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Autore: Plume de cristal    18/05/2005    2 recensioni
Callisto, una bambina speciale, solitaria, dalle doti assai particolari. Un giorno succede un tragico incidente che cambierà il suo modo di vivere, catapultandola dalla povertà della sua umile casa nei salotti dell'alta borghesia, tra le braccia di un uomo crudele che l'insegnerà la sottile arte della magia nera. La sua sarà la voce narrante che attraverso tristi vicende ci racconterà i più oscuri e sanguinari segreti dei maghi purosangue. Non è un gioco. Dietro a quel telo di nobiltà c'è un mondo dove topo mangia topo. E potrebbe essere solo l'inizio. Buona lettura.
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange, Severus Piton
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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La sala grande era gremita di studenti, le risate, i chiacchiericci risuonavano nell’aria come cori argentini, simili al tinti

                                            La casa delle ombre

 

 

 

 

 

 

D

                     

ue uomini sedevano nel salotto Privato; una vasta stanza dedicata solo alle riunioni più importanti, e dove i commensali si sedevano intorno ad un elegante tavolo ovale di lucente palissandro, sul quale si trovavano vari bicchieri e caraffe, e una rastrelliera d’argento con una fila di pipe. L’arredamento era molto sfarzoso, con le pareti di marmo verde scuro venato appena di grigio fumo, che sembravano inglobare nelle loro profondità recondite la debole luce dei candelabri, in modo che regnasse perpetua l’oscurità; accentuato dal fatto che tutte le finestre a rosone erano chiuse da pesanti tendaggi di velluto color bottiglia, che non sembravano mai essere stati scostati per lasciar entrare la luce del sole. Alcuni muri erano tappezzati d’arazzi intrecciati molto laboriosamente anni addietro dai toni sanguigni ormai stinti dal tempo ma con ancora i disegni ancora chiari e brillanti che raffiguravano uomini all’attacco, oppure bestie mitologiche e incantesimi arcani tessuti nella fitta trama in lingua arcaica, in modo che tenessero quel luogo di invisibile mistero agli occhi stranieri.

L’alto soffitto a cattedrale era tenuto da quattro granitiche colonne poste ai vertici della stanza; esse erano incise con figure di grossi serpenti in rilievo, che si avvolgevano a spirale lungo quasi tutto il tronco, e la loro testa, dalla bocca scoperta e i denti veleniferi ben in vista, sbucava da appena sotto il capitello. Erano così veritieri che sembravano strisciare lungo l’architrave per poi sparire nelle tenebre. L’unica luce, lì dentro, veniva dal caminetto, ove una vivida fiamma di ceppi si assestò lievemente, spruzzando faville su per la canna fumaria.

Benché fosse bello, quel salone aveva un qualcosa di spigoloso e asettico, tutto era pulito e ordinato, un po’ troppo per essere definito “vivibile” ed era privo del calore che si prova in un abitazione vissuta, come se fosse perpetuamente velato da una specie di oscura cortina, un anatema che faceva in modo che se anche il sole battesse a picco sul nastro azzurro del cielo, lì dentro vi fosse  sempre più ombre che luce, ombre che inghiottivano i lucenti mobili di mogano, coprendoli di una patina nerastra e informe, e  faceva piombare il  freddo. Molto freddo. Inoltre la casa sembrava stringersi intorno ai proprietari come una fortezza. Vuota. Severa e triste.

Se era vero il detto che la casa rispecchiava il carattere dei suoi abitanti, allora avevano ragione, perché non c’era famiglia più fredda e ombrosa di quella dei Malfoy.

«Signor Malfoy, il suo gesto è davvero notevole!» trillò sinceramente meravigliato il Ministro della Magia Cornelius Caramell, asciugandosi il sudore dalla fronte pelata  con un fazzoletto. Le sue tozze dita, somiglianti a salciccia tamburellarono nervosamente sulla tesa del cappello a bombetta di un vistoso colore verde acido che egli portava in grembo «Occuparsi della figlia del suo amico, in circostanze così tragiche, lei ha veramente un grande cuore».

Lucius, immerso nell’ombra, sorrise galantemente, ma il suo sorriso non si estese fino ai pallidi occhi, che rimasero freddi ed immobili.

C’era un forte contrasto tra lui e il grassoccio Ministro. Lucius era un uomo alto dalle spalle possenti, dal ceruleo viso crudele, con gli occhi che sembravano mandar lampi e accendersi di un riso selvaggio. Era un viso da cui esser dominati, o con cui lottare; non certo da poter considerare con condiscendenza o compassione, mai.

Ogni suo movimento era ampio e perfettamente equilibrato, come quello di un animale selvatico, e tutte le volte che compariva in una stanza come quella faceva appunto pensare a un animale selvatico chiuso in una gabbia troppo piccola.

Si portò il bordo della tazza vicino alle labbra severe, singolarmente strette e sottili e bevve un breve sorso di the prima di rispondere al ministro «L’ho preso come un dovere, Ministro» disse con falsa modestia«Come potevo lasciare una povera bambina in mezzo alla strada? E poi non c’è da escludere che è la mia figlioccia e poi Severus ha chiesto esplicitamente che me ne occupassi io, visto la mia posizione agiata. Lui purtroppo con il suo misero stipendio di insegnante può a malapena pensare a se stesso, figurati ad un figlio…»

Malfoy abbassò improvvisamente la voce, i suoi occhi, guizzavano maligni qua e là nella stanza, percorrendola come il raggio d’una torcia: scrutando, perlustrando, esplorando ogni angolo come se fosse alla febbrile ricerca di qualcosa. Freddi dapprima, poi sempre più roventi a ogni balenio di quel loro sguardo letale.

«Detto tra noi, signor Caramell, Piton non è quello che si dice un tipo magnanimo. Come lei sicuramente saprà, egli faceva parte dell’esercito di Lei-sa-chi, anzi, era uno dei suoi alleati, più….intimi, diciamo, ecco perché non ci si può fidare; infatti è stato proprio lui  ad obbligarmi a diventare Mangiamorte dopo aver partecipato ad una loro riunione. A quell’epoca ero ancora giovane e sciocco, e le promesse di denaro e grandezza mi hanno fatto gola, ho provato a dirgli che non volevo, ma ha minacciato di raccontare tutto alla mia famiglia, se non stavo al gioco…»

La bocca del Ministro  si spalancò in una “O” perfetta,  chiaramente sconvolto dalla rivelazione.

«Ma devo ancora chiarire chi è la madre della bambina?»

«Bellatrix. Bellatrix Lestrange, che è anche mia cognata e sorella di mia moglie».

«Questo è scandaloso!» sbraitò battendo un pugno sul tavolino.

«Concordo, non mi stupirei se la defunta avesse deciso di togliersi la vita spontaneamente, spero solo che Chryseis, dio l’abbia in gloria, non abbia sofferto molto nell’esalare il suo ultimo respiro». Malfoy fece una pausa ad effetto in modo che quelle parole, così grevi e solenni, rimanessero impresse nella mente di Caramell. L’unico rumore era quello sei ceppi che scoppiettavano dentro alla fornace, e che faceva pensare ancor più realmente all’incendio distruttore. Il viso di Lucius era triste per la tragica perdita, invece i suoi occhi ridevano spietati, rivelando tutto il suo divertimento. « Io e mi moglie Narcissa ci prenderemo personalmente cura di Callisto, come se fosse figlia nostra…»

Qualcosa di terribile era celato in quelle parole, ma Caramell non riuscì a coglierlo,

«Questo farà una buona impressione al comitato del Wizgamot interloquì invece, con soddisfazione. «So che  devono processarla tra qualche giorno per la faccenda della alleanza con i…Mangiamorte, vero?»

«Sì, anche se si tratta in dubbio di un terribile disguido» rispose pomposamente Malfoy “«Che spero di sopperire presto, in quanto a nuovo tutore di Angel e grazie ad una generosa” sottolineò la parola» donazione all’Ospedale San Mungo, sperando solo che lei metta una buona parola con i membri del consiglio, naturalmente per la mia inequivocabile generosità. La vostra opinione influenzerebbe molto il risultato dell’udienza» .

Tirò fuori dal mantello un sacchetto di pelle rigonfio, che gettò  spezzante sul tavolo con un  tintinnio soave di monete.

Gli occhi di Caramell si colmarono di cupidigia, arraffò frettolosamente il sacchetto, guardandosi attorno rapace, come se temesse che qualcuno sbucasse fuori dal muro, e lo fece scomparire soddisfatto dentro al mantello gessato.

«Certo, mi avete dimostrato tutta la vostra buona fede, Lucius» gongolò infine, sprofondando comodamente nella poltrona e sorseggiando il suo the  con un disgustoso risucchio. «Un uomo del vostro stampo non può assolutamente essere un Mangiamorte, dovete essere stato stregato da qualche subdolo tranello».

«È quello che penso anch’io» assentì Malfoy «Ma purtroppo le malelingue sono dappertutto e il giornale tende a gonfiare le notizie».

«Non si preoccupi, sono solo chiacchiere, si dissiperanno pesto. Bene, è stato bello parlare con lei,  ma ora ho altri impegni che mi attendono».

Lucius si alzò e strinse affabilmente la mano a Caramell con uno stonato sorriso sul volto appuntito «Spero che l’udienza abbia buoni risultati, comunque ci incontreremo ancora al Ministero. Jinky vi accompagnerà verso l’uscita».

Un elfo dalla pelle color polvere  e due rotondi e sporgenti occhi gialli vestito semplicemente con una lurida e sfilacciata federa grigiastra fece  la sua comparsa e si curvò in un profondo inchino come un fedele maggiordomo, fino a che il suo puntuto naso a matita non toccò terra, e aspettò paziente il Ministro sulla soglia della sala. Caramell lo raggiunse e si voltò ancora un’ultima volta verso Malfoy.

«Arrivederci».

«Arrivederci» .

Malfoy aspettò che il Ministro uscisse prima di sorridere sornione “Sciocco pallone gonfiato” mormorò ridacchiando tra sé e sè.

Si girò con un elegante fruscio del lungo mantello, simile al rumore delle foglie morte.

I suoi passi echeggiavano sordi sul pavimento di legno, come se lui potentemente volesse farsi annunciare a gran voce a tutta la casa addormentata.

Raggiunse l’androne, dietro e davanti a lui i corridoi si spalancavano bui e umidi, simili a bocche sbadiglianti nel levigato pallore delle pareti.

A sinistra, le scale, già in ombra per metà, conducevano ad  un corridoio ancora più cupo. A destra, il pesante portone di rovere sembrava tendere la maniglia verso di lui in un beffardo, vano, gesto d’aiuto.

Malfoy Manor era un diabolico intrico di ambulacri bui e senza finestre, molti dei quali ciechi o irti di subdoli trabocchetti, che sembravano spuntare e finire nell’oscurità e si allungavano per chilometri e chilometri, facendoti sprofondare sempre di più nelle viscere della casa. Essi erano tutti perfettamente identici, per rafforzare ulteriormente la sensazione di smarrimento e confusione, fino a rasentare la pazzia. C’era solo una porta a Malfoy’s Manor. Quella d’uscita. Molti l’avevano cercata inutilmente, fino alla pazzia, altri erano morti nel tentativo, in ogni caso nessuno degli “Ospiti” speciali, amici di Lucius, che visitavano la casa era mai uscito per raccontare gli orrori che si celavano dietro a quella facciata aristocratica. Perdersi era molto facile, ritrovare la via del ritorno impossibile, ed era per questo che la villa era anche chiamata la “Magione del Dedalo”.

L’uomo raggiunse a passo piuttosto marziale l’ala Ovest, fino a raggiungere l’unica porta di una stanza situata in fondo ad un andito spoglio e senza finestre, in cui la penombra che vi regnava aveva il marchio dell’eternità, non toccata dallo scorrere del tempo. Tutto sembrava pietrificato in un limbo arido. Quello era un luogo dove un bambino non sarebbe mai riuscito a diventare grande.

Lucius prese da una tasca della veste una chiave d’ottone, che strinse nel palmo prima di inserirla nella serratura e farla scattare due volte. Aprì la porta di quello che sembrava un minuscolo studio, interamente adorno di scaffali pieni di libri e pergamene.

« Callisto ».

Callisto si girò di scatto e lo fissò con occhi spiritati, cercando di coprire con il corpo una pergamena srotolata dietro di lei, aprì la bocca, ma nessun suono le uscì, se non un pigolio spaventato.

«Rispondi, ragazza!» esclamò l’uomo, battendo il bastone sul palmo della mano.

Il suo occhio di falco fu attratto magneticamente dal piano della scrivania, e la sua espressione d’improvviso divenne dura come la pietra, mentre i suoi occhi metallici ardevano rabbiosi «Cosa nascondi là dietro?» esclamò con tanta violenza da far girare la bambina su se stessa come un cavatappi.

«Niente, davvero…» balbettò la piccola.

Sotto la stretta dell’uomo, il bastone si inarcò come un gatto.

«Non mentirmi, bambina» sibilò «Nessuno può prendere in giro Lucius Malfoy» Callisto fu percorsa da un tremito e non rispose. L’uomo rilasciò la punta del bastone, che fendette l’aria con un sibilo agghiacciante. Poi con quel tono vellutato che faceva pensare a miele spalmato sulla carta vetrata disse:«Devi sempre dire tutto al tuo tutore Lucius, lo sai quanto ci tengo a te». Fece una breve pausa, come pere controllare l’effetto delle sue parole. Provò a ridere, ma la risata gli raspò la gola,  si bloccò e si spense, prima d’aver visto la luce.

Callisto deglutì rimanendo silenziosa.

Con un gesto sprezzante, Malfoy spinse senza alcun riguardo la  bambina da un lato per passare, facendola quasi sbattere contro una parete, e prese tra le mani inguantate il foglio ingiallito, che lei tanto aveva cercato di celare. Sopra di esso era schizzato uno scarabocchio che rappresentava una donna sorridente.

Ci fu un silenzio di tomba, la calma prima della tempesta. L’unico movimento era il tremore rabbioso delle spalle e delle mani dell’uomo.

Quando Malfoy si voltò, i suoi occhi lampeggiavano d’ira «Ti sembra divertente?» le chiese con ferocia, lasciando il suo tono mellifluo e ruggendo come un leone ferito. La carta incriminata s’incendiò da sola e fluttuando nell’aria si consumò lentamente fino a diventare a posarsi per terra come cenere.

«Ero stanca volevo solo riposare…» mormorò debolmente la bambina.

Una grossa vena spuntava dalla tempia di Malfoy, pulsando come la gola di un usignolo. La sua voce era aspra e dura.

 «Riposare? Dopo che io ti ho accolto nella mia dimora e dato l’opportunità di studiare privatamente tu mi ringrazi così? »

Lucius aveva incominciato a spostarsi da una parte all’altra, impedendole ogni via di fuga. Angel aveva il muro alle spalle. Non c’era speranza di evitare la fustigazione.

Il viso dell’uomo si contrasse in un grottesco sorriso, però i suoi occhi fiammeggiavano rabbiosi. Callisto non aveva mai visto occhi così orribili.

«Quello che ti serve, ragazza mia» disse lascivo con la voce che tremava di perversa eccitazione «È la disciplina» sottolineò duramente la parola. «Per anni hai fatto quello che hai voluto, ma adesso le cose sono cambiate, non è più tempo per giocare, in casa mia o si ubbidisce ai miei ordini o si viene puniti». Il bastone di legno colpì ancora il palmo aperto con uno schiocco secco che fece tremare la ragazza da capo a piedi.

«Mi dispiace signor Malfoy, non lo farò più».

«Allora, non lo farai più, eh, ragazza? Sarai fortunata se avrai delle gambe su cui reggerti in piedi, dopo che avrò finito, mia pigra bestiola».

Sollevò il bastone e lo tenne sospeso, come una bacchetta magica il cui tocco, però, avrebbe recato solo distruzione.

Callisto emise un verso stridulo, a metà tra un grido e un singhiozzo, e si rattrappì contro al muro, schermandosi convulsamente il viso con le mani. «No!».

Per un moneto l’uomo s’ immobilizzò così, con il braccio levato, come una spaventosa statua vivente. Poi, lentamente, il bastone si riabbassò.

«No…» disse, in un’ eco beffardo del grido di Callisto.  «Stavolta proveremo un metodo nuovo».

Fece una pausa, mentre la bambina levava lo sguardo su di lui, in attesa di una spiegazione.

«Non ti piace il buio, vero, piccola?»

Lei lo fissò ammutolita, senza capire. Le sue labbra tremavano.

«Immagina una foresta, a notte fonda: l’ululato di creature invisibili, il luccichio di occhi sconosciuti, un battito d’ali alle tue spalle, e la paura del pericolo in agguato. Terribile, non è vero?» ghignò l’uomo. «Non sai dove sei. Non sai dove sai andando. Però puoi correre. Sì è una foresta grandissima. C’è tantissimo spazio. Puoi almeno provare a scappare…»

Un suono, simile al guaito d’un cucciolo percorse, quasi impercettibile,  la stanza. Le labbra dell’uomo si piegarono in una smorfia crudele. Stava tessendo la sua perfida ragnatela, e come un ragno, aspettava che le vittime vi cadessero. Riprendendo la tessitura, assaporò il potere chiuso nel palmo della mano.

«Che cosa può esserci di peggio? A meno che…» fece una pausa e si avvicinò alla piccola. «A meno che…tutt’a un tratto non hai più dove scappare…L’universo intero si racchiude su di te…Pensa, nel cuore della notte, le tenebre e l’ignoto e tutta           quella paura…E tu, chiusa in luogo così piccolo da non poterne fuggire!» Con un ringhio si lanciò sulla bambina, la afferrò per il colletto dell’abito e la sollevò di peso. «Dentro, adesso!» urlò, e, aperta la porta di un armadio ad angolo, ve la spinse dentro.

Si levò un ultimo grido disperato, che echeggiò nella stanza, penetrò le mura e scese fin nelle fondamenta  della casa, finché l’intero edificio non parve vibrare in accordo a quel suono angosciato.

Era un lamento così miserevole, così tormentato, che sembrava gettare un ponte attraverso i secoli. Era un pianto che proveniva dall’inizio dei tempi.

Con un sorriso, l’uomo chiuse la porta dell’armadio, girò la chiave nella serratura e uscì dalla stanza.

 

 

                                                                                                       


**


 

 

Callisto sedeva in terra, rannicchiata su se stessa e la schiena contro una parete di quell’armadio che ogni secolare istante che passava sembrava stringersi di più, togliendole il respiro dai polmoni gonfi d’aria repressa e paura.

Tutto ciò che fuoriusciva dalla sua bocca semiaperta era un rantolio affannoso, pesante, che inquinava l’aria ancora pulita, facendola annegare poco a poco nelle tenebre, senza uno scoglio su cui appigliarsi.

Si sentiva stringere, soffocare da una morsa invisibile che l’avvolgeva come una pesante coltre, non c’erano vie di fuga, tutto l’universo era chiuso in quello spazio angusto, tutto intorno a lei, che come lei si dibatteva con le unghie e con i denti per ritrovare la libertà.

Improvvisamente qualcuno girò la chiave nella toppa, e la luce, come un coltello, tagliò le tenebre. La bambina con uno squittio disperato si rattrappì, con la paura che Lucius fosse tornato a compiere la sua missione di demolizione. Tremava come la coda di un serpente a sonagli, e i suoi occhi vitrei erano fissi sulla porta semi aperta, diabolicamente invitante. «Esci» disse una voce di donna, in tono autoritario.

Callisto si avvicinò all’uscio, e sbirciò con un occhio il campo, se la via era libera.

«Non ti preoccupare» la rassicurò la voce femminile, con  voce leggermente nasale. «Lucius se ne è andato».

Rincuorata, Callisto uscì allo scoperto.

Narcissa, moglie di Lucius, la guardò con freddezza in un angolo, con le sottili braccia incrociate al petto.

Callisto rimase colpita da quella bellezza sfiorita, come una rosa bianca sciupata per essere rimasta troppo a lungo in un vaso di cristallo. Narcissa aveva un bellissimo viso, piccolo, ma perfetto in ogni dettaglio, che sembrava scolpito nell’alabastro più puro. Il bianco del viso risaltava con le labbra rosso rubino, unico tocco di colore in mezzo alla neve.

Gli occhi, due biglie celesti come il cielo in estate, erano morti, ghiacciati, come stagni gelati, svuotati completamente della loro luce da anni e anni di permanenza in quella casa e dalla presenza di Lucius.

«Grazie».

Narcissa sollevò appena gli angoli della bocca, dopodiché si sistemò, con un certo vezzo  narcisistico, l’acconciatura, che peraltro non aveva bisogno di cure, impeccabile come la sua graziosa figura; lei, al pari della sua dimora, aveva un che di impersonale, e come un qualsiasi soprammobile di Malfoy Manor il suo aspetto esteriore doveva apparire sempre perfetto e pulito. Arricciò appena il naso all’insù -in un gesto aristocraticamente sdegnato- nel vedere il viso sporco della fanciulla, così le si inginocchiò affianco pulendoglielo con un fazzoletto ricamato e sistemandole i capelli arruffati, in un gesto che forse doveva sembrare affettuoso, ma anche quello risultò solo sbrigativo, come una pesante incombenza da concludere rapidamente.

«Sei piuttosto bruttina» borbottò studiando attentamente il volto di Callisto da vicino, prendendolo tra le lunghe dita dalle unghie laccate di rosso. «Non assomigli affatto a tua madre, lei era davvero bella. Per fortuna i bambini crescono e con il tempo maturano e cambiano».

Callisto sgranò gli occhi per la sorpresa. «Lei ha conosciuto mia madre?»

«Certo» rispose veemente Narcissa, come se fosse la cosa più naturale al mondo. «Lei era mia sorella. Eravamo molto legate noi due da piccole».

«Io però non ho mai sentito parlare di lei».

Il viso della donna si contrasse in una smorfia di disappunto. «Mia cara» esclamò con voce acuta e via via più furiosa. «Mi vuoi far credere che nessuno ti ha mai detto che fine avevano fatto i tuoi genitori?»

«La zia ha detto che morirono in un incidente d’auto appena dopo la mia nascita» rispose timidamente la bambina sorpresa da quel improvviso cambio d’atteggiamento.

«Morti? Morti?» sbraitò la donna «Temevo che quella stolta di Chryseis avrebbe cercato di nascondere il tutto, ma mai fino a questo punto…»

Chiuse gli occhi e respirò con calma, cercando di riprendere il controllo. Poi si rigirò verso la sua interlocutrice. «Fu proprio a lei che promisi di prendermi cura di te» disse con voce dolce ma ferma, con un velo di tristezza in quelle grevi parole.

«Callisto, tu sei mia nipote».

La mente della bambina parò quel colpo, senza che quella idea, così assurda, le entrasse in mente.

«Cosa

«Tu sei figlia di Bellatrix Black e Severus Piton» ripeté meccanicamente Narcissa con gli occhi chiusi, come se recitasse delle parole incise all’interno della proprie palpebre. «Erede dei due Mangiamorte più famosi all’interno della cerchia Oscura. I tuoi genitori erano i più intimi sostenitori di Colui-che-non-deve-essere-nominato e sono crollati con lui nel giorno della sua disfatta. Adesso lei marcisce ad Azkaban e tuo padre si è rifugiato ad Hogwarts alla ricerca della protezione di Silente».

«NO…» mormorò Callisto,  sentendo qualcosa che le si spezzava nel petto.

Narcissa sogghignò «In effetti è piuttosto singolare che la figlia dei più famosi Mangiamorte sia nata proprio nel giorno della distruzione del loro signore, mentre uno stupido ragazzino si prendeva fama e gloria per questo».

Le si avvicinò a passi leggeri, mentre nei suoi occhi imperversava una fredda collera.

«È vero nipote» disse. «Un tempo volevo che il posto di Bellatrix accanto all’Oscuro Signore fosse mio. Era così sbagliato nutrire qualche ambizione? Era così sbagliato chiedere qualcosa in cambio di tutti gli anni in cui guardato le mie sorelle guadagnarsi tutta la gloria e il consenso?». Ghignò. «Ma tu sei figlia unica: come puoi sapere che cosa vuol dire vivere nell’ombra di qualcuno?»

Strinse le mani a pugni, il suo sguardo magnetico era catturato verso di lei.

«Questa è una scena per farti ridere» disse la donna come se stesse parlando alla casa intorno a sé. «Le mie sorelle sono sempre state forti. Bellatrix la dea e Andromeda l’avventuriera coraggiosa. Io?» Rise senza ironia. «Io? Ero  sempre e solo Narcissa la debole. Narcissa la sorella di mezzo. carne né pesce. Non ero bella e popolare come Bellatrix, né vincente come Andromeda. I miei genitori hanno sempre preferito loro a me, per anni ho dovuto stare zitta mentre le mie sorelle si crogiolavano nell’alloro dei loro successi».

Le labbra sanguigne si schiusero in un ghigno folle. «Ma poi nascesti tu, prima del matrimonio con Lestrange. Una spuria, e i miei genitori finalmente si accorsero che la loro perfetta figlia non era poi così perfetta».

Esplose in una risata roca, gelida. « Naturalmente non volevano disonorare il loro nome della casata “Toujours pur” costruito con fatica dai nostri avi, almeno non quanto avesse già fatto quell’idiota di mio cugino Sirius, la pecora nera della famiglia… »

Il vento ululava, con l’intensità di un branco di lupi, portando sferzate di pioggia addosso alla finestrella. Attorno a loro la casa scricchiolava cercando di resistere alla gelida furia dell’uragano, e gemeva come uno spirito senza quiete.

«Naturalmente la cosa dopo molte discussioni fu sotterrata, quando si trattava della loro figlioletta preferita tutto andava bene, oppure per cadere più in basso di quando Andromeda scappò  con quell’insulso babbano, Ted Tonks. Le ordinarono di sbarazzarsi di te. Eri un bambino fuori dal vincolo coniugale, suo marito naturalmente non ti volle, e neanche tuo padre si incaricò di  prendersi cura di te, infondo che se ne faceva di una ragazzina? Almeno se portavi a casa una paga, saresti sta utile, invece eri solo un peso, una bocca in più da sfamare, così ti affidò ad una lontana parente. Lei fu l’unica che ebbe un po’ di fegato per prendere con sé una bambina maledetta, nessuno si sarebbe voluto maritare con una che aveva un fardello simile sulle spalle».

Il suo sguardo da rabbioso si fece improvvisamente triste e colpevole. Lo abbassò al livello del pavimento, quasi si vergognasse troppo per guardare Callisto in faccia.

«Quando appresi la notizia che volevano diseredare Bella e lasciare tutto a me per la prima volta nella mia vita mi sentii…felice. In quel momento le augurai persino di morire sola come un cane. Non m’importava se il sangue del mio sangue non avrebbe avuto i soldi per pagarsi una pensione dove pernottare; ero soddisfatta di me perché avevo sposato Lucius, dopo quel giorno infatti tutti mi videro con luce nuova.  Sono stata l’unica ad aver onorato come ai vecchi tempi la Casa dei Black, dopo le delusioni di Andromeda, Bellatrix e Sirius…»

Un lampo bianco saettò per un attimo nel cielo, tracciando una scia bianca satura di elettricità nel tessuto color piombo. Il tuono fece il rumore di una tela strappata in maniera lenta e deliberata, e si concluse con un’esplosione che fece letteralmente tramare l’edificio fin dalle fondamenta.

Il viso della donna si tinse un attimo di bianco.

«Poi però me ne pentii. Forse è per questo che ho deciso di portarti qui, non voglio far soffrire Bella più di quanto tu abbia già fatto con la tua sola presenza».

Il mondo, quel grande e pacifico universo che Callisto conosceva, le sembrò crollare, sbriciolandosi in mille pezzi. Tutti quegli anni, di sorrisi, d’allegria, di gesti d’amore… fallaci sogni che come castello di sabbia, erano crollati con la prima mareggiata.

«Ora fai parte di questa famiglia che ti piaccia oppure no». Disse con veemenza Narcissa. «Dovrai abituarti, oppure Lucius te lo farà piacere con le bastonate».

«S-siete sei mostri» disse la bambina.

Hai ragione, la mia mano è macchiata di sangue, ma la tua non è diversa…e questo tu lo sai bene».

Callisto si tappò le orecchie, mentre quelle parole le trapassavano il cervello come un trapano.

La donna sospirò. «Ho sempre desiderato una figlia, ma purtroppo dopo il mio Draco non ho potuto avere altri bambini...» sembrò che improvvisamente un’ombra fosse passata sul suo viso, oscurandolo e velandole gli occhi di profonda tristezza. Però riacquistò subito il suo portamento fiero ed elegante. «Quando sarai pronta» disse con orgoglio «Ti faremo sposare con qualche ricco signore, e finalmente la casata dei Black riacquisterà un po’ del lustro degli anni passati. Tu sei nata in questo mondo luccicante di gioielli e titoli altisonanti, ed è questo che va bene per te ».

Voltandosi e tenendo sollevati i lembi della lunga gonna, Narcissa si avviò verso la porta, però cambiò improvvisamente idea e girandosi si rivolse nuovamente a lei: «Ricordarti che è per pura cortesia se ti abbiamo ospitato qui» aggiunse « Quando avremmo potuto benissimo lasciarti in un qualsiasi orfanotrofio babbano. Credo che milioni di ragazzini sarebbero felici di prendere il tuo posto. Perciò devi esserci grata. E d’ora in poi esigo di essere chiamata zia o signora, chiaro?»

«Sì» rispose mesta la bambina.

«Sì che cosa?» l’interrogò puntigliosamente Narcissa sollevando appena un fine sopracciglio biondo.

«Sì zia».

La porta sbatté e un altro tuono esplose facendo tremare i vetri.

Callisto aspettò, finché l’echeggio dei passi non risuonò lontano, istintivamente mise una mano in tasca e sentì qualcosa di morbido sotto le dita. Ritrasse la mano e si trovò a stringere un nastrino nero. Chiunque la conoscesse bene, sapeva che Callisto stava inventando qualcosa quando i suoi lunghi capelli erano raccolti con un nastro.

In un mondo di oggetti abbandonati e materiali scartati, lei sapeva che c’era sempre qualcosa, qualcosa che poteva trasformare in quasi ogni congegno in quasi ogni occasione. Si legò la chioma, e d’improvviso le venne un’idea; con l’aiuto di lenzuola, coperte e sedie trascinate in mezzo alla stanza, fabbricò una rozza tenda e vi si mise di sotto, mentre la pioggia fuori ticchettava incessantemente, e lì, dopo molte ore, crollò addormentata, con ancora  il cuore pesante come piombo.

Rifugio: è una parola che qui significa un piccolo posto sicuro in un mondo inquietante. Come un’oasi in mezzo ad un grande deserto o un’isola nel mare in tempesta.

Callisto si godette la serata nel rifugio che aveva costruito, ma in cuor suo sapeva che il mondo inquietante era appena fuori di lì.

 

 

 

 

             

  
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