La casa delle
ombre
D |
ue uomini
sedevano nel salotto Privato; una vasta stanza dedicata solo alle riunioni più
importanti, e dove i commensali si sedevano intorno ad un elegante tavolo ovale
di lucente palissandro, sul quale si trovavano vari bicchieri e caraffe, e una
rastrelliera d’argento con una fila di pipe. L’arredamento era molto sfarzoso,
con le pareti di marmo verde scuro venato appena di grigio fumo, che sembravano inglobare nelle loro profondità recondite la debole
luce dei candelabri, in modo che regnasse perpetua l’oscurità; accentuato dal
fatto che tutte le finestre a rosone erano chiuse da pesanti tendaggi di
velluto color bottiglia, che non sembravano mai essere stati scostati per
lasciar entrare la luce del sole. Alcuni muri erano tappezzati d’arazzi
intrecciati molto laboriosamente anni addietro dai toni sanguigni ormai stinti
dal tempo ma con ancora i disegni ancora chiari e brillanti che raffiguravano
uomini all’attacco, oppure bestie mitologiche e incantesimi arcani tessuti
nella fitta trama in lingua arcaica, in modo che
tenessero quel luogo di invisibile mistero agli occhi stranieri.
L’alto
soffitto a cattedrale era tenuto da quattro granitiche colonne poste ai vertici
della stanza; esse erano incise con figure di grossi serpenti in rilievo, che
si avvolgevano a spirale lungo quasi tutto il tronco, e
la loro testa, dalla bocca scoperta e i denti veleniferi ben in vista, sbucava
da appena sotto il capitello. Erano così veritieri che sembravano strisciare
lungo l’architrave per poi sparire nelle tenebre. L’unica luce, lì dentro,
veniva dal caminetto, ove una vivida fiamma di ceppi si assestò lievemente,
spruzzando faville su per la canna fumaria.
Benché
fosse bello, quel salone aveva un qualcosa di spigoloso e asettico, tutto era
pulito e ordinato, un po’ troppo per essere definito “vivibile” ed era privo
del calore che si prova in un abitazione vissuta, come
se fosse perpetuamente velato da una specie di oscura cortina, un anatema che
faceva in modo che se anche il sole battesse a picco sul nastro azzurro del
cielo, lì dentro vi fosse sempre più
ombre che luce, ombre che inghiottivano i lucenti mobili di mogano, coprendoli
di una patina nerastra e informe, e faceva
piombare il freddo. Molto freddo. Inoltre
la casa sembrava stringersi intorno ai proprietari come una fortezza. Vuota.
Severa e triste.
Se era vero il detto che la casa rispecchiava il
carattere dei suoi abitanti, allora avevano ragione, perché non c’era famiglia
più fredda e ombrosa di quella dei Malfoy.
«Signor
Malfoy, il suo gesto è davvero notevole!» trillò sinceramente meravigliato il
Ministro della Magia Cornelius Caramell, asciugandosi il sudore dalla fronte
pelata con un
fazzoletto. Le sue tozze dita, somiglianti a salciccia tamburellarono
nervosamente sulla tesa del cappello a bombetta di un vistoso
colore verde acido che egli portava in grembo «Occuparsi della figlia del suo
amico, in circostanze così tragiche, lei ha veramente un grande
cuore».
Lucius,
immerso nell’ombra, sorrise galantemente, ma il suo sorriso non si estese fino
ai pallidi occhi, che rimasero freddi ed immobili.
C’era un
forte contrasto tra lui e il grassoccio Ministro. Lucius era un uomo alto dalle
spalle possenti, dal ceruleo viso crudele, con gli occhi che sembravano mandar
lampi e accendersi di un riso selvaggio. Era un viso da cui esser dominati, o
con cui lottare; non certo da poter considerare con condiscendenza o
compassione, mai.
Ogni suo
movimento era ampio e perfettamente equilibrato, come quello di un animale
selvatico, e tutte le volte che compariva in una stanza come quella faceva
appunto pensare a un animale selvatico chiuso in una
gabbia troppo piccola.
Si portò
il bordo della tazza vicino alle labbra severe, singolarmente strette e sottili
e bevve un breve sorso di the prima di rispondere al ministro «L’ho preso come
un dovere, Ministro» disse con falsa modestia«Come potevo lasciare una povera
bambina in mezzo alla strada? E poi non c’è da escludere che è la mia
figlioccia e poi Severus ha chiesto esplicitamente che
me ne occupassi io, visto la mia posizione agiata. Lui purtroppo con il suo misero stipendio di insegnante può a malapena pensare a se
stesso, figurati ad un figlio…»
Malfoy abbassò
improvvisamente la voce, i suoi occhi, guizzavano maligni qua e là nella
stanza, percorrendola come il raggio d’una torcia:
scrutando, perlustrando, esplorando ogni angolo come se fosse alla febbrile
ricerca di qualcosa. Freddi dapprima, poi sempre più roventi a
ogni balenio di quel loro sguardo letale.
«Detto
tra noi, signor Caramell, Piton non è quello che si dice un tipo magnanimo.
Come lei sicuramente saprà, egli faceva parte dell’esercito di Lei-sa-chi, anzi,
era uno dei suoi alleati, più….intimi, diciamo, ecco perché non ci si può
fidare; infatti è stato proprio lui ad obbligarmi a diventare Mangiamorte dopo
aver partecipato ad una loro riunione. A quell’epoca ero ancora giovane e
sciocco, e le promesse di denaro e grandezza mi hanno fatto gola, ho provato a
dirgli che non volevo, ma ha minacciato di raccontare tutto alla mia famiglia,
se non stavo al gioco…»
La bocca
del Ministro si
spalancò in una “O” perfetta, chiaramente
sconvolto dalla rivelazione.
«Ma devo ancora chiarire chi è la madre della bambina?»
«Bellatrix.
Bellatrix Lestrange, che è anche mia cognata e sorella di mia
moglie».
«Questo
è scandaloso!» sbraitò battendo un pugno sul tavolino.
«Concordo,
non mi stupirei se la defunta avesse deciso di togliersi la vita
spontaneamente, spero solo che Chryseis, dio l’abbia in gloria, non abbia sofferto molto nell’esalare il suo ultimo respiro». Malfoy
fece una pausa ad effetto in modo che quelle parole, così grevi e solenni,
rimanessero impresse nella mente di Caramell. L’unico rumore era quello sei ceppi che scoppiettavano dentro alla fornace, e
che faceva pensare ancor più realmente all’incendio distruttore. Il viso di
Lucius era triste per la tragica perdita, invece i suoi occhi ridevano spietati,
rivelando tutto il suo divertimento. « Io e mi moglie Narcissa ci prenderemo personalmente cura di Callisto, come se fosse figlia
nostra…»
Qualcosa
di terribile era celato in quelle parole, ma Caramell
non riuscì a coglierlo,
«Questo
farà una buona impressione al comitato del Wizgamot
interloquì invece, con soddisfazione. «So che devono processarla tra qualche giorno
per la faccenda della alleanza con i…Mangiamorte, vero?»
«Sì,
anche se si tratta in dubbio di un terribile disguido» rispose pomposamente
Malfoy “«Che spero di sopperire presto, in quanto a nuovo tutore di Angel e grazie ad una generosa” sottolineò la parola» donazione
all’Ospedale San Mungo, sperando solo che lei metta una buona parola con i
membri del consiglio, naturalmente per la mia inequivocabile generosità. La
vostra opinione influenzerebbe molto il risultato dell’udienza» .
Tirò fuori dal mantello un sacchetto di pelle rigonfio, che gettò
spezzante sul tavolo con un tintinnio soave di monete.
Gli occhi
di Caramell si colmarono di cupidigia, arraffò frettolosamente il sacchetto,
guardandosi attorno rapace, come se temesse che
qualcuno sbucasse fuori dal muro, e lo fece scomparire soddisfatto dentro al
mantello gessato.
«Certo,
mi avete dimostrato tutta la vostra buona fede, Lucius» gongolò infine,
sprofondando comodamente nella poltrona e sorseggiando il suo the con un disgustoso
risucchio. «Un uomo del vostro stampo non può assolutamente
essere un Mangiamorte, dovete essere stato stregato da qualche subdolo
tranello».
«È
quello che penso anch’io» assentì Malfoy «Ma purtroppo
le malelingue sono dappertutto e il giornale tende a gonfiare le notizie».
«Non si
preoccupi, sono solo chiacchiere, si dissiperanno
pesto. Bene, è stato bello parlare con lei, ma ora ho altri impegni che mi
attendono».
Lucius
si alzò e strinse affabilmente la mano a Caramell con uno stonato sorriso sul
volto appuntito «Spero che l’udienza abbia buoni risultati, comunque
ci incontreremo ancora al Ministero. Jinky vi accompagnerà verso l’uscita».
Un elfo dalla
pelle color polvere e
due rotondi e sporgenti occhi gialli vestito semplicemente con una lurida e
sfilacciata federa grigiastra fece la
sua comparsa e si curvò in un profondo inchino come un fedele maggiordomo, fino
a che il suo puntuto naso a matita non toccò terra, e aspettò paziente il
Ministro sulla soglia della sala. Caramell lo raggiunse e si voltò ancora
un’ultima volta verso Malfoy.
«Arrivederci».
«Arrivederci»
.
Malfoy
aspettò che il Ministro uscisse prima di sorridere sornione “Sciocco pallone
gonfiato” mormorò ridacchiando tra sé e sè.
Si girò
con un elegante fruscio del lungo mantello, simile al rumore delle foglie
morte.
I suoi
passi echeggiavano sordi sul pavimento di legno, come se lui potentemente
volesse farsi annunciare a gran voce a tutta la casa addormentata.
Raggiunse
l’androne, dietro e davanti a lui i corridoi si spalancavano bui e umidi, simili a bocche sbadiglianti nel
levigato pallore delle pareti.
A
sinistra, le scale, già in ombra per metà, conducevano ad un corridoio ancora più cupo. A
destra, il pesante portone di rovere sembrava tendere la maniglia verso di lui
in un beffardo, vano, gesto d’aiuto.
Malfoy Manor
era un diabolico intrico di ambulacri bui e senza
finestre, molti dei quali ciechi o irti di subdoli trabocchetti, che sembravano
spuntare e finire nell’oscurità e si allungavano per chilometri e chilometri,
facendoti sprofondare sempre di più nelle viscere della casa. Essi erano tutti
perfettamente identici, per rafforzare ulteriormente la sensazione di
smarrimento e confusione, fino a rasentare la pazzia. C’era solo una porta a
Malfoy’s Manor. Quella d’uscita. Molti l’avevano cercata inutilmente, fino alla
pazzia, altri erano morti nel tentativo, in ogni caso nessuno degli “Ospiti”
speciali, amici di Lucius, che visitavano la casa era mai uscito per raccontare
gli orrori che si celavano dietro a quella facciata aristocratica. Perdersi era
molto facile, ritrovare la via del ritorno impossibile, ed era
per questo che la villa era anche chiamata la “Magione del Dedalo”.
L’uomo raggiunse
a passo piuttosto marziale l’ala Ovest, fino a raggiungere l’unica porta di una
stanza situata in fondo ad un andito spoglio e senza finestre, in cui la
penombra che vi regnava aveva il marchio dell’eternità, non toccata dallo
scorrere del tempo. Tutto sembrava pietrificato in un limbo arido. Quello era
un luogo dove un bambino non sarebbe mai riuscito a diventare grande.
Lucius
prese da una tasca della veste una chiave d’ottone, che strinse nel palmo prima di inserirla nella serratura e farla
scattare due volte. Aprì la porta di quello che sembrava un minuscolo studio,
interamente adorno di scaffali pieni di libri e pergamene.
« Callisto
».
Callisto
si girò di scatto e lo fissò con occhi spiritati, cercando di coprire con il
corpo una pergamena srotolata dietro di lei, aprì la bocca,
ma nessun suono le uscì, se non un pigolio spaventato.
«Rispondi,
ragazza!» esclamò l’uomo, battendo il bastone sul palmo della mano.
Il suo occhio
di falco fu attratto magneticamente dal piano della scrivania, e la sua
espressione d’improvviso divenne dura come la pietra, mentre i suoi occhi metallici
ardevano rabbiosi «Cosa nascondi là dietro?» esclamò
con tanta violenza da far girare la bambina su se stessa come un cavatappi.
«Niente,
davvero…» balbettò la piccola.
Sotto la
stretta dell’uomo, il bastone si inarcò come un gatto.
«Non
mentirmi, bambina» sibilò «Nessuno può prendere in giro Lucius Malfoy» Callisto
fu percorsa da un tremito e non rispose. L’uomo
rilasciò la punta del bastone, che fendette l’aria con un sibilo agghiacciante.
Poi con quel tono vellutato che faceva pensare a miele spalmato sulla carta vetrata disse:«Devi sempre dire tutto al tuo tutore Lucius,
lo sai quanto ci tengo a te». Fece una breve pausa, come pere controllare
l’effetto delle sue parole. Provò a ridere, ma la risata gli raspò la gola, si bloccò e si
spense, prima d’aver visto la luce.
Callisto
deglutì rimanendo silenziosa.
Con un
gesto sprezzante, Malfoy spinse senza alcun riguardo la bambina da un lato per passare, facendola
quasi sbattere contro una parete, e prese tra le mani inguantate il foglio
ingiallito, che lei tanto aveva cercato di celare. Sopra di esso
era schizzato uno scarabocchio che rappresentava una donna sorridente.
Ci fu un
silenzio di tomba, la calma prima della tempesta. L’unico movimento era il
tremore rabbioso delle spalle e delle mani dell’uomo.
Quando Malfoy
si voltò, i suoi occhi lampeggiavano d’ira «Ti sembra
divertente?» le chiese con ferocia, lasciando il suo tono mellifluo e ruggendo
come un leone ferito. La carta incriminata s’incendiò da sola e fluttuando
nell’aria si consumò lentamente fino a diventare a posarsi per terra come
cenere.
«Ero stanca volevo solo riposare…» mormorò debolmente la
bambina.
Una
grossa vena spuntava dalla tempia di Malfoy, pulsando come la gola di un
usignolo. La sua voce era aspra e dura.
«Riposare? Dopo che io ti ho accolto nella mia
dimora e dato l’opportunità di studiare privatamente tu mi ringrazi così? »
Lucius
aveva incominciato a spostarsi da una parte all’altra, impedendole ogni via di
fuga. Angel aveva il muro alle spalle. Non c’era speranza di evitare la
fustigazione.
Il viso
dell’uomo si contrasse in un grottesco sorriso, però i suoi occhi
fiammeggiavano rabbiosi. Callisto non aveva mai visto occhi così orribili.
«Quello
che ti serve, ragazza mia» disse lascivo con la voce che tremava di perversa
eccitazione «È la disciplina»
sottolineò duramente la parola. «Per anni hai fatto
quello che hai voluto, ma adesso le cose sono cambiate, non è più tempo per
giocare, in casa mia o si ubbidisce ai miei ordini o si viene
puniti». Il bastone di legno colpì ancora il palmo aperto con uno schiocco
secco che fece tremare la ragazza da capo a piedi.
«Mi dispiace signor Malfoy, non lo farò più».
«Allora,
non lo farai più, eh, ragazza? Sarai fortunata se avrai delle gambe su cui
reggerti in piedi, dopo che avrò finito, mia pigra bestiola».
Sollevò
il bastone e lo tenne sospeso, come una bacchetta magica il cui tocco, però, avrebbe recato solo distruzione.
Callisto
emise un verso stridulo, a metà tra un grido e un singhiozzo, e si rattrappì
contro al muro, schermandosi convulsamente il viso con le mani. «No!».
Per un moneto l’uomo s’ immobilizzò così, con il braccio levato,
come una spaventosa statua vivente. Poi, lentamente, il bastone si riabbassò.
«No…»
disse, in un’ eco beffardo del grido di Callisto. «Stavolta proveremo un metodo nuovo».
Fece una
pausa, mentre la bambina levava lo sguardo su di lui, in
attesa di una spiegazione.
«Non ti
piace il buio, vero, piccola?»
Lei lo
fissò ammutolita, senza capire. Le sue labbra tremavano.
«Immagina
una foresta, a notte fonda: l’ululato di creature invisibili, il luccichio di occhi sconosciuti, un battito d’ali alle tue spalle, e la
paura del pericolo in agguato. Terribile, non è vero?» ghignò l’uomo. «Non sai
dove sei. Non sai dove sai andando. Però puoi correre.
Sì è una foresta grandissima. C’è tantissimo spazio. Puoi almeno provare a
scappare…»
Un
suono, simile al guaito d’un cucciolo percorse, quasi impercettibile, la stanza. Le labbra
dell’uomo si piegarono in una smorfia crudele. Stava tessendo la sua perfida
ragnatela, e come un ragno, aspettava che le vittime vi cadessero. Riprendendo
la tessitura, assaporò il potere chiuso nel palmo della mano.
«Che cosa può esserci di peggio? A meno che…» fece una pausa
e si avvicinò alla piccola. «A meno che…tutt’a un
tratto non hai più dove scappare…L’universo intero si racchiude su di te…Pensa,
nel cuore della notte, le tenebre e l’ignoto e tutta quella paura…E tu, chiusa in luogo così piccolo da non
poterne fuggire!» Con un ringhio si lanciò sulla bambina, la afferrò per il
colletto dell’abito e la sollevò di peso. «Dentro, adesso!» urlò, e, aperta la
porta di un armadio ad angolo, ve la spinse dentro.
Si levò
un ultimo grido disperato, che echeggiò nella stanza, penetrò le mura e scese
fin nelle fondamenta della
casa, finché l’intero edificio non parve vibrare in accordo a quel suono
angosciato.
Era un
lamento così miserevole, così tormentato, che sembrava gettare un ponte
attraverso i secoli. Era un pianto che proveniva dall’inizio dei tempi.
Con un
sorriso, l’uomo chiuse la porta dell’armadio, girò la chiave nella serratura e
uscì dalla stanza.
**
Callisto
sedeva in terra, rannicchiata su se stessa e la schiena contro una parete di
quell’armadio che ogni secolare istante che passava sembrava stringersi di più,
togliendole il respiro dai polmoni gonfi d’aria repressa e paura.
Tutto
ciò che fuoriusciva dalla sua bocca semiaperta era un
rantolio affannoso, pesante, che inquinava l’aria ancora pulita, facendola
annegare poco a poco nelle tenebre, senza uno scoglio su cui appigliarsi.
Si
sentiva stringere, soffocare da una morsa invisibile che l’avvolgeva come una
pesante coltre, non c’erano vie di fuga, tutto l’universo era chiuso in quello
spazio angusto, tutto intorno a lei, che come lei si dibatteva con le unghie e
con i denti per ritrovare la libertà.
Improvvisamente
qualcuno girò la chiave nella toppa, e la luce, come un
coltello, tagliò le tenebre. La bambina con uno squittio disperato si
rattrappì, con la paura che Lucius fosse tornato a
compiere la sua missione di demolizione. Tremava come la coda di un serpente a
sonagli, e i suoi occhi vitrei erano fissi sulla porta semi aperta,
diabolicamente invitante. «Esci» disse una voce di donna, in tono autoritario.
Callisto
si avvicinò all’uscio, e sbirciò con un occhio il campo, se la via era libera.
«Non ti
preoccupare» la rassicurò la voce femminile, con voce leggermente nasale. «Lucius se ne è andato».
Rincuorata,
Callisto uscì allo scoperto.
Narcissa,
moglie di Lucius, la guardò con freddezza in un angolo, con le sottili braccia
incrociate al petto.
Callisto
rimase colpita da quella bellezza sfiorita, come una rosa bianca sciupata per
essere rimasta troppo a lungo in un vaso di cristallo. Narcissa aveva un
bellissimo viso, piccolo, ma perfetto in ogni
dettaglio, che sembrava scolpito nell’alabastro più puro. Il bianco del viso
risaltava con le labbra rosso rubino, unico tocco di colore in mezzo alla neve.
Gli occhi,
due biglie celesti come il cielo in estate, erano morti, ghiacciati, come
stagni gelati, svuotati completamente della loro luce da anni e anni di permanenza in quella casa e dalla presenza di
Lucius.
«Grazie».
Narcissa
sollevò appena gli angoli della bocca, dopodiché si sistemò, con un certo vezzo narcisistico, l’acconciatura,
che peraltro non aveva bisogno di cure, impeccabile come la sua graziosa figura;
lei, al pari della sua dimora, aveva un che di impersonale, e come un qualsiasi
soprammobile di Malfoy Manor il suo aspetto esteriore doveva apparire sempre perfetto
e pulito. Arricciò appena il naso all’insù -in un gesto aristocraticamente
sdegnato- nel vedere il viso sporco della fanciulla,
così le si inginocchiò affianco pulendoglielo con un fazzoletto ricamato e
sistemandole i capelli arruffati, in un gesto che forse doveva sembrare
affettuoso, ma anche quello risultò solo sbrigativo, come una pesante incombenza
da concludere rapidamente.
«Sei piuttosto bruttina» borbottò
studiando attentamente il volto di Callisto da vicino, prendendolo tra le
lunghe dita dalle unghie laccate di rosso. «Non assomigli
affatto a tua madre, lei era davvero bella. Per fortuna i bambini
crescono e con il tempo maturano e cambiano».
Callisto sgranò gli occhi per la sorpresa.
«Lei ha conosciuto mia madre?»
«Certo» rispose veemente Narcissa, come
se fosse la cosa più naturale al mondo. «Lei era mia sorella. Eravamo molto
legate noi due da piccole».
«Io però non ho mai sentito parlare di
lei».
Il viso
della donna si contrasse in una smorfia di disappunto. «Mia cara» esclamò con
voce acuta e via via più furiosa. «Mi vuoi far credere che nessuno ti ha mai detto che fine avevano fatto i tuoi genitori?»
«La zia
ha detto che morirono in un incidente d’auto appena
dopo la mia nascita» rispose timidamente la bambina sorpresa da quel improvviso
cambio d’atteggiamento.
«Morti?
Morti?» sbraitò la donna «Temevo che quella stolta di Chryseis
avrebbe cercato di nascondere il tutto, ma mai fino a questo punto…»
Chiuse
gli occhi e respirò con calma, cercando di riprendere il controllo. Poi si
rigirò verso la sua interlocutrice. «Fu proprio a lei che promisi di prendermi
cura di te» disse con voce dolce ma ferma, con un velo di tristezza in quelle
grevi parole.
«Callisto,
tu sei mia nipote».
La mente
della bambina parò quel colpo, senza che quella idea,
così assurda, le entrasse in mente.
«Cosa?»
«Tu sei
figlia di Bellatrix Black e Severus Piton» ripeté meccanicamente Narcissa con
gli occhi chiusi, come se recitasse delle parole incise all’interno della proprie palpebre. «Erede dei due Mangiamorte più
famosi all’interno della cerchia Oscura. I tuoi genitori erano i più intimi
sostenitori di Colui-che-non-deve-essere-nominato e
sono crollati con lui nel giorno della sua disfatta. Adesso lei marcisce ad
Azkaban e tuo padre si è rifugiato ad Hogwarts alla
ricerca della protezione di Silente».
«NO…»
mormorò Callisto, sentendo
qualcosa che le si spezzava nel petto.
Narcissa
sogghignò «In effetti è piuttosto singolare che la
figlia dei più famosi Mangiamorte sia nata proprio nel giorno della distruzione
del loro signore, mentre uno stupido ragazzino si prendeva fama e gloria per
questo».
Le si
avvicinò a passi
leggeri, mentre nei suoi occhi imperversava una fredda collera.
«È vero
nipote» disse. «Un tempo volevo che il posto di
Bellatrix accanto all’Oscuro Signore fosse mio. Era così sbagliato nutrire
qualche ambizione? Era così sbagliato chiedere qualcosa in cambio di tutti gli
anni in cui guardato le mie sorelle guadagnarsi tutta
la gloria e il consenso?». Ghignò. «Ma tu sei figlia
unica: come puoi sapere che cosa vuol dire vivere nell’ombra di qualcuno?»
Strinse
le mani a pugni, il suo sguardo magnetico era catturato verso di lei.
«Questa
è una scena per farti ridere» disse la donna come se stesse parlando alla casa
intorno a sé. «Le mie sorelle sono sempre state forti. Bellatrix
la dea e Andromeda l’avventuriera coraggiosa. Io?» Rise senza ironia.
«Io? Ero sempre
e solo Narcissa la debole. Narcissa la sorella di mezzo. Né
carne né pesce. Non ero bella e popolare come Bellatrix, né vincente come
Andromeda. I miei genitori hanno sempre preferito loro a me, per anni ho dovuto stare zitta mentre le mie sorelle si crogiolavano
nell’alloro dei loro successi».
Le
labbra sanguigne si schiusero in un ghigno folle. «Ma
poi nascesti tu, prima del matrimonio con Lestrange. Una spuria, e i miei
genitori finalmente si accorsero che la loro perfetta figlia non era poi così perfetta».
Esplose
in una risata roca, gelida. « Naturalmente non volevano disonorare il loro nome
della casata “Toujours pur” costruito con fatica dai nostri avi, almeno non
quanto avesse già fatto quell’idiota di mio cugino
Sirius, la pecora nera della famiglia… »
Il vento
ululava, con l’intensità di un branco di lupi, portando sferzate di pioggia
addosso alla finestrella. Attorno a loro la casa scricchiolava cercando di
resistere alla gelida furia dell’uragano, e gemeva come uno spirito senza
quiete.
«Naturalmente
la cosa dopo molte discussioni fu sotterrata, quando
si trattava della loro figlioletta preferita tutto andava bene, oppure per
cadere più in basso di quando Andromeda scappò
con quell’insulso babbano, Ted Tonks. Le ordinarono di sbarazzarsi di
te. Eri un bambino fuori dal vincolo coniugale, suo
marito naturalmente non ti volle, e neanche tuo padre si incaricò di prendersi cura di te, infondo che se ne
faceva di una ragazzina? Almeno se portavi a casa una paga, saresti sta utile, invece eri solo un peso, una bocca in più da
sfamare, così ti affidò ad una lontana parente. Lei fu l’unica che ebbe un po’
di fegato per prendere con sé una bambina maledetta, nessuno si sarebbe voluto maritare con una che aveva un fardello simile
sulle spalle».
Il suo
sguardo da rabbioso si fece improvvisamente triste e colpevole. Lo abbassò al
livello del pavimento, quasi si vergognasse troppo per
guardare Callisto in faccia.
«Quando
appresi la notizia che volevano diseredare Bella e
lasciare tutto a me per la prima volta nella mia vita mi sentii…felice. In quel
momento le augurai persino di morire sola come un cane. Non m’importava se il
sangue del mio sangue non avrebbe avuto i soldi per pagarsi una pensione dove
pernottare; ero soddisfatta di me perché avevo sposato Lucius, dopo quel giorno infatti tutti mi videro con luce nuova. Sono stata l’unica ad aver onorato come ai
vecchi tempi la Casa dei Black, dopo le delusioni di Andromeda,
Bellatrix e Sirius…»
Un lampo
bianco saettò per un attimo nel cielo, tracciando una scia bianca satura di elettricità nel tessuto color piombo. Il tuono fece il
rumore di una tela strappata in maniera lenta e deliberata, e si concluse con un’esplosione che fece letteralmente tramare
l’edificio fin dalle fondamenta.
Il viso
della donna si tinse un attimo di bianco.
«Poi
però me ne pentii. Forse è per questo che ho deciso di portarti qui, non voglio
far soffrire Bella più di quanto tu abbia già fatto
con la tua sola presenza».
Il
mondo, quel grande e pacifico universo che Callisto conosceva, le sembrò crollare,
sbriciolandosi in mille pezzi. Tutti quegli anni, di sorrisi, d’allegria, di
gesti d’amore… fallaci sogni che come castello di sabbia, erano crollati con la
prima mareggiata.
«Ora fai
parte di questa famiglia che ti piaccia oppure no». Disse
con veemenza Narcissa. «Dovrai abituarti, oppure Lucius te lo farà piacere con
le bastonate».
«S-siete
sei mostri» disse la bambina.
Hai ragione, la mia mano è macchiata di
sangue, ma la tua non è diversa…e questo tu lo sai bene».
Callisto
si tappò le orecchie, mentre quelle parole le trapassavano il cervello come un
trapano.
La donna sospirò. «Ho sempre desiderato
una figlia, ma purtroppo dopo il mio Draco non ho
potuto avere altri bambini...» sembrò che
improvvisamente un’ombra fosse passata sul suo viso, oscurandolo e velandole
gli occhi di profonda tristezza. Però riacquistò subito
il suo portamento fiero ed elegante. «Quando sarai pronta»
disse con orgoglio «Ti faremo sposare con qualche ricco signore, e
finalmente la casata dei Black riacquisterà un po’ del lustro degli anni
passati. Tu sei nata in questo mondo luccicante di gioielli e titoli
altisonanti, ed è questo che va bene per te ».
Voltandosi e tenendo sollevati i lembi
della lunga gonna, Narcissa si avviò verso la porta, però cambiò
improvvisamente idea e girandosi si rivolse nuovamente a lei: «Ricordarti che è
per pura cortesia se ti abbiamo ospitato qui» aggiunse «
Quando avremmo potuto benissimo lasciarti in un qualsiasi orfanotrofio
babbano. Credo che milioni di ragazzini sarebbero felici di prendere il tuo
posto. Perciò devi esserci grata. E
d’ora in poi esigo di essere chiamata zia o signora, chiaro?»
«Sì» rispose mesta la bambina.
«Sì che cosa?» l’interrogò
puntigliosamente Narcissa sollevando appena un fine sopracciglio biondo.
«Sì zia».
La porta sbatté e un altro tuono
esplose facendo tremare i vetri.
Callisto aspettò, finché l’echeggio dei passi non risuonò lontano, istintivamente mise
una mano in tasca e sentì qualcosa di morbido sotto le dita. Ritrasse la mano e
si trovò a stringere un nastrino nero. Chiunque la conoscesse bene, sapeva che
Callisto stava inventando qualcosa quando i suoi
lunghi capelli erano raccolti con un nastro.
In un mondo di oggetti
abbandonati e materiali scartati, lei sapeva che c’era sempre qualcosa,
qualcosa che poteva trasformare in quasi ogni congegno in quasi ogni occasione.
Si legò la chioma, e d’improvviso le venne un’idea; con l’aiuto di lenzuola,
coperte e sedie trascinate in mezzo alla stanza, fabbricò una rozza tenda e vi
si mise di sotto, mentre la pioggia fuori ticchettava incessantemente, e lì,
dopo molte ore, crollò addormentata, con ancora il cuore pesante come piombo.
Rifugio: è una parola che qui significa
un piccolo posto sicuro in un mondo inquietante. Come un’oasi in mezzo ad un grande deserto o un’isola nel mare in tempesta.
Callisto si godette la serata nel
rifugio che aveva costruito, ma in cuor suo sapeva che il mondo inquietante era
appena fuori di lì.