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Autore: syila    27/04/2021    3 recensioni
In una città tentacolare e multietnica come Singapore possono accadere cose spiacevoli a chi si avventura negli stretti e tortuosi vicoli dei quartieri più antichi; anche Sigvard Ohlsen viene coinvolto in una situazione pericolosa quando il Capitano Justus Van Loo scompare improvvisamente nell'affollato mercato a ridosso del porto.
L'olandese aveva detto di essere pronto a lasciarsi il passato di pirata alle spalle per tornare in Europa col giovane ufficiale, ma cosa potrebbe succedere se invece il passato non fosse pronto ad essere dimenticato?
Questa storia segue il breve arco temporale rimasto in sospeso nella "Ballata del mare salato".
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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- Questa storia fa parte della serie 'Victoriana'
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Capitolo III°



Del viaggio angoscioso verso la locanda Sigvard non percepì quasi nulla. Rimase tutto il tempo sul pianale del carro accanto a Justus, bagnandogli il viso e le labbra e parlandogli a bassa voce.
Quando arrivarono a destinazione, il signor Chen non c'era. Li accolse una delle sue figlie, una ragazza di nome Mei-Li, che subito diede ordine di portare il comandante van Loo nella sua stanza e mandò a chiamare un dottore.
Quando la figlia del locandiere aveva parlato di “dottore” intendeva ovviamente un medico cinese; un omino delicato, incartapecorito e fragile come certe antiche pergamene e una schiena curva che lo faceva somigliare ad una tartaruga.
Mei Li lo trattava con estremo riguardo e Sigvard ne dedusse che doveva essere una specie di luminare del posto, confortante, ma avrebbe preferito un banale medico occidentale, fosse anche un missionario.
Il signor tartaruga però sembrava che sapesse il fatto suo: pulì e disinfettò la ferita che Justus aveva al fianco e che era all’origine dell’infezione, salmodiando una sorta di spiegazione che Mei Li si affrettava a tradurre sommariamente a beneficio del giovane svedese. Secondo l’opinione del medico occorreva riportare in equilibrio le energie disperse con dei cataplasmi sulla cui composizione la ragazza prudentemente glissò.
Prescrisse un infuso che il Capitano doveva bere a intervalli regolari per liberarlo dal veleno della droga e uno per controllare la febbre, poi insistette per esaminare le condizioni di Sigvard. Davanti alle sue rimostranze usò un argomento inoppugnabile che Mei Li tradusse solerte: per assistere il ferito doveva essere nel pieno delle sue forze.
Il giovane si rassegnò a farsi medicare e accettò l’ennesimo infuso che il signor tartaruga aveva prescritto. La figlia del locandiere avrebbe dovuto lavorare solo per loro a giudicare dal numero di medicamenti e tisane in elenco e che per Sigvard si somigliavano un po’ tutte nel gusto e nel colore.
Cominciò un periodo in cui gradualmente perse la nozione del tempo, giorno e notte finirono per perdere significato sciogliendosi in un continuum scandito dalle tazze di infuso e il cambio delle bende.
Lui, forte del suo retaggio vichingo, si era ripreso in fretta, mentre i progressi del Capitano era lenti, quasi impercettibili; alternava periodi di sonno letargico ad altri in cui la febbre tornava a manifestarsi sotto forma di delirio, evocando sconosciuti fantasmi di un passato lontano, che evidentemente avevano ancora il potere di tormentarlo.



Era seduto sulla riva di un fiume, e l'acqua del fiume era rossa. Anche il cielo era rosso, il rosso aranciato di un tramonto che non diventava mai notte.
E lui seduto aspettava.
Sapeva di dover aspettare qualcosa, anche se non sapeva cosa.
Provava dolore. Le spalle erano rigide per la lunga immobilità, la schiena gli faceva male. Anche le gambe, costrette da chissà quanto nella posizione del loto, erano intorpidite e doloranti.
Gli sembrava di aspettare da una vita. Perchè? Cosa?
L'unica che speva era che doveva aspettare. Non doveva addormentarsi, neppure per un secondo. Non doveva muoversi.
L'aria era immobile, pesante e gonfia d'umidità. Il silenzio era tale che Sigvard riusciva quasi a sentire il battito lento e regolare del proprio cuore.
Sul fiume comparve una sagoma scura in lontananza e di colpo lo svedese seppe che era la cosa che stava aspettando.
Si alzò lentamente in piedi senza distogliere nemmeno per un attimo lo sguardo dalla sagoma, che man mano si faceva più nitida e precisa.
Quando la cosa fu vicina, egli si accorse che si trattava di un drakkar funebre. L'elegante vascello nero aveva come polena una testa di lupo e scivolava solenne e silenzioso sull'acqua. Sul ponte giaceva una figura distesa, intorno alla quale erano ammucchiati armi e altri oggetti.
Sigvard rimase a guardarlo pervaso di uno strano senso di angosciosa aspettativa.
Quando il drakkar si fu avvicinato a sufficienza, egli si accorse con orrore che la figura distesa altri non era che Justus van Loo, con il volto cereo e l'alta uniforme da capitano di lungo corso.
Sotto i suoi occhi inorriditi, il funesto vascello modificò il suo lento procedere prendendo velocità. Si girò ella direzione della corrente e si accorse che il fiume non era più placido e lento: era diventato impetuoso, e all'orizzonte vi erano delle rapide.
Di colpo realizzò che doveva portare via Justus, o il suo amante sarebbe stato trascinato via per sempre dalla corrente.
Saltò sul drakkar, afferrò spasmodicamente il corpo inerte, ma era come se una forza sconosciuta si opponesse a tutti i suoi tentativi.
Disperato lanciava occhiate all'orizzonte, nel quale la violenza delle rapide già creava una sinistra nebbia rossastra, e calcolava quanti secondi mancassero ancora alla fine, rifutando caparbiamente di arrendersi, continuando ancora e ancora a trascinare il corpo e a tentare di portarlo via.


Sigvard si svegliò faticosamente.
La stanza era piccola e buia, appena rischiarata da un lume rosso che tremolava in un angolo. L'aria sapeva di chiuso e di erbe medicinali e vi era un caldo opprimente.
Justus giaceva immobile. Lo svedese lo controllò per l'ennesima volta, alla disperata ricerca di un segno che gli consentisse di sperare in un accenno di ripresa, le condizioni del comandante erano invariate.
Prese il panno umido che aveva sulla fronte, lo bagnò di nuovo con acqua fresca, lo strizzò e glielo sistemò nuovamente.
“Ecco fatto, Justus,” parlava piano, appena un bisbiglio lieve, “così la febbre non ti darà fastidio. Presto le erbe del dottore faranno effetto, vedrai, e tornerai come prima.”
Si piegò in avanti, lo baciò piano sulle labbra.
“Scendi dalla nave prima che finisca nelle rapide,” gli sussurrò accarezzandogli il viso.
Altrimenti mi ci butterò anch'io.
Questo lo pensò senza dirlo. Anche se Justus era nell'incoscienza, era certo che sentisse, e non voleva turbarlo senza motivo. Controllò che non avesse bisogno di altro e si stese accanto a lui chiudendo gli occhi.



Alla fine il Capitano trovò il metaforico approdo; la sua nave aveva smesso di andare alla deriva e lui aveva posato i piedi su un suolo sicuro dopo giorni e giorni in balia di una mare infido e agitato.
Aprendo gli occhi provava ancora quella fastidiosa sensazione di rollio che i marinai esperti definiscono ironicamente “mal di terra”, tuttavia riconobbe subito le travi intagliate che decoravano il soffitto della sua camera alla locanda e il profilo familiare di Sigvard, che si era addormentato accanto a lui su una stuoia intrecciata, col braccio piegato sotto il capo a fargli da cuscino.
Aveva l’aria esausta, un’ombra azzurra sotto gli occhi, le guance smagrite, e la fronte coperta da un leggero velo di sudore.
Faceva un caldo soffocante in effetti e perfino la lanterna di carta rossa sembrava emanare calore, se solo fosse riuscito ad alzarsi avrebbe aperto le imposte lasciando entrare la brezza notturna, che non rinfrescava, ma almeno dava l'idea di un piacevole ricambio d’aria.
Fu in quell’istante che la porta scorrevole si dischiuse costringendolo a voltarsi verso l’ingresso, cosa che gli provocò un forte senso di nausea; non ricordava ancora il motivo, ma una figura femminile che reggeva tra le mani un vassoio gli suscitava un forte istinto di pericolo.
“Kap’tin ti sei svegliato!” bisbigliò Mei Li che era scivolata sul pavimento lucido leggera come un petalo sull’acqua ed era andata ad accoccolarsi vicino a lui. Con grande sollievo dell’olandese la ragazza profumava modestamente di spezie e riso bollito, non di fiori e se socchiudeva gli occhi poteva distinguere i lineamenti rotondi della figlia del locandiere.
“Mei Li… Ti dispiacerebbe aprire le persiane?”
Le luci delle baracche e delle chiatte ormeggiate al porto entrarono nella camera insieme a tutti gli odori e i suoni di quelle latitudini, però Sigvard continuava a dormire profondamente.
Van Loo si sentì in dovere di giustificare la presenza del giovane ufficiale di rotta al suo fianco, ma c’era un enorme buco forse di ore o di giorni di cui assurdamente non ricordava nulla.
Fu la giovane a trarlo d’impaccio e, mentre lo aiutava a bere dell’infuso da una piccola ciotola, gli svelò l’arcano.
“Ti ha vegliato per due settimane, dopo averti riportato qui” parlava a bassissima voce per non infastidire il sonno del ragazzo “né lui né papà mi hanno raccontato cosa ti è successo, tuttavia il dottore era molto in pensiero per te, abbiamo avuto paura di perderti Kap’tin.”
“Grazie e ringrazia tuo padre da parte mia.” aveva fretta di congedare la ragazza e rimanere solo con Sigvard; un sguardo rivolto al suo amante addormentato sarebbe stato sufficiente a tradire i suoi veri sentimenti.
Adesso toccava a lui vegliare sul sonno del giovane e in quel lasso di tempo avrebbe pazientemente riordinato nomi, facce, ambienti sui quali costruire la sua vendetta.
Non aveva diritto di lamentarsi della sua sorte, ma a causa della sua leggerezza Sigvard c’era andato di mezzo e questo non poteva tollerarlo.



Sigvard riemerse tempo dopo da un sonno pesante e appiccicoso come la melassa.
La prima cosa che notò fu la luce nella stanza, e il fatto che la piccola lanterna rossa fosse spenta. Per qualche motivo, quei due elementi di novità gli instillarono una sorda angoscia. La prima cosa che pensò fu: Justus è morto e stanno riordinando la stanza dopo aver portato via il corpo.
Perché non mi hanno svegliato? Fu il secondo pensiero che formulò.
In preda alla disperazione tentò di alzarsi, muovendosi pesantemente per la stanchezza accumulata. Barcollò e incespicò, cadendo pesantemente sulla stuoia.
“Sigvard!” chiamò una voce, ed era la voce di Justus van Loo.
Il giovane svedese s'immobilizzò, sul volto un'espressione indescrivibile di confusione e speranza a un tempo.
“Sigvard,” ripeté la voce, “sono qui.”
L'altro si voltò di scatto, e si trovò a fissare gli occhi del suo amante. Lo sguardo era lontano dall'avere l'energia che ben conosceva, era ancora spento e l'espressione del viso era stanca e tirata, ma per Sigvard, che aveva passato le ultime due settimane a lottare contro la disperazione e lo sfinimento, fu quanto di più bello potesse vedere sulla faccia della terra.
“Ma tu... tu sei sveglio!” disse semplicemente, poi d'impulso lo abbracciò stretto. Justus sentì qualcosa di vagamente bagnato sulla guancia, proprio dove il viso del ragazzo poggiava contro il suo.
“Sei sveglio,” lo sentì ripetere, come se Sigvard ancora non se ne capacitasse.
Van Loo sollevò a fatica una mano per accarezzargli i capelli e per un po' rimasero semplicemente così, stretti l'uno all'altro senza muoversi né parlare, incuranti del fatto che potesse entrare Mei Li da un momento all'altro.

“Sei vivo,” disse poi il giovane sollevandosi per guardarlo con affetto. Nel frattempo si era asciugato le lacrime, ma van Loo conosceva ogni sfumatura del suo volto e vedeva chiaramente quanto fosse turbato.
“Sì, sto bene, non preoccuparti,” lo rassicurò.
Non era proprio vero che stesse bene, ma in effetti essere lì con Sigvard gli faceva dimenticare quasi completamente la stanchezza e il malessere che ancora lo affliggevano. “E tu come stai?”
“Io... bene, bene. Sto bene.”
Van Loo fissò dubbioso il giovane amante. Non era da lui rispondere in quel modo, e la cosa lo insospettì subito.
“Qualcosa non va?” gli chiese.
“Sono solo stanco,” rispose Sigvard accarezzandogli il viso, “nulla che una notte di sonno non possa curare.”
Ma van Loo continuava a sentire una strana nota stonata nella voce del ragazzo, e non riusciva a convincersi che la causa fosse solo la stanchezza.



“Sigvard…”
“E’ tutto a posto.” sillabò lentamente il giovane; un leggero rumore di passi e un discreto colpo di tosse preannunciarono la visita di Mei Li, subito dopo l’anta scorrevole si aprì e la ragazza entrò portando un’altra tazza d’intruglio fumante che propinò al Capitano nonostante i suoi blandi tentativi di rifiuto.
Non è tutto a posto… Pensò mentre la mente e il corpo cedevano ad un piacevole stato di rilassatezza, dato dall’infuso antidolorifico Xiao-Janxiong non è tipo da fare regali.
La sua era la generosità dell’usuraio che dava dieci perché sperava di ricavare cento.
Quello che Sigvard gli aveva dato in cambio della sua vita doveva valere molto di più e dato che il norvegese non navigava nell’oro, né aveva mezzi per corrompere politici o guardie di frontiera, l’unica cosa che cosa che poteva interessare quel laido cinese era Sigvard stesso.
Il suo ragazzo era bello, Justus non si perdeva in svenevolezze poetiche, ma nei momenti d’intimità trovava sempre il modo di fargli capire quanto apprezzasse ogni cosa di lui.
Non era solo la bellezza dei lineamenti a renderlo attraente; la fierezza del portamento, lo sguardo acceso e risoluto, l’audace eleganza dei suoi gesti, tutto contribuiva a costruire ed illuminare il suo involucro esteriore e adesso che lo guardava di sottecchi, rischiarato dalla luce afosa del pomeriggio tropicale, comprese che quella luce si era affievolita.
In quello stesso momento cominciò a meditare la sua vendetta e fu dolce abbandonarsi al sonno accompagnandolo al pensiero di tutto quello che avrebbe fatto patire a Xiao-Janxiong e a suo figlio.


Fine


⋆ La voce della coscienza ⋆

Carissimi naviganti siamo giunti al termine delle peripezie sulla terra ferma dei nostri eroi.
Quest'ultima impresa ha lasciato strascichi pesanti, che hanno messo a dura prova l'ex pirata e il giovane ufficiale, però la loro relazione sembra aver retto bene.
Per la coppia adesso è tempo di lasciare gli esotici scenari del mar della Cina per tornare nei rassicuranti lidi europei.
Ma saranno davvero così tranquilli?
C'è una nuova avventura che attende questi due lupi di mare e spero di condividerla con voi in tempi mediamente brevi.
Nel frattempo io e Old Fashioned vi ringraziamo per aver letto, seguito e commentato la nostra mini epopea marinaresca!

PS: se vi chiedete in che modo Justus metterà in atto la sua vendetta nei confronti del laido mercante cinese vi risponderò con le sue parole: la vendetta è un piatto che va consumato freddo, quando la vittima si sente al sicuro ed è convinta di averla scampata... :)



   
 
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