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Autore: paige95    09/06/2021    4 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Gioventù sepolta
 

 

 

Ospedale di Charikar - a tre quarti d’ora da Kabul, 13 settembre 2018
 

Era sopraggiunta l'alba ormai dopo una notte spesa nella più cupa trepidazione. Il sangue del generale si era incrostato tra le dita di Christian come prova delle ore concitate trascorse da quando aveva soccorso il superiore. Un elicottero dell’aeroporto di Bagram aveva scortato entrambi i militari a chilometri da Kabul, in uno dei pochi nosocomi risparmiati dalle bombe nemiche. Il seal era rimasto accanto a Flores per tutto il tragitto; lo aveva abbandonato alle cure dei camici bianchi solo dopo che la porta in laminato della sala operatoria venne richiusa a pochi centimetri dal suo volto sfinito. Avrebbe desiderato accompagnarlo nei difficili momenti che sarebbero seguiti, ma i medici erano stati categorici sulla sua presenza, era troppo agitato per infondere quiete ad un uomo in fin di vita.
Christian, in alternativa, si era rifugiato in un rudimentale bagno e lì fece scorrere l’acqua ghiacciata prima sulla mano destra e poi sulla sinistra rovesciandola da una tinozza in terracotta. Uno specchio sopra il lavabo ingiallito restituiva l’immagine di un uomo spossato e ferito. Era accaldato per la forte tensione che aveva accumulato. Passò i palmi umidi sul viso e sul collo; trovò refrigerio, ma non la pace dei sensi. Nel silenzio della stanza il ronzio all'udito che non lo aveva mai abbandonato diventò più acuto. Cercò il modo per sovrastare le conseguenze della granata di cui era rimasto vittima pochi giorni prima, recuperò il telefono dalla tasca della divisa e scorse la batteria quasi scarica. Era un segno evidente, non avrebbe dovuto angustiare sua moglie, la sua unica fonte di certezze e pace. Stava riponendo l'apparecchio, spinto da un moto altruistico - e a tratti masochista - che gli era proprio. Intravide tardi un paio di messaggi in segreteria da parte di Katherine. Li ascoltò, ma dall’altra parte non udì parole, bensì un sospiro rassegnato, come se lei si stesse trattenendo. Comprese i suoi silenzi: se gli avesse spiegato a parole il messaggio, non gli sarebbe stato così chiaro. Abbassò le palpebre e lasciò che il pensiero della sua famiglia invadesse la mente stanca. Era stata sua figlia ad indicargli la via del cielo, non era escluso che il ricordo di Katherine e Alisia potesse illuminarlo ancora, mai come allora necessitava di una loro guida.
Quando riaprì gli occhi nulla era cambiato, la sua divisa era ancora imbrattata del sangue di Flores. Sua moglie teneva la stoffa impeccabile, lei si sarebbe premurata di togliere i segni dei tragici momenti che aveva vissuto accanto all'ufficiale. Era una sciocchezza in territorio di guerra, ma gli mancavano le sue amorevoli cure fisiche e morali.
Una improvvisa spia da codice rosso spaventò Christian e irrigidì la sua muscolatura già in tensione, temeva per le sorti del generale più di quanto avrebbe ammesso. Si appoggiò al lavello madido e abbassò lo sguardo cercando di calmarsi. In quella giornata infernale aveva perso valorosi compagni, una parte di loro aveva subìto ferite gravi, la restante parte se l’era cavata con lievi traumi. La base poggiava ancora sulle fondamenta, ma al prezzo di più di una vita umana che aveva scelto volontariamente di affiancare il generale Flores. Era stato, a suo parere, un sacrificio inutile paragonato alle perdite, ma non era lui il comandante, per cui non aveva alcuna voce in capitolo sul destino del loro centro operativo.
Il tenente non invidiava coloro che avrebbero dovuto comunicare alle famiglie la tragica dipartita dei loro cari. Avevano consegnato a lui gli effetti personali di quegli sfortunati soldati, ma non aveva avuto ancora il coraggio di guardare ciò che rimaneva di loro ed era da riportare in Patria. Non sarebbe stato presente quando avrebbero fatto rientro in America, non avrebbe assistito al pianto dei famigliari che aveva tutto tranne il sapore del valore dei caduti ma solo della grande perdita che avrebbero dovuto affrontare. Era ciò che rischiavano ogni giorno tutti loro, oltre i gradi che esibivano sul petto. La sensazione di essere nel posto sbagliato sorgeva anche nella mente del tenente e la dolorosa accondiscendenza di sua moglie non gli infondeva serenità. 
Un’infermiera comparve sulla soglia del bagno interrompendo il raccoglimento del militare. Christian avrebbe voluto ringraziarla, il pensiero in territorio di guerra era il veleno dell'anima. Le rughe della donna erano accentuate dalla sofferenza che leggeva ad ogni nuova alba sul volto delle vittime civili.
«Capitano Richardson?» 
Non lo conosceva personalmente, le avevano solo raccomandato di cercarlo; il volto provato e l'uniforme macchiata da sangue fresco non resero difficile il riconoscimento. L'uomo che trovò era prosciugato della sua vitalità, la accolse manifestando solo una gran premura, accantonò qualsiasi cerimonia di saluto che era solito porgere. 
«Come sta il generale?»
«È nelle mani dei dottori. L’operazione si sta protraendo, il proiettile si trova ancora nella ferita, sembra essere in profondità. I medici dicono che è un intervento delicato, bisogna avere pazienza»
Christian rifletté sulla voce delicata dell'infermiera scrutando la propria immagine distorta nello specchio, era fiducioso sul fatto che i medici sarebbero riusciti a salvarlo, almeno ci sperava. 
Voleva dare giustizia a Flores, prendere i criminali che lo avevano colpito, non potevano restare impuniti anche se si trovavano in un territorio in cui lealtà e punibilità erano relative; si uccideva come se fosse la norma, si abbatteva il nemico come se fosse un bersaglio mobile da rovesciare e non una persona dai diritti inalienabili, in primis quello della vita.
Era convinto avessero smosso le acque e i timori di coloro che tenevano in pugno l'ospedale. I sequestratori avevano cercato di neutralizzare loro, il nemico, principiando una guerra nella guerra. Christian non era solito attaccare nella massa, lui elaborava strategie per risparmiare quante più vite possibili. Era una differenza sottile se alla resa tutti impugnavano un'arma. Era umanità che valorizzava anche l'esistenza di spietati terroristi che non si facevano alcuna remora. Era ciò che il seal aveva imparato sulla propria pelle, ciò che gli aveva insegnato il destino, ciò che gli suggeriva la sua personale missione di pace.
Gli ostaggi si trovavano in grave pericolo e ogni perdita umana sarebbe rimasta indelebile nella coscienza del comandante. 
«Ho bisogno di quel proiettile, dica loro di conservarlo, mi serve per risalire agli aggressori del generale»
L'infermeria annuì complice, non era un soldato, ma dopo anni al fronte conosceva bene le priorità sul campo di battaglia. 
«Sarà fatto, signore. La cercavo per consegnarle questa busta. È indirizzata a lei. Si trovava nella divisa dell’ufficiale»
Il seal indugiò e lesse la scritta accanto all'intestazione prima di conservarla nella tasca più sicura della sua uniforme.

Da aprire solo in caso di morte

 

◦•●◉✿✿◉●•◦

 

Lo schiaffo era risuonato oltre la dura coltre di silenzio che era scesa tra i due giovani compagni d'armi. 
Gwendoline era instabile accanto al davanzale della finestra. Il dorso della mano con il quale aveva colpito Alexander in un impeto di frustrazione tremava sulle labbra, nel vano tentativo di contenere gli spasmi di un controllato pianto che lei non era intenzionata a versare. Non per lui, non più. Il cuore fremeva nell'incredulità di ciò che aveva appena compiuto. La gamba accuratamente fasciata dai medici cedeva a tratti, ma non se ne curò, lei non avrebbe preso posto sul materasso che l'aveva ospitata durante la notte, non se prima lui non si fosse alzato. 
Campbell non predicava il perdono, non era innocente e perciò non si oppose all'ira di lei. Rimase a testa bassa come se fosse stato di fronte alla più severa corte marziale e gli avessero già annunciato la reclusione militare (1) o peggio il congedo con disonore. Si aspettava qualunque provvedimento disciplinare per non aver sfruttato al meglio il libero arbitrio che il cielo gli aveva concesso e per non aver tenuto fede al giuramento pronunciato sulla bandiera americana; avrebbe sopportato le punizioni che gli spettavano, ma il disdegno con il quale la ragazza gli voltava le spalle era più difficile da accettare.
Le cicatrici che Alexander portava sul volto erano il segno inequivocabile della sua ribellione, ma Gwendoline non voleva sentire ragione, una kurta era sufficiente per renderlo uno schifoso traditore - così lo apostrofava da quando si erano ricongiunti.
Un leggero spostamento d'aria costrinse il ragazzo ad alzare lo sguardo. La giovane aveva recuperato la sua stampella per potersi avviare verso la porta della stanza, stanca di sopportare la presenza del soldato accanto a lei. Alexander non poteva consentire alla guerra di separarli, la stessa che entrambi avevano il desiderio di debellare per sempre. Le si parò davanti con il rischio che il gesto audace non fosse gradito da lei, aveva già testato su di sé i livelli della rabbia della sua compagna.
«Gwen»
«Alexander, non provare a giustificarti, non osare farlo! Resti un bastardo a cui non è importato nulla dei miei sentimenti. Non ti sei chiesto cosa avrei potuto provare se avessi perso anche te??»
Lui non lo stava facendo, era pienamente consapevole di aver oltrepassato il segno. Era stato temerario, incosciente e trasgressivo agli occhi della giovane, un comportamento che aveva compromesso la sua integrità. Non aveva trovato altro modo per raggiungere il suo scopo, ma per lei il fine non giustificava i mezzi usati. Era inconcepibile pensare che anche per lui valesse quel cinico principio machiavellico, almeno fino al giorno della sua scomparsa. Gwendoline aveva davanti un uomo totalmente diverso, macchiato dalle scelte che aveva compiuto.
«Ti ho perso davvero. Non sei più l'uomo che eri»
«Preferivi fossi morto??»
Non poté evitare di scrutarlo, i suoi lineamenti erano induriti, non riusciva ad avvicinare il pensiero di ritrovare in lui il ragazzo che era stato oltre gli sfregi che il suo volto sfoggiava. 
«Ma guardati, sei diventato uno di loro. Per quanto mi riguarda lo sei, tu non sei più tornato vivo da me»
Gwendoline tentò di allontanarsi, di dimenticare che lui esistesse ancora, voleva solo piangere in solitudine tutto ciò che aveva perduto mesi prima a seguito della sua scomparsa. Alexander le bloccò bruscamente i passi costringendola ad arretrare spalle al muro, offrendole comunque il tempo di indietreggiare con impaccio. La sovrastò, impedendole di ritrarsi posando un palmo sulla parete vicino a lei. La fissò con sguardo severo, convinto che ogni parola sarebbe servita a poco. Era colpevole, ma non aveva affatto dimenticato chi era stato, lei aveva frainteso.
La porta della stanza si spalancò interrompendo il loro contatto visivo. La reazione della ragazza fu quella che manifestava ad ogni emergenza che scattava a seguito di un attentato. I due giovani rimasero a guardare i soccorritori impegnati ad adagiare il ferito sul materasso intonso posizionato accanto a quello del militare. Gwendoline richiamò l'attenzione di Alexander in un sussurro per non disturbare le operazioni di soccorso e rendersi invisibili nella camera.
«Quanti ne hai uccisi? Quanti innocenti ti hanno chiesto di uccidere?»
Le iridi del soldato Ward erano imbevute di lacrime al solo pensiero che per mano del ragazzo di cui lei si era sempre fidata fossero state mietute nuove vittime. Alexander rimase sconvolto, non riusciva a credere che glielo avesse chiesto davvero; non gli rimase che abbassare lo sguardo imbarazzato e udire l'impercettibile ilarità sarcastica e delusa di lei.
«Sei un assassino»
L'accusa da parte di Gwendoline venne intensificata dal tragico passato della giovane recluta. Assassini erano coloro che avevano attentato alla vita di sua madre sulle Twin Towers. Assassini erano coloro che uccidevano donne e bambini nella terra di fuoco ogni giorno. Alexander poteva solo immaginare quanto la ferisse apostrofarlo in quel modo e quanto fosse rimasta ferita da lui per arrivare a tanto, per paragonarlo a quella  gente.
«Sarei voluto tornare subito. Mi hanno torturato, porto ancora i segni, ma io non ho parlato, non vi ho traditi. Non sono stato io a condurli fino alla base. Non ti ho tradito, Gwen, non avrei mai potuto tradire la tua fiducia e rischiare la tua incolumità. Mi hanno venduto come mercenario in cambio della vita. Non mi pento di non averti ascoltata, perché ora abbiamo informazioni utili e non avevo altri modi per ottenerle, in caso contrario sarei morto pur di non commettere atrocità. Sapevo che non avresti compreso,  fin dalla mia partenza non eri d'accordo»
Di cosa non si pentiva? Delle cicatrici che avevano deturpato il suo viso? O della sua anima diventata buia? E cosa l'avrebbe tranquillizzata sul fatto che non fosse ancora devoto alla jihad, per pura facciata o per convinzione? Come aveva fatto a tornare da loro senza destare il minimo sospetto? Era un ingenuo se credeva davvero di dimenticare l'esperienza vissuta oppure stava solo dissimulando davanti a lei per non angustiarla o peggio per ingannarla.
«Dannazione, quante persone hai ammazzato?!»
Per una donna stanca della guerra e delle carneficine che si consumavano ogni giorno, le parole e le azioni di Alexander erano ingiustificabili. Gli urlò tutto il suo disappunto a pochi centimetri dal volto, dimenticando l'ennesima tragedia che si stava consumando nella sua camera d'ospedale, mentre un elettrocardiogramma dichiarava che un altro cuore aveva appena cessato di battere nel sibilo di un suono lungo e piatto. Lo sguardo di lui rimase impassibile.
«Con me hai chiuso. Qui o a New York non rivolgermi più la parola»
Gwendoline uscì forzando, con la stampella per non sfiorarlo a mani nude, la gabbia entro cui l'aveva imprigionata e il giovane non oppose alcuna resistenza alla volontà di lei, non stavolta. 

 

◦•●◉✿✿◉●•◦

 

La gamba le pulsava, Gwendoline avrebbe dovuto coricarsi, non marciare a passo spedito il più lontano possibile da Alexander. Erano in ospedale per un motivo, una ragione che sovrastava la rabbia e la delusione che provava per il ragazzo che credeva di conoscere. Diede la colpa all'inesperienza, la guerra la stava travolgendo insieme ai legami più importanti della sua vita, quelli che le erano rimasti.
Vi era un intenso trambusto all'interno del nosocomio. Non domandò alcuna informazione, necessitava di estraniarsi dal mondo bellico che le aveva strappato l'uomo di cui era innamorata insieme ai ricordi migliori che lo riguardavano; impresa impossibile, lei continuava ad esserne sommersa, boccheggia in quell'oceano, si sentiva annegare in un mondo che somigliava ai peggiori gironi dell'inferno dantesco.
A pochi passi dal soldato Ward, Christian era assorto su una sedia, anch'egli non coglieva le urla di disperazione che giungevano da ogni angolo dell'edificio, era concentrato su questioni che sembravano urgenti. Gwendoline si accomodò sulla sedia al suo fianco e fissò l'oggetto che il seal stava rigirando tra le dita, ma la mente della giovane stava ancora fluttuando altrove.
«Credevo di voler ritrovarlo, ma non avevo messo in conto in quale stato ci saremmo rivisti»
Il tenente alzò lo sguardo sulla ragazza; le iridi della recluta erano annacquate. Era successo esattamente ciò che Christian aveva temuto fin dal loro primo incontro: l’emotività femminile le aveva fatto perdere lucidità, nulla da rimproverarle, ma ciò non giovava alla sua salute psichica e sul campo.
«Gwen, ci ha fornito notizie preziose per salvare l'ospedale. Parlagli e soprattutto ascoltalo, non credo tu lo abbia fatto abbastanza, sei troppo impulsiva»
La giovane era infiammata e prevenuta, era certa che l'ufficiale avrebbe preso le difese di Alexander considerando anch'egli la questione sul mero piano militare e strategico. Per lei non vi era né comprensione né consolazione, così sembrava.
«Capitano, non ci provi nemmeno. È un assassino e stava per sparare a Flores»
«Per sbaglio. In guerra non ci sono regole, si lotta per la sopravvivenza»
«E allora per quale ragione non l'ho ancora vista uccidere?»
«Sono stato più fortunato di Alexander, avevo quasi sempre qualcuno che mi copriva le spalle»
«Non è vero e lo sa anche lei»
Christian accennò un lieve sorriso e tornò a concentrarsi con amarezza sul proiettile che teneva tra le mani.
«Lo ami, Gwen. Avrà già abbastanza problemi con la corte marziale, non può perdere anche te»
«Davvero, capitano? Riesce ancora a pensare all'amore sotto il cielo grigio di Kabul?»
«Non ci ho mai perso la speranza e non credo capiterà mai»
Gwendoline comprese il riferimento ai genitori del tenente, le aveva parlato di loro in un raro momento di confidenza. Riuscì a zittirla, lei non osò protestare alle parole di lui, le parve di essere indiscreta davanti al suo dolore.
Lo sguardo del soldato Ward si incrociò nello stesso punto di fuga di quello del superiore e anch'ella si distrasse sul proiettile.
«È lo stesso che ha ferito il generale?»
«Combacia con un fucile di precisione. Gli hanno sparato da lontano, ciò significa che Flores era un obiettivo da abbattere. Questo proiettile appartiene ad un M40, lo utilizziamo in Marina. Non riesco a capire come possa essere ancora vivo con un sette millimetri nello stomaco. Non so chi fornisca le armi ai terroristi che tengono in ostaggio l’ospedale, ma sono quasi certo siano stati loro gli artefici dell'agguato alla base, quindi non ci resta che approfittare di un carico di rifornimento per introdurci nell'edificio. Dobbiamo parlare con la balistica in ambasciata, voglio capire come un talebano sia entrato in possesso di un'arma data in dotazione alla Marina statunitense»
Si stava alzando, ma non riuscì ad allontanarsi dalla sedia, Gwendoline lo trattenne prontamente afferrandogli un braccio. Prima di parlare la ragazza gettò uno sguardo verso la sua stanza, un gesto allusivo che insospettì Christian.
«Capitano, lei non penserà che sia stato Alex, vero?»
«Mi fido di quel soldato e dovresti farlo anche tu»
Forse il tenente era a conoscenza di qualcosa di cui lei era rimasta all'oscuro. Non poteva smettere di pensare allo scempio commesso da lui nelle mani di spietati assassini pur di vivere, pur di guadagnare informazioni. Erano passati mesi dall'ultima volta che aveva parlato con il vecchio Alexander, non riconosceva più lo stesso sguardo.

 

San Diego - Aeronautica militare/Coronado, 16 settembre 2018
 

L'ala riservata all'aviazione era in fermento, Fabian se ne accorse non appena ebbe iniziato ad attraversare i lunghi corridoi dell'arsenale che congiungeva le due forze armate al servizio degli Stati Uniti d'America - la Marina e l'Aeronautica.
Era in corso un'esercitazione di media importanza, ma come ogni volta coinvolgeva più della metà del personale che si occupava di aviazione nel Coronado. Il tenente intravide la prua della portaerei e un viavai insistente sul ponte di plancia attraverso gli immensi finestroni della base. Mantenne un passo sostenuto e disperse l'attenzione sui fascicoli che teneva tra le mani, senza il timore di imbattersi in qualche pilota sulla sua stessa traiettoria, si sarebbero premurati altri di evitare uno scontro con lui, aveva altro a cui pensare in quei minuti che lo dividevano dal suo obiettivo.
Aveva esaminato più di una volta i documenti a lui disponibili relativi all'avaria. Ogni questione era rimasta aperta, non erano stati segnalati formalmente indagati nel registro, non erano state riscontrate anomalie causate da un errore umano. Iniziava a credere che fosse stata una nefasta sciagura, un disastro inevitabile causato dal destino. Erano stati interrogati i tecnici che avevano ispezionato la stabilità del mezzo, la torre di controllo che aveva verificato le condizioni del meteo alla partenza e tra coloro che avevano dato l'assenso al volo vi era anche Sophie Lefebvre, una giovane pilota francese che aveva il compito di seguire le fasi di volo del Boeing 747. Fabian aveva deciso di parlarle per fare chiarezza sulle dinamiche prima di rimettere le indagini nelle mani degli organi competenti. Era la testimone più diretta e forse la più attendibile, sicuramente l'unica rimasta in vita per non essersi trovata in quella prigione di morte.
Tra le mani Fabian reggeva i quotidiani dell'epoca, la Rete gli aveva permesso di risalire alle notizie uscite a poche ore dallo schianto. I quotidiani americani che avevano menzionato l'incidente si sprecavano, il fatto poi che non fossero mai stati recuperati né i corpi né le lamiere dava adito a più ipotesi, alcune sfioravano il sovrumano, altre la scienza secondo cui l'aereo fosse esploso a seguito di reazioni e per buona parte fosse andato distrutto in cielo. I giornali a seguito di interviste dichiaravano che fossero tutti sconvolti all'aeroporto internazionale di Canberra sulla costa pacifica dell'Australia e piangevano la scomparsa dei due piloti portando cordoglio alle loro famiglie. Un pensiero era rivolto alle numerose vittime che avevano perso la vita, specie le più  giovani.
La foto di Sophie spiccava tra le colonne della carta stampata; era esattamente come la ricordava all'epoca del loro primo incontro, non era cambiata, aveva solo guadagnato qualche ruga. Affermava davanti ai giornalisti di non sapere cosa fosse successo negli attimi antecedenti allo schianto, non si proclamava innocente ma nemmeno colpevole, era incredula e profondamente addolorata. Il reporter la dipingeva come una principiante sconvolta e travolta dai tragici eventi. Fabian non la riconosceva in quelle parole, il maggiore Lefebvre era più di quello e dubitava lo fosse mai stata. Era frutto del cinismo dei mezzi d'informazione, ne era sicuro. Le parole più ricorrenti della donna erano non so nulla, ma tramite dei fogli di carta Fabian non poteva intuire lo stato d'animo che l'aveva travolta mentre le proferiva. L'unica certezza che lei si ostinava a difendere con determinazione era che non fosse responsabilità dei due piloti, anch'essi vittime innocenti del disastro. 
Sophie non aveva mai accennato nulla a Fabian e lui poteva ben capirne la ragione, o forse no.
Giunto nella sala di controllo, il tono deciso di Sophie lo fece tornare al presente, lo riportò con i piedi ben saldi alla terraferma, come sapeva fare solo lei. La donna teneva lo sguardo rivolto all'Oceano e attraverso una radiotrasmittente guidava con maestria i suoi uomini nel corso dell'esercitazione. Nella sua tenuta verde esprimeva tutta la grinta che ostentava fuori e dentro la base. Il tenente riuscì a contemplare il suo operato in silenzio solo qualche secondo prima che lei se ne accorgesse. Il pilota diede una leggera spinta alla sedia con le rotelle per ruotarla verso lo sguardo insistente che avvertiva su di sé; abbassò le cuffie sulla nuca e coprì il microfono con le dita.
«Comandante Hernandez. C'è una visita della Marina ed io non ne sono a conoscenza?»
Fabian si avvicinò il più possibile a lei e si chinò per lasciarle un bacio tra i capelli raccolti. La donna non oppose resistenza per l'esplicito slancio di affetto, l'inaspettata presenza di lui la impensierì.
«No»
Le rispose dolcemente con un sussurro. Sophie si lasciò sfuggire un tono meno formale mentre il respiro dell'uomo le accarezzava ancora la chioma cremisi.
«Fabian, tutto bene?»
Il seal non le rispose, serio si appoggiò con entrambi i palmi al ripiano accanto a lei come se si trovasse in un luogo familiare; la invitò a proseguire quello che stava facendo, scrutando a sua volta oltre il vetro che si affacciava sul Pacifico. Sophie sistemò le cuffie perplessa e tornò a concentrarsi sull'esercitazione che stava portando avanti. Non fu la presenza del capitano a provocarle disagio, solo il pensiero che lui l'avesse cercata per un motivo preoccupante. Rischiò di distrarsi in più di un'occasione, anche se lui era diventato una presenza silenziosa e paziente alla sua destra, attendeva e seguiva gli ordini del maggiore rivolti ai piloti come se da quell'esercitazione dovesse trarre qualche insegnamento, anche se così era solo in parte. 
Sophie interruppe la comunicazione con il portaerei e i veicoli con una fugace gratificazione per i militari che avevano superato egregiamente la prova. Si concentrò sull'espressione contratta di Fabian, aveva accumulato apprensione e sospetto nell'attesa e non poteva più aspettare. 
«Ora mi dici a cosa devo la sorpresa? I ragazzi stanno bene? Stamattina quando sono uscita di casa mi è sembrato se la cavassero, in fondo non sono più bam ...»
Lo sguardo del tenente si indurì su di lei, la conversazione non sarebbe stata facile.
«Da qualche giorno abbiamo recuperato sui fondali dell'oceano il relitto di un aereo. Stando alle analisi si tratta del Boeing 747, è precipitato ventitré anni fa»
Fabian valutò attentamente la reazione di lei, quasi con diffidenza convinto di non dover aggiungere ulteriori dettagli per ricevere una confidenza spontanea. Scrutò lo sguardo lucido della donna, la comunicazione tra loro era diventata silente. Sophie gli stava urlando tutto il suo dolore, ma non trovò solo conforto, il comandante esprimeva un'aria interrogativa, aveva fame di conoscenza. Lei per prima distolse lo sguardo da quello in apparenza giudicante di lui. 
«Non riesco a ...»
«A parlarmene? Sophie, eri sulla torre di controllo quando l'aereo si è schiantato. Sei stata l'ultima persona con cui il comandante ha parlato prima di morire»
Tentava di giustificare il fatto che cercasse risposte da lei dopo così tanti anni, non voleva certo riportare a galla ricordi spiacevoli per il semplice scopo di vederla soffrire, non lo avrebbe mai desiderato, ma non poteva nemmeno ignorare il fatto che la madre dei suoi figli gli avesse nascosto un passato così sofferto vissuto prima di incontrarlo.
«Fabian, ti prego, basta»
Il comandante di Marina alzò sempre di più il tono di voce, inconsciamente la spronò nel modo meno delicato possibile, quello che entrambi avevano imparato ad esibire al cospetto dei loro sottoposti. Il tenente ottenne una reazione indesiderata da parte della donna, ma non si fermò, sentiva di dover conoscere tutta la verità e che essa sarebbe stata scomoda per loro. L'ufficiale dell'aeronautica accostò i palmi al volto devastata, un profondo trauma stava riemergendo per lei troppo freneticamente. Sophie contava di non doverne più riparlare in futuro, invece Fabian lo stava facendo con le modalità peggiori; ne aveva tutto il diritto e non era certa che avrebbe compreso le sue ragioni fino in fondo per avergli nascosto una parte del suo passato professionale e personale.
Era arrabbiato con lei o con l'idea che gli avesse mentito? Alla resa l'aggressività verbale la riportò al senso di colpa verso Brian, i passeggeri ed infine Fabian. Era infuriato con lei, sicuramente deluso e incapace di comprendere come la sua compagna potesse essere stata coinvolta in un simile evento senza che lui ne sapesse nulla. Non era ancora a conoscenza della causa del suo trauma più profondo, Sophie leggeva nei suoi occhi quanto ne fosse all'oscuro e lei non poteva più nasconderglielo nonostante il male che facesse ricordare. Si accorse con rammarico, dopo quella conversazione, di non averlo mai superato come avrebbe sperato.
«C'era un legame affettivo tra te e quell'uomo. Che genere di legame? Quanto lo conoscevi per affermare con certezza che la morte dei passeggeri non sia stata una sua responsabilità?»
«Fabian, mi sento male se ...»
Esibiva il suo tono potente incurante delle suppliche della donna. Costrinse Sophie a deglutire il vuoto, la gola era in fiamme, la voce incrinata era un sibilo che faticava a rompere le incrostazioni del rimpianto. Anni di malessere erano fermi sulle corde vocali e avrebbe voluto urlare più forte di lui per liberarsi, se solo fosse riuscita a portare alla luce la parte più tenace di sé dall'inconscio inibita come mai da quando era diventata maggiore dell'aeronautica militare.
«C'erano trecentoquattro passeggeri a bordo. Sophie!»
«Conoscevo bene Brian perché era mio marito»
Riuscì a strapparle un'inaspettata confessione pronunciata con dolcezza e malinconia per sfinimento, ma nulla avrebbe reso Fabian più infelice. Per qualche istante entrambi udirono solo il respiro pesante di lui mentre la fissava incredulo, a tal punto da non sapere replicare con comprensione. I pensieri si affollarono nella mente dell'uomo, non ricordava di aver mai ricevuto un colpo così infame, diventare un bersaglio al poligono di tiro sarebbe stato meno doloroso.
«Dannazione, Sophie, io ti ho sposata! Avevo il diritto di conoscere il tuo passato, avevo il diritto di sapere che la donna che stavo per sposare era vedova, che aveva avuto una storia importante alle spalle conclusasi con un lutto»
Lei provò a riprendere in mano la discussione nonostante si sentisse male all'eventualità di rivivere quegli istanti. Fabian le aveva comunicato di aver ritrovato il cadavere dell'uomo che aveva amato, ebbe la percezione di perderlo di nuovo, una volta in più e lei aveva perso il conto delle volte in cui era successo.
«A te avrebbe cambiato qualcosa saperlo?»
Non era una provocazione, solo il timore che il loro futuro sarebbe potuto essere diverso se avesse confidato a Fabian di avere l'animo in pezzi e che lui non sarebbe mai del tutto riuscito a ricomporlo anche con tutto l'amore possibile che effettivamente le aveva donato, senza sapere quanto fosse stato indispensabile per lei. 
«Mi sembra di non conoscerti più»
Il tenente abbassò i toni deluso da lei e dalle sue menzogne; era incapace di superare l'omissione e accogliere la sofferenza che la moglie stava manifestando. Per Sophie fu necessario provare a difendersi dalle sue accuse.
«Tu non c'eri, tu non ...»
Non sapeva cosa aveva vissuto dalla torre di controllo, il percorso psicologico che aveva dovuto affrontare per superare l'indelebile esperienza, gli attacchi di panico ogni volta che sognava di perderlo ed infine la fatica per essere riabilitata nell'esercito ed essere considerata nuovamente idonea al servizio.
«Ho ascoltato le registrazioni della scatola nera, ho ascoltato le vostre ultime parole»
Batté furioso un palmo sul ripiano, un gesto inaspettato per lei, non era da lui perdere il controllo.
«Perché mi hai mentito??»
Davanti alla reazione di Fabian e al ricordo la sua grinta maturata in anni di lavoro su di sé e in aeronautica stava scemando.
«Ho speso anni a dimenticare prima di conoscerti, come avrei potuto parlartene? Ho omesso, non ti ho mentito»
Il capitano cercò di calmarsi, la stava prendendo troppo sul personale, non era necessario ai fini delle indagini.
«Cos'è successo all'aereo?»
«Non lo so. Brian ha effettuato un decollo perfetto, andava tutto bene, fino a quando...»
«… fino a quando ti ha detto di avvertire un vuoto d'aria»
Sophie provò un'intensa amarezza.
«Da quel momento è precipitato tutto, ho perso il controllo del mezzo insieme a lui. In pochi minuti ho perso tutto»
Omise che perse anche il controllo della sua vita e che l'America avesse rappresentato per lei una nuova vita. Fabian si passò una mano tra i capelli agitato, la sua divisa blu dei seals divenne cobalto sotto il limpido sole del mattino.
«Se riporto il caso in tribunale,  tu finisci ancora davanti ad un giudice»
«Fa' ciò che devi, mi fido di te»
Fabian allontanò la mano dal ripiano, incredulo quanto lei per aver esagerato. Era mortificato, ma non lo espresse, era ancora offeso per essere stato escluso dai ricordi della moglie. L'orgoglio lo condusse in silenzio verso la porta della centrale. La lasciò freddamente sola con il ricordo del comandante O'Connor.
«Fabian. Brian è stato l'unico vero amore che io abbia mai conosciuto, ma se ho ricominciato a vivere è stato grazie a te e alla nostra famiglia. Mi dispiace tu l'abbia scoperto così»
Il tenente provò a dare un ordine alle priorità, non riusciva a mettere in discussione l'amore che si erano sempre professati, nemmeno quello da parte di sua moglie, eppure era certo di aver udito bene e di aver compreso di non essere pienamente stato ricambiato da lei. Era stata tagliente, pungente nella sua autorità. La riconosceva in verità: schietta e sincera. Non dubitava del trauma che aveva subìto, a quanto pareva il ricordo rappresentava il suo Tallone d'Achille, superata l'impasse a parlarne con lui ogni confessione era lecita, anche a costo di risultare crudele. Le aveva chiesto di essere onesta,  le aveva rimproverato di non esserlo stata per anni. La verità aveva un prezzo, ma Fabian non si sarebbe mai aspettato che nel presente l'avrebbe pagato soprattutto lui sulla sua pelle.
«Ora hai un corpo su cui piangerlo, ma ti sconsiglio di vederlo, se lo ami ricordalo per come era»
Stava per oltrepassare la soglia, ma la compagna non glielo concesse. Sophie si alzò per avvalorare le sue affermazioni. 
«Fabian! Voglio la verità su quel volo. Se sono responsabile del disastro sono disposta a pagare le mie colpe, ma dammi un colpevole. Ne ho bisogno, voglio promettere a Brian sulla sua tomba che chi ha spezzato la nostra vita venga punito»
Il maggiore Lefebvre si sciolse in un pianto silenzio, si vergognava persino di fronte all'uomo che aveva accanto da anni, ma non poteva evitarlo, sul cuore premevano chili di macerie.
«Te lo prometto, amore»
Era consapevole che senza l'incidente, senza l'aiuto del destino Sophie non avrebbe mai fatto parte della sua vita. Si sentiva complice del fato per quanto ne fosse stato all'oscuro fino a quel momento. Si ritrovò ad essere triste per le lacrime di sua moglie consapevole del fatto che non sarebbero state versate se al suo posto ci fosse stato Brian. Era stata chiara, il suo cuore batteva da sempre per un altro uomo, che fosse defunto poco importava.
«Stanno eseguendo le autopsie sui cadaveri e pare che i due piloti non abbiano sofferto»
Sophie si asciugò una lacrima lungo la guancia e porse un leggero sorriso a Fabian cercando di ricomporsi.
«Grazie»
Si sarebbe accontentato della sua gratitudine per qualche bugia raccontata a fin di bene nel vano tentativo di proteggerla dal suo passato. Non vi era alcuna autopsia da consultare e di certo nell'oceano non si moriva indolore dopo un volo di trentamila piedi sopra il livello del mare. Sperò che lei non ci pensasse. Anche il mondo del comandante Hernandez cambiò in pochi minuti, ma esattamente come era successo a Sophie dopo l'incidente,  anche i suoi sentimenti rimasero immutati.
 





Ciao a tutti, carissimi lettori!
Innanzitutto vi sono immensamente grata per essere tornati insieme a me su questa storia ♡
Ho complicato la trama arrivati a questo punto, spero sia tutto chiaro e i pezzi combacino (spero anche di non avervi traumatizzato ^^'). Mi sono dilungata e anche questo capitolo risulta un po' lungo, quindi spero di non avervi anche annoiati.
Grazie di cuore a tutti voi per continuare a seguirmi nonostante il ritardo negli aggiornamenti, siete un supporto prezioso, senza voi non credo esisterebbe questa storia ♡
Spero di aggiornare il prima possibile!
Un abbraccio 
-Vale



 





(1) Tre mesi di incarichi di servizio gravosi

   
 
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