alla perfezione i suoi domini, ogni centimetro di quelli che comprendono e fin dove si possono estendere. Che sa tutto di loro, e cosa aspettarsi. E che nulla teme, finché occupa un punto ed un posto al loro interno. Perché non avviene nulla di cui lui non sappia. E spesso, gran parte di quel che accade...é lui stesso, a farla accadere.

Zero imprevisti. E dove non ci sono sorprese, non c'é spazio per la paura. Semplicemente non può esistere.

Non esiste, se non le si dà alcun nutrimento e carburante atti a farla crescere, e per alimentare i suoi scopi. Che prevedono e si basano generalmente sul caos.

Il controllo. Il controllo totale. La qualità innata di una capo, e ciò che fa di un individuo normale un comandante.

E il vecchio ritenne opportuno ribadirlo con alcuni concetti piuttosto semplici.

“Fin troppo facile” osservò, riferendosi verso colui che giaceva ancora a terra. “Il tuo modo di batterti é primitivo. E in quanto ai tuoi movimenti...non mi devo nemmeno prendere la briga di doverli seguire con i miei occhi. Ti basi solo sulla tua ferocia e i tuoi istinti pimordiali, e l'unica cosa che per te conta é il riuscire a colpirmi. Ma in questo modo ti sfugge tutto il resto. Ti sfugge il tutto. Perché non é su quello, che si basa la lotta.”

“Il mio modo di battermi é ragionato” gli spiegò. “E si basa sulla strategia e sull'esperienza, a differenza del tuo che si basa sull'impulso e sull'improvvisazione. Hai una forza immensa, ma non sai usarla come si deve. E la forza non é tutto. Non puoi conquistare tutto quel vuoi solo con la forza. Ci sono altri fattori...ci sono mille altre cose da tenere sott'occhio e da conto, nel corso di una battaglia. Ma tu...tu in questo momento sei come cieco. Completamente cieco e sordo. E refrattario a ogni insegnamento.”

Il giovane si rialzò, non degnandolo nemmeno di uno sguardo. E come se non lo avesse nenache sentito.

Colui che aveva appena terminato di parlare aveva avuto ragione. Ragione piena. Ed aveva illustrato alla perfezione lo stato e la situazione in cui versava.

Lui non voleva vedere. E non voleva sentire. Non vedeva né sentiva ragioni.

Ma la cosa peggiore di tutte, la peggiore in assoluto, era che voleva continuare e seguitare a farlo.

Si rimise in piedi a fatica, ma pronto a ricominciare.

Alzò le braccia e serrò i pugni, preparandosi a un nuovo assalto.

“Sia come vuoi tu” concluse Cyrus, con una nota di malcelato disgusto. Ma non si capiva bene se fosse riferito alla testardaggine di chi aveva di fronte, o per che quello che si stava accingendo a fare. O magari per il fatto che era proprio l'ottusità del suo avversario a costringerlo a fare ciò che stava per fare. Nonostante non volesse farlo, forse.

Ma un capo non si tira mai indietro, messo al cospetto dei suoi doveri.

Una decisione, giusta o sbagliata che sia, non la si rimangia e non la si rinnega. Mai.

“Sia come vuoi” ripeté. “Se non vuoi capirlo, con le parole, troverò un altro metodo per fartelo capire. Dicono che i veri testoni fanno il callo e l'abitudine anche alle botte e alle bastonate più dure. E allora...ciò vorrà dire che ti colpirò ancora più duramente. E più forte.”

L'altra pantera tirò all'insù le proprie labbra superiori, e le corrispettive più sotto fecero altrettanto subito dopo.

Gli mostrò le due file di denti, tutt'altro che bianchi ed immacolati. E gli ringhiò contro, per tutta risposta.

“Andrò avanti fino a che non ne avrai abbastanza” gli garantì il vecchio. “Fino a che non dirai BASTA. Fino a che non ti sentirò pronunciare quella parola, e non la sentirò affiorare dalla tua bocca. Qualunque cosa...farò qualunque cosa, tutto quanto é in mio potere pur di salvarti e di ricondurti alla ragione. Perché nonostante quel che sei diventato...non ti sei ancora perso. Non del tutto.”

“Ghhrrhhh...”

Dopo quel verso basso e gutturale, il suo avversario gli si fece ancora sotto. Aggiungendoci pure un urlo, durante il nuovo assalto.

“GRAAARGHH!!

Questa volta Cyrus non rimase immobile ad attenderlo. Gli corse incontro, effettuando uno scatto aggraziato ed elegante, in totale contrasto coi movimenti goffi e quasi scomposti ma comunque possenti di chi lo stava attaccando.

Ma giusto un attimo prima che i loro corpi entrassero in collisione, egli notò che il suo corpulento contendente stava allargando le braccia, dopo aver sfoderato gli artigli alle estremità di entrambe.

Con quale avrebbe attaccato per primo?

La soluzione al fulmineo quesito non si fece attendere.

Il giovane felino allargò l'arto superiore destro verso l'esterno, e mollò un ampio fendente a unghie completamente sguainate.

Voleva affettarlo. Farlo letteralmente a pezzi, con un sol colpo.

Ma Cyrus non aveva avuto bisogno di vedere quel movimento, per intuire la sua mossa.

Aveva tenuto lo sguardo vacuo, quasi perso nel vuoto. Ma in realtà non gli stava sfuggendo assolutamente nulla, la benché minima cosa. E gli era bastato scorgere un lieve fremito nella nera pelliccia di chi gli stava di fronte, per intuire al volo tutte le sue intenzioni.

Altro non era stato che un brevissimo tremolio all'altezza del punto in cui i muscoli del collo si incrociano ed intersecano coi tendini del trapezio e del deltoide.

Una vibrazione appena appena percettibile. Ma che a lui non era affatto sfuggita.

Quello era stato sufficiente. Unito ad un fruscio proveniente dal costato. Un effetto di rimbalzo dell'attivazione dei fasci dorsali, che sono quelli che stanno da sempre alla base di un qualunque buon pugno. Tirato correttamente, a regola d'arte, con tutti i dovuti e santi crismi e come l'onnipotente comanda.

Aveva già capito tutto ancora prima che la spalla si alzasse e si contraesse per sferrare quell'ampia ma micidiale sciabolata. E sapeva già quel che vi era da fare, e come regolarsi di conseguenza.

Scartò leggermente verso la propria sinistra. Quanto gli serviva per uscire dal raggio d'azione e mandare fuori causa quell'affondo, ma senza allontanarsi più di tanto.

Avrebbe finito col mettere troppa distanza, tra loro due. E non voleva correre assolutamente quel rischio.

Doveva stargli vicino, ad ogni costo.

In ogni difesa ottimale vi é un attacco implicito, e viceversa. Per poter capovolgere la situazione quando più aggrada, e alla prima occasione disponibile che si presenta.

Anche di questo va tenuto conto, durante la battaglia.

Sentì uno spostamento d'aria lungo il lato destro. Il suo, questa volta.

L'artigliata lo aveva quasi preso in pieno. Soltanto quasi, però. Per somma sfortuna di colui che l'aveva effettuata. E, per contro, fortuna di chi l'aveva ricevuta in pieno.

Senza prendersela, però. Sempre in pieno.

Fortuna mia, fortuna tua.

E' così che funziona, per la strada. E per le strade.

La sfortuna di uno può essere la sfortuna di un altro. E vice – versa.

Ma qui non vi erano da tirare in ballo la fortuna oppure la sfortuna, il caso oppure la fatalità.

Erano argomenti che rivestivano il classico ruolo dei cavoli a merenda, in un frangente simile.

Non c'entravano nulla.

Il gesto, il movimento del vecchio era stato frutto di una precisa quanto accurata strategia.

Era stato calcolato con una perfezione certosina e assoluta al secondo e al millimetro.

Era stato pianificato con estrema calma ed accuratezza, senza lasciare nulla al momento. Anche se aveva avuto tutta l'aria e dato tutta l'impressione di esser stato deciso direttamente sul posto.

Ma non era così. Veniva da lontano. Da parecchi minuti e mosse addietro.

Quel tocco fu il segnale. Il segnale che tanto attendeva. Il segnale che dava il via.

Fece un mezzo passo in avanti e verso l'interno della propria guardia, con la gamba sinistra. Mentre il braccio corrispettivo di quel lato scattò nella medesima direzione ad intercettare l'arto che per un soffio non lo aveva quasi squartato.

Anche se va precisato che nessuno poteva ferirlo o tagliarlo se lui non voleva.

Nessuno poteva permettersi di farlo, se non era lui a lasciarglielo fare.

Non lo prese e non lo afferrò. Si limitò a guidarlo e ad accompagnarlo. Lentamente, dolcemente e docilmente, mandandolo completamente fuori bersaglio e fuori causa. Anche se allo sguardo di tutti quanti i presenti e gli astanti dovette sembrare un gesto fulmineo. Una mossa al fulmicotone.

Ma il vecchio non si fermò. Non si arresto lì.

Proseguì col brevissimo slancio originato dalla gamba e dal piede, accentuandolo e mettendosi a roteare su sé stesso come un'autentica trottola, come una girandola, in senso orario.

Fu sufficiente neanche mezzo giro di quadrante. Solo quello bastò, fu abbastanza per farlo trovare dove avrebbe dovuto essere. Dove desiderava trovarsi.

Dove gli SERVIVA trovarsi.

I due si ritrovarono l'uno addosso all'altro, in posizione quasi opposta e speculare.

Schiena contro schiena, con i due dorsi che praticamente combaciavano. Più o meno alla perfezione, considerando le ovvie differenze di stazza e struttura fisica.

Era quel che stava cercando. Il resto sarebbe venuto da sé, ora.

Cyrus allungò il braccio destro e se lo portò all'indietro, oltre la nuca, a tentoni, come a voler tastare alla cieca nella spasmodica ricerca di qualcosa di non ben e non meglio definito.

Ma ancora una volta, le apparenze erano destinate ad ingannare.

Lo sapeva benissimo, quel che voleva. E come e dove prenderlo.

Le prime due dita della mano rimediarono proprio quel che stava cercando di ottenere.

La mandibola del rivale.

Le infilò sotto al mento del suo simile, agganciandole alla parte cava da cui partiva il tratto inferiore della lingua, insieme alle ghiandole salivari.

“Ach!!”

La pantera più giovane emise una via di mezzo tra un verso ed un rantolo strozzato.

Due dita. Non gli occorreva altro.

Con due dita era in grado di rimanersene appeso sul cornicione o sul balcone di un palazzo, oppure all'angolo di uno dei suoi vetri a specchio. E da lì lasciarsi e rimanersene a sporgere e dondolare per parecchi minuti, sospeso nel vuoto a decine e decine e poi ancora decine di metri di altezza, con tutto il resto del corpo, come se nulla fosse.

I vetri lucidi e senza appigli di un grattacielo. Oppure le pareti ripide ed i fianchi scoscesi di una montagna.

E sempre con due dita avrebbe potuto sollevarli di peso e scagliarli verso l'alto o in avanti, per farli sfracellare ad una buona distanza.

Quello non lo aveva ancora provato. Ma sentiva di poterlo fare, se solamente avesse voluto.

Poteva fare TUTTO, se solo ci si metteva d'impegno.

E se si sentiva di alzare di peso una montagna o un palazzo, quanto ci sarebbe voluto per sollevare alla pari di un fuscello un semplice quanto misero mammifero, anche se decisamente ben più grosso e ben più piantato di quanto non fosse lui?

Nulla.

Pressoché nulla, come ebbe opportunamente a dimostrare due secondi più tardi.

Riportò il braccio destro in avanti, come a voler versare una brocca per svuotarla prontamente del suo contenuto, liquido o meno che fosse. O per riporre una scatola o qualunque altro oggetto su di una mensola situata appena sopra la sua testa. Ed al contempo piegò all'ingiù ed abbassò le scapole spostando il baricentro. E privando il contendente del suo, oltre che dei punti di appoggio e del contatto col terreno, insieme ad una buona fetta e parte dell'equilibrio.

Il caro, vecchio concetto della leva. Un principio da sempre efficace, ed applicabile in qualunque contesto e situazione. Ogni volta che ne si aveva o ne si sentiva il bisogno.

Com'é che faceva, piuttosto?

Ah, si.

Mi si dia un punto di appoggio...e romperò il grugno a qualunque pezzo di imbecille che avrà la malaugurata idea di attraversarmi la strada proprio nel giorno in cui non sono e non mi sento particolarmente in buona.

E se quella per lui non era una giornata storta, visto che di ben rado erano storte le sue giornate...alla luce di certi recenti avvenimenti e decisioni e di ancor più recenti parole da parte di qualcuno storta lo era diventata di sicuro, adesso come adesso. Ed occorreva porre un pronto quanto adeguato rimedio.

Un insieme di mosse combinate in una sola. Ed eseguite all'unisono ed in sincrono pressoché perfetti.

La grossa e tutta nera pantera si ritrovò quindi sbalzata in aria per la terza volta, in quel giorno. Come disarcionata da una moto lanciata a tutta birra e a velocità folle contro ad un muro di mattoni, per poi sfracellarvisi contro di botto e di schianto.

Un muretto piccolo, sghembo e mezzo sbrecciato. Piazzato giusto ad altezza ruote, ma micidiale perché pur sempre in gradi di fare male. Un gran male.

Perché gli urti peggiori sono proprio quelli di cui non ci si accorge, se non all'ultimo. Quando in genere é ormai troppo tardi per evitarli o limitare i danni.

Lui non li aveva mai evitati, gli ostacoli. Non ci badava al percorso, a differenza di tutti gli altri e di quel che gli avevano sempre raccomandato tutti gli altri.

Voleva primeggiare. Voleva essere il migliore, perché tale si sentiva. Ma non gli importava per niente, non gli era mai importato arrivare primo.

Dal suo nient'affatto modesto punto di vista, il vero piacere di una gara non era tagliare il traguardo in anticipo rispetto al resto dei concorrenti. Ma eliminare ed abbattere tutti gli ostacoli, insieme agli stessi concorrenti. Dopo, una volta aver levato di mezzo ogni impedimento...non avrebbe più avuto alcun bisogno di correre o andare veloce. Avrebbe potuto arrivarci tranquillamente camminando, alla fine della pista.

Anche lui ce l'aveva ben presente, la linea a scacchi con la bandiera e il vessillo sopra. Ma prima, voleva distruggere ogni cosa che gli impediva di giungere agevolmente fin lì.

Poi si sarebbe preso tutto il tempo necessario, una volta che la strada sarebbe risultata bella sgombra.

Ma quel muro...quel dannato muro non gli stava proprio riuscendo di buttarlo giù.

Quel muro gli stava risultando insuperabile.

Mentre come al solito era impegnato a trattare e ad affrontare quest'amara considerazione alla pari di tutte le altre, e cioé rifiutandola...contro un muro ci fini per davvero. E di piena faccia.

Vi ci atterrò dopo aver attraversato in volo tutto lo stanzone. Ma ancora non era finita.

Non poteva ancora rilassarsi, anche se non ne aveva minimamente l'intenzione.

Ad uno così i muscoli gli si sarebbero come minimo ammoribiditi solo dopo che fosse sopraggiunto il decesso, una volta passata l'obbligatoria tappa del rigor mortis. E forse...neanche in quel caso.

A certi guerrieri del passato specializzati in massacri, una volta catturati e sottoposti a giusta esecuzione da parte dell'esercito nemico o tramite un apposito tribunale istituito per giudicare e condannare i crimini svolti durante una guerra, per la rabbia dovuta allo smacco della sconfitta i muscoli gli si contraevano fino a farsi quasi di pietra. Al punto che occorrevano e si scheggiavano numerose asce, prima di riuscire a decapitarlo.

Una pietra simile per composizione a quella della parete contro la quale era appena finito, situata sul versante opposto a quello dove stava provando a combattere. Anche se definirlo combattere era mero e patetico eufemismo, visto che nell'ultimo frangente si stava limitando più che altro a prenderle e basta.

Cyrus stava netralizzando con sapienza ogni suo attacco, anche il più feroce. Stava disinnescando e rendendo pressoché inoffensiva ogni sua arma.

Pietra. Ma che su di lui, forse proprio per via delle membra che sembravano della medesima composizione e durezza, gli fecero l'effetto della gomma.

Al solo contatto vi rimabalzò contro, come se fosse fatta del materiale che si era appena terminato di descrivere. O di caucciù grezzo.

Aveva assorbito la forza dell'impatto e gliel'aveva riversata contro e addosso, rispedendolo seduta stante al mittente e da dove era venuto.

Dritto dritto tra le braccia di Cyrus. Che nemmeno in questa occasione si fece cogliere impreparato o con la guardia abbassata. Men che meno sprovvisto di essa.

Se l'aspettava, tutto qui. Lo aveva calcolato.

Aveva calcolato anche questo. Aveva calcolato anche adesso.

Rimase calmo, in piedi ad attenderlo. Proprio come aveva fatto poc'anzi. Come aveva sempre fatto con chiunque.

E proprio come prima il giovane felino roteava su sé stesso.

Il suo simile e corrispettivo più anziano, dimostrando un'abile quanto perfetta e magistrale scelta di tempo, allungò gli arti superiori e lo prese al volo, afferrandolo per entrambe le spalle.

Si lasciò quindi cadere all'indietro, raggomitolandosi e rannicchiandosi su sé stesso come una palla, e trascinandolo e portandoselo con sé.

Piegò le ginocchia e le portò al petto, per poi estenderle di colpo.

Gliele piazzò dritte dritte sul ventre, e non gli occorse fare altro che spingere per ottenere l'effetto desiderato e che si era prefissato. E senza neanche metterci più di tanta forza.

Non una stilla o un frammento in più di quanto fosse necessario. Anche se agli occhi dell'improvvisato pubblico parve di aver assistito ad una botta di quelle VERAMENTE PESANTI.

E' da sempre la prerogativa ed insieme la virtù dei grandi.

Riuscire ad esprimere il massimo col minimo.

Sono i mediocri o quelli che hanno una scarsa preparazione alle spalle e che pur si ritengono dei geni e dei fenomeni nonostante i difetti più che evidenti, che spesso danno vita ad esagerati quanto inutili e superflui orpelli ed accessori che talvolta prendono il nome di stilismi.

Ad un genio, un vero quanto autentico genio di natura...sotto sotto non gli pare di far nulla di poi così tanto speciale, in fondo.

Il suo avversario si rifece un altro bel voletto. Il quarto, in direzione totalmente contraria alla precedente e pure a testa all'ingiù.

Ma neanche in quest'occasione era da considerarsi conclusa, purtroppo per lui.

Non era ancora finita.

Cyrus decise di seguirlo, questa volta. Si piegò all'indietro e portò le palme delle mani sul pavimento dopo averle opprtunamente inversate. Fletté ed inarcò il suo dorso come un giunco o come la parte ondulata di una balestra. Quella che in genere tiene il filo o la corda in tensione, in attesa di premere il fatidico pulsante che scagli e scocchi la freccia verso il bersaglio.

Sembrava proprio un dardo in procinto di partire. O, tanto per restare a tema, un lottatore che ricorre e si rifugia in una posizione a ponte per non subire un punto o farsi atterrare e di conseguenza battere.

Ma lui, Cyrus...non stava affatto giocando di rimessa, tutt'altro.

Aveva finito col contrattacco, ormai. Stava chiaramente dominando, ed era giunta l'ora di chiudere. Una volta per tutte. Definitivamente.

Per sempre.

Estese le proprie gambe verso l'alto e spiccò un balzo all'indietro, seguendo il gigantesco corpo in caduta. E grazie alla poderosa spinta effettuata coprì la distanza che lo separava da esso in un autentico batter d'occhio.

La potenza dello slancio doveva aver superato persino quella che aveva impiegato giusto un istante prima per lanciarselo oltre di sé e le spalle.

E proprio quando si trovò a pochi centimetri dall'impatto, anch'egli a mezz'aria, si rannicchiò e portò le ginocchia all'altezza del petto. Un'altra volta.

La seconda. E a quel punto non gli restò più altro da fare, se non due cose.

Prima allungare. E poi spingere.

Perché era quello, il suggerimento che gli era arrivato dritto dritto dal proprio inconscio.

Quello che doveva essere scritto proprio sopra al petto del contendente.

ORA SPINGI.

Sembrava che vi fosse o che gliel'avessero marchiato sopra con lettere di fuoco.

SPINGILO.

SPINGIMI.

Cyrus le poteva vedere chiaramente, quelle lettere. Vedeva con estrema chiarezza.

Aveva sempre visto tutto quanto con estrema chiarezza. Su quel che aveva dovuto fare, su cosa c'era da fare e su quel che avrebbe dovuto ancora fare.

Sia il cosmo che il creato, l'universo stesso lo guidavano e lo sostenevano ad ogni passo. Ad ogni singolo passo. Non lo lasciavano mai solo.

Non lo avevano mai lasciato solo. E non lo avrebbero mai lasciato solo.

Grazie a loro, lui sapeva. Sapeva sempre.

Lo raggiunse e lo centrò con una doppio calcio in sospensione. Una pedata tirata con entrambi i piedi in simultanea, che buttò il bestione contro la parete opposta rispetto alla quale da dove era appena provenuto.

Si schianto nuovamente contro al muro. Ma non vi furono rimbalzi di sorta, in quest'occasione.

Sbrecciò il cemento ed alcuni tra i mattoni che vi stavano piazzati ed ammontonati appena sotto lo strato di colata superficiale ed atterrò sul pavimento più sotto, crollandoci letteralmente sopra di peso.

Un boato appassionato di entusiasmo, stupore e frenesia scosse l'improvvisato pubblico, dal primo all'ultimo di essi.

Pareva che avesse preso a smuovere l'intera zona, sin dalle fondamenta.

Presero ad incitare il loro ritrovato capo, con insistenza. Ed impazienza, emettendo versi e suoni gutturali che accompagnavano il movimento delle braccia verso l'alto. Un arto cadauno, col pugno chiuso.

“AH – UH ! AH – UH! AH – UH!!”

L'unico che se ne era rimasto in generoso silenzio era il buon vecchio Finn.

Soltanto lui aveva mancato all'appello. Anche se sia il suo cuore che il suo animo che il suo cervello erano in tumulto e sommovimento alla pari di tutti gli altri. Se non di più.

Ma non aveva avuto bisogno di parlare. Non c'era affatto necessità di aggiungere tante parole. Vocaboli che per lo più risultavano inutili e fuori luogo.

Era stato incredibile. Eseguire un'acrobazia simile per lui era un giuochetto da niente, quando era più giovane. Facile come bere un bicchier d'acqua.

Era conscio di quanto gli doveva essere costato, eseguirla con l'età che aveva e nelle condizioni che versava.

Ma Cyrus era stato grande, come sempre. E come sempre aveva dato a tutti l'impressione di realizzare una cosadifficilissima con la massima naturalezza e prontezza. Come se si si trattasse della cosa più facile di questo mondo.

Una cosa spettacolare ridotta a niente di poi così speciale.

Solo lui ne era capace. Solo lui ne era in grado. E solo uno come lui ci riusciva così.

Doveva averla preparata e studiata a puntino, e sin nei minimi particolari. Prendendosi tutti i rischi del caso. Perché più dell'affrontare un nemico fortissimo vi é solamente il volerlo affrontare a modo proprio, tentando di condurre il combattimento secondo le proprie esigenze ed il proprio volere.

Tentando di condurre ciò che per sua intima natura non può mai venire controllato o indirizzato.

Mai, sino in fondo.

Era a dir poco estasiato, da ciò che aveva appena visto.

E lo era anche adesso, mentre osservava il suo capo sfruttare il contraccolpo per atterrare mollemente e dolcemente sulle proprie zampe inferiori dopo aver quasi levitato, galleggiato in aria per un tempo talmente lungo, così spaventosamente lungo che risultava quasi innaturale. Alla pari di una foglia o di piumino sospinti e sostenuti dal vento. O di una nuvola.

Si sentiva euforico, a dir poco. Ma non era affatto tenuto a dimostrarlo.

Lo sapeva di esserlo, e tanto bastava. E lo sapeva anche Cyrus, che lo era. Ed era più che sufficiente.

Cyrus era al corrente, di renderlo fiero.

Si. Era assurdo. Perché in teoria avrebbe dovuto essere l'esatto contrario. E invece Cyrus voleva, ci teneva, DESIDERAVA di dimostrare di essere degno di rappresentare il suo ruolo.

Perché un vero comandante deve dimostare di essere degno dei suoi soldati almeno quanto i suoi soldati devono dimostare di essere degni di lui.

Un capo non può pretendere di venire amato, dalla sua tribù e dai suoi guerrieri. Però può ottenere e guadagnarsi la loro obbedienza e la loro stima, e persino il loro affetto. E ciò é possibile solo in battaglia. E per farlo, bisogna essere i primi.

I primi a scendere in campo, e a gettarsi all'assalto.

Tanti, troppi generali vogliono fare la figura dei grandi solo a grandi discorsi e pompose frasi. Per poi mandare gli altri a combattere tra le trincee e gli avamposti al posto loro. Per poi morire, sempre al posto loro.

A fare le loro veci persino nel momento ultimo, quello della dipartita.

Ma la fiducia la si prende in altri modi. Donandola, prima di tutto. E dando il buon esempio.

Solo se non fugge, un capo può vantarsi di non esortare mai i suoi sottoposti a fuggire.

E Cyrus non era mai fuggito. Né dalla battaglia, né dalle proprie responsabilità. Che lui stesso si era assegnato.

E non fuggì, non lo fece neanche stavolta.

Si avvicinò alla pantera più giovane, il cui corpo era ancora a terra stramazzato ed immobile.

Con un passo estremamente lento, cadenzato e tranquillo, come se procedesse in pieno deserto.

Come una roccia, o un granello di sabbia. Le uniche cose che possono resistere, sopravvivere e durare in eterno dentro a quelll lande sterili, sconfinate e desolate che somigliano ad immense fornaci.

Dove se si vuol sopravvivere bisogna pensare come loro. Diventare come loro. E scordarsi, dimenticarsi di essere vivi. E viventi.

Si fermò a pochi passi di distanza da lui.

“Finalmente hai capito, adesso?” Gli domandò.

“N – non...non é possibile...” gli rispose l'altro, decidendosi finalmente ad aprire la bocca. E stavolta non solo più che per ringhiare o urlare. “I – io...io sono il più forte! Sono...sono più forte di te! Sono io il più forte, mi hai capito?!”

“Oh, si” ammise il vecchio felino. “Lo sei già. Sei già più forte di me. E potresti diventarlo ancora di più. La tua forza aumenterà ancora, col passare del tempo. Hai un gran potere, tra le mani. Ma come ti ho già detto prima, non lo sai usare. Non hai ancora imparato. E da come la vedo io, non imparerai mai. Perché non vuoi imparare.”

Si prese un momento di pausa. Come a voler riordinare le idee. O forse voleva solo dargli il tempo di assimilare le sue ultime parole, e di vedere l'effetto che esse avevano sortito direttamente sui lineamenti del suo muso. Ma erano soltanto tempo, attesa e fatica totalmente sprecate, e lui lo sapeva bene. Fin troppo bene.

Ora di mettere le carte in tavola, e di giocarsi l'ultima mano. E che andasse come doveva, come sarebbe dovuta finire.

“Smettila” gli disse.

Il giovane alzò lo sguardo e lo osservò, rimanendo zitto.

“Si, mi hai sentito. Smettila” gli ripeté. “Falla finita. Non siamo ancora giunti a quel punto, nonostante tutto. Il nostro non si é ancora trasformato in un duello mortale. Non lo é ancora diventato. Arrenditi, una buona volta. Arrenditi e deciditi a riconoscere la mia superiorità. E la mia autorità. Così salveresti il tuo onore. E resistendo contro di me fino a questo punto ne hai guadagnato più di cento ed altri cento combattenti esperti messi insieme, credimi. Puoi credermi sulla parola.”

Il destinatario di quel nobile discorso e sermone appena rivolto, e terminato con un'altrettanta lodevole quanto ragionevole richiesta e proposta, all'esatto contrario di chi l'aveva effettuata, non ci mise né decise di sprecare neanche mezzo secondo prima di rispondere all'autorevole esortazione che aveva udito.

Ma forse era giunto il momento opportuno di chiamarlo col suo nome. Il suo vero nome.

ALEXANDER.

Ovviamente, anche lui aveva il suo nome di battaglia. Anche se non era stato il suo comandante, a sceglierlo e a fornirglielo.

No. Il suo capo non ne aveva mai fatto un Ras, a differenza di Finnick e di molti altri. Perché non ne era mai stato degno. E non aveva mai fatto nulla per esserlo, o per meritarselo in pieno.

Aveva sempre tenuto una condotta spregevole ed innominabile. E ne aveva semplicemente fatte troppe, per poterlo diventare.

E allora...se l'era scelto da solo, il suo nuovo nome. Perché del parere e del volere del suo generale se n'era sempre fatto beffe. Non se ne faceva nulla e non se ne sarebbe mai fatto nulla.

Né del suo nome, né della sua autorità. Semplicemente non gli servivano.

Tipico di lui. Proprio tipico di uno come lui, che non aveva mai avuto rispetto, considerazione né soggezione per niente e per nessuno.

Se l'era scelto per conto proprio, il suo nome di battaglia.

ZED.

Capo e leader indiscusso degli HELL' S FANGS. La banda più cruenta, feroce e sanguinaria di tutta la metropoli.

Cyrus lo aveva convocato per direttissima, in quel giorno che avrebbe potuto anche essere tranquillamente quella sera. Perché gli rispondesse e gli rendesse conto delle sue innumerevoli malefatte. Sia quelle recenti che quelle più antiche.

Era giunto il momento di decidere cosa farne, una buona volta. Di lui e della sua masnada.

Peccato solo che a Zed non aveva avuto la benchè minima intenzione di fornire spiegazioni o giustificazioni. E nemmeno di implarare clemenza al suo cospetto.

A lui fare del male e togliere vite piaceva. Lo faceva star bene. Lo esaltava.

Lui era venuto fin lì in mezzo agli altri perdenti, a concedere loro il lusso della sua presenza per un unico e solo motivo.

Era arrivato fin lì, quel giorno, per affrontare Cyrus. E per sconfiggerlo.

Per distruggerlo. E poi per prendere il suo posto.

“P – puoi...puoi levartelo dalla testa” gli rispose sprezzante, mentre si rimetteva a fatica e a malapena in piedi, con passo e movenze incerte quanto malferme.

Dava tutta l'aria di reggersi proprio a stento, e di essere davvero male in arnese.

“Puoi levartelo dalla testa, capito?” Gli ripeté, questa volta più convinto, fosse anche solo per convincere sé stesso che ciò fosse ancora possibile. “Scordatelo. Se ancora non ti é ben chiaro...io sono qui perché voglio FARTI A PEZZI. Ho GIURATO di farti a pezzi!!”

“I – io...io TI STRAPPO IL CUORE!!” Ruggì. “TI STRAPPERO' IL CUORE DAL PETTO, CON QUESTE MIE MANI! DOVESSE COSTARMI LA VITA!!”

E gliele mostrò, le sue mani.

Lerce e sudice, come sempre. E come l'anima di chi le possedeva e le usava, molto probabilmente.

Parevano lorde di sangue rappreso e coagulato. Anche quando sopra non ve n'era la minima traccia.

Tutti trasalirono, a quell'affermazione. Anche perché chi l'aveva promulgata sembrava capacissimo sia di volerlo che di poterlo fare.

Tutti tranne Cyrus, ovviamente. E Finn.

Nel caso del primo perché ci voleva ben altro, per impressionarlo. E per ciò che concerne il secondo...perché sapeva benissimo che il suo capo non era certo il tipo da lasciarsi intimorire da simili minacce, per quanto terribili potessero essere.

“Tsk” replicò l'anziano felino. “L'onore...dimenticavo che tu non sai nemmeno cosa significhi, quella parola.”

“E in quanto al cuore...” aggiunse con una nota di rammarico sempre più marcato e crescente nella propria voce, “Ti ho già detto mille e mille volte che non lo potrai mai ottenere estirpandolo dal petto degli altri. Il tuo te lo devi creare da te. Ognuno di noi deve guadagnarsi il suo.”

“Basta così, vecchio!!” Lo zittì Zed. “Basta con questo mucchio di idiozie! Mi hai stancato! Mi avete stancato, tu e tutte quante le tue scemenze! Io ci sputo sopra, chiaro? Ci sputo sopra, a tutto quanto! A tutto quel che hai appena detto! L'onore, il rispetto...tutto. E se ci tieni a saperlo...anche su di te!!”

E detto questo ci sputò davvero, ai suoi piedi. Poi si lanciò nuovamente all'attacco, con un grido a metà tra il furioso ed il disperato.

“GGHHRRRAAARRRGGHHH!!”

Gli sferrò una serie di colpi ad artigli sguainati, al suo indirizzo. Ma l'abilità e la consumata esperienza di Cyrus fecero ancora una volta la differenza.

Dapprima li evitò tutti, uno dopo l'altro, con maestria. Poi, non appena vide che Zed si era leggermente sbilanciato di quel centimetro di troppo in avanti, si addentrò con decisione nel mezzo di quella pioggia e di quel mulinare impetuoso e convulso di unghie affilate. E lo centrò con un terrificante destro alla mascella, mettendolo in ginocchio.

Zed barcollò e finì quasi a terra. Ma giusto un istante di terminarvi si rialzò di scatto e tentò di contrattaccare con un destro a sua volta, ma l'anziana pantera lo bloccò senza alcuno sforzo apparente afferrandogli l'arto all'altezza del polso con la sua mano sinistra.

“No” commentò amareggiato e scuotendo ripetutamente la testa, mentre il suo simile più giovane tentava in ogni modo di divincolarsi e di liberarsi senza tuttavia riuscirvi. “Niente da fare. Non c'é proprio più niente che io possa fare, per te. Non vuoi capire...e non vuoi accettare. Ti ostini a non voler capire.”

Lo tirò a sé con un breve e deciso strattone, e per un attimo diede quasi l'impressione di volerlo abbracciare. Ed invece alzò la mano rimasta libera verso di lui, chiudendola a pugno giusto un secondo prima di farla impattare contro al suo addome, affondandocela dentro.

Zed si piegò in due, emettendo un urlo strozzato.

“Agh!!”

Cyrus ritrasse la mano e la spostò verso il suo lato sinistro, per poi farla schizzare subito dopo dalla parte opposta. E gli tirò un violentissimo manrovescio con il dorso della mano in pieno muso, facendolo cadere e stramazzare al suolo.

I guerrieri, ognuno di essi entro i confini delimitati dalla propria compagine di appartenenza, stavano osservando la scena senza fiatare. Senza emettere un singlo né minimo respiro.

Il loro comandante aveva sferrato quel colpo con una potenza a dir poco inaudita, ma tutti quanti loro avevano percepito una strana sensazione.

Sentivano che c'era stato qualcosa di GIUSTO, in quel gesto. Qualcosa di SACROSANTO.

Perché era stata una LEZIONE.

Di una lezione si era trattata, quella a cui avevano appena finito di assistere tutti quanti.

Una lezione su come si rifila una sonora quanto ben meritata sberla ad un cucciolo testardo, irrispettoso e disobbediente. Oppure...

Oppure di una punizione. Una punizione esemplare inflitta da parte di un genitore sdegnato e furibondo nei confronti di un esponente della sua prole particolarmente chiassoso, maleducato ed oltremodo sguaiato. Ed eseguita di fronte a parenti, conoscenti ed amici, vari, in modo che l'umiliazione possa essere in misura ancora maggiore.

“Smettila” lo avvertì Cyrus, che nel frattempo gli si era messo davanti e stagliava nella penombra, dopo aver assunto una posa imperiosa.

Quindi gli andò incontro, cauto.

“Sei ancora in tempo” Gli spiegò. “Sei ancora in tempo, per fermarti. Non mi costringere ad annientarti.”

“Non...non hai ancora capito, vecchiaccio?” Gli rispose Zed. “N – non ci sei ancora arrivato? Dovrai farlo, invece. Devi farlo! O altrimenti...altrimenti lo farò io! SARO' IO, AD ANNIENTARE TE, MI HAI CAPITO?!”

Quasi non fece a tempo a terminare quella frase che si era già rimesso in posizione perfettamente eretta, sulle proprie gambe che ancora lo sostenevano e gli rispondevano a dovere nonostante tutto.

E subito dopo si lanciò contro di lui in un ennesimo quanto furibondo e disperato attacco.

“E va bene” commentò laconico Cyrus. “Sta bene. Sia come vuoi tu.”

“Sia come vuoi tu” gli ripeté. “FIGLIO MIO.”

Lo attese al varco, immobile. E proprio quando fu sul punto di venire colpito, estese di colpo entrambe le braccia e gli afferrò ambedue le spalle, stringendogli per bene con le dita la aprte superiore dei giganteschi quanto spropositati deltoidi.

Zed si bloccò di colpo, come sorpreso.

“Cosa c'é?” Gli domandò Cyrus. “Desideri forse fare una prova di forza? E' dunque quel che ti serve? Allora...accomodati.”

“C – cosa?!”

Il giovane felino non credeva a quel che udivano le sue affusolate orecchie.

“Forza” gli ribadì suo padre. “Avanti. Colpiscimi. Colpiscimi pure. Con tutta la forza che hai. Con tutta quella che ti é rimasta. Coraggio. Io non te lo impedirò. E nemmeno mi difenderò.”

“Coraggio” proseguì. “Sfogati. Ti ho appena detto che non opporrò la minima resistenza. Non perdere quest'occasione. Butta fuori tutto. Liberati di tutta la rabbia e di tutto quanto il tuo rancore. E renditi conto da solo della differenza tra noi due. E di quanto mi sei ancora inferiore.”

Zed, a quella richiesta, non si fece certo pregare. Forse non gli pareva vera, tutta quella simile manna dal cielo in una volta sola.

Partì con una serie di destri e di sinistri tirati in pena faccia, con impeto.

Non si fermava più. E stava iniziando a provarci pure gusto. Ma ben presto...

Ben presto dovette constatare e scontrarsi con la dura realtà dei fatti.

Nonostante tutto l'impegno che ci stava mettendo, quel dannato vecchio non sembrava minimamente accusare i suoi attacchi.

Li stava incassando uno dopo l'altro, nella più assoluta e naturale indifferenza.

E ad un certo punto l'attaccante si fermò, con ancora le mani alzate.

Cyrus...suo padre lo stava guardando. Dritto nelle pupille.

Ci si stava riflettendo e specchiando per intero, in quei due pezzi di oceano sconfinato.

“Ora voglio provare a facilitarti le cose” gli confidò. “Adesso ho deciso che chiuderò i miei occhi. E fino a che lì manterrò chiusi, ti lascio libero di farmi tutto quel che vuoi. Sei libero di farmi quel che ti pare.”

E così fece. Li serrò.

Un mormorio di disapprovazione mista a sconcerto si fece largo tra le sue truppe.

Era pura follia concedere una cosa del genere ed un simile vantaggio, con l'avversario che si ritrovava.

Un suicidio. Un puro quanto autentico suicidio.

E Zed, ovviamente, non volle venir meno dal confermare quei sinistri sospetti e timori.

Ricominciò più forte, determinato e motivato di prima. Ma la musica non cambiò.

Cyrus se li stava prendendo sul muso. Tutti, uno dietro l'altro, senza fare la benché minima piega.

La sua testa effettuava giusto qualche piccolo spostamento di lato e in obliquo, in direzione del pugno che subiva, quasi a volerlo accompagnare.

Il pestaggio andò avanti ancora per qualche minuto. Minuti che dovettero apparire quantomeno interminabili, a chiunque vi fosse lì presente. E senza sortire alcun effetto che fosse uno.

Fino a che...non accadde qualcosa. E non fu certo il qualcosa che qualcuno aveva sperato che accadesse. E giunti a questo punto era superfluo quanto inutile aggiungere chi fosse il qualcuno in questione.

All'improvviso, i movimenti di Zed sembrarono farsi di colpo lenti. Sempre di più, ad ogni secondo. E sempre più macchinosi e prevedibili.

Così come la loro potenza, che scemò tutt'ad un tratto.

Non riusciva nemmeno a tenere più su le proprie braccia. Doveva sentirsele pesantissime.

Gli tirò un altro paio di pugni, che dovettero costargli uno sforzo a dir poco immane nella loro esecuzione.

Ma si trattò del suo acuto finale. Un acuto spento e fiacco, che ormai non avrebbe potuto più aggiungere nulla alla sinfonia sulla via del suo più che naturale quanto scontato epilogo.

In realtà in suo contributo al concerto era sempre stato miserrimo, sin dall'inizio. Non ne aveva mai preso veramente parte, dato che in fin dei conti non si era trattato che di un assolo, dal principio come nella fine.

L'assolo di Cyrus. E adesso non mancava che una degna conclusione.

Zed fece scivolare i propri arti superiori lungo i fianchi, ormai molli ed inerti. E fu allora he suo padre si decise a mollarlo.

Riaprì le palpebre.

“Hai capito, adesso?” Gli fece. “Hai capito, ora?”

Zed avrebbe voluto tanto ridurlo a brandelli. Ai minimi termini, con le sue stesse zampe. Ma solo adesso si era reso conto di non aver fatto altro che andare avanti a picchiare un sacco. E non certo inteso in termini di quantità.

Aveva picchiato un sacco di sabbia da pugilato. O meglio, un suo equivalente.

Un sacco da boxe in grado di assorbire e disperdere la forza di chiunque si metta a colpirlo. E di ricevere anche i colpi più duri.

Non sarebbe mai riuscito a romperlo o a spezzarlo, nemmeno se si fosse messo dietro a riempirlo di mazzate. Nemmeno se fosse rimasto lì a non fare altro che quello, per un'intera giornata.

E nel momento stesso in cui stava iniziando a rendersi conto di ciò, si accorse anche di un'altra cosa. Che lo mise subitaneamente in allarme rosso.

Aveva dato tutto. Non ne poteva più.

E questa volta non ebbe nemmeno il tempo di dispacersene o di rammaricarsene.

Suo padre non ritenne conveniente dargliene l'opportunità.

“Allora?” Gli domandò. “Sarebbe questo? Questo é tutto il male che puoi farmi? Che riesci a farmi?Beh...é davvero un peccato. Perché adesso INIZIERO' IO. Preparati.”

Zed lo guardò, come incredulo.

“Hai sentito” Lo avvisò suo padre. “Ora comincerò io a farti male. Così!!”

Prese a tempestarlo con una serie di colpi rapidissimi. Precisi. E potenti.

Diretti, sventole e uppercut. Dritti e rovesci. Al volto ed al corpo. E CON UN SOL BRACCIO, per giunta.

Non faceva alcuna distinzione. E non si fermava più.

“T – tu...” bofonchiò Zed, con un filo di voce. “C – credi f – forse d – di farmi qualche...qualche c-cosa? N – non...non mi stai f – facendo nulla! N – non...t – tu non mi stai f – facendo n – niente! Non...n – non li sento i t – tuoi c – colpi! N – non li sento a – affatto!!”

“Non serve che tu tenga duro” lo avvertì Cyrus, mentre seguitava a bombardarlo, senza sosta e senza alcuna pietà. “Non ha la minima importanza. E non c' é bisogno che cerchi di dimostrarti più forte di quello che sei. Lo sento, il tuo dolore. Lo SO, che fa male.”

Quell'idiota di suo figlio si era permesso sin troppe libertà. Ed aveva voluto approfittare fin troppo della sua tolleranza e pazienza. Col risultato che aveva finito con l'andare oltre, davvero troppo oltre. E adesso le aveva entrambe finite, esaurite.

Per sempre, almeno nei suoi confronti. Non ne aveva più. Né di una, né dell'altra.

“Ogni tentativo di resistenza é inutile” gli ribadì, nel bel mezzo del suo cruento pestaggio. “Non ho intenzione di fermarmi. Resterò sordo a qualunque tua parola, finché sarà solo di scherno o di disprezzo. E andrò avanti fino a che tu non implorerai pietà. Fino a che non ce la farai più, fino a che non dirai...”

“B – basta...”

Lo aveva anticipato, almeno in quell'ultimo vocabolo. Ma non bastò a convincerlo, tanto meno ad arrestarlo.

“Basta! Basta!!”

Di nuovo. Ripetuto per due. E questa volta con tono decisamente più accorato.

Si. Poteva bastare. Per adesso.

Cyrus lo centrò con un gancio corto di destro proprio sotto al mento, sollevandolo letteralmente di peso da terra.

Il giovane felino atterrò qualche metro più indietro. A braccia e gambe larghe e spalancate, completamente immobile ed esanime.

“Mi dispiace per te, ma non c'é stato un solo attacco da parte tua che abbia saputo sorprendermi o stupirmi” gli spiegò il suo comandante, nonché genitore. “Nessuno dei tuoi colpi era alla mia altezza. Non sei degno. E in più sei un incapace!!

“E adesso vattene da qui”gli intimò poi. “Non farti mai più rivedere da me. Non voglio mai più rivedere la tua faccia!!”

“Cambia mestiere!!” aggiunse. “E trovati un lavoro. Sarà meglio per te.”

E Si voltò, dandogli le spalle.

Era finita. Era tutto finito.

Si allontanò pian piano, con passo lento ma deciso.

La sua intenzione era di raggiungere il trono, per poi sedervisi sopra.

Aveva appena enunciato e promulgato la sentenza definitiva nei confronti del suo rivale, sangue del suo sangue. Ed era una sentenza che non lasciava alcun tipo di scampo.

Una sentenza che prevedeva prima di tutto l'allontanamento obbligatorio. E l'esilio, di genere altrettanto forzato. E poi l'oblio.

In eterno.

Ma nonostante lo avesse appena esposto a pieno fiato e polmoni, non era certo sufficiente.

Doveva ufficializzarlo, come tutti i suoi editti. Per ribadire il suo controllo, non certo il suo potere.

Perché a lui interessava gestire, non certo dominare.

Doveva annunciarla pubblicamente, la sua decisione. La decisione che aveva appena preso. E poteva farlo solo dalla sua postazioe privilegiata, dal suo seggio ricavato dal mucchio e dal nugolo di pneumatici. In modo che la potessero udire tutti, anche se in effetti tutti l'avevano già udita. E a nemmeno uno era sfuggita.

Alle sue spalle Zed, ancora a terra, stava muovendo freneticamente e convulsamente le labbra come un pesce fuor d'acqua e in apnea, nel tentativo di biascicare qualcosa.

Vi riuscì, qualche istante più tardi.

“U...uccidimi...”

Cyrus, a quella parola, si arrestò di colpo.

Alzò lievemente il capo.

“Che cosa hai detto?” disse, senza nemmeno girarsi a guardarlo. “Ripetilo.”

“Ripetilo” riaffermò. “Ripetilo, se ne hai il coraggio.”

Zed, invece, girò la testa per quel tanto che poteva e lo fissò, mentre lo sfidava ridicendogli proprio quel termine.

“UCCIDIMI.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come va? Spero bene.

Qui dalla zona di guerra sempre tutto ok, per ora.

Non che nel resto del paese sia differente, purtroppo...

Come sosteneva un noto cantante buonanima...L' ANNO VECCHIO E FINITO ORMAI, MA ANCORA QUALCOSA QUI NON VA.

Beh, direi che esprimono alla perfezione la situazione.

Contrariamente a chi pensava che con l'arrivo di un nuovo anno (o di un nuovo governo, pure. Perché siamo arrivati pure a quello, eh. Tipico di noi: troppo spesso e troppo facilmente ci affidiamo ai miracoli o alla divina provvidenza. Ma un paese non lo si governa alla sperindio, gente. Quando mai lo capiremo?) magicamente andasse via tutto ed ogni cosa tornasse al proprio posto.

La strada é ancora lunga e difficile. Qualche barlume di luce dall'uscita (ancora bella lontana) lo si inizia ad intravedere, ma ancora ce n'é...

E come sempre qui da noi l'incertezza, l'indecisione e la disorganizzazione la fanno da padroni, e hanno fatto il resto. Aggiungendoci giusto quel pizzico di qualcosa in più di cui avremmo fatto tutti quanti volentieri a meno.

Teniamo duro, ragazzi. Al momento non si può fare altro.

Passerà. Passerà anche questa, prima o poi.

E ora veniamo al capitolo.

Bòn, per questo mese credo di aver rispettato e di essere rientrato nei tempi di consegna previsti. Senza sgarrare.

E meno male. Perché sbagliare é umano, ma perseverare e ricommettere l'errore é diabolico.

Un altro ritardo sarebbe stato insopportabile.

Siamo entrati nel vivo del duello tra Zed (ormai si é capito che é lui. Ma del resto lo si era già compreso da un bel pezzo) e Cyrus.

E siamo entrati decisamente nel campo che prediligo: quello delle BOTTE DA ORBI e DELLE MAZZATE A TUTTO SPIANO.

Ormai lo sapete, ragazzi.

Da amante duro e puro degli shounen vecchio stampo e dei manga di combattimento, me la godo e mi diverto un mondo quando c'é da narrare un bello scontro a suon di sganassoni.

Anche perché non sono quel gran che a ritrarlo, visto che ammetto candidamente di essere una mezza pippa, a disegnare.

Non che con lo scrivere me la cavi poi tanto meglio, eh.

Come dico sempre io, e mi raccomando di riperterlo dopo aver preso un bel respirone...

NON SONO CHE UN OPERAIO CHE IMBRATTA CARTE A TEMPO PERSO CERCANDO DI CAVARNE FUORI QUALCOSA DI BUONO.

That's the spirit!!

Questo é lo spirito, ragazzi!!

L'importante é tenere il profilo basso. E volare altrettanto basso. Oltre a non dimenticarsi mai che si, sarà anche vero come diceva una scrittrice che ognuno di noi, gira che ti rigira, ha una sola storia da poter raccontare.

Può cambiare contesto e personaggi, ma la storia é rimane sempre quella.

Io, che ritengo che la storia migliore la debba ancora scrivere, posso dire che probabilmente é come dice.

Ma visto che le cose stanno così...allora diciamo che LA MIGLIORE VERSIONE DELLA MIA STORIA LA DEVO ANCORA RACCONTARE!

In ogni caso...spero di esserci riuscito. E che vi piaccia.

Ma veniamo all'episodio, adesso.

Allora? Che ne dite di Cyrus?

Premetto che i pareri abbiamo deciso di tenerceli per la fine di questo breve viaggetto nel passato, e che al termine di questo veloce flashback manca ancora un episodio.

Ma quel che si vede...direi che già basta e avanza, a farsi un'idea.

Mettiamola così: stavo scavando nella “gioventù” (anche se probabilmente era già vecchio allora. Ma quanti cavolo di anni avrà, per la miseria? Mistero) del nostro nanerottolo mi sono imbattutto in questo personaggio a di poco PAZZESCO.

In realtà avevo già in mente di inserirlo, dato che anche nelle puntate passate ogni tanto si accennava a lui.

Ma che venisse così bene, gente...non me l'aspettavo proprio.

Il risultato ha decisamente superato qualsiasi previsione. Persino la più rosea.

D'altra parte, per fronteggiare uno come Zed che é praticamente un demonio sotto forma e pelliccia d mammifero...ci voleva un DIO.

A cosa mi sono ispirato, per crearlo?

Beh, direi che i miti ellenici a base di eroi come Perseo o Ercole, di cui sono patito sin da bambino, hanno avuto il loro peso.

E poi la pennellata finale l'ha data sicuramente LEONIDA.

Il capo della guarnigione di 300 spartani che da soli hanno tenuto testa all'intero esercito persiano. Permettendo al resto delle popolazioni della Grecia di fuggire e riorganizzarsi.

Massimo esempio di coraggio e spirito di sacrificio portati all'estremo.

Perché si, ammetto che la fonte principale é costituita sia dal film di Zack Snyder con Gerard Butler (dove al confronto del più mingherlino Schwarzegger sembrava un profugo denutrito, con tutto il rispetto per i profughi. E a chi non aveva il six – pack in bella evidenza sull'addome lo riformavano, come minimo. Gettandolo dalla sacra rupe, probabilmente) che dal celeberrimo fumetto di Frank Miller e di sua moglie Lynn Varley.

Ma a rileggere la storia (e la leggenda che vi é sorta intorno) si trovano risvolti sorprendenti.

Scoprire che uno sparuto battaglione (perché avrebbero potuto cavarsela, nonostante la situazione disperata) mentre abbandona la postazione si rende conto di aver lasciato indietro il proprio Re alle Termopili, e arriva a fare dietro-front spaccando in due le linee nemiche pur di tentare di riprenderselo...lascia senza parole.

Forse é un esagerazione. Ma come direbbe il vecchio Finn...TRA LA REALTA' E LA LEGGENDA LA LEGGENDA STRACCIA LA REALTA' CENTO A ZERO.

Idem per i nomi. Compreso quello naturale di Zed. Che nonostante sia un'emerita bestia ha un nome bellissimo, quasi nobile.

Cyrus e Alexander.

Qualsiasi riferimento a Re Ciro il Grande di Persia e Alessandro Magno Re di Macedonia sono PURAMENTE VOLUTI.

In realtà ci sarebbe un'altra citazione (e poi basta, che non amo spifferare le mie fonti. Svelarle lo considero una sorta di gioco nel gioco, come ho sempre detto), ma...lascio a voi il piacere di scoprirla.

Comunque, dicevamo...manca ancora un capitolo, a questa retrospettiva. Poi si tornerà dritti filati nel presente.

E lo credo bene: c'é una battaglia imminente da combattere. E da vincere, pure!!

Passiamo all'angolo della colonna sonora.

Prima di tutto, volgio scusarmi per aver dimenticato un pezzo fondamentale da ascoltare durante la lettura dell'episodio precedente.

L'amico e collega RyodaUshitoraIT ci ha azzeccato in pieno, nel corso della sua ultima recensione (a cui risponderò presto. E ho visto che hai pubblicato una nuova storia. La leggerò quanto prima!).

Nello scriverlo ho voluto ricreare le atmosfere del capolavoro di Walter Hill (uno dei miei film della vita. Che di fatto ha fornito terreno fertile per qualunque genere di picchiaduro e di beat'em up degli anni 80. A partire da Double Dragon passando per Final Fight e Streets of Rage).

E quindi...vi suggerisco THEME FROM THE WARRIORS , vale a dire il tema principale di quel mitico film, ad opera di BARRY DE VORZON.

Mentre per questo capitolo, ascoltatevi IN ZAIRE di JOHNNY WAKELIN.

E concludiamo con i consueti ringraziamenti.

Un grazie di cuore a hera85, Devilangel476, Sir Joseph Conrard e a RyodaUshitoraIT (complimenti per esserti messo in pari! Un grande) per le recensioni all'ultimo capitolo.

A quest'ultimo un grazie anche per le recensioni ai capitoli 76, 77 e 78.

E un grazie anche a Plando per la recensione al capitolo 77.

E come sempre, un grazie anche a chi leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere-

Bene, credo che anche per questa volta sia tutto. E credo di aver messo tutti.

Grazie ancora a tutti voi, di nuovo. E alla prossima!!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

   
 
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