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Autore: EleAB98    11/06/2021    4 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo VII – Non dire 'no' – Parte Prima

Lunedì



Da non crederci. Dovevo partire alla volta di Firenze con... Megan Rossi. Sospirai profondamente. Il mio capo mi stava facendo diventare matto. Non bastava che quella donna si esibisse in tutto il suo sommo splendore – ci mancava solo che sbavassi in sua presenza e avrei potuto dichiararmi a tutti gli effetti un adolescente che, appena uscito dalla montagna del sapone, si apprestava a vedere una ragazza per la prima volta – e che dovessi contenere la tentazione di saltarle addosso. Ci si metteva pure il viaggio in Italia, adesso. Sbatacchiai la porta della camera e mi lasciai cadere sul letto. Avevo sempre odiato fare e disfare i bagagli; lo trovavo un compito arduo, quasi sfiancante. La mia ultima vacanza di piacere, tra l'altro, mi aveva davvero provato psicologicamente. Ero stato sommerso da un fiume di ricordi. E non appena i miei occhi verdi si erano posati sull'armoniosa figura di Megan, mi era sembrato di scorgere...

Sospirai ancora una volta, quindi mi alzai dal letto e mi spogliai della camicia, dei pantaloni e dei boxer, tutti rigorosamente coordinati. Senza pensarci, raggiunsi il bagno e mi fiondai nel getto caldo della doccia. Dovevo smettere di pensarci, Megan Rossi era soltanto una semplice donna. Una donna che mi avrebbe fatto perdere la ragione. Ne ero più che convinto. Sin dall'inizio, avevo visto in lei un qualcosa di diverso, quel qualcosa che, però, rassomigliai... Dannazione! Dovevo smetterla di farmi del male! 

Per un momento, tentai di pensare a qualcos'altro. La mia mente, però, non ne voleva proprio sapere. Ero troppo focalizzato su quel viaggio, negli ultimi due giorni non mi ero nemmeno concesso una futile scopata. E fu proprio questo uno dei primi campanelli d'allarme che mi spinse a riflettere su me stesso. Dentro di me, stava accadendo un qualcosa di incredibilmente innaturale. Avevo sempre amato rifugiarmi tra le braccia di una donna qualsiasi, e ora... rifiutavo di concedermi quel piacevole diversivo per mano di una ragazza cui avevo chiesto di essermi amico? E non di letto, diamine!
Sbarrai gli occhi. Lo avevo fatto davvero. Le avevo chiesto di essere suo amico. Con tutta l'innocenza del mondo. Imprecai mentalmente. Ero davvero un cazzone.

 

*

 

Non impiegai poi troppo tempo per raggiungere l'aeroporto. Io e la Rossi avremmo viaggiato in prima classe, per cui avremmo goduto di ogni singola comodità. Appena scesi dalla mia Jaguar rosso fiammante, rimasi senza fiato per l'ennesima volta. Ma avrei dovuto abituarmi a quella bellezza così prorompente e, al tempo stesso, maledettamente semplice. Lei non era affatto la solita ragazza, sarebbe stata bellissima anche al naturale. In effetti, si era truccata ben poco – il lucidalabbra rosato catalizzò nell'immediato la mia attenzione –, ma la trovavo comunque splendida.

«Imbecille», mugugnai in sordina, mi stropicciai gli occhi con il goffo tentativo di tornare in me stesso. «Sei davvero un imbecille.»

«Scusami, hai per caso detto qualcosa?»

I miei occhi si illuminarono d'immenso. Mi aveva dato del tu. Megan Rossi mi aveva appena dato del tu. «Chi, io? Certo che no! Non trovi sia una splendida giornata, cara Megan?»

«Cara Megan? Siamo amici soltanto da ieri e mi definisci già con l'appellativo di cara? Non ti sembra—»

«Di correre un po' troppo?» Scossi la testa e mostrai un sorriso. «Siamo alle solite», le risposi, con una certa enfasi. «Quando siamo noi balordi a non deciderci, ecco che voi donne prendete a lamentarvi. "Ma com'è possibile? Siamo fidanzati da otto anni, eppure... non mi chiede ancora di sposarlo! Forse ha un'altra, o magari... ha la fobia del matrimonio!" Se nel caso contrario siamo noi a proporvi l'impossibile dopo soltanto un anno di frequentazione, prendete a dire: "Caro, io ti amo, ma... non credi sia un po' troppo presto per pensare al matrimonio?" Ah, le donne!» sputai, dopo aver recitato il mio personalissimo copione con la voce più stridula del mondo.

Megan mi guardo di sbieco. «Non sapevo che di mestiere facessi l'attore, i miei complimenti.»

Quando stavo per ribattere, scoppiò in una fragorosa risata, lasciandomi interdetto. Il suono di quella risata mi stordì. Forse perché si trattava della sua. Anche se, per certi versi... Scossi la testa.

«Diciamo che nella vita ne ho viste tante, per cui—»

«Ah, su questo non ho il minimo dubbio», replicò Megan, alzando gli occhi al cielo.

Scossi la testa. Non potevo crederci. «Ma dai, non intendevo dire quello! Andiamo, Megan! Davvero non riesci a credere che un uomo come me, a dispetto dei suoi vizi, nasconda un cuore virtuoso?»

Megan riprese a ridere. «Un cuore virtuoso? Che tu sia una sottospecie di rubacuori incallito lo avevo intuito, ma dubito fortemente che possa davvero innamorarti di qualcuna.»

«E perché mai, se posso chiedere?»

Quella domanda rimase insoluta, una voce femminile scandì l'imminente partenza per Firenze dall'altoparlante. Senza battere ciglio, ci avviammo sull'aereo.
Il sole cocente brillava alto nel cielo, prospettandoci una meravigliosa giornata. Ma lo sarebbe stata davvero? Squadrai di sottecchi la Rossi, che nel frattempo aveva consegnato il passaporto a una giovane hostess, che non mancò di farmi l'occhiolino. Il suo viso era incorniciato da una setosa cascata di capelli biondi, ma non mi soffermai su altri particolari. Di sfuggita, ricambiai le sue attenzioni con un sorrisetto sfrontato, senza comunque riuscire a distogliere gli occhi dalla mia collega.
Giacca sportiva in pelle nera, jeans bluette a vita alta, scarpe Hogan di colore bianco. Quel tripudio di colori mi accecò, quasi quanto il sole. Non che fossero colori particolarmente sgargianti; ciononostante si sposavano alla perfezione con il suo visetto dai tratti angelici. Quegli occhi azzurri, poi... dovevo smetterla di guardarli!

Quando fu il mio turno, estrassi il portafogli dalla tasca della mia giaccia elegante e consegnai il mio passaporto alla biondina, che non smetteva di squadrarmi da capo a piedi.
Ghignai. Era carina, certamente, ma volevo assolutamente reprimere l'impulso di colonizzare pure quell'aereo, e quindi soccombere ai miei sporchi desideri. Da quando Megan aveva detto che tutti gli uomini non erano altro che dei luridi bastardi, avevo il dovere di dimostrarle che si sbagliava.
Ridacchiai come un matto da solo, guadagnandomi un'occhiata confusa da parte della hostess. Volevo veramente compiere quell'ardita missione? Ma chi volevo prendere in giro?
Sapevo benissimo che non sarebbe stato possibile resistere a quella donna. Eppure, dovevo. Dovevo farlo. Punto e basta.

Non appena presi posto insieme a Megan, cercai di apparire l'uomo amichevole che mai ero stato. Io, amico di una donna! Ma che scherziamo!?

Cazzo, Malcom... comportati da gentiluomo, almeno per una volta!

Sollevai il capo. Avrei volentieri ammazzato la mia coscienza. Avrei volentieri sbattuto Megan al muro, e...

Ah ah!? Ci risiamo?

«Sta' zitta, cazzo!» sbottai, a mezza voce.

Megan si voltò verso di me, stizzita e incredula al tempo stesso. «Ma se non ho neanche parlato! Sei idiota o cosa?»

Ancora una volta, mi maledissi con tutte le forze. La mia coscienza non doveva interferire con i miei buoni propositi, porca miseria!

«Ehm, scusami, ma... non dicevo a te, chiaramente», farfugliai, tra l'imbarazzato e il frastornato. Sarei davvero diventato matto.

«Hai forse bisogno di uno psicologo? No perché, sai, parlare da soli, alla lunga—»

«Io non ho bisogno di nessuno psicologo! Avrei soltanto bisogno di una bella... Aarrg, fammi stare zitto, che è meglio!»

«D'accordo, Mr. Quattrocchi. Ma non ti sembra di esagerare un po'? Rilassati, avanti!» esclamò lei, sorridendo compiaciuta.

Sospirai. Sapevo molto bene che, in fondo in fondo, stava mettendomi alla prova. Voleva vedere quanto sarei riuscito a resistere senza provarci spudoratamente con lei. E voleva cacciarmi di bocca una miriade di parole impertinenti, che lei avrebbe usato per tarparmi le ali e per distruggere le mie speranze in merito a una conquista amorosa a dir poco impossibile. Per denunciare il fatto che l'uomo fosse solo un pezzo di carne senza cervello. «Vuoi qualcosa da bere, Miss Puffetta?» domandai, cercando di cambiare discorso. Dovevo mettere in campo tutta la mia pazienza se non volevo silenziarla con un lungo, appassionante, proibitivo bacio.

La donna annuì, silenziosa, dopodiché estrasse un romanzo dalla borsa. Via Dalla Pazza Folla, di Thomas Hardy. Un breve sorriso campeggiò sul mio volto. Megan Rossi non sapeva che, durante la mia prima gioventù, avevo letto quel libro per ben quattro volte.

 

*

 

Il viaggio procedette senza alcun intoppo, ero stato veramente bravo a non guardare nient'altro che il mio cellulare, alla vana ricerca di qualche elemento utile che potesse incastrare quel Thompson. Avevo appositamente evitato le occhiate insistenti della hostess – compito davvero arduo – e, di tanto in tanto, scrutavo Megan di sottecchi. La sua espressione concentrata mi faceva impazzire.
Per un istante, la immaginai in preda al piacere, del tutto priva dell'autocontrollo di cui si avvaleva, l'espressione di puro godimento che mi avrebbe rifilato se soltanto ci fossimo lasciati andare alla passione. Il mio corpo, chiaramente, aveva reagito di conseguenza a quell'immagine, e appena sceso dall'aereo dovetti nascondere le prove del misfatto, o perlomeno tentai di farlo.
La mia mente era in subbuglio. Mi sforzai di pensare ad altro e, sballottando il trolley di qua e di là, ci districammo tra la fiumana di persone che trascinava con sé valigie, borsoni, buste e bustarelle. Tutto, intorno a noi, brulicava di vita.

Quasi incespicai sulle mie scarpe quando vidi l'ennesima famigliola percorrere allegramente il sentiero che portava all'esterno dell'aeroporto. Distolsi lo sguardo e mi concentrai su Megan, che nel frattempo mi aveva detto come raggiungere l'Hotel Machiavelli. Via Nazionale 10, San Lorenzo. Mi sfuggì un sorriso. Era situato proprio nel cuore di Firenze, a trecento metri dalla Chiesa di Santa Maria Novella. Mi adombrai all'istante, quindi estrassi una sigaretta dalla tasca. Dovevo pur scaricarmi in qualche modo, no? Megan, assorbita com'era dalla vitalità che ci attorniava, non si accorse del nervosismo che mi aveva colto. Molto meglio così, mi dissi, dirigendomi insieme a lei verso la prima fermata degli autobus.

Dopo una quindicina di minuti, arrivammo a destinazione. L'albergo sorgeva nel centro cittadino e si amalgamava alla perfezione con gli altri edifici, nessuna scala o tappeto a sancirne la presenza, se non la piccola insegna d'oro con su scritto Palace Hotel Machiavelli. Varcata la soglia – in religioso silenzio, tra l'altro –, io e Megan ci approcciammo verso la reception.

«Lascia parlare me», le dissi, mentre accantonavo la valigia vicino all'ascensore. Megan si limitò ad annuire, estasiata da quanto aveva intorno. Il lampadario in stile vintage, le pareti ricoperte di una pregiata carta da parati, tendaggi sopraffini. L'alloggio era davvero affascinante, non c'è che dire.

«Due stanze separate, per favore», chiesi al receptionista, un cipiglio confuso investì il viso del giovane dipendente riccioluto.

«Non siete una coppia?» domandò, con un mezzo sorriso.

«Assolutamente no!» sbottò Megan, incrociando le braccia.

«Sa come sono le donne... sono sempre loro a dire "no"!» replicai, cercando di riderci su. In realtà, tutta quella ripugnanza mi bruciava parecchio.

«Quanto la capisco, signor—»

«Stone. Malcom Stone», gli dissi, porgendogli la mano. «Allora, queste stanze?»

Il ragazzo si grattò la testa, in preda all'impaccio. «Ehm, sono spiacente, cari signori, ma... è rimasta soltanto una stanza. Camera con vista, letto matrimoniale, e—»

«Cosa?! Aspetti un momento, ci dev'essere un errore!» sbottò Megan, incredula tanto quanto me.

«Mi dispiace, ma ne è rimasta solo una. L'hotel è tutto pieno, se aveste prenotato pochi giorni prima, magari—»

«Non esiste! Io non voglio dormire nello stesso letto con quest'individuo!»

«E io non voglio dormire insieme a questa rompipalle di prima categoria!» sbottai, burbero. Non sopportavo il fatto che lei mi considerasse un verme.

«Come mi hai chiamata?!» strillò lei di rimando, cercando di appiopparmi un bel ceffone. Con un gesto rapido, le bloccai la mano, e fu in quel preciso momento che io e lei ci ritrovammo pericolosamente vicini. Potevo sentire il suo fiato caldo mescolarsi al mio, potevo vedere i suoi meravigliosi occhi scrutarmi con una forza inaudita. Come a voler cercare in me delle risposte. Anzi, una risposta. Quella risposta che sapeva di una cieca, sfolgorante, fatale attrazione.
Mi avvicinai ancora di più al suo viso, c'eravamo soltanto io e lei, ormai. Poco prima di posare le mie labbra sulle sue, però, mi tornarono in mente le sue brucianti parole. Non potevo baciare una donna che non si faceva alcuno scrupolo a disprezzarmi. Non potevo calpestare il mio orgoglio a causa dei miei squilibri ormonali.

«Io con lei non ci dormo, punto e basta!» esclamai, allontanandomi di colpo da Megan.

L'altro sorrise, malizioso. «Non è mica detto che un uomo e una donna debbano solo dormire... in fin dei conti, potreste anche fare altro.»

«Lei non si azzardi a parlare, d'accordo?» esclamò Megan, con un certo livore.

L'altro alzò le mani. «Ve l'ho detto. Prendere o lasciare. Questa stanza la volete o no?»

Io e Megan ci guardammo con aria interrogativa. Dopo un breve, impercettibile respiro, ci ritrovammo ad annuire, all'unisono. «D'accordo, la prendiamo!» decantammo, sconfitti.

Mi passai una mano tra i capelli. Avevo appena siglato un patto col diavolo. Ed era un patto pericoloso. Tremendamente, indiscutibilmente pericoloso.

 

*Il Tempo Di Morire: brano del cantautore di Lucio Battisti (1970)

   
 
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