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Autore: FreDrachen    21/03/2021    3 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 7 parte 2




Akira si alzò dalla sua postazione ma non riuscì a fare altro che dallo stipite della porta fece capolino la figura di una donna affiancata da una bambina.

La prima aveva i capelli castano chiaro disordinati e tagliati sul corto, occhi castano scuro e indossava una maglia dalle fantasie particolari sopra un paio di pantaloni a zampa di elefante. Pareva uscita da una rivista di moda hippie, e ad accompagnare il tutto anche una montatura di occhiali particolare, spessa e dai colori dell'arcobaleno.

La bambina invece aveva i tratti somatici asiatici, facendomi dedurre che fosse la sorellina di Akira. Doveva avere sui nove anni e indossava un vestito nero e rosso tipico da saggio o da recita.

Quest'ultima mi squadrò da capo a piedi con l'ingenuità tipica dei bambini, sicuramente chiedendosi che cosa ci facesse un estraneo a casa loro, mentre Akira andò ad aiutare la donna con la spesa. Ma insomma, una non ne bastava? Dovevano forse sfamare un esercito?

La bambina mi si fece appresso e continuò a fissarmi senza alcuna malizia ma solo con genuina curiosità.

«Quando ti sposerai con il fratellone?» domandò con la stessa beata innocenza di prima. Quelle parole mi fecero andare di traverso la saliva e rischiai di morire soffocato.

«Eh?»domandai stupidamente.

Lei giocherellò con una ciocca di capelli che teneva legati in due grossi codini.

«Per caso non ti piace?»domandò lei quasi tristemente.

"Akira salvami da questa situazione" pensai, mentre le goti mi andavano a fuoco. Se mi piaceva? Mi stava sul cazzo, o almeno avrei detto così fino a qualche attimo prima quando si era preso cura di me, oltre quella strana sensazione che provavo in sua presenza. Ma non era questo che intendeva la bambina giusto?

«È...una persona curiosa»riuscì solo a dire e in parte era una mezza verità. Non avevo mai conosciuto una persona come Akira, che aveva un qualcosa che mi incuriosiva.

«Quindi ti metteresti insieme a lui?»

Che cosa?

«Aspetta. Non è quello che intendevo...»

Non dovetti dire altro perché Akira e la donna tornarono in quel momento, Akira con le goti tinte di rosso. Doveva aver sentito la conversazione dall'altra stanza, e questo mi fece venire voglia di sprofondare con tanto di sedia a rotelle nel pavimento, ma sfortunatamente nessuna voragine improvvisa mi inghiottì.

«Maiko, lascialo in pace e va a cambiarti» disse Akira assumendo quello che pareva il tipico comportamento da fratello maggiore responsabile.

Lei gli rispose con una linguaccia prima di saltellare fuori dalla stanza, sganciando l'ultima bomba. «Però sareste bene insieme».

E se ne andò lasciando sia me che Akira nel disagio più assoluto.

Ci levò dall'impiccio la donna mi si parò davanti e mi strinse la mano cordialmente. «Finalmente ci incontriamo ufficialmente. Molto piacere, sono Marta Vinciguerra, la zia di Akira»disse palesemente entusiasta.

Inarcai un sopracciglio, sorpreso che sapesse chi fossi. Una persona del genere me la sarei ricordato senz'altro, quindi o era una stalker innamorata della mia magnificenza, oppure Akira le aveva parlato di me, cosa più probabile.
E di certo non saranno state belle parole.

Come se mi avesse letto nel pensiero continuò: «Akira mi ha parlato molto di te, Luca».

«Ah si?» me ne uscì voltandomi verso Akira che mi fissava in silenzio. «Spero abbia detto solo i lati positivi della mia compagnia» aggiunsi con un sorriso furbo.

«Ma sicuro. Akira è molto felice dei tuoi progressi. Mi ha sempre detto che sei un ragazzo intelligente e sveglio e che spiegarti le cose lo rende davvero molto orgoglioso».

Ma davvero? Ma non è che si stesse confondendo con un'altra persona? Per tutto il tempo che avevo passato con Akira mi ero atteggiato con strafottenza e insolenza, quindi non capivo il motivo per cui lui le avesse mentito. Che fosse una faccenda d'orgoglio? A chiunque sarebbe roso il culo ad avere a che fare con un caso umano come il sottoscritto sopratutto uno che ci metteva impegno come Akira.

Cazzo, che persona di merda che ero. Preso dalla mia autocommiserazione non mi ero mai reso conto che nel baratro ci stavo trascinando anche lui.

Gettai un'altra occhiata ad Akira ma lui evitava il mio sguardo e con la mano destra si grattava il collo. Sembrava a disagio, e forse era per via di tutte le bugie che aveva detto su di me a sua zia. Il vecchio me avrebbe detto ben gli stava, si era tirato la zappa suo piedi da solo, ma l'attuale non vedeva l'ora di scomparire e sottrarsi a quella situazione.

Ma mentire in questo modo? Akira non mi pareva il tipo, quindi presi consapevolezza che pensasse sul serio che avessi una qualche possibilità di uscire da questa situazione.

E mi sentí doppiamente una bruttissima persona.

«Zia lo stai mettendo in imbarazzo» disse, anche se era palese che era proprio lui ad essere a disagio.

La donna di tutta risposta sorrise. «Hai ragione. Ma sono davvero contenta di averlo finalmente conosciuto».

Scusate, ero qui presente ne eravate consapevoli? Perché parlare di me un terza persona?

Infine distolse lo sguardo dal nipote e mi rivolse un altro caloroso sorriso.

«E dimmi, Akira ti ha per caso detto che...»

«Ehm zia, io e Luca abbiamo molte cose di cui discutere» s'intromise lui frettolosamente lasciandomi con il dubbio.

Cosa?
Cosa stava per dire?

Lei annuì e negli occhi scintillò quella che mi parve complicità. Certo che la sua famiglia era davvero strana.

Luo mi fece un cenno con la testa di seguirlo e non potei fare altro che accontentarlo.

C'erano tante cose che volevo dirgli ma lo avrei fatto solo dopo che avremmo raggiunto la sua camera, che si dimostrò essere come l'avevo sempre immaginata. Il letto era da una piazza e mezzo addossato alla parete della porta e messo frontalmente a una finestra sotto cui c'era la scrivania. Sopra il letto campeggiava un mega poster di quelle ali che avevo già visto su una delle sue particolari magliette, mentre il resto delle pareti, oltre un armadio che doveva contenere i vestiti, erano coperte da due immense librerie traboccanti di libri e quelli che a prima vista sembravano manga.

«Mettiti pure dove vuoi»disse lui con un cenno della mano, accorgendosi subito dopo delle parole appena pronunciate. Le goti gli si tinsero di rosso e questo lo rese se possibile più carino.

Frena un secondo!

Ho pensato carino?

Mi si stava per caso andando a friggere il cervello?

Ero etero, mi piacevano le ragazze ma dovevo ammettere che Akira era parecchio attraente. Ok...doveva esserci dell'aria viziata nella stanza, la scarsità di ossigeno mi faceva ingarbugliare i pensieri.

Respingendo quegli strani pensieri decisi di toglierlo dall'impiccio e con un cenno della testa gli indicai il letto prima di avvicinarmici e essermi issato fancendo leva con le mani che mi facevano ancora un male cane. La prossima volta che decidevo di prendere a pugni qualcuno dovevo senza dubbio portarmi un paio di guanti da boxe.

Rimanemmo in silenzio per un tempo che parve un'eternità, Akira a molestare le pellicine del pollice sinistro mentre il sottoscritto a cercare di leggere i titoli di qualche manga, tutto per non parlare. Mi sentivo uno schifo ma avevo ancora la mia dignità.

Gettai un'occhiata di sottecchi ad Akira e lo trovai a fissarmi così intensamente che temetti potesse scavarmi fino in fondo all'anima.

Fu per quello che capitolai.

«Scusa» dissi rompendo finalmente il silenzio che si era creato e lui mi fissò per in attimo confuso. «In questi giorni mi sono comportato da vero stronzo» continuiai mordendomi il labbro inferiore.

Lui annuì lentamente come se fosse d'accordo con le mie parole. Grazie tante eh! Poteva almeno fare finta di essere riconoscente per le mie dovute scuse.

«In effetti il termine "amichevole" non ti si sarebbe addetto».

Arrossì un poco e distolsi lo sguardo.

«Non è che ce l'avessi proprio con te. Oddio un po' si perchè se non ti fossi candidato cone tutor forse adesso starei stato casa a fare nulla».

«E questo ti avrebbe fatto sentire bene con te stesso?»

«Guardami»esplosi alla fine indicando le gambe amputate. «Che futuro potrei mai avere in queste condizioni? Cosa potrei fare? Ho perso tutto quel giorno dell'incidente a parte la mia rabbia» confessai. Cazzo, quanto avevo il bisogno di sviscerare quello che stavo provando ormai da tempo. «Sono perennemente arrabbiato con il mondo. Con i miei genitori che mi considerano un fallito, i miei amici e la mia ragazza che mi hanno voltato le spalle. Sono solo in questa lotta che non potrò mai vincere».

Vidi Akira captare appieno le mie parole, capirle veramente come nessuno aveva mai fatto prima d'ora e dopo un po' prese la parola.

«Come ti avevo già raccontato una volta anch'io ho avuto dei problemi in passato, talmente gravi da farmi perdere l'anno di scuola».

Lo fissai stupito. Si, aveva diciannove anni ma credevo che fosse perchè li avesse già compiuti.

«Non penso che sia stato tanto grave quanto questo»risposi indicando le mie gambe.

«Sono stato in ospedale dopo essere stato quasi morto, massacrato di botte da mio padre» mi confessò, e stavolta lo fissai in modo del tutto diverso.

«Per quale motivo?» domandai inconsciamente, pentendomene. Lo vidi subito chiudersi a riccio e a sospirare intensamente.

«È successo quel che è successo. Ma alla fine ho ripreso in mano la mia vita e ho cercato di smettere di pensare al passato ma di guardare al presente. Ed è quello che devi fare anche te. Devi accettare quello che sei diventato e riadattare la tua vita di conseguenza. È difficile lo so, ma se vuoi...posso aiutarti a capire come fare».

Scorsi un barlume nei suoi occhi che scomparve così in fretta tanto da farmi temere di essermelo immaginato.   Sembrava quasi che in quell'attimo non credesse alle sue parole, e mi fece temere che sotto ci fosse ben altro, ma di certo non sarei stato io a fargli pressione a parlare. E poi poteva benissimo trattarsi di altro, che senso aveva pensarci in quel momento?

Non ero un tipo emotivo e non avrei iniziato a esserlo in quel momento, ma allora perchè mi stava venendo una voglia matta di piangere?

Nessuno sembrava capire quello che provavo come un quel momento Akira. Sembrava che a unirci ci fosse un filo invisibile che pareva connetterci in un piano inconcepibile alla mente umana.

Grazie a lui mi sentì meno solo e patetico e per questo lo ringraziai con un debole sorriso, un sorriso però sincero, il primo che gli facevo da quando ci eravamo conosciuti.

Forse la sua compagnia non sarebbe stata poi cosi male.

Akira si offrì di accompagnarmi a casa ma declinai l'offerta chiamando il taxi


Akira si offrì di accompagnarmi a casa ma declinai l'offerta chiamando il taxi.

Per fortuna abitavamo al piano terra e come unica cosa per la mia condizione i miei genitori avevano fatto allestire una specie di piccola salitina non tanto pendente e che avrei attraversato solo con due bracciate.

Quando tornai a casa fui accolto da mia madre, sul volto un'espressione preoccupata.

«Dove sei stato? Ho provato a chiamarti e non mi hai risposto».

Si durante tutto il tempo che avevo passato a casa di Akira mi aveva chiamato minimo cinquanta volte. Che stress, le avevo scritto un messaggio prima che avrei fatto tardi.

«Ero da un amico»dissi semplicemente facendo spallucce. Non capivo tutta questa ansia, aumentata da dopo l'incidente.

Mi prese le mani fasciate. «Che cosa ti sei fatto?»

Ah bè sapevo che me l'avrebbe chiesto e avevo deciso a prescindere di non mentirle. «Ho fatto a botte con un vecchio che mi ha chiamato handicappato».

Prima che mia madre potesse rispondermi sentì la voce di mio padre che era appena giunto nella stanza. «Perché prendersela tanto? In fondo è quello che sei» proferì con tono severo.

Avvampai, irritato da quell'accusa. «Non é stata colpa mia».

«Non sono io che mi sono drogato» ribattè lui con calma glaciale.

«Sai cosa ne penso di quella roba».

Non mi ero mai fatto di quelle schifezze e più di una volta avevo rifiutato le canne che si fumavano i miei conpagni di calcio. Non avrei assunto quelle sostanze neanche se fossero state le uniche rimanenti sulla Terra.

«Pensavo di saperlo. Ma sai che nel tuo sangue l'hanno trovata».

«Non è stata colpa mia. Me l'avranno messa nel cocktail quando ero distratto». Non ricordavo nulla di quella sera, i ricordi sembravano avvolti in una nebbia fitta. Lo psicoterapeuta che mi seguiva dava la colpa oltre che alla droga anche allo stress post traumatico. Volevo ardentemente ricordare, solo che più mi concentravo più avvertivo la verità scivolarmi via dalle dita, lasciandomi con un senso l'impotenza che odiavo.

«Non saresti mai dovuto essere lì».

Ricordavo che avevo litigato con mio padre quel giorno e incazzato nero avevo raggiunto il locale dove avevo appuntamento con i miei amici. Ricordo la musica, i balli, il brindisi per il contratto che avevo stipulato con la società calcistica, il motivo del mio attrito con mio padre che voleva che prima finissi gli studi. E poi...il nulla.

«Pensavo che ti fidassi di me»dichiarai ferito, fissando la schiena rigida di mio padre fermo di fronte alla finestra con portamento austero.

«Un tempo si. Ora non più».

 

Angolino autrice:

Buonsalve! Ecco la seconda parte del capitolo 7 :3

Qualcosina del passato emerge ma non tantissimo (c'è tempo 🤣)...vi siete già fatti qualche ipotesi? 👀
Ringrazio tutti voi che seguite la storia ❤️❤️❤️❤️❤️

A presto 😉

FreDrachen

 

   
 
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