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Autore: Makieyo    30/04/2021    1 recensioni
Ogni fiocco di neve che cade dal cielo non è mai simile ad un suo fratello. Ogni fiocco è simile solo a se stesso. Ogni fiocco sceglie il suolo su cui vuole cadere e rimanere fino alla fine del suo tempo. Perché una volta che il fiocco cade nel suo posto, rimarrà lì fino alla morte. E Gojo Satoru era il mio fiocco di neve.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gojo Satoru
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Routine; se avessi dovuto scegliere una parola per descrivere quell’intera settimana, Routine era quella più adatta. Ogni mattina mi alzavo alle sette. Facevo colazione con la mia solita barretta energizzante alle proteine e frutti rossi. Mi lavavo, sistemavo, indossavo l’uniforme, le scarpe e uscivo dal mio appartamento. E ogni mattina, appena aprivo la porta di casa, a darmi il buongiorno c’era il sorriso a mille denti di Gojo Satoru, perché solo 32 erano pochi.
Quella mattina però sarebbe stata totalmente differente. Era domenica.
Aprii gli occhi prima che la sveglia iniziasse a suonare, guardai il soffitto biancastro e un po’ sporco in alcuni punti. Avendo l’abitudine di dormire con tutte le finestre spalancate, con la coda dell’occhio riuscivo a vedere la tenda bianca gonfiarsi grazie al venticello primaverile che finalmente iniziava a tirare. Mi tirai su a sedere al centro del mio letto ad una piazza e mezza, attendendo il trillo del cellulare che avrebbe dovuto farmi da sveglia. Ma l’unica cosa che sentii fu il campanello.
Infilai le mie ciabatte azzurrine, una felpa al volo che avevo poggiato qualche sera prima sulla sedia della scrivania e mi affrettai ad aprire la porta, innervosita dal continuo suono premuto del campanello.
-Un attimo! Sto arrivando!- Velocemente chiusi la lampo della felpa e aprii la porta, ritrovandomi Gojo, sangue e il suo solito sorriso –Ma cosa…-
Con un panno che probabilmente in origine era di un bianco chiarissimo e in quel momento era totalmente tinto di un rosso acceso, Gojo ci si picchiettava la testa e i capelli anch’essi ormai sporchi di rosso. Non si riusciva a capire da dove provenisse tutto quel sangue e rimasi ferma immobile a fissare quel bagno di sangue che era fermo sulla mia soglia senza dimenticare di sorridere.
-Oh vicina, buona domenica- E sorrise, come se fosse tutto nella norma –Mi dispiace farti alzare a quest’ora del mattino, ma ho lasciato le chiavi nell’appartamento e giù in portineria non c’è ancora nessuno-
Era impossibile intravedere il suo sguardo, dietro a quegli occhiali neri come la pece ma sapevo benissimo che il suo sguardo era concentrato a guardare l’interno del mio appartamento.
-Cosa ti è successo?- Non riuscii a pensare ad altro. Tutto il fastidio, l’irritazione e la rabbia sparì. Non ci pensai due volte prima di fare un passo di lato per concedergli la possibilità di entrare in casa. Cosa che non si fece ripetere a parole.
Gojo entrò a grandi passi, lasciando le scarpe sudice e sporche di fango all’entrata –Mi dispiace se sporcherò, ma prometto di ripulire tutto- Con un piccolo inchino, poi, raggiunse la piccola cucina che avevo arrangiato anche a mo’ di salotto con un divano sul lato sinistro e un tavolino al centro della stanza con solo tre sedie, di cui una venne occupata proprio da lui.
Chiusi la porta di casa e sparii in bagno per recuperare una piccola borsa del pronto soccorso che tenevo per ogni evenienza; garze, antistaminici, cerotti, qualche compressa per lo stomaco. Il minimo indispensabile per poter vivere da sola senza preoccuparmi troppo di dover andare in farmacia.  Tornai da lui, ancora aspettando una risposta.
-Cosa ti è successo, Gojo?- Dissi, scandendo bene il suo nome –E non dirmi che è il solito incidente di percorso. Sono le sei del mattino, il sole è sorto da molto poco e tu sembri aver avuto un grande incidente di percorso- Sospirai, forse un po’ esasperata dal fatto di non riuscire mai ad avere risposte ma questo non mi fermò dal spostargli il panno ormai sudicio per poi iniziare a disinfettare la ferita che aveva tra i capelli, poco sopra la fronte.
Senza dire nulla, si lasciò fare tutto, abbassando la mano che teneva il panno fermo sulla testa –Non posso dirti molto, Misa. E’ complicato- Mai, in tutto quel mese di aprile, sentii la voce di Gojo così seria –Il mondo è fatto di mille pericoli. Ogni angolo ne è pieno, anche quelli di casa tua- Sentivo il suo sguardo ghiacciato sul mio volto nonostante i suoi occhiali.
-Voglio solo capire cosa ti è successo. Non puoi presentarti a casa delle persone all’alba e pretendere di non dare nessuna risposta-
-Non capiresti-
-Ci proverei- Mi fermai, abbassai le mani per concentrare il mio sguardo solo sul suo viso –E’ un mese che mi sembra di averti perennemente tra i piedi. Ovunque io vada, tu ci sei. E se tento di evitarti, sembri apparire ancora con più veemenza. Non so chi tu sia, non so perché tu riesca a fare determinate cose o perché ti trovi costantemente dove c’è il pericolo…-
-E se fossi io il pericolo?-
Scossi la testa di istinto, abbassando lo sguardo. Dopo pochi secondi, senza rispondergli, ripresi a prendermi cura della sua ferita. Effettivamente io non potevo dargli chissà quale risposta. Io stessa avevo appena affermato di non sapere nulla su di lui, come potevo essere certa del fatto che non sia lui il pericolo? Finii di disinfettargli la ferita, coprendola con un cerotto e mi allontanai da lui che era rimasto in silenzio per tutto il tempo a seguire da quella domanda.
-Se vuoi farti una doccia, ti preparo degli asciugamani ma non posso prometterti nulla per i vestiti- Mi avviai alla porta del bagno, per preparargli il tutto. Anche i suoi vestiti erano sporchi di sangue e preparai una maglia abbastanza larga, nera, e una tuta. Ero solita comprare indumenti comodi per la casa, anche dal reparto maschile e considerando il fisico di Gojo, non gli sarebbero stati chissà quanto stretti, probabilmente solo corti.
Quando finii di sistemare il bagno, gli lasciai via libera. Dalle sue labbra non uscii più nessun suono. Sentii la chiusura della serratura della porta e lo scorrere dell’acqua nella doccia un attimo dopo. Quando avrei avuto le mie risposte?
 
-Hai ragione- Finalmente quel silenzio venne spezzato. Erano passate due ore dal suo arrivo e da quel silenzio devastante che aveva invaso casa. Eravamo entrambi sul divano, io con un libro tra le mani per riempire il tempo, anch’io ormai vestita, e Gojo tento a fissare un punto  continuo del soffitto attento a non incrociare il mio sguardo –Ti devo delle risposte-
Con un tonfo, chiusi il libro tra le mie mani, poggiandolo sulle mie gambe incrociate, pronta a dedicargli tutta la mia attenzione. Sarebbero passate molte ore prima che Gojo potesse ricavare un altro mazzo di chiavi senza l’aiuto dei pompieri, quindi sarebbe stato ottimo almeno conoscersi un po’ finalmente.
Gli occhiali ormai erano stati tolti, i suoi occhi azzurri erano su di me, che mi scrutavano persino l’anima, incutendomi e trasmettendomi l’ansia che sembrava attanagliarlo –Prima vorrei che mi prometta di non spaventarti-
Con un lieve cenno del capo diedi il mio consenso, indirizzando anche il mio corpo verso la sua traiettoria.
Alzò lentamente la sua mano destra, ponendola tra lo spazio che ci divideva –Ti chiedo di allungare la tua mano verso di me- Imitando il suo gesto, alzai anch’io la mia mano avvicinandola alla sua –Prova a toccarmi-
Spinsi la mano fino alla sua ma quando ero sul punto di toccare la sua pelle, mi resi conto che a dividerci c’era almeno un centimetro di spazio –Perché non riesco?- Mi avvicinai ancora di più, spingendo la mano verso di lui ma con scarsi risultati. Non riuscivo minimamente a colmare quello spazio.
-Hai mai sentito la vicenda di Achille e la tartaruga?- Scossi leggermente la testa, per dire di no –Beh… Achille doveva raggiungere in corsa una tartaruga a cui gli erano stati concessi metri e metri di vantaggio. Ma per ogni dieci metri che Achille percorreva, la tartaruga ne percorreva un altro-
-Gojo, non ti seguo-
-La matematica è una scienza esatta. E così lo è l’infinito. Io riesco a controllare lo spazio e il tempo che ci circonda- Il suo sguardo si abbasso sulle nostre mani ancora ferme a mezz’aria –Posso aumentare o diminuire lo spazio che ci separa- E in un attimo le nostre mani si toccarono davvero.
Le sue lunghe dita affusolate e bianche entrarono tra gli spazi delle mie dita, stringendo la mia mano in modo delicato e gentile. Tenni lo sguardo sulle nostre mani, ricambiando quella piccola stretta, un po’ confusa ma non spaventata.
-Potrei essere qui in questo momento ma ritrovarmi altrove in un istante- Finalmente alzò lo sguardo su di me –Questo però porta delle grandi responsabilità. Noi possiamo anche vedere le maledizioni che vivono sul nostro mondo e abbiamo la responsabilità di doverle eliminare-
-Noi?-
-Non sono il solo, Misa- Sospirò, ma senza mai lasciare andare la mia mano –Il primo giorno che ci siamo incontrati era il mio primo giorno di scuola, o meglio, in una normale scuola. Sono cresciuto tra altri come me, tra mille addestramenti e delle regole molto rigide… Ma quel giorno ti ho vista e ho visto quell’essere che ti tratteneva al banco con tanta di quella forza che non ho resistito. Dovevo parlarti, aiutarti-
Non riuscivo a tenere per molto tempo il mio sguardo intrecciato al suo, ma ascoltavo ogni singola parola uscisse dalle sue labbra sottili.
-Stamattina sono tornato alla mia reale scuola e diciamo che non sono stati tutti molto d’accordo del rapporto che ho cercato di instaurare con te. Non sono stato attento alle mie azioni. Davanti a tutti ho ucciso la maledizione che ti stava consumando…-
-Era quello il tuo compito…- La voce mi uscii talmente sottile che a stento io stessa riuscii a sentirmi, ma lui sorrise, forse un po’ per compassione per me che non stavo capendo quasi nulla di tutto quel discorso. Avevo passato le notti intere a cercare di capire chi fosse quella persona che ormai riempiva ogni singolo attimo delle mie giornate e adesso il mio cervello non riusciva ad assimilare in modo costante tutte le informazioni che stava ricevendo.
-Non in quel modo. Dobbiamo essere discreti, non dobbiamo agire davanti ad altre persone-
-Allora perché non ci hai pensato due volte? Perché se sai che sarebbero state queste le conseguenze?- Domandai, indicando con un cenno la ferita alla sua testa.
Non mi rispose, abbassò lo sguardo sulle nostre mani ancora intrecciate e sorrise tra se e se.
Forse finalmente stavo risolvendo quella grande incognita che mi aveva perseguitata per settimane intere, eppure non sembrava bastarmi. Volevo di più.
   
 
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