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Autore: All_I_Need    14/06/2021    4 recensioni
John ha un incidente nel laboratorio della struttura militare di Baskerville. Mentre aspettano che gli scienziati trovino una soluzione, lui e Sherlock devono riesaminare la natura della loro amicizia mentre si destreggiano nella vita quotidiana e nel Lavoro, il tutto cercando di rispondere alle domande veramente importanti: va bene accarezzare il tuo coinquilino se al momento è un cane? E come chiedi esattamente le coccole a un autoproclamato sociopatico?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 11 

Il temporale raggiunse la massima intensità subito dopo la mezzanotte. John giaceva nella cuccia in soggiorno, ascoltando la pioggia martellare sul tetto e sul marciapiede. Il rumore era quasi opprimente persino al primo piano, motivo per cui aveva deciso di stare lontano dalla sua camera da letto dove il tetto era molto più vicino.

Un rombo di tuono lo fece sobbalzare e premette la testa tra le zampe anteriori, sperando in qualche modo di smorzare un po’ il rumore. Non fu d’aiuto.

Il temporale vero e proprio non era nemmeno il problema principale, ammise ironicamente tra sé. No, il vero problema era che con tutto quel rumore non aveva modo di assicurarsi che Sherlock stesse bene senza cercarlo. Di solito, una volta che i rumori del traffico si erano placati per la notte, poteva sentire il battito cardiaco di quell'uomo anche mentre era in camera sua. Ma ora? Niente. Era rimasto in soggiorno nella speranza che l'accresciuta vicinanza lo aiutasse, ma la cacofonia all'esterno copriva ogni altro suono.

John non era rimasto senza sentire il battito del cuore di Sherlock per più di un'ora o due da quando era iniziata l'intera faccenda, un promemoria calmante che Sherlock era vivo e vicino. Il periodo più lungo che aveva passato senza quel suono era stato al parco con Donovan, e perfino allora aveva saputo con precisione dov’era Sherlock e cosa stava probabilmente facendo.

Ora, però... be’. Sherlock era molte cose, ma soprattutto era fissato con il suo lavoro e la finestra della sua camera da letto consentiva l'accesso alla scala antincendio. Nessuna persona sana di mente avrebbe preso in considerazione l’idea di lasciare la casa con questo tipo di tempo, ma Sherlock non aveva mai fatto alcuna rivendicazione di sanità mentale e John poteva facilmente passare ore a elencare tutte le cose tanto pericolose da far rizzare i capelli che il suo amico aveva combinato nel corso della loro amicizia.

Mentre un altro rombo di tuono scuoteva la casa così forte che poteva sentirlo nelle ossa, John si arrese e fece quello che già sapeva che avrebbe fatto. Andò nella camera da letto di Sherlock.

La porta era leggermente socchiusa, le luci spente, le tende tirate. Sherlock aveva spento tutte le luci dell'appartamento prima di andare a letto, ma John non aveva bisogno degli occhi per sapere che il suo amico era ancora lì. Non quando il suo naso poteva fiutarlo in modo così chiaro, il suo profumo familiare come un faro.

"Non riesci a dormire?” chiese Sherlock, la voce bassa e profonda.

John non si era reso conto che fosse ancora sveglio, ma non fu sorpreso di trovarlo così. Anche all'orecchio umano il temporale doveva essere piuttosto fragoroso.

Uggiolò in accordo e saltò sul letto prima di poter pensare di cambiare idea.

"C'è qualcosa che non va?" Persino mentre parlava, Sherlock aveva già allungato le braccia verso di lui, facendo scorrere una mano lungo la sua zampa anteriore destra.

Dato che non riusciva a spiegare quale fosse il problema, John uggiolò di nuovo e si fece strada attraverso il letto, percependo la precisa posizione di Sherlock sotto le coperte e notando felice che era sdraiato sulla schiena, più o meno nello stesso modo in cui sera stato qualche ora prima sul divano. John diede un colpetto con il naso a una gamba del suo amico finché lui non la spostò di lato, poi si lasciò cadere e riprese la comoda posizione in cui erano stati nel pomeriggio.

"Non ho freddo questa volta," lo informò con calma Sherlock, ma non protestò mentre John si trascinava un po’ su finché non riuscì a poggiare il mento sul suo addome.

Ed eccolo lì. Forte e costante, troppo vicino per essere soffocato dalla tempesta che infuriava fuori: il battito del cuore di Sherlock.

John si rilassò.

Una manciata di silenziosi secondi dopo, l'ennesimo fragore di tuono lo fece sussultare.

"Oh." Conosceva quel tono. Quello era il tono ‘Ho capito qualcosa’ di Sherlock. "Non ti piace la tempesta?"

John uggiolò in accordo.

"Suppongo che debba essere molto forte per le tue orecchie," rifletté Sherlock, facendo scorrere la mano dalla testa di John giù per il suo collo e lungo la schiena in modo apparentemente distratto. "Sfortunatamente, non ho tappi per le orecchie adatti da poterti offrire."

Un altro fragore di tuono esplose sopra le loro teste. John sussultò.

"Il tuono suona un po’ come se scoppiassero delle bombe, non è vero?” chiese Sherlock a bassa voce.

John uggiolò il suo assenso.

La mano sulla sua schiena gli si strinse brevemente nella pelliccia prima di riprendere le carezze delicate. "Non sei più in una zona di guerra, John. Se hai bisogno del mio odore per ricordartelo, sono proprio qui."

John scosse la testa. Se si fosse trattato dell’odore, sarebbe potuto restare in salotto. L'intero appartamento era intriso del profumo di Sherlock, non avrebbe potuto sfuggirgli nemmeno se ci avesse provato. Ma il suo amico meritava di sapere perché John stava invadendo il suo letto nel cuore della notte, quindi lui alzò la testa, guardò Sherlock negli occhi, o dove giudicava fossero i suoi occhi, e gli premette la testa sul petto in modo molto intenzionale, con l'orecchio proprio sopra il suo cuore.

La realizzazione sorse. Lo sentì nel modo in cui detto cuore prese velocità per un momento prima di tornare al suo ritmo abituale.

"Oh. Puoi sentirlo? Be’, certo che puoi, il tuo udito è fantastico. Suppongo che di solito tu possa sentirlo dal soggiorno?"

John annuì e alzò una zampa per puntarla verso l'alto.

La mano di Sherlock si fermò. "Anche dalla tua stanza? Incredibile." Ridacchiò. "E pensare che ho pensato che avresti potuto non essere in grado di sentirmi parlare da lassù."

John sbuffò divertito. Gli ci era voluto del tempo per abituarsi ai suoi sensi, ma doveva ammettere che, ripensandoci, era davvero un po’ ridicolo.

Ci fu una pausa riflessiva mentre Sherlock considerava la rivelazione di John. Alla fine disse: "Ti calma, sentire il mio cuore. E non potresti farlo con la tempesta.”

Il tono era di constatazione, un'affermazione piuttosto che una domanda.

John si rilassò nella sensazione. Il tuono successivo lo fece a malapena contrarre.

Passarono molti lunghi minuti in silenzio. Quando Sherlock parlò di nuovo, la sua voce era sommessa.

"Avevo un cane, quand’ero bambino. Un setter irlandese. Si chiamava Barbarossa. Non mi importava molto della compagnia degli altri bambini, ma mi piaceva giocare con lui.” Sospiro. Suonò un po’ tremante. "Ha dovuto essere soppresso quando gli è venuto il cancro. Avevo otto anni."

John fu quasi contento di non poter rispondere a parole, ma si avvicinò lo stesso a Sherlock, offrendo conforto nell'unico modo che poteva. Fu abbastanza.


*****


Al mattino, il temporale era passato e la pallida luce dorata del sole filtrava nella stanza attraverso la fessura nelle tende. John si svegliò adagio, sorpreso di scoprire che si era addormentato.

Si sentiva caldo e comodo e sorprendentemente ben riposato, quindi pensò di aver dormito più del previsto. C'era una mano calda aggrovigliata nella pelliccia dietro il suo collo e il suo cuscino si muoveva dolcemente su e giù.

Sbatté le palpebre.

Non un cuscino. L'addome di Sherlock, che si alzava e si abbassava a ogni respiro che faceva. A giudicare dal suo ritmo respiratorio regolare, dal battito cardiaco lento e dal corpo completamente rilassato, il detective stava ancora dormendo.

John si spostò un po’ nel caso stesse mettendo troppo peso sulla vescica di Sherlock... e si bloccò. Forse non tutto di Sherlock era rilassato come aveva supposto. Attraverso il doppio strato dei pantaloni del pigiama e delle coperte, c'era un'inconfondibile durezza che premeva contro il corpo di John.

Se fosse stato umano, John avrebbe riso. Eccola lì, la prova finale che Sherlock Holmes era solo un altro maschio umano. Lascialo dormire e dagli un po’ di calore e attrito, e il suo corpo risponderà allo stesso modo di tutti gli altri.

John sbuffò e si alzò prima che Sherlock avesse la possibilità di svegliarsi e sentirsi a disagio. Non aveva senso rendere le cose imbarazzanti. Non era tanto sciocco da attribuirgli un significato. L’alzabandiera del mattino capitava, che lo si volesse o no.

Saltò giù dal letto e decise di correre il rischio e annusare la stanza di Sherlock. Il suo coinquilino di certo non aveva scrupoli a esaminare le cose di John, un piccolo contraccambio era giusto.

Con il naso vicino al pavimento, infilò la testa sotto il letto e starnutì alla nuvola di polvere che lo accolse. Era ora che la signora Hudson facesse di nuovo finta di non essere la loro governante.

Con suo grande sollievo, sembrava che non ci fossero cose morte là sotto. Libri, pezzi di carta da lettere, strane biro cadute. Il solito.

John liberò la testa e rivolse la propria attenzione al resto della stanza, annusando il comodino e trattenendo un ringhio all'inconfondibile profumo di tabacco. "Aspetta finché non sarò di nuovo umano,” pensò. "Quelle sigarette sono belle che andate.

Accanto a lui, Sherlock si girò sullo stomaco e emise un gemito sommesso.

John alzò la testa per vedere se il suo amico si sarebbe svegliato, ma quando Sherlock si limitò a sospirare e si riaddormentò, tornò al suo esame.

C'era sorprendentemente poco disordine nella camera da letto di Sherlock. Nonostante il modo in cui aveva spesso trasformato il soggiorno e la cucina in aree devastate da uragani, aveva mantenuto la sua stanza piuttosto ordinata. John trovò un calzino randagio mezzo incuneato sotto il cassettone e un pacchetto mezzo vuoto di fazzoletti sotto una sedia. Non c'erano altre sigarette da annusare da nessuna parte, con suo grande sollievo. Forse avrebbe potuto trovare un modo per aprire il cassetto del comodino e farle sparire senza che Sherlock se ne accorgesse finché non fosse stato troppo tardi.

Lasciò la camera da letto e trotterellò in cucina per lappare un po’ d'acqua dalla sua ciotola. Stava diventando stantia; avrebbe dovuto costringere Sherlock a dargli dell’acqua fresca una volta che si fosse alzato. Dio, gli mancava il tè.

A proposito di... non c'era più nemmeno cibo nella sua ciotola, non sorprendentemente. Il suo stomaco brontolò.

John si voltò e rientrò nella camera da letto di Sherlock, abbaiando una volta nel tentativo di svegliarlo.

Sherlock borbottò nel cuscino.

John abbaiò di nuovo e si appoggiò sul letto in modo da poter raggiungere la schiena di Sherlock e dargli un colpetto con il naso.

"Zitto," gemette Sherlock, cosa che John interpretò come che fosse sveglio e si sarebbe alzato in un minuto. Abbaiò di nuovo solo per chiarire il punto.

"Mi piacevi di più quando eri ancora umano," si lamentò Sherlock e cercò di mettersi a sedere. Apparentemente, questo fu il momento in cui notò il proprio attuale stato fisico. Imprecò. "Fantastico, cazzo."

John tornò con ostentazione in salotto, con l'intenzione di provare almeno a dare a Sherlock un po’ di privacy per affrontare il suo problema, ma a giudicare dal flusso di silenziose imprecazioni e dai suoni provenienti dall'altra parte dell'appartamento, Sherlock si era alzato e aveva marciato. in bagno, a quanto pareva determinato a ignorare la sua erezione fino a quando non se ne fosse andata da sola. John non sapeva se essere sollevato o deluso e poi si ritrovò a chiedersi perché avrebbe dovuto esserlo.

Poté sentire il fruscio della stoffa e il suono della tenda della doccia e poi i tubi che scricchiolavano mentre l'acqua iniziava a scorrere. Seguirono altre maledizioni soffocate e John sussultò per empatia. Doccia fredda, allora. Se Sherlock era come lui, sarebbe stato di umore abbastanza irritabile per un po’.

John decise di dare un po’ di spazio al suo amico e balzò giù per le scale, sentendo i rumori dall'appartamento della signora Hudson. Avevano dormito più a lungo quella mattina e la padrona di casa era già in piedi. John si trovò momentaneamente a disagio per la maniglia della porta, ma la signora Hudson lo sentì e un attimo dopo aprì l’uscio.

"John! Che bella sorpresa. Buongiorno!" Si chinò e gli arruffò la pelliccia del collo con entrambe le mani. Lui scodinzolò e le leccò il polso in segno di saluto.

"Stai aspettando che Sherlock ti dia la colazione?" gli chiese mentre lui la seguiva in cucina. "Devi essere così affamato, di solito ti alzi prima di così. La scorsa settimana eravate già fuori quando mi sono alzata dal letto!"

Lui la guardò con interesse mentre apriva un armadietto ed estraeva un contenitore di plastica. "Ecco, ho ancora alcuni dei nuovi biscotti per cani che ho preparato ieri. Prendine uno."

Gli offrì uno dei dolcetti e John lo sgranocchiò felicemente, soffermandosi a malapena a masticare.

"Buono?"

Lui scodinzolò e abbaiò entusiasticamente.

La signora Hudson ridacchiò. "Be’, non vorremmo che tu morissi di fame, vero?" Gliene diede un altro.

"SIGNORA HUDSON!" urlò Sherlock dal piano di sopra. "La smetta di dare a John dolcetti di nascosto prima di colazione!”

"Oh, non puoi averne un altro oltre a questo, va bene?" sospirò lei, alzando bonariamente gli occhi al cielo prima di gridare in risposta: "Bene, allora è meglio che tu gli dia da mangiare!"

John le guaì, le diede una testata delicata sulla coscia in luogo del saluto, e tornò al piano di sopra dove Sherlock stava già aspettando, con i capelli ancora bagnati.

"Traditore," gli brontolò il detective. "Prima mi svegli e poi vai a prendere il cibo altrove. Cosa devo fare con te?"

John inclinò la testa e cercò di sembrare innocente.

Sherlock sbuffò. "Questo non aiuterà. Tieni, fai colazione. Ho messo anche dell'acqua fresca nella tua ciotola, non preoccuparti di ringraziarmi. E ti dico proprio adesso che oggi useremo la nostra passeggiata per visitare la casa della nostra vittima di omicidio. È ora che risolviamo questo caso.”

John emise un vago mugolio, troppo occupato a mangiare per prestare molta attenzione a Sherlock, che prontamente scomparve di nuovo in bagno per asciugarsi i capelli.

Un quarto d'ora dopo uscirono, prendendo il loro percorso ormai consueto attraverso Regent's Park e godendosi l'aria frizzante. Il terreno era ancora bagnato dalla pioggia, ma l'aria aveva un odore fresco anche per gli standard londinesi e il sole splendeva. Era una bella mattina e John camminava felice al fianco di Sherlock, assimilando le scie fresche di profumo che incontravano. La pioggia aveva spazzato via la maggior parte delle vecchie tracce e non c'erano ancora molte persone in giro a quell'ora del mattino.

Sherlock gli lanciò la pallina da tennis per un po’ e John scoprì che l'erba bagnata lo faceva scivolare e slittare molto più di quanto si sarebbe aspettato. Almeno Sherlock sembrò trovarlo divertente, anche se alla fine ebbe pietà di lui e rimise la palla nella borsa. "Adesso basta. Prenderemo la svolta a destra più avanti. Voglio passare davanti alla scena del crimine del signor Forsythe mentre ci dirigiamo dalla sua vedova."

Continuarono per la loro strada, oltrepassando la svolta a sinistra che di solito prendevano per tornare all'appartamento. John si assicurò di stare attento nel caso ci fossero altri frammenti di vetro per terra e quando Sherlock ridacchiò sommessamente alzò lo sguardo confuso. "Dubito che incapperai in un’altra scheggia, John. Ma è interessante il fatto che tu abbia deciso di farci attenzione ora, quando la possibilità dei cocci di vetro non ti ha preoccupato nella ‘nostra’ parte del parco.”

John scrollò le spalle, ma dovette concedere il punto.

Un rumore attirò la sua attenzione e voltò la testa. Più avanti, il sentiero girava intorno ad alcuni alberi e cespugli e lui poteva sentire il rumore dei passi in avvicinamento. C'era un ritmo familiare in essi, almeno una dozzina di stivali che colpivano il suolo allo stesso tempo. Non fu affatto sorpreso quando un attimo dopo un gruppo di soldati svoltò oltre la curva. Un gruppo di cadetti fuori per la loro corsa mattutina, se avesse dovuto indovinare.

Si spostò sul lato del sentiero per lasciarli passare e accidentalmente andò a sbattere dritto su Sherlock, che non si stava affatto muovendo. Confuso, John lo guardò.

Sherlock stava fissando i soldati, con la testa un po’ inclinata, l’attenzione completamente concentrata su di loro.

E poi si leccò le labbra.

John sbatté le palpebre.

Il profumo lo colpì quasi nello stesso istante del battito cardiaco leggermente elevato di Sherlock. Questo di per sé era una sorpresa, ma il profumo... non aveva modo di descriverlo perché gli umani non avevano modo di percepirlo in modo consapevole, ma lui poté annusare il cambiamento mentre il corpo di Sherlock rilasciava una piccola dose di ormoni.

Testosterone, ossitocina, adrenalina... aveva già fiutato alcuni di questi elementi prima, al laboratorio su Molly.

Eccitazione.

John sentì che la mascella gli cadeva e girò la testa da una parte e dall'altra, spostando lo sguardo da Sherlock ai soldati che si avvicinavano e poi di nuovo indietro. 'Sul serio?'

Diede un colpetto alla gamba di Sherlock e lanciò un basso latrato, finalmente strappando di soprassalto l'investigatore dal suo vero e proprio divorare con gli occhi - buon Dio! - e costringendolo a spostarsi da un lato.

"Non c'è bisogno di fare il bullo, John," lo rimproverò Sherlock, voltando la testa per guardare i soldati che passavano correndo.

Uno di loro gli scoccò una lunga occhiata in risposta e gli fece l'occhiolino. Il respiro di Sherlock s’inceppò leggermente. Un umano non se ne sarebbe accorto, ma il suono non sfuggì alle orecchie sensibili di John.

Fissò Sherlock con scioccato divertimento. Questo era... inaspettato. E una conferma a una domanda a cui John aveva cercato di non pensare. Ma, be’... Sherlock non aveva mai detto che gli uomini non fossero la sua zona, vero? Quella parte di certo non era una gran sorpresa. Ma... soldati?

‘Immagino che questo spieghi perché era così stordito quando siamo entrati a Baskerville,’ pensò John. Allora aveva pensato di aver solo immaginato Sherlock che occhieggiava il caporale Lyons, ma a quanto pareva non era stato così.

"Ritiro quello che ho detto prima," borbottò Sherlock. "Il fatto che tu sia un cane è infinitamente preferibile al tuo essere umano. Non voglio nemmeno sapere a quale tipo di commento sarei sottoposto in questo momento se tu fossi in grado di parlare."

John pensava che ciò fosse piuttosto ingiusto e gli sbuffò contro, ma dovette ammettere che molto probabilmente l’avrebbe preso in giro almeno un po’riguardo a questo.

Soldati, davvero. Era per questo che era stato preso da lui così in fretta? Significava che, in qualche modo, Sherlock lo trovava attraente? Aveva sempre ignorato i commenti della signora Hudson in merito, ma ora gli venne in mente che la padrona di casa conosceva Sherlock da anni prima che lui lo incontrasse, e forse sapeva qualcosa che lui ignorava.

Non c'era, ovviamente, modo di testare quella teoria finché era in questa forma canina e una volta che avesse riavuto il suo vero corpo, se mai l’avesse riavuto, gli sarebbero mancati i sensi per annusarlo, letteralmente. E se non avesse riavuto il suo corpo... be’, allora sarebbe stato irrilevante, no?

Mentre seguiva Sherlock lungo il sentiero, John si permise di immaginarlo. Non uscire mai da questo corpo, rimanere per sempre intrappolato come cane, vivere il resto della vita al fianco di Sherlock in questo modo. Non era del tutto un incubo, ma non era nemmeno un'idea che gli dava gioia. Rivoleva indietro il suo corpo. Voleva camminare e parlare come un essere umano e avere pollici opponibili e cucinare il proprio cibo e non essere così dipendente da Sherlock per tutto.

Ma be’, se si fosse arrivati a questo... c'erano di sicuro cose peggiori che essere il cane di Sherlock. Era chiaro che gli piacevano i cani e per sua stessa ammissione ne aveva anche avuto uno tutto suo, e si prendeva cura di John e lo trattava meravigliosamente. Ma, be’, che dire della sua aspettativa di vita? Era stata ridotta a quella di un cane medio? Tutto quello che poteva sperare erano da otto a dodici anni? O avrebbe mantenuto la durata della sua vita umana e sarebbe rimasto con Sherlock per il resto delle loro vite?

Non suonava così male, ma John aveva il deciso sospetto che perfino Sherlock alla fine avrebbe avuto bisogno della compagnia umana per mantenersi sano di mente. E tenendo conto di quest’ultima rivelazione su di lui, c'erano buone probabilità che prima o poi incontrasse qualcuno che solleticava la sua fantasia e s’imbarcasse in una relazione.

John non voleva nemmeno immaginarlo. Sherlock, che portava un altro uomo nel loro appartamento, nelle loro vite... nel suo letto. E John, le cui orecchie erano abbastanza sensibili da cogliere quello che stavano facendo i vicini a tre case di distanza in fondo alla strada, non avrebbe avuto modo di non conoscerne ogni singolo dettaglio. La sola idea di questo era sufficiente a fargli drizzare il pelo. No, non avrebbe permesso che si arrivasse a quello. Forse era la sua parte canina, forse era che lui era un bastardo egoista, ma Sherlock era suo e non lo avrebbe condiviso con nessun altro.

Ora, se solo fosse stato umano e in grado di fare qualcosa al riguardo!

John sbatté le palpebre, strappato ai propri pensieri mentre il terreno sotto i suoi piedi cambiava dall'asfalto caratteristico del passaggio pedonale del parco alle ruvide lastre di pietra dei marciapiedi londinesi.

Senza accorgersene, aveva seguito Sherlock per tutto il tempo oltre la scena del crimine e fuori dal parco. Un attimo dopo, Sherlock si chinò e gli riallacciò il guinzaglio al collare.

"Mi dispiace, so che preferiresti evitarlo," mormorò solo per le orecchie di John. "Ricorda, quando arriviamo a casa della nostra vittima, voglio che tu raccolga quante più informazioni possibili su ciò che fiuti e senti mentre siamo lì. Avvisami se c'è qualcosa di sospetto. Pensi di poterlo fare?"

John emise un guaito rassicurante e diede un colpetto con la testa alla mano di Sherlock. Sentiva di poter fare qualsiasi cosa.



 




NdT: Ops, Sherlock, mi sa che ti eri dimenticato che il naso sopraffino di Johnny non funziona solo per i casi 🤣
   
 
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