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Autore: NPC_Stories    14/03/2021    4 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Non tutte le battaglie versano sangue


Johel non si era mai preso carico della gestione delle pattuglie di ranger fino a poche settimane prima, ma aveva dovuto imparare in fretta. E nonostante gli sporadici scatti di autoritarismo che derivavano con tutta evidenza dalla sua paura di fallire, e quindi da un tentativo di emulare l’atteggiamento di suo padre, per la maggior parte del tempo era un ranger capo professionale ed equilibrato. Era ragionevole, ascoltava le valutazioni dei suoi sottoposti, si confrontava con i colleghi anziani prima di trarre le sue conclusioni. La sua parola però era definitiva, e lui lo sapeva: non poteva mostrarsi tentennante. Anche se fosse stato necessario correre dei rischi, anche se avesse avuto dei dubbi, non poteva cambiare idea dopo aver dato un ordine. Nessuno lo avrebbe mai rispettato, se l’avessero visto indeciso.
Nonostante la sua convinzione che tutto sarebbe andato a rotoli da un giorno all’altro, però, fino a quel momento nulla era andato a rotoli. Erano state settimane di calma, la foresta non era mai perfettamente sicura ma non avevano dovuto affrontare nulla di peggio di uno sciame di pipistrelli giganti, intelligenti e maligni, che avevano fatto il nido in una caverna cieca nel fianco di una collina. Una pattuglia di sei esperti arcieri li aveva sistemati. Anzi, era stato più difficile affrontare il problema dello sciame di scintillini che aveva preso possesso di uno degli accampamenti: le creature fatate minuscole, dispettose e stupide, alla fine se n’erano andate solo quando gli elfi avevano fumigato l’intero campo con erbe dall'odore cattivo.
Johel stava cominciando a rendersi conto che forse fare il ranger capo non significava dover gestire emergenze ogni giorno.
Infatti stava assaporando uno dei benedetti momenti di pace che non pensava avrebbe avuto, quando uno dei suoi ranger si avvicinò e gli fece un cenno.
"Johel. Posso parlarti un momento?"
All'elfo bastò un'occhiata per riconoscere l'altro. Non era esattamente un amico stretto, ma si conoscevano da moltissimi anni.
"Elendyl. Certo, ti ascolto."
"Sarebbe possibile parlare in privato?"
Il ranger capo sollevò le sopracciglia. Era una richiesta strana, ma immaginò che avesse a che fare con una necessità fuori dall'ordinario, un cambio di turno o qualcosa del genere.
"Andiamo nella mia tenda."
Cogliendo il suggerimento, Elendyl fece un passo indietro e lasciò che il suo superiore lo conducesse a una tenda al centro dell'accampamento. Una volta dentro, si assicurò che le cortine di tessuto e muschio fossero ben chiuse. Johel notò il suo gesto e cominciò a sospettare che ci fosse sotto qualcosa di più importante di un cambio di turni.
"Elendyl, che succede?"
"Ricordi il mio nome completo?" Gli chiese l'altro, a bruciapelo.
Johel dovette pensarci, ma solo per un momento. "Elendyl Arnavel" rettificò. "Perché?"
"Mio nonno è Suiauthon Arnavel. Credo che tu lo conosca."
"Certo, è stato mio capopattuglia per diversi anni. Non sapevo che fosse tuo nonno, ma non ho mai studiato con attenzione l'albero genealogico di famiglia."
"No, lo immagino. Gli Arnavel del ceppo principale non hanno interesse a farlo."
E questo cosa vorrebbe dire? Si chiese Johel con una punta di fastidio.
"Non appartengo al ceppo principale. Il capoclan è mio zio, non mio padre."
"Sei comunque molto vicino al capoclan. Sei terzo in linea di successione, dopo la giovane Freya e tuo padre."
"La linea di successione è un concetto teorico" Johel aggrottò la fronte, senza capire dove l'altro volesse andare a parare. "Non funziona in modo così rigido. È vero che di solito viene scelto un discendente o un famigliare del capoclan precedente, ma deve essere approvato dal Consiglio. Nel caso non ci fosse un candidato adatto potrebbe anche essere scelto qualcuno estraneo alla famiglia, quindi a cosa serve parlare di linea di successione?"
"Ma è proprio questo il punto" Elendyl andò al sodo. "Secondo le nostre leggi chiunque abbia il cognome Arnavel può candidarsi per essere il successivo capoclan. È proprio per questa ragione che è stata introdotta una limitazione: un Arnavel può mantenere il cognome solo se ha un rapporto di parentela fino a cugino di quarto grado con l'elfo che era capoclan al momento della sua nascita. Mio nonno è cugino di secondo grado di tuo padre e di tuo zio. Io sono pro-procugino secondo di lord Fisdril. Per chiarire, sono cugino di quarto grado della tua bambina. Sono ancora abbastanza vicino alla tua famiglia da poter mantenere il nostro cognome. Siccome mio nonno è troppo anziano per essere un eventuale successore, e mio padre è morto, non farò nomi ma qualcuno è già venuto a farmi sgradite pressioni." Lo disse in tono molto seccato, incrociando le braccia.
Johel sbatté le palpebre un paio di volte, senza capire.
"Pressioni per cosa?"
"Lord Fisdril porta benissimo i suoi anni, ma ha quasi visto passare cinque secoli."
"È anziano, ma non certo decrepito" obbiettò Johel. "E la sua vita sedentaria e poco rischiosa in realtà gli conferisce un'aspettativa di vita più alta della mia e della tua messe insieme!"
Elendyl sbottò in una risata improvvisa, perché dopotutto era vero. "Grazie per questa iniezione di fiducia! Io sono d'accordo con te, tutte queste congetture sono inutili castelli in aria, ma sai che la gente ama pensare al futuro quando non ha niente di meglio da fare. E pensando al futuro, quasi tutti riconoscono che lady Freya non sembra avere la stoffa né la predisposizione per succedere a suo padre."
"Mia cugina è ancora molto giovane, e a suo padre restano ancora molti anni. Il suo carattere potrebbe cambiare, lei potrebbe trovare un equilibrio. È già migliorata molto da quando si è sposata."
"È vero, ma sono un sacco di se. La realtà dei fatti è che al momento attuale il successore più papabile sei tu. Tuo padre è un ottimo ranger capo, ma non ha la sufficiente elasticità mentale o la pazienza per fare il capoclan. Forse non ne ha nemmeno la vocazione."
"Io non ho mai chiesto di diventare capoclan. Al momento conduco anche una vita seminomade, prima di tornare qui ero stato lontano da casa per anni, come fa la gente a considerarmi la migliore scelta?"
"La migliore scelta all'interno del nucleo della famiglia ristretta di lord Fisdril" gli ricordò Elendyl. "Nonostante la tua vita seminomade tutti danno per scontato che un giorno metterai la testa a posto. O almeno era così fino a poco tempo fa. Da quando sei tornato hai perso molti sostenitori."
Johel rimase sinceramente sorpreso da quella notizia. Non che gli importasse di diventare capoclan, ma sapere che le persone non avevano fiducia in lui era comunque un duro colpo.
"Perché? Non sto lavorando bene? Non mi sto prendendo a cuore il benessere della mia gente?"
Elendyl mosse una mano come per dissipare quei dubbi.
"Tu sei una bravissima persona. Sei un elfo di cui la nostra foresta può andare fiera. Ma sei tornato con una figlia mezza drow, e io te l'ho detto che le persone oziose amano pensare al futuro. Se diventerai capoclan, Jaylah diventerà la prima in linea di successione. E mi spiace dirtelo, ma quasi nessuno vuole una mezzadrow come capoclan."
Johel sentì un brivido gelido attraversargli le ossa. Prima ancora di rendersene conto si era gettato su Elendyl e lo aveva afferrato per il bavero.
"Cosa diamine vuoi dire con questo?" Strattonò l'elfo più basso con più forza di quanto avesse voluto, ma era spaventato. Aveva portato la sua dolcissima bambina nella foresta per farle conoscere i suoi nonni, la sua famiglia elfica, non per esporla alle cattiverie di sconosciuti che pensavano solo alla politica.
"Non prendertela con me! Io ti sto avvertendo perché sono dalla tua parte. Ascoltami, chiunque abbia conosciuto Jaylah non può fare a meno di adorarla, ma adesso è una bambina. Un giorno sarà un'adulta, e non susciterà più la stessa tenerezza. È ovvio che tutto questo discorso è prematuro, Jaylah non è in pericolo…"
"Ci mancherebbe altro!" Ringhiò Johel.
"Ascoltami. Siamo elfi, non umani. Nessuno farà del male a tua figlia. Però le persone stanno iniziando a borbottare il loro malcontento. L'esistenza di quella bambina mette a rischio la tua posizione come successore di lord Fisdril."
"Sai quanto me ne importa!" Sibilò, lasciando andare di colpo Elendyl che barcollò all'indietro.
"A me importa." Ribatté l'altro ranger. "Se porterò avanti la mia relazione con Raedeth, è chiaro che non avrò figli. Come ti dicevo sto già ricevendo delle pressioni. Qualcuno vuole che mi candidi come capoclan quando sarà il momento, speriamo fra alcuni secoli. Ma se malauguratamente dovessi assumere io quella carica, cercheranno di separarmi dal mio compagno. Perché tua figlia è mia cugina di quarto grado ed è più giovane di me, quindi rimarrebbe comunque nella linea di successione."
"E quindi diventerebbe necessario che tu produca degli eredi" comprese Johel, "per sfatare il pericolo che una mezzadrow diventi capoclan. Ma illuminami, sono confuso. Da quando i mezzi elfi possono diventare capoclan? Non c'era una legge che lo impediva?"
"Non più. Sai che le nostre leggi non sono così rigide. Fisdril è diventato capoclan anche se è figlio di una mezza-ninfa. È vero che le ninfe sono creature dei boschi, affini agli elfi, ma qualcuno potrebbe obiettare che i drow siano elfi a pieno titolo, su base razziale, anche se sono un po' diversi da noi. Tua figlia ha più sangue elfico dell'attuale capoclan. E siccome i membri del Consiglio sono sempre persone vicine al capoclan, amici o familiari, se un giorno tu sarai al comando e proporrai tua figlia come tuo successore è probabile che verrà accettata dal Consiglio."
"È nata fuori dal matrimonio" tentò Johel. "Questo non la squalifica?"
Elendyl scosse lentamente la testa.
"Tu sei il padre, l'hai riconosciuta e le hai dato il tuo cognome."
"Ma come dicevamo prima, la successione non è una cosa automatica. Un capoclan deve essere approvato dal Consiglio. Anche se nel Consiglio ci fossero dei miei amici, non potranno ignorare un eventuale malcontento popolare. Se Jaylah dovesse essere osteggiata dal clan, con che coraggio il Consiglio l'appoggerebbe?"
"E questo è davvero l'unico suo appiglio" assentì il ranger. "Il Consiglio non approverebbe mai qualcuno che non è del tutto acclimatato alla cultura elfica."
Le parole di Elendyl furono seguite da un lungo e pesante silenzio.
Johel strinse i pugni fino a sbiancarsi le nocche, mentre sentiva dentro di sé montare una vampata di rabbia.
"Mi stai consigliando di far crescere Jaylah lontana da qui" ricapitolò.
Elendyl tentennò. Aveva l'aria di chi sa di stare camminando sulle uova.
"Se crescesse qui, se dovesse diventare una persona di spicco e guadagnare la stima della città, si creerebbe una frattura profonda fra chi saprà apprezzarla e chi non vorrebbe mai una mezzadrow come figura istituzionale."
"Mentre invece se crescesse in territorio umano, insieme a sua madre, i suoi eventuali meriti non ci riguarderebbero" concluse Johel. "Potrebbe essere una persona brillante oppure una persona comune, senza che le sue inclinazioni rischino di creare una frattura nel tessuto sociale."
Elendyl annuì tristemente. "Mi dispiace essere latore di queste informazioni. Non ho passato molto tempo con Jaylah, ma mi sembra una bambina adorabile. So che i tuoi genitori la amano molto. Odio dover parlare di lei in questi termini, ma gli elfi della nostra foresta non sono un popolo uniforme come potresti pensare. Hai passato molto tempo lontano da qui e ci sono cose che non sai. C'è tumulto nel nord, i territori che prima appartenevano al clan Gysseghymn. Sono i più vicini ai territori umani, sono i più a rischio di attacco da parte dei drow che si nascondono sotto le montagne, e sono anche i più lontani da Myth Dyraalis. Sappiamo che la nostra foresta è già sufficientemente chiusa e campanilista. Le zone periferiche lo sono ancora di più."
Johel sbiancò. "Nelle ultime settimane molti elfi dai villaggi del nord si sono trasferiti temporaneamente nella capitale" ragionò. "Mia figlia potrebbe essere in pericolo?"
"Nessuno farebbe del male a una bambina!" Tornò a ripetere Elendyl. "Tantomeno a una bambina che è per metà una di noi. Un conto è protestare, discriminare. Un altro conto è avere davvero il fegato di alzare le armi contro una bimba, o contro chiunque, se è per questo. La nostra gente non è abituata a pensare in modo violento. Siamo elfi, abbiamo a cuore il nostro popolo, e sono certo che anche gli elfi più fondamentalisti condividano questi valori. Penso che il loro malcontento si esprimerà solo attraverso le parole, almeno per molti decenni ancora."
Johel si passò una mano sul viso. "Ma ormai il cammino verso la reclusione e la paura del diverso è stato imboccato."
"Forse" mormorò l'altro. "Forse, ma questa tendenza potrebbe essere invertita se riuscissimo a intrattenere rapporti migliori con i nostri vicini."
"Con i drow sotto le montagne?" Johel sbottò in una risata senza gioia.
"Con gli umani. Ci hanno già aiutati a scacciare i drow dalla foresta, secoli fa. Da allora purtroppo il regno umano del Tethyr ha cambiato governo diverse volte, e negli ultimi decenni i rapporti fra noi e gli umani sono stati molto tesi. Ma adesso se ho capito bene è in atto un colpo di stato, e la situazione per noi potrebbe migliorare. Potrebbero decidere di lasciarci in pace, e le rivendicazioni di quelli di noi che usano i crimini degli umani per propagandare la necessità comunità elfica chiusa perderebbero spessore. Senza più la sensazione di essere minacciati da ogni parte, anche gli elfi del nord di Sarenestar potrebbero diventare meno paranoici."
"Resterebbe comunque la costante minaccia dei drow" gli ricordò Johel. "Con cui mia figlia condivide metà della sua eredità, anche se sua madre non ha nulla a che vedere con gli elfi scuri di questa regione."
"È una minaccia potenziale. Negli ultimi settant’anni non hanno mosso un dito.[1] Se continuassero a non farsi sentire e nel frattempo la pressione dai territori umani si allentasse, la sensazione di essere presi fra due fuochi scomparirebbe. Se guardi alla realtà dei fatti, noi non siamo in guerra. Né con gli umani né con i drow. Ma l'incertezza e la tensione stanno logorando gli animi."
"Quindi tu pensi che il futuro sia nella diplomazia, Elendyl?"
Johel cercò di sondare le intenzioni del suo sottoposto, ma negli occhi dorati di Elendyl vide soltanto sincerità e preoccupazione.
"Penso che non siamo abbastanza forti per combattere contro tutti" ragionò l'elfo, in tono neutro. "La diplomazia con gli umani non sarebbe vista con favore all'inizio, ma potrebbe portare benefici sul lungo termine. Inoltre penso che potrebbe essere importante rafforzare i nostri legami con la foresta Wealdath, a nord del Tethyr. Quieterebbe le paure della gente."
Johel ragionò a lungo sullo scenario che l'altro elfo gli stava dipingendo.
"E Jaylah?"
"Immagino che la bambina ormai senta la mancanza di sua madre" suggerì l'elfo.
"Quindi tu sei d'accordo con chi sostiene che dovrei allontanarla."
"Sto soltanto descrivendo le cose come stanno: tua figlia appartiene a questa foresta soltanto per metà. È giusto che cresca conoscendo entrambi i mondi, è giusto che possa scegliere quando sarà più grande. Per adesso è prematuro parlare di cosa farà quando sarà adulta."
Entrambi avevano un altro argomento sulla punta della lingua, il bambino che Hinistel portava nel ventre. Presto Johel avrebbe avuto un fratellino o una sorellina, un altro possibile elemento da considerare nella linea di successione. Però portava sfortuna nominare un bambino prima che nascesse.
Portava ancora più sfortuna riversare speranze e grandi progetti su un bambino non ancora nato, perché più alte erano le aspettative, più era probabile che il fato beffardo se ne prendesse gioco, e Hinistel non era più un'elfa giovane. Quindi entrambi tacquero sull'argomento, ma entrambi sapevano che la questione rimaneva ancora molto aperta.
"Potresti mettere la testa a posto" suggerì Elendyl con un sorriso incerto, per alleviare la tensione. "Potresti trovarti una brava ragazza elfa e generare dei piccoli elfi."
Johel comprese gli intenti del cugino e gli rispose con un sorriso tirato, un tentativo di riappacificazione. “Oppure potresti farlo tu!” Ritorse, con lo stesso tono ironico. “Visto lo stato delle cose, al momento manterrebbero il cognome di famiglia, giusto?”

Molte miglia più a nord, un manipolo di elfi stava affrontando problematiche ben più concrete, ben più immediate.
I goblin avevano resistito al primo attacco degli elfi, ma si era trattato solo di una battaglia a distanza, combattuta con archi e frecce (da parte degli elfi) e lanci di pietre e uso di vili trappole (da parte dei goblin). Il fatto che quei mostriciattoli fossero abbarbicati su un piccolo altipiano fra la foresta e i monti Fiocco di Neve rendeva tutto più difficile; attaccare mentre si scala una salita ripida è molto rischioso. Tazandil si stava confrontando direttamente con Re Elbereth di Shilmista per capire come agire. Gli elfi nativi conoscevano meglio il territorio, e il loro responso era stato pessimistico: non c’era un lato che presentasse una scalata meno ripida. Il piccolo altipiano era dappertutto ugualmente ostile.
Il vecchio ranger di Myth Dyraalis aveva alcune idee da avanzare, e sapeva che nessuna sarebbe stata accolta bene.
“Per come la vedo io, maestà, ci sono poche opzioni a disposizione. Attaccare frontalmente al costo di molte vite sarebbe il corso d’azioni più onorevole ma anche il più disastroso e io mi sento di sconsigliarlo.”
“Sono solo goblin” l’orgoglioso re di Shilmista corrugò le sopracciglia nere come il carbone. “Durante l’invasione, nei mesi scorsi, non hanno versato una sola goccia di sangue elfico finché quella loro maga umana non si è unita alle loro schiere.”
“Non hanno versato una goccia di sangue ma hanno conquistato territori.” Tazandil non sapeva bene come rigirare il discorso in modo che non passasse per un insulto. “Durante l’invasione gli elfi hanno avuto la saggezza di sapere quando ritirarsi per evitare perdite.”
Re Elbereth contrasse la bocca in una smorfia che non lasciava dubbi: l’aveva comunque presa come un’accusa di codardia.
“Queste sono state le decisioni di mio padre” ribatté, forse per discolparsi o forse per sfidare Tazandil a parlar male delle decisioni di un re defunto.
“E forse sarebbero state anche le mie” lo sorprese l’elfo dei boschi. Il sovrano sembrò preso in contropiede da questa ammissione che sembrava così poco caratteristica per Tazandil, o almeno era quello che avrebbe pensato chi non lo conosceva bene. Infatti il ranger continuò: “Non sarebbe stato saggio mettere in pericolo le vite di molti elfi prima di conoscere l’entità delle forze nemiche. Un elfo che sopravvive un giorno in più può ancora combattere il giorno dopo.”
Un momento di silenzio seguì la discussione, e alla fine Elbereth annuì a fatica, come per accettare tacitamente quella tregua dialettica.
“Questo però non cambia la mia valutazione iniziale: scalare questa altura potrebbe costare molte vite. Non sappiamo quanto possano essere letali i goblin quando hanno il vantaggio di un terreno favorevole e quando gli elfi non si ritirano al momento giusto. Sulla base delle vostre decisioni passate, possiamo dire con sollievo che non si è creata una casistica.”
“Quindi non dovremmo sottovalutare questo nemico” ricapitolò Elbereth.
“È mia opinione che non dovremmo, no. Io cerco di non farlo, eppure ho comunque commesso una leggerezza e sono quasi morto a causa di un bugbear.”
Re Elbereth rifletté seriamente sulle parole di Tazandil. Spostò lo sguardo sui suoi diretti sottoposti, elfi fidati che guidavano pattuglie di guerrieri. Anche loro avevano un’espressione truce e poco ottimista.
“E dunque cosa consigliate?”
Tazandil lo guardò con qualcosa negli occhi che forse non era esitazione, ma era rammarico. “Non vi piacerà” preannunciò.
Il re gli fece un gesto con la mano come per invitarlo a parlare comunque.
Tazandil prese un profondo respiro. “Conosciamo il territorio ma non il numero delle truppe nemiche. Potremmo prendere d’assedio l’altipiano.”
“Possiamo circondarlo solo su tre lati” li interruppe un’elfa dal cipiglio fiero. “Se immaginate la base dell’altipiano come un rozzo trapezio, il lato più largo si fonde con le montagne. Non possiamo circondarli dall’alto.”
“Ma le montagne sono territorio di nessuno, da sempre infestate di goblin” intervenne un altro dei generali di Shilmista. “Se gli impediamo di tornare giù verso la foresta… sull’altipiano il bosco è più rado e non si trova molto cibo, se i goblin sono numerosi a un certo punto avranno fame e dovranno abbandonare la posizione… o mangiarsi fra loro. Scacciarli in alto sulle loro montagne sarebbe già una vittoria.”
“È un grosso se” ragionò Elbereth. “Se sono numerosi, li prenderemo per fame. E se invece sono pochi?”
“Ci penserà l’inverno” ipotizzò Tazandil. “Ormai è alle porte e sui monti arriva prima. I goblin capiranno che se non vogliono morire di freddo e di stenti possono solo tornare giù nella foresta, incontrando le nostre lame, o andare a cercarsi un buco fra i monti il prima possibile.”
Quel riferimento a un buco fra i monti fece di nuovo calare il silenzio sul gruppetto. I goblin della regione non erano esattamente abitanti del Buio Profondo, ma vivevano nelle grotte per trovare riparo e cacciavano e raccoglievano il loro cibo nel dedalo di caverne che attraversava le montagne. Questo creava nuove prospettive, inquietanti prospettive.
“I goblin sanno muoversi nelle gallerie” realizzò Elbereth improvvisamente. “Se lassù ne trovassero una che conduce ai piedi delle colline, nella nostra foresta, potrebbero sciamare di nuovo nei nostri territori mentre noi rimaniamo ad assediare un altipiano ormai vuoto.”
Tazandil annuì, concorde con l’intuizione del sovrano. “È una cosa che ho considerato. Mentre venivamo qui ho inviato alcuni dei miei a battere le colline e i piedi delle montagne in cerca di caverne e cunicoli, ho ricevuto i rapporti questo pomeriggio. È un compito a cui siamo tristemente avvezzi, avendo dovuto mappare il sottosuolo di tutta Sarenestar qualche decennio fa, a causa della minaccia sempre presente dei drow.” Mentre gli elfi di Shilmista rabbrividivano al pensiero, il sempre pragmatico Tazandil diede un’ultima scorsa mentale al piano che stava per proporre. Per la prima volta in vita sua gli dispiacque di non poter avere Daren e le sue competenze a disposizione. “Non abbiamo modo di sapere quali di queste gallerie arrivino da qualche parte, nessuno di noi si muove bene nel sottosuolo. Però potrebbe essere utile chiuderne la maggior parte e sistemare delle esche nei pressi delle rimanenti. Piccoli accampamenti di elfi, che possano rappresentare una tentazione per le orde di goblinoidi. Il grosso dell’esercito rimarrebbe a mantenere l’assedio, o almeno è quello che i nemici dovranno credere. Alcuni elfi fingeranno di essere delle facili prede, campeggiando a gruppetti di due o tre individui nei pressi delle gallerie, ma in realtà i rinforzi non saranno lontani. Così forse riusciremo a stanare i goblin dal loro nascondiglio sopraelevato.”
Gli elfi di Shilmista rimasero turbati a questa proposta. Era ardita, rischiosa, e si trattava di un sotterfugio quasi subdolo. Non che avessero dilemmi morali all’idea di prendere in trappola dei goblin, ma non a tutti gli elfi sarebbe venuto in mente.
“Un’idea interessante, ma rischiosa. Prevede di frazionare le nostre forze, senza conoscere i numeri del nemico” obiettò re Elbereth. “Se dovessero accorgersi che qui ci sono solo pochi soldati a tenere l’assedio…”
“I goblin non sono famosi per la loro intelligenza. Avete un mago, dico bene? Se avesse delle illusioni nel suo arsenale ci farebbero molto comodo” Tazandil espose maggiormente i dettagli del suo piano. “Potrebbe creare l’impressione che qui ci siano molti più elfi, e potremmo rafforzare l’idea accendendo diversi falò qui e la, piantando molti più accampamenti di quanti ne servano. Nel frattempo predisporremo le esche vicino a qualche grotta e nei pressi si nasconderanno le vere truppe. A noi elfi non serve nemmeno un incantesimo di invisibilità per nasconderci alla perfezione nel bosco, quindi il vostro mago potrebbe restare qui, ai piedi dell’altopiano. Potrebbe perfino farci dei segnali con la magia se qualcosa andasse storto, in modo da richiamarci subito qui.”
Tazandil illustrò al re le sue idee, esprimendole come semplici proposte anziché come un piano dettagliato. Avrebbe avuto anche altro da dire, ma non voleva dare l’impressione di comandare in casa d’altri.
“Un piano da fine ingannatore” borbottò il re, poco felice di dover riconoscere la validità di quelle idee. Era una tattica migliore di scaliamo e attacchiamo.
“Un piano da stratega” Tazandil s’irrigidì sulla sua posizione. Riusciva a comprendere che re Elbereth fosse stanco, frustrato e ancora incerto nel suo ruolo di sovrano. Ma a suo parere, questo non giustificava la sua presa di posizione; scegliere un corso di azioni troppo prevedibile avrebbe potuto portare alla perdita di vite elfiche. “Abbiamo dovuto affinare la nostra capacità di tendere e prevedere trappole, visto il nemico che abbiamo sempre alle porte.”
Il re degli elfi di Shilmista gli si avvicinò fino a trovarsi a un passo da lui, poi gli poggiò una mano sulla spalla con atteggiamento neutro, forse un po’ condiscendente.
“Rifletterò con cura sulla vostra proposta, amico mio” disse in un tono che esprimeva un’amicizia ben tiepida. Poi si sporse ancora di più verso Tazandil e sussurrò, in una finta confidenza visto che i suoi generali probabilmente potevano sentire: “Attenti a non diventare troppo simili a ciò che volete combattere.”
Tazandil sbiancò per lo sconcerto e per la rabbia. Era troppo… troppo perfino per fare una scenata. Era un insulto inconcepibile. In pubblico, poi. L’anziano elfo diede un’occhiata di sfuggita ai capi dell’esercito. Uno di loro era corrucciato, forse in accordo con il re. Uno fingeva di non aver udito, ma era impallidito e chiaramente a disagio. L’elfa sembrava supplicarlo con lo sguardo di non reagire.
Ma Tazandil non era Johel. Non poteva non reagire. Per la prima volta in vita sua, si rammaricò che non ci fosse suo figlio al suo posto. Lui avrebbe saputo come mantenere l’alleanza anche con un re che si lasciava guidare dall’inesperienza e da un erroneo senso di sicurezza.
“Ho sentito parlare delle vostre grandi imprese” annunciò Tazandil ad alta voce, mentre faceva un passo indietro per scrollarsi di dosso la mano di Elbereth. Con sforzo sovrumano riuscì anche a ridurre al minimo l’animosità e il sarcasmo nel suo tono di voce. “Di come avete utilizzato un antico rituale del nostro popolo per animare i grandi alberi di Shilmista e convincerli a combattere l’invasore con voi. Impressionante. È materiale per le leggende, niente meno, mentre vostro padre sembrava aver perso la fede nelle antiche tradizioni dei Sy’Tel’quessir e voleva condurre la difesa con metodi più… mondani. Forse portare a compimento questa impresa può avervi convinto di essere l’unico depositario della cultura elfica, il baluardo vivente dell’elfità degli elfi, se vi piace come suona.” Nonostante fosse partito con buone intenzioni, ormai l’acredine per quel commento ingiusto stava trapelando copiosamente dalle parole del ranger. “Ma lasciate che vi dica questo: noi siamo elfi, tanto quanto voi, e non saremo mai niente di diverso da elfi. Per questo siamo qui, per onorare la nostra alleanza e il nostro legame di sangue. E non ce ne andremo finché avrete bisogno di noi, indipendentemente dalle vostre opinioni sui nostri metodi.”
Re Elbereth si era pentito delle sue parole nel momento in cui le diceva, ma non poteva ammetterlo davanti a Tazandil in quel momento. Tazandil sapeva che la sua risposta avrebbe messo il re in una posizione scomoda ancor prima di aprire bocca, ma non aveva potuto evitarlo. Seguì un lungo momento di silenzio, mentre il giovane regnante valutava le sue opzioni.
“A Sarenestar gestite le cose in modo diverso, mi è chiaro” dichiarò alla fine. “Noi siamo ancorati ad antiche tradizioni e ne andiamo fieri, esse sono la nostra identità. Ho parlato in modo troppo scortese perché non ho mai visto elfi pensare in modo diverso da noi.”
Tazandil capì che quelle erano delle scuse, più o meno. Il tipo di scuse che ci si può aspettare da un re. Ancora una volta si complimentò mentalmente con suo figlio per essere capace di gestire certi soggetti.
“Allora è un bene che abbiamo ripreso i contatti, dopo molto tempo” rispose dopo qualche momento di silenzio. “Potremo imparare gli uni dagli altri.”
Non era una resa, non era una concessione, ma era quantomeno una tregua. Tazandil non aveva la minima voglia di combattere anche battaglie dialettiche con i suoi alleati. Gli bastavano le battaglie fisiche contro i goblin.

Johel rimase impegolato nei suoi pensieri cupi per tutto il giorno, perché le rivelazioni di Elendyl lo avevano messo di pessimo umore. Fu con questo insolito cipiglio che accolse il suo amico Daren, quando arrivò all’accampamento poco prima che scendesse la sera.
“Sei quasi in ritardo” borbottò al suo arrivo, a mo di saluto.
“O sono in orario o sono in ritardo, quasi in ritardo non vuol dire niente” replicò il drow. “E poi ho perso tempo per salutare Jaylah.”
Daren non si disturbò nemmeno a cercare la sua tenda. Aveva già capito, dall’atteggiamento dell’amico, che avrebbe dovuto mettersi a lavorare subito. Johel era sempre nervoso da quando aveva dovuto sostituire Tazandil, ma quel giorno sembrava peggio del solito.
Tuttavia, bastò nominare la bambina perché le rughe di preoccupazione sulla fronte di Johel si spianassero un poco.
“Come sta la mia zuccottina?”
“Non la sento chiamare così da quando aveva due anni” ridacchiò Daren.
“Lei mi manca” spiegò Johel, con un tono nostalgico nella voce e un sorriso dolce sulle labbra. “Ma soprattutto mi manca poterle dedicare il mio tempo. Mi manca la vita più semplice che avevamo quando stava con sua madre.”
“Da cui, il nomignolo infantile” indovinò il drow. “Sta benissimo, tua madre le ha trovato un precettore che le insegni l’elfico.”
Johel si corrucciò di nuovo. “Mia figlia parla già l’elfico.”
Il guerriero si strinse nelle spalle. “Che vuoi che ti dica? Forse non lo parla abbastanza bene. Credo che Mastro Noraemir le stia insegnando anche la cultura elfica.”
La rivelazione colpì Johel come una secchiata d’acqua fredda e l’elfo si irrigidì senza poterlo evitare. Era certo che sua madre avesse preso quella decisione in buona fede, ma dopo il discorso di quella mattina il fatto che Jaylah si acclimatasse troppo alla cultura elfica gli sembrava pericoloso. Sarebbe stato più sicuro, per la bambina, continuare ad essere una mezza estranea per il popolo dei boschi.
“Devo parlare con mia madre. Non può decidere dell’educazione di Jaylah al posto mio.”
Daren lo fissò in silenzio per un lungo momento, senza capire. “Come, pensavo che ne saresti stato lieto. Sei sempre andato fiero della tua identità e della tua ascendenza, hai fatto i salti mortali per far crescere la bambina bilingue. Adesso all’improvviso non vuoi più che cresca come un’elfa?”
“È… complicato” masticò quelle parole come se non volesse sputarle fuori. Non voleva coinvolgere Daren in questa cosa. Il drow non aveva alcuna delicatezza politica, era un guerriero, il suo modo di affrontare la vita era prenderla a calci e aspettarsi altrettanto. Non proprio quello che avrebbe voluto per Jaylah. “Voglio dire che sono io suo padre, e dovrei decidere io. E non sono il suo unico genitore. Non voglio riportare a Krystel una bambina che si sarà allontanata troppo dalla sua cultura.”
Questo era un discorso che Daren poteva capire e apprezzare. Intuiva che non fosse tutto, c’era qualcosa che Johel non gli stava dicendo, ma in qualche modo capiva anche che la questione era oltre. Oltre la sua portata. Oltre la sua comprensione. Doveva trattarsi di una menata elfica, o di qualcosa che aveva a che fare con i sentimenti. Due campi in cui non si sentiva particolarmente ferrato.


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[1] Dopo gli eventi narrati in L'amicizia non genera debiti


           

   
 
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