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Autore: MaxB    03/08/2021    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono in un ritardo super mega pazzesco e chiedo scusa ma ho avuto dei giorni (e delle notti, purtroppo) esteuanti al lavoro.
In compenso, il capitolo è lungo e succedono un SACCO di cose.
Spero che i riferimenti temporali nel capitolo siano tutti corretti, solo per te, Jeremymarsh xD (li ho controllati praticamente tutti, giuro che sono corretti).
E al solito spero che vi piaccia, buona lettura e al prossimo cap che mi auguro arrivi molto prima♥


Capitolo 36

La ripartenza non fu meno caotica dell’arrivo, anzi. Dopo aver passato un mese insieme, era quasi diventata un’abitudine veder gironzolare per la città e per i parchi tutti quegli abitanti del Polo. Al ponte d’imbarco dell’aerostazione si presentò il triplo della gente che li aveva accolti, con sommo stupore soddisfatto di Renard e Archibald e malcelato fastidio di Thorn.
Insomma, non avevano un lavoro tutte quelle persone?
Nonostante tutto riuscirono a salire sul dirigibile, dopo vari abbracci, lacrime, da entrambe le parti, implorazioni che si sarebbero rivisti presto, solo da parte degli animisti e rassicurazioni che li avrebbero pensati sempre, da parte dei vacanzieri.
Thorn rinnovò il suo invito al prozio, e a bassa voce lo estese anche a Hector. Ora che non era più un bambino, e che sapeva come trattarlo, non gli dispiaceva troppo interloquire con lui. Non che lo apprezzasse, ma almeno non gli dava fastidio.
Berenilde e Vittoria salutarono la folla con un’eleganza e un’ammirazione che le Decane non avrebbero mai ottenuto, e che rivaleggiava persino con il rispetto che veniva solitamente portato ad Artemide stessa. O meglio, Berenilde salutò, agitando un candido fazzolettino; Vittoria era troppo concentrata a disegnare il dirigibile e la pioggia per rendersi conto di cosa stava accadendo. Solo quando alzò lo sguardo e vide un irrequieto e imbarazzato Tom si rese conto che stava per lasciarlo, per tornare a casa, lontano da lui. Così gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. Poi riprese a disegnare e si lasciò condurre da sua madre a bordo, guidata affinché non inciampasse sulla rampa d’imbarco. Tom barcollò prima di essere ristabilizzato dalla mano del padre, che lo guardò con orgoglio misto a pietà: si era fatto irretire già da così piccolo.
Con sommo stupore di entrambi, Serena, che si torturava i guantini nuovi con la solita pacata serietà, abbracciò il proprozio e gli disse che gli voleva bene e sperava di rivederlo presto. Il burbero vecchietto le diede un’impacciata pacca sulla spalla e bofonchiò qualcosa prima di voltarsi per non mostrare la sua commozione.
Superati i saluti e il viaggio, però, l’adattamento alla vita di tutti i giorni fu tranquilla per alcuni, traumatica per altri. Renard subì il colpo peggiore: si era abituato ad essere il cugino carismatico di tutti, su Anima, apprezzato per chi era e non per quello che sapeva fare o per il lavoro che poteva prestare, e il vedersi catapultato nella realtà di tutti i giorni lo fece cadere in una depressione malinconica che durò giusto un paio di giorni. Il terzo giorno infatti Gaela gli sbraitò contro, lo trascinò in camera per un orecchio, dando l'idea di una bambina che tirava un gigante, e il giorno dopo Renard era così ringalluzzito che Ofelia cercò di fare pressione psicologica perché si rideprimesse un pochino, appena appena.
A lei invece sembrò di tirare un sospiro di sollievo. Ritrovare la sua quotidianità le giovò, riprendere i ritmi le restituì il senso di appartenenza e la proprietà del suo castello. Anima e i parenti le mancavano, ma a conti fatti la sua arca natia era opprimente.
Con Thorn andò tutto a meraviglia, talmente tanto che la seconda notte dal loro arrivo, dopo che Thorn ebbe ripreso le sue attività e lei ebbe disfatto tutti i bagagli, la passarono praticamente in bianco. Il giorno dopo Ofelia si sentiva leggera, priva di ossa, ma felice, e la zia Roseline le disse che sembrava un uovo strapazzato nato da una gallina euforica.
Renard cominciò a tenere le lezioni a Serena, badando nel frattempo a Balder, che era troppo piccolo perché potesse seguire alcunché, e nel pomeriggio la bambina si esercitava con Ofelia nell'utilizzo dei poteri da lettrice. Ofelia non ebbe bisogno di molto tempo per rendersi conto di quanto Serena fosse dotata. Incarnava esattamente quello che Thorn avrebbe voluto diventare all'inizio, quando era stato organizzato il matrimonio combinato: l'amplificazione della memoria tramite la lettura. Un miscuglio perfetto, l'unione dei loro poteri familiari in modo coeso e coerente. Quello per cui Thorn aveva sposato Ofelia si era concretizzato nella loro primogenita. E, al contrario di tutto quello che avevano pianificato, dei complotti di corte e dei calcoli statistici, non lo avevano nemmeno previsto, voluto o desiderato.
Archibald girovagava per casa loro come al solito, andando e venendo a piacimento, la zia Roseline borbottava infastidita perché anche quella volta la sua macchina da cucire era andata distrutta durante il viaggio (perché tutti gli abitanti del Polo erano dei primitivi che non distinguevano un cucchiaio di puro argento da un bastoncino di legno), e Vittoria, con sorpresa di tutti, disegnava incessantemente ritratti di Tom. O almeno così pensava Berenilde. Era difficile dirlo, quando la maggior dei suoi disegni sembravano astratti.
Renard dimenticò ben presto la vacanza su Anima, perché il suo nuovo ruolo da insegnante gli piacque così tanto che Ofelia dovette stabilire degli orari precisi per la "scuola", altrimenti Renard avrebbe lambiccato il cervello di Serena di nozioni fino a tarda notte.
Sì, la normalità ritornò come una calda coperta avvolgente, ma non durò granché. Ofelia infatti aveva proposto a Thorn la possibilità di riaprire, solo la mattina, il suo studio di lettura. In fondo, aveva smesso di allattare Balder, di cui potevano occuparsi Renard e la zia Roseline a turno, per qualche ora la mattina, Serena era impegnata con il suo nuovo maestro preferito, anche se Thorn le aveva fatto presente che era pleonastico definire Renard il suo preferito, dato che era l'unico insegnante che avesse mai avuto, ma era solo la gelosia a parlare, e lui lavorava. Non c'era nessun valido motivo per non riaprire lo studio.
Questa proposta Ofelia gliel'aveva fatta dopo un mese dal loro ritorno al Polo, ma invece di concederle la riapertura della sua attività, Thorn aveva liquidato la questione con un laconico: - Mi riservo del tempo per valutare la questione.
Ofelia era ben abituata al suo tono da intendente: le sue domande più basilari erano interrogatori, le richieste diventavano ordini. Non le aveva mai dato fastidio, se non all'inizio, prima di conoscerlo davvero, ma quella risposta l'aveva lasciata interdetta e, a dire il vero, anche un pochino delusa.
Che cosa c'era da valutare? E quanto tempo gli ci voleva per metabolizzare una cosa del genere? Thorn meglio di tutti sapeva quanto fosse controproducente negarle qualcosa, determinata com'era, allora perché procrastinava in quel modo?
Dopo un altro mese senza risposta Ofelia si decise a tirare nuovamente in ballo l'argomento. Thorn non dimenticava mai nulla, dunque perché aveva lasciato passare così tanto tempo senza darle un responso? Cosa c'era in ballo, se lasciava in sospeso la questione per così tanto tempo?
La sera in cui si organizzò per parlare nuovamente della cosa, però, non finì proprio come previsto. Dopo aver messo a letto i bambini (Balder ora dormiva in camera con la sorella, non per mancanza di spazio ma perché Serena aveva chiesto espressamente di poter avere il fratellino in stanza, per farsi compagnia a vicenda), Ofelia stava per aprire bocca, quando Thorn la zittì con un bacio irruente e totalmente imprevisto. A dispetto delle loro prime volte insieme, timide, impacciate, quasi restie da parte di Thorn, lui aveva cominciato ad essere talmente a suo agio con la loro intimità che non si avvicinava più ad Ofelia con quel bagliore da predatore negli occhi, le balzava direttamente addosso, e non si avvicinava a lei cautamente, lasciandole il tempo di ritrarsi, la spingeva direttamente a letto; non parlava, non chiedeva, sapeva bene di cosa lei avesse bisogno, lo capiva dalle reazioni del suo corpo al suo tocco.
E ad Ofelia piaceva. Piaceva più di quanto fosse lecito ammettere. Thorn era brusco, era impulsivo, era rapido, impensabilmente scattante, ma non le faceva mai male. C'era una tale delicatezza nei suoi gesti quando l'adagiava a letto, o quando le stringeva le braccia, quando la bloccava perché lasciasse fare a lui, che era quasi commovente. Non le era dispiaciuto, all'inizio, prendere sempre lei l'iniziativa; l'aveva fatta sentire rispettata, potente. Ma mai quanto si sentiva potente, e amata, quando Thorn dimostrava di desiderarla in modo così appassionato, lui che era l'immagine dell'imperturbabilità e della rigidità. Quando la guardava con quegli occhi taglienti come rasoi, che posati su di lei sembravano infuocati, liquidi, pieni di un bisogno struggente di lei, pieni di amore incondizionato e assoluto, Ofelia gli si donava con tutto quello che aveva. Non parlavano quasi mai, si dicevano tutto quello che serviva con il tocco delle loro mani, che Thorn spesso le baciava teneramente, sorprendendola. Era talmente parco di baci che non fossero sulla bocca; così pochi che Ofelia li poteva contare senza bisogno della memoria portentosa di Thorn. Ma quando si donavano l'uno all'altra capitava che Thorn la baciasse ovunque, prendendosi lunghi minuti per mappare il suo corpo con le labbra, come per assimilare la sua pelle: spalle, braccia, ventre, petto, gambe, nei. In quei momenti ad Ofelia sembrava di dissociarsi dal suo corpo, di perdersi in uno specchio, nel fresco e pacifico interstizio tra i mondi.
Ma quella sera Thorn non si perse in preamboli. Fu solo rapido, e fisico, così tanto che Ofelia si chiese cosa fosse successo dall'ultima volta che erano stati insieme, due giorni prima. Stress? Repressione di qualche tipo? Degli attacchi del genere li avevano entrambi dopo un periodo di distacco prolungato. Archiviò la questione senza porsi ulteriori domande, però, perché in quei frangenti Thorn sapeva toccare tutti i punti giusti, e le bisbigliava il suo nome all'orecchio con una voce gelida che la faceva rabbrividire vergognosamente.
Quando Thorn si sdraiò accanto a lei, a corto di fiato, Ofelia era sicura che nel giro di poco si sarebbero uniti nuovamente. C'era qualcosa che non la convinceva nell'intimità appena condivisa, un non detto che Thorn sembrava portarsi dentro da giorni e forse era la causa di tutta quell'impulsività. Nel momento in cui Thorn la strinse a sé, però, invece di lasciar vagare le sue grandi e calde mani dappertutto, stuzzicandola e sollecitandola nuovamente, le depositò un casto bacio in fronte.
E non le lasciò il tempo di aprire bocca.
- Sei incinta.
Ofelia sobbalzò, mentre ripeteva quelle parole nella sua mente senza trovarvi un senso.
Nella fretta, Thorn non le aveva tolto o fatto togliere né gli occhiali, né i guanti, e tanto meno la camicia da notte a dire il vero. Giusto la biancheria e la sciarpa, ma solo perché quest'ultima diventata terribilmente irrequieta durante i loro rapporti, finendo costantemente per accecare Thorn. Pertanto Ofelia aveva una visuale perfetta, non offuscata dalla miopia, sul volto serio e ancora leggermente arrossato di Thorn. Non era il tipo di uomo che scherzava su certe cose. A malapena scherzava, a dire il vero.
Notando la sua sorpresa, lui si schiarì la voce e distolse lo sguardo, cosa non facile dato che erano a pochi centimetri di distanza. - Su Anima dovresti avere avuto il tuo ciclo mestruale il dieci del mese.
Ofelia cercò di ricordarsi quando le erano arrivate, ed effettivamente ricordava quel giorno perché lei aveva chiesto di anticipare una gita verso una spiaggia lontana. Così annuì, troppo esterrefatta per parlare.
- Hai saltato il mese scorso - continuò lui, sempre con lo sguardo lontano. - E questo mese avresti dovuto finirle due giorni fa.
- Tu come le sai tutte queste cose? - domandò Ofelia.
Tra tutte le domande che poteva fare, forse quella era la più sciocca.
Thorn la inchiodò con gli occhi metallici. - Io tengo conto di tutto.
Erano sposati da così tanto tempo... solo ora si rendeva conto di quanto Thorn si fosse adattato ai suoi ritmi, di quanto fosse consapevole di come funzionava lei, il suo corpo. Ovviamente teneva conto di tutto. Ovviamente. E ovviamente non le si era mai avvicinato con intenti espliciti quando era a ridosso del suo periodo mensile. Lei non aveva mai ritenuto opportuno informarlo, sapeva che lui avrebbe capito, ma solo in quel momento si rese conto di quanto sapesse. Di quanto sapeva ogni volta.
Si ritrovò ad aprire e chiudere la bocca come un pesce. Due mesi erano tanti, non poteva essere un errore di calcolo o un azzardo.
- Quindi...
- Su Anima - la interruppe lui. - Non saprei dire di preciso quando, o dove, anche se propenderei per la prima volta che... ero un po'... temo di essermi lasciato...
Nella camera della sua infanzia.
Così a disagio, Thorn le faceva un'incredibile tenerezza. Sembrava quasi un bambino che non sapeva come scusarsi. Non avevano programmato quella gravidanza, non ne avevano parlato, e in fondo la colpa, se la si poteva definire in quel modo, era sua: non erano le donne ad ingravidare gli uomini.
- Di quanto sono?
- Quarantanove giorni - rispose lui prontamente, sicuro di ciò che diceva quanto era a corto di parole e a disagio quando doveva esprimere dei sentimenti.
- Quasi due mesi... - mormorò Ofelia. - Sono tanti.
Thorn la guardò senza proferire parola, con la fronte aggrottata al punto che gli occhi erano solo due sottili fessure.
- Come ho fatto a non accorgermene prima?
Era più che altro una domanda retorica, ma Thorn rispose: - Eri presa dall'idea della riapertura del tuo studio. Tu non sei consapevole dello scorrere del tempo come me.
Era una frase alla Thorn, una verità espressa con il suo solito tono secco, e Ofelia sapeva che non voleva lanciare un'accusa. Un po' di consapevolezza, però, si fece strada in lei.
- Per questo non mi hai dato subito la risposta per la riapertura! - esclamò sommessamente.
Thorn annuì una sola volta. Come aveva fatto ad essere così cieca? Le nausee mattutine, di cui lei aveva incolpato una cattiva digestione e il difficoltoso riadattamento alla cucina del Polo, il ritardo nel ciclo, gli ormoni che... la portavano sempre da Thorn.
Arrossendo, mormorò: - Sei proprio infallibile, vero?
Thorn non si schermì, ma nemmeno gongolò: - La mia memoria lo è.
Rimasero in silenzio per un po', prima che Ofelia riprendesse la parola. - Va bene, quindi aspettiamo un altro figlio. Il terzo.
Thorn annuì bruscamente. Poi strinse la mascella, come se qualcosa lo avesse irritato. - Sono solo il bastardo dei Draghi, non ho mai fatto davvero parte del clan, ma si può ipotizzare che sarei stato ben accolto, se fossi stato uno di loro, data la mia prole numerosa.
In qualche modo quel discorso fece sentire Ofelia a disagio. Sapeva che Thorn non l'aveva sposata per i figli. Anzi, era un miracolo che ne avessero due, presto tre, visto com'erano partiti con il piede sbagliato. Sapeva che Thorn non voleva insinuare nulla di spiacevole, che non la stava davvero usando come madre ovaiola per riportare in auge il clan del padre, però in effetti le sembrava di essere diventata proprio quello. Serena avrebbe avuto cinque anni quando fosse nato, o nata, il nuovo bambino. Tre figli in cinque anni erano decisamente tanti. Le sembrava di essere diventata una versione più sobria di Agata. Le tornò anche in mente l'entrata in scena del clan dei Draghi al completo, il giorno prima della loro morte; quando erano andati a trovare Berenilde prima dello spettacolo di Chiardiluna, alla vigilia della caccia a cui avrebbero voluto partecipasse anche Berenilde. Anzi, a cui avevano preteso partecipasse anche lei, pena la scomunica, o qualsiasi fosse il termine adatto ad indicare che qualcuno non era più considerato parte del clan. La moglie di Godefroy era stata definita una delusione, data la sua incapacità di portare a termine una gravidanza; Freya, la sorellastra di Thorn, invece, con i suoi tre gemelli era stata esibita come un trofeo dal capostipite. Tre figli maschi, un apporto notevole.
Capì che Thorn stava pensando proprio a quello quando aveva fatto quel commento. Se fosse stato a tutti gli effetti un Drago, padre Vladimir sarebbe stato soddisfatto anche di lui? E se, come sarebbe ovviamente successo, avessero continuato a considerarlo una nullità, un errore, una vergogna, come si sarebbero sentiti di fronte alla sua prolifica famiglia?
Ofelia non aveva avuto vita facile con i Draghi, per quanto poco li avesse conosciuti, ma non ci voleva un genio per capire che non sarebbero stati affatto felici di vederla mettere al mondo tre figli dal bastardo della famiglia. Un sangue impuro, come l'aveva definita la nonna di Thorn, che andava a macchiare quello dei Draghi. Una straniera che non aveva nulla a che fare con loro e le loro consuetudini. Che non aveva artigli, ed era pertanto inutile. Chi non poteva cacciare non era un Drago, e lei non sarebbe mai stata un Drago.
Era brutto da pensare, ma si sentì sollevata all'idea che fossero morti tutti. Chiunque avrebbe aborrito l'idea di vivere con il terrore che qualcuno potesse fargli del male o farne ai propri figli, guardandosi le spalle continuamente, dubitando di tutti e recludendosi per correre meno rischi. Bastava rendersi conto della sorte che era toccata ai figli di Berenilde, che era una donna appartenente ad uno dei clan più influenti del Polo, per capire che a lei sarebbe toccato molto, molto di peggio.
Ofelia riportò la sua attenzione su Thorn, che già la fissava, in attesa di una reazione qualsiasi.
- Non è per questo però che hai voluto Serena e Balder, no? Non è stato per una sorta di ripicca verso il clan di tuo padre.
Thorn si accigliò e storse il naso. - No.
Secco, brutale, non aveva bisogno di altri orpelli verbali. Ma sembrò quasi pentirsi del tono brusco, così aggiunse, seppur con difficoltà: - Non ho voluto diventare padre per un'ipotetica rivalsa su di loro, anche se ammetto che sarebbe stato motivo di rinnovato odio verso di me. Anzi, vista la loro natura violenta, se fossero stati in vita avrei cercato di dissuaderti dal volerne. Tu saresti sempre stata in pericolo, i bambini ancora di più, non importa che io sia stato ristabilito dallo stato di bastardo: ai loro occhi sarei sempre stato tale.
Si interruppe, schiarendosi la voce. Ofelia percepì un non detto che lui forse faticava ad esprimere. Quando capì che però non avrebbe aggiunto altro, gli baciò una clavicola ossuta e si sdraiò su di lui, impacciata dalla camicia da notte. Non sarebbe mai stata seducente, ne prendeva atto, ma Thorn non era mai stato difficile sotto quell'aspetto.
- E allora perché sei voluto diventare padre? Di ben tre figli? - mormorò Ofelia mentre gli baciava spalla, collo e guancia, soffermandosi sulla cicatrice.
Thorn si tese sotto di lei, invece di rilassarsi, compresso come una molla. - Perché lo volevi tu.
Ofelia sorrise sulla sua pelle. Si avvicinò alle sue labbra, ma quando lui allungò il collo per porre fine alla distanza, lei si tirò indietro con un sorrisetto soddisfatto appena accennato. Gli occhi grigi di Thorn sembravano emettere lampi.
- Ti avevo chiesto di essere sincero con me, e di non tacermi nulla. Te lo sei dimenticato? - lo provocò.
Si tolse poi la camicia da notte. Thorn se la mangiò con gli occhi, ma non le permise di togliersi i guanti: ci pensò lui a farlo, baciandole la punta di ogni dito.
Stranamente non le disse che non lui non dimenticava mai nulla, come al solito, come se lei avesse bisogno di ricordarsene. Invece, si alzò a sedere, con lei sopra, superandola nuovamente in altezza, e la baciò con prepotenza.
Ofelia lo bloccò un paio di minuti dopo, quando fu palese che Thorn desiderava concludere la conversazione fisica, ma non quella verbale.
- Allora? Sei felice di diventare padre per la terza volta?
- E tu? Dovrai portare avanti la terza gravidanza.
Ofelia scosse la testa e gli prese il viso tra le mani. - Rispondi - gli intimò, cercando di imitare il tono da gendarme che aveva lui nel porre quesiti.
- Non mi dispiace - bofonchiò vagamente. - Mi...
Si zittì di nuovo. Ofelia trattenne un sospiro. - Ti...? - lo incalzò.
- Mi sono fatto convincere da te. Tu volevi un figlio con me. Pensavi che potessi farcela, che sarei stato all'altezza del ruolo.
Ofelia si scostò per poterlo guardare negli occhi. Sempre troppo in alto rispetto a lei. Thorn distolse i suoi, le orecchie rosse.
- Quando Serena ha cominciato a crescere, e anche lei si affidava a me, mi... mi voleva bene, ho voluto vedere se con un altro figlio sarebbe stato lo stesso. Se voi due eravate un'eccezione, o se anche un altro bambino mi avrebbe... accettato.
- E il terzo? - gli chiese Ofelia, a voce bassa per paura che lui cambiasse argomento. - Ti spaventa?
- Sì - ammise lui. - Non era previsto.
- Ne sei pentito?
- No.
- E allora non hai nulla di che preoccuparti. Previsto o no, un bambino non ti ama in base a quanto tu lo desideri. Balder è arrivato subito eppure ti vuole bene quanto Serena, che abbiamo cercato per diversi mesi.
Thorn riportò gli occhi nei suoi, serio come sempre. - Sei felice?
Ofelia chiuse gli occhi. Aveva due figli meravigliosi, stava aspettando il terzo, suo marito la amava in un modo viscerale che lei faticava anche a comprendere... - Sì. Sì.
E si abbandonò a lui, alla sua più grande fonte di felicità, che era alta, ossuta, calda, seria, taciturna, solida, pallida, forte e stabile. Ma soprattutto presente e profondamente innamorato di lei.
 
Vittoria fu come sempre la veggente del caso, e annunciò che il bambino sarebbe stato nuovamente maschio. Ormai nessuno più si interrogava sui particolari poteri della piccola, che tra l'altro aveva anche informato Galea e Renard che loro invece avrebbero avuto una femmina.
- Puah - aveva sputato Gaela, del tutto in contrasto con l'espressione estatica del marito. - Le femmine causano solo problemi.
- Ma come, mia bella, non puoi mortificare così la mia euforia che...
- Taci René, o comincio con il mettere in castigo te - lo aveva interrotto lei, bloccando il suo slancio.
Ofelia aveva nascosto il sorriso notando come in realtà l'occhio blu elettrico dell'amica scintillasse di soddisfazione, e non certo per aver rimesso a posto il marito.
Pochi giorni dopo comparve nel salotto di casa loro una signora biondissima con la testa piena di ricci disordinati, la tuta di lavoro di Gaela e la sua stazza. Ofelia rimase a bocca aperta alcuni secondi prima di riscuotersi grazie a Serena.
- Mamma, ma chi è quella signora? - chiese innocentemente.
Gaela sbuffò. - Ci sono talmente tante illusioni in quest'arca marcia che non siete capaci di vedere la realtà nemmeno quando vi tira un pugno sul naso.
In quel momento entrò Renard, tutto tronfio. - Non è bellissima la mia signora con i suoi colori naturali addosso? Il biondo le dona. Ah, queste donne bionde, tutte bionde, biondo ovunque...
Ofelia cercò di non arrossire pensando a quanto effettivamente anche Thorn fosse biondo. Ovunque, come ci aveva tenuto a precisare Renard.
- Come mai questo... cambiamento? - domandò per distrarsi.
Gaela scosse le spalle, stravaccata sul divano con la pancia tondeggiante che emergeva.  Ad Ofelia, con il suo terzo mese, ancora passava inosservata, ma Gaela ormai era quasi a otto mesi, la prima cosa che si notava di lei era proprio la pancia.  Eppure, nonostante mancasse così poco al parto, Gaela non aveva voluto sentire ragioni e continuava ad andare al lavoro. Renard non era riuscito a farla desistere, ma fortunatamente le aveva strappato il compromesso che sarebbe andata in officina solo al pomeriggio, quando ci fosse stato anche lui. Finite le lezioni infatti prendeva e accompagnava Gaela al lavoro. Una volta Ofelia era andata a trovarli con i bambini, che desideravano tanto vedere dove lavoravano il maestro e la zietta, come la chiamava Serena. Ofelia si era chiesta se Gaela non l'avesse fatto apposta ad ordire quel complotto: lei se ne stava bella in panciolle su una poltrona e supervisionava il lavoro di Renard, che la maggior parte delle volte si ritrovava infilato sotto qualche macchinario con la tuta da lavoro calata fino alla vita per via del caldo e le braccia muscolose bene in vista. In effetti, il sorriso di Gaela mentre sbraitava ordini e si mangiava il marito con gli occhi era alquanto compiaciuto.
- Non mi va di più di essere quella che non sono - rivelò Gaela. - Mi ero tinta i capelli di nero per mascherare la mia discendenza diretta con Faruk, il fatto che fossi una Nichilista. Ma non voglio crescere i miei figli, anzi, mia figlia, nella menzogna, insegnandole che bisogna nascondersi di fronte alle minacce.
Renard alzò il mento, fiero di sua moglie.
Ofelia sorrise ad entrambi. - State molto bene con il vostro vero colore.
Gaela si tirò un ricciolo biondo, un po' perplessa. - Mah - commentò solo, vagamente.
- Difenderò io la nostra discendenza. Vedrai, li farò tremare dalla paura se solo si azzardano ad avvicinarsi ad Ilda.
Gaela fece una smorfia.
- Ilda la chiamerete? - chiese Ofelia per conferma.
La zia Roseline, che era rimasta china su un vecchio dizionario che Berenilde le aveva chiesto di sistemare per conto di un'amica, tanto silenziosa da mimetizzarsi con la tappezzeria, alzò la testa. - La cugina della moglie di tuo zio si chiamava Ilda. Una donna rispettabile, ma aveva la zeppola. Non si capiva nulla quando parlava, sputacchiava come una fontanella senza rompigetto.
Renard fece una faccia un po' schifata, ma Gaela non si lasciò intimorire. - Non transigo sul nome.
La sua veemenza confermò i sospetti di Ofelia: il nome Ilda era ovviamente un tributo alla protettrice di Gaela, alla persona che le era stata accanto per tutti quegli anni, proteggendola. Ildegarda.
Ofelia sorrise. - Mi piace. Lui invece si chiamerà Tyr* - annunciò toccandosi la pancia.
La zia Roseline bofonchiò qualcosa circa quei nomi terribilmente nordici. Ofelia non poteva darle torto, il nome Tyr era corto e brusco, un po' come tutto quello che Thorn diceva.
Renard le lanciò un'occhiata incuriosita. - Non per mettere in discussione la scelta, ma come mai?
Ofelia si strinse nelle spalle. - Lo ha scelto Thorn. Non l'ha imposto, però mi pareva che gli piacesse particolarmente, per cui non ho intenzione di discutere.
In effetti, Thorn le aveva comunicato che avrebbero chiamato il bambino Tyr senza tanti preamboli. Di fronte alla sua faccia perplessa le aveva chiesto se poteva andarle bene o voleva cambiarlo, ma a lei in fin dei conti non cambiava granché. Non era mai stata brava a dare i nomi, nemmeno ai pesci rossi che aveva da bambina. Se non fosse stato per Agata, che li aveva chiamati Lady Scaglia Brillante e Illustre Coda Aggraziata, lei li avrebbe nominati Pescia e Pesce Piccolo.
- Mi piace - commentò Renard. - Da bambino avevo letto uno o due storielle su Tyr, l'eroe fortissimo acclamato da tutti che portava la pace tra i clan e creava il regime democratico perfetto. Di bell'aspetto, possente, tutti noi bambini volevamo essere come lui. Era una bella collana di libri per bambini.
Ofelia capì come mai Thorn avesse scelto Tyr. Se lo immaginava da bambino, a leggere qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani, tra cui la storia di un discendente di Faruk beneamato che portava la pace e rendeva tutti felici. Sentì una stretta al petto a pensare a come dovesse essere stata dura per lui l'infanzia.
Serena invece si illuminò. - Posso leggelli mamma?
Renard scosse la testa. - Hanno bruciato l'intera collana e ucciso lo scrittore temendo una rivolta o un qualche tentativo sobillatore inculcato nei bambini.
Ofelia non riuscì a nascondere l'orrore. Tutto per dei libri per bambini.
Serena si accigliò. - Cosa vuol dire sobillo... sibolla...
Renard le fece l'occhiolino. - Questo, signorina, lo vedremo domani a lezione.
Serena sorrise, tutta contenta, e andò dalla prozia. - Zia Roseline - sussurrò, a voce troppo alta però. La sentirono tutti. - Mi cerchi sul dizionavio la parola sopinnatore?
La zia le sorrise con i denti cavallini in mostra e se la prese sulle ginocchia.
- Tanto domani glielo spiego lo stesso - si congedò Renard.
Ofelia invece quella sera disse a Thorn che il nome Tyr le sembrava perfetto. Lui la guardò accigliato, come se subodorasse che c'era sotto qualcosa, ma non le chiese nulla.
 
Il parto di Gaela fu ciò che Thorn si era sempre aspettato: urla, imprecazioni al padre e insulti a chiunque. Le si erano rotte le acque più o meno a mezzogiorno e Thorn si augurava di poter dormire quella notte. Chiuse di scatto l'orologio da taschino e si sentì stranamente empatico nei confronti di Renold, che se ne stava seduto di fronte alla porta come in attesa di una pièce teatrale. Peccato che avesse le mani tra i capelli. Era talmente provato da non accorgersi nemmeno che Salame gli stava infilando gli artigli nelle dita.
Gaela li deliziò con un'altra serie di promesse circa il fatto che non avrebbe più fatto "quel sesso così appagante con cui si era ritrovata in quella situazione", che avrebbe "evirato suo marito se solo si azzardava a metterla incinta di nuovo" e che avrebbe "passato la vita in astinenza piuttosto che ripetere quell'esperienza". In effetti non si capiva quale delle tre minacce spaventasse di più Renard. Archibald, sempre nel posto sbagliato al momento giusto, se la rideva sotto i baffi, dando pacche amichevoli sulla grossa schiena di Renard.
- Lieto di spargere la voce che c'è un nuovo eunuco al Polo. Vi ricordate quel vostro lontano zio che è stato evirato dalla moglie dopo averlo scoperto a letto con una senza poteri, intendente? Ah, i Draghi e la loro gelida passionalità. E i loro artigli letali, soprattutto. Povera virilità.
Thorn non lo guardò nemmeno, ma Renard si afflosciò ancora di più.
Berenilde, la zia Roseline e Ofelia stavano dando una mano alla partoriente insieme alla levatrice. Non le si sentiva parlare, ma forse era solo perché Gaela urlava così tanto da coprire ogni altra voce in casa.
Pochi attimi dopo ne uscì Ofelia, con gli occhiali storti sul naso, i capelli legati in quello che doveva essere uno chignon ma sembrava più che altro un palla di stoffa masticata da un animale, e la sciarpa che le si attorcigliava alla faccia, terrorizzata dalle urla.
Appena prima che chiudesse la porta sentirono la zia Roseline berciare: - Allora, la vogliamo smettere di fare tutto questo baccano? Peggio che alla Parata delle Pentole! E basta volgarità! Dovrei lavarti la bocca con il sapone acido, altroché! Svergognata.
Sentirono una risata che pareva quella di Gaela, ma la porta si richiuse sigillandola all'interno.
Quando riuscì a togliersi la sciarpa dalla bocca, Ofelia ansimò e disse: - Preferisco partorire che fare da assist...
Renard saltò in piedi e la afferrò per le spalle, facendo scivolare a terra Salame, che gli soffiò contro.
- C'è qualche problema? Gaela sta bene? E la bambina? Sono a rischio? Perché urla così tanto la mia adorata? Ci sono delle complicazioni, vero?
Renard rabbrividì e gemette. Poi si voltò verso Thorn, che lo fissava con uno sguardo omicida. - Mollatela.
Non appena Renard ebbe staccato le mani da Ofelia, come si fosse scottato, la fronte gli si distese. Persino Ofelia aveva sentito la corrente elettrica di Thorn farsi troppo vicino, e urtarle leggermente i nervi.
Premurosa, aiutò Renard a sedersi e lo guardò bene in volto. Cercò anche di sorridere, ma quando si accorse che aveva un po' di sangue su un braccio si bloccò. Renard seguì il suo sguardo e assunse in un attimo un colorito verde poco rassicurante.
- Lasciate che vi consigli io, per una volta - lo blandì Ofelia, calma. - Prendete fiato. Gaela sta bene, il parto a dire il vero è tranquillo. Nessuna complicazione, per essere il primo sta per concludersi in fretta.
Renard aveva gli occhi sgranati. - Ma ma ma... le urla e... il sangue e...
- Il sangue è normale, purtroppo, nulla di cui preoccuparsi - Ofelia cercò di nascondere il braccio macchiato. - Per quanto riguarda le urla, be'... è meno tragico di quanto sembri.
- Ma ha male, sta soffrendo, la mia povera...
- Renold - lo interruppe Ofelia, divertita. - Sta facendo un po' di scena.
Renard la guardò come se avesse appena confessato di essere in realtà davvero Mime, e quella di Ofelia fosse solo una maschera. Non fece nemmeno caso a Salame che, irritato, gli si stava arrampicando su per la gamba, artigli sguainati.
- Scena? Ma... le urla, e il sangue... - ripeté. - E il sesso!
Thorn si irrigidì a sentire quella parola così... disagevole. Ofelia cercò di non arrossire e si mise invece a ridere per sdrammatizzare, mentre Archibald se la rideva sotto i baffi. Lei non aveva mai detto quella parola. Non che fosse volgare, però... non le piaceva. Lei e Thorn non facevano sesso. Quello lo faceva Archibald con la prima malcapitata che trovava. Loro facevano qualcosa di più.
- Gaela si stava bevendo un tè prima che uscissi. Lo sta affrontando meglio di me, fidatevi di quel che vi dico.
- Gaela non beve tè! Lei si fa due pinte e mi guarda con l'aria di sfida di chi potrebbe bersene un'altra!
- Non può bere alcolici in questo momento, anche se si è lamentata per diverso tempo che avrebbe volentieri corretto quell'acquetta calda che stava bevendo, come l'ha definita lei. La zia Roseline l'ha rimbeccata, dicendo che solo le bestie e i criminali non sanno apprezzare un buon tè ristoratore.
Renard sgranò gli occhi. - E Gaela cosa...?
- Ha roteato gli occhi e si è trattenuta dal farle un gestaccio.
Intendiamoci, Gaela non avrebbe avuto problemi ad attaccar briga con chicchessia, ma la zia Roseline riusciva a spaventare pure lei. Anzi, più che spaventarla, la preoccupavano i soliloqui che imbastiva ogni volta che qualcuno cominciava una discussione. Risultava talmente tanto difficile sostenere la propria posizione che quasi tutti gliela davano vinta.
Renard continuava a non capire.
Ofelia trattenne un sospiro. - Mi ha pregato di non dirvelo, ha chiesto a tutte noi di non farlo, ma mi dispiace vedervi in questo stato. Gaela sta cercando di passare il tempo torturando voi. Dice che non è giusto che sia solo lei a soffrire, che è scorretto che lei si porti quindici chili in più addosso per nove mesi mentre voi avete solo... be'... vi lascio immaginare cosa possa aver detto.
Renard ebbe la decenza di diventare dello stesso colore dei suoi capelli. Poteva benissimo figurarsi cosa aveva detto la sua dolce metà circa la volta in cui avevano concepito la loro Ilda. Nulla di spiacevole, decisamente.
- Quindi, per distrarsi dalle ore di travaglio, sta urlando più forte che può per rendervi partecipe del suo calvario.
Thorn inarcò un sopracciglio. - Non è un ragionamento molto logico.
Ofelia si portò le mani alla base della schiena, stirandosi. - Raramente una partoriente è posseduta dal raziocinio, Thorn. E raramente dà ascolto a qualcuno, specialmente se comincia a fare la morale. Soprattutto quando ha male, molto male, però la soglia di sopportazione del dolore di Gaela è ammirevole.
Thorn si accigliò ancora di più.
Renard invece parve rilassarsi. - Quindi sta bene? Lei e la piccola stanno bene?
Ofelia gli sorrise dolcemente. - Sì, va tutto bene, tra poco dovrebbe essere finita e potrete abbracciarle entrambe.
L'espressione di Renard parve diventare un incendio, con il cuore bianco come i suoi denti.
- Non c'è mai da annoiarsi con lei. Che donna! Gli anni di corteggiamento sono valsi tutti!
Archibald sbuffò, divertito. Poi con la sua voce melliflua commentò: - Che spreco.
Mentre i due cominciavano a battibeccare, o meglio, Renard difendeva la sua posizione e Archibald gli si opponeva, Thorn spostò lo sguardo su Ofelia.
- Tè?
Fu lei ad aggrottare la fronte, un gesto tipico del marito. Quando mai le offriva qualcosa da mangiare o da bere? Suonava così strana quella proposta cortese in bocca sua, anche se il tono con cui l'aveva espressa sembrava più l'offerta di un cubetto di ghiaccio che altro.
Annuì semplicemente, e si diressero verso le cucine in silenzio.
L'orario di cena era passato da un po', e a dire il vero quasi nessuno aveva mangiato, dato che erano tutti impegnati con Gaela. Erano riusciti a mettere a letto i bambini solo perché una domestica si era gentilmente offerta di leggere loro una storia, per tenerli buoni. La cucina era deserta, svettavano solo qui e là dei piatti coperti da cloche di metallo lucido: i resti della cena non consumati, per chiunque avesse voluto favorirne al termine del parto di Gaela.
Ofelia cominciò a preparare il tè facendo bollire l'acqua. A metà dell'opera Thorn le si avvicinò da dietro così silenziosamente che Ofelia sussultò quando sentì la sua mano fredda premerle sul ventre. Era ancora prestino perché il bambino calciasse, ma Thorn ormai aveva presto l'abitudine di accarezzarlo attraverso la pelle della madre. La sua mano era talmente grande da coprire quasi tutta la pancia.
Ofelia sapeva che Thorn stava per dire qualcosa, così rimase in paziente attesa, fissando la teiera. La sciarpa si era calmata e si teneva a debita distanza dal fuoco, fortunatamente.
- Al parto voglio essere presente anche io. Non mi importa cosa dice la levatrice. Sono intenzionato a licenziarla se me lo impedirà.
Ofelia si irrigidì. Si era affezionata a quella donnina tonda dai capelli grigi, con l'aria arcigna ma gli occhi pieni di affetto quando guardava i bambini. Sarebbe stato uno scontro tra due personalità incredibilmente forti e testarde. Non voleva perdere la levatrice, ma... voleva davvero che Thorn assistesse al parto? L'aveva vista in circostanze pietose, con il volto pesto e il naso sanguinante, in veste di uomo e con le ossa rotte. A nessuno dei due importava dell'aspetto estetico, ma il parto era...
Thorn le appoggiò il mento sulla sommità della testa, chinandosi per raggiungerla, tanto era alto. La barba corta della sera le si impigliò tra i capelli.
- Sì - concesse di slancio. Nemmeno lei era in grado di negargli qualcosa, specialmente se le stava vicino in quel modo. - Va bene.
Soddisfatto, Thorn si scostò. Ofelia sentì improvvisamente freddo sulla schiena, dove il corpo solido di Thorn non premeva più contro il suo. Non fece in tempo a lamentarsi, però, perché Thorn spense il bollitore ormai caldo e fece sedere lei sul bancone della cucina in un unico gesto. Ofelia si guardò automaticamente intorno, imbarazzata. Com'era possibile che Thorn fosse comunque più alto di lei, anche se di poco?
Non fece nulla di sconveniente comunque, e Ofelia non capì se la cosa la sollevò o la deluse: le prese solo il braccio macchiato di sangue, mettendo in evidenza un taglio di cui lei non si era nemmeno accorta. Thorn le sbottonò con cura la manica, facendole tornare in mente quella volta in cui le aveva chiesto di mostrarle il braccio in seguito alla caduta nella manifattura di Madre Ildegarda. Allora la situazione era stata molto, molto diversa, e lei non aveva saputo spiegare la strana sensazione che le dava la pelle di Thorn contro la sua.
Lui le esaminò il taglio, lo ripulì con gesti abili e precisi e le accarezzò, con sorpresa di Ofelia, la pelle intatta attorno, facendole un leggero solletico.
- Mi stavo chiedendo due cose. La prima è come sia possibile che io senta ancora tutto questo bisogno di te, nonostante siamo sposati da nove anni. La seconda è come sia possibile che tu riesca ancora a sorprendermi.
Ofelia sentì il cuore mancarle un battito dopo la prima domanda. - Sarebbe un problema il contrario, non credi? Se dopo solo nove anni ti fossi già stancato di me. Tua zia dovrebbe cercarti una nuova consorte in qualche altra arca con dei poteri interessanti da trasmettere ai vostri figli.
Thorn la baciò con irruenza come al solito, ormai era il suo marchio di fabbrica. La barba corta le pizzicò mento e guance e ben presto Ofelia si ritrovò a corto di fiato in un attimo.
Quando si staccò ansimava e si stringeva al colletto della camicia di Thorn. Lui si risistemò i capelli con un gesto metodico e collaudato, facendole intendere che sarebbe finita lì. In effetti, erano nella cucina, e Gaela stava ancora cercando di mettere al mondo la figlia.
- Per ora mi accontento.
Ofelia cercò di mascherare un sorriso. Non erano parole dolci, anzi, non erano nemmeno lusinghiere. Dire ad una donna che ci si accontentava di lei era forse l'offesa peggiore. Ma se veniva da Thorn, non poteva che essere una battuta, più che un insulto. E Ofelia apprezzò il suo tentativo di umorismo, per quanto fosse sottile e leggermente sarcastico.
- Fammi sapere quanto ti stufi, potrei accettare la vecchia proposta di Archibald.
Thorn le lanciò un'occhiataccia, ma parve reagire meglio del solito. Quanto meno non sembrò ingelosirsi più di tanto.
- Perché ti ho sorpreso, comunque? - deviò il discorso lei, prima che l'atmosfera si facesse troppo pesante.
Thorn le prese il braccio tagliato, che aveva smetto di stillare plasma. - Chi riesce a procurarsi un taglio di sette centimetri sul braccio in una sala parto?
Non aveva tutti i torti, in effetti.
- Un bisturi - rispose lei, scioccamente.
- Avevo intuito, ma com'è finito nel tuo braccio?
Ofelia ci rifletté un istante prima di gettare la spugna. - Non lo so.
Thorn scosse la testa, ma Ofelia capì che era più divertito che altro. Anche se aveva una faccia da funerale.
L'aiutò a scendere dal bancone e la osservò in silenzio mentre versava il tè. Non la fermò quando ne passò una tazza anche a lui, che la bevve come se fosse stata fresca anziché bollente. Quando le prese di mano il vassoio per portarlo a Berenilde, Roseline e la levatrice, Ofelia sentì l'impulso di trattenerlo. Gli toccò il braccio e si torse i guanti, a disagio. La sciarpa frustò l'aria.
- Sarei... mi farebbe piacere se tu assistessi al parto.
Thorn annuì un cenno secco. - D'accordo allora.
Arrivarono di fronte alla stanza dove Gaela stava ancora strepitando con il cuore più leggero, dimentichi della spossatezza della giornata.
E giusto in tempo per sentire il primo vagito di Ilda.




*Tyr: nome del dio della guerra nella mitologia norrena. Il nome da sé è tutto un programma, vi lascio intuire xD
  
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