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Autore: Zobeyde    25/08/2021    19 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«ll meraviglioso serve ad avviare il processo di guarigione di un'umanità sofferente.»

- Kindermann




 



IL MAGO

 



 
New Orleans, estate 1933.


Il circo arrivò all’alba, in un torrido sabato di fine giugno.
Il convoglio su cui viaggiava – un serpentone di vagoni rosso scarlatto e ruote dipinte a raggiera – apparve su un binario alla periferia nord della città, annunciato da un violento stridore di freni e da una nube di fumo grigio.
Nella viscosa luce del giorno, che si faceva via via più intensa, tutti i portelloni si spalancarono fragorosamente; ne emersero una dozzina di uomini sporchi che, dopo aver imprecato, sputato per terra e acceso qualche sigaretta, circondarono il treno calando giù pedane e guidando per le briglie enormi cavalli da tiro.
Nel giro di un paio d’ore, quell’inconsueto movimento aveva attirato una gran folla, accorsa per vedere la stupefacente città mobile che prendeva forma sotto i loro occhi, i più piccoli ansiosi di scorgere una proboscide, gli adulti qualche giarrettiera.
A Maurice O’Malley quella gente non piaceva. A dire il vero, erano ben poche le cose al mondo che gli andassero a genio, ma tra tutti i fermi[1] con cui aveva avuto a che fare, i fermi di città erano quelli che tollerava meno. Sembrava che ormai nulla sortisse il loro interesse: perché sborsare venticinque cent per vedere una bestia feroce quando ce n’erano a dozzine esposte ogni giorno allo zoo? Quale acrobazia poteva reggere il confronto con gli effetti speciali di un film? I fermi di città erano spavaldi, cattivi. E lo erano diventati ancora di più con i tempi che correvano...
Il Paese che li aveva accolti con sfolgoranti promesse di fama e ricchezza – “Se puoi sognarlo puoi realizzarlo!”, non diceva così Mr. Walt Disney? – ultimamente se la stava passando male. Erano già trascorsi quattro anni dal Martedì nero[2] e ancora i suoi effetti non cessavano di farsi sentire: salari da fame, attività fallite, intere famiglie in mezzo alla strada. Lo sconforto, peggiorato solo dalla carenza di alcol, aleggiava ovunque come una cappa malsana. e rendeva i fermi ancora più diffidenti del normale verso quelli come loro, i dritti[3], stranieri e senza fissa dimora.
O’Malley sospirò profondamente e scosse la testa, facendo oscillare il gibus di vernice aperto sul fondo come una scatoletta; mentre attraversava il piazzale pullulante di attività, si fermò per cedere il passo a una coppia di Lipizzani bianchi diretti al serraglio e riprese il cammino, brontolando fra sé.
Si sforzava di non pensarci – dal direttore ci si aspettava risolutezza! – ma nelle sue vecchie ossa irlandesi lo sapeva, lo sentiva. L’epoca d’oro del circo stava tramontando.
Le grandi compagnie venivano smembrate una dopo l’altra, costringendo i saltimbanchi a vagare alla ricerca disperata di un impiego, che fosse arrampicarsi sull’impalcatura di un grattacielo in costruzione o infilarsi nei cunicoli bui di una miniera. La verità era che il mondo stava cambiando troppo in fretta. E quando questo succedeva quelli come loro erano i primi a essere lasciati indietro…
Per scacciare quei brutti pensieri, O’Malley sferrò un colpo di bastone sul polpaccio di un ragazzo smilzo e brufoloso che chiacchierava con altri galuppi[4] di fronte al padiglione di “Frank Otto - L’Uomo Più Forte del Mondo”, ancora privo di insegna. Il malcapitato imprecò saltellando su un piede solo e si guardò attorno alla ricerca del colpevole, finché i suoi occhi si posarono su quell’ometto tarchiato, vestito di verde, che gli arrivava a stento alla cintola e che lo scrutava in cagnesco.
«Non ti pago per battere la fiacca» disse O’Malley, sbuffandogli contro una nuvola di fumo di sigaro. «Sbrigati un po’ con quello striscione e levati dai piedi, stiamo per aprire i cancelli!»
Riposizionò il sigaro all’angolo della bocca, mentre il ragazzo si precipitava sulla scala per fissare l’insegna. Seguendo il suo esempio, tutti gli altri si diedero da fare prima che il bastone del padrone trovasse un’altra vittima.
«Occhio, gente» li sentiva bisbigliare al suo passaggio. «Il Folletto ce l’ha storta stamattina.»
Sono circondato da idioti, pensò O’Malley sconsolato. Gettò via il mozzicone di sigaro ed entrò in una piccola tenda blu decorata con stelle e lune.
«Che ne dici di rilassarti un attimo, tesoro? Rendi tutti nervosi» lo accolse sommessamente Madame Margot, sua moglie; la trovò immersa in una penombra dal profumo di candele e salvia, di fronte a un tavolino occupato da vari oggetti scenograficamente esposti, tra cui una sfera di vetro e un mazzo di tarocchi di Marsiglia. Era una donna longilinea, avvolta in un abito di satin borgogna e con lunghi capelli neri che le scivolavano sulle spalle come una cascata d’inchiostro.
«Siamo in ritardo!» brontolò O’Malley. «C’è una calca spaventosa fuori là fuori e non siamo ancora pronti!»
Sedette sgraziatamente su un baule foderato, masticando un’imprecazione.
«Del ragazzo non c’è ancora traccia» aggiunse, tamponando il volto accaldato con un fazzoletto. «È tutta la mattina che lo cerco, nessuno lo ha visto. Gli avevo raccomandato di non allontanarsi, accidenti a lui!»
L’indovina sospirò, poi afferrò il mazzo di carte e cominciò a mescolarlo. O’Malley non poté fare a meno di pensare che era ancora una donna incantevole, nonostante le rughe iniziassero a incresparle la pelle olivastra. C’era da chiedersi cosa ci facesse una creatura così elegante con una canaglia come lui.
«Si starà esercitando da qualche parte» lo rassicurò Margot, mentre disponeva con cura i tarocchi a ventaglio. «Gli stai un po’ troppo addosso ultimamente, Maurice.»
«Troppo addosso? È uno scapestrato, me l’hai cresciuto tu così!»
«Ha sedici anni, è normale che cerchi un po’ di libertà.»
«Di libertà ne ha fin troppa quello lì. Ma se se l’è svignata un’altra volta, ti garantisco che...»
«Dove vuoi che vada?» mormorò Margot. Passò lentamente una mano sui dorsi delle carte, ne scelse una e la sollevò. «Nessuno lascia la compagnia, lo sai. Del resto...»
Posò la carta scoperta di fronte a sé: Le Fou. «Tutte le star amano farsi desiderare.»
 


«Vuoi vedere una magia?»
Il ragazzo estrasse dalla tasca una moneta da mezzo dollaro; la tenne in vista tra l’indice e il pollice della mano destra, per poi nasconderla nel pugno. La cameriera che gli stava versando il caffè – una bionda carina, capelli alla maschietta e labbra tinte di rosso – si fece più vicina per seguire ogni passaggio con attenzione. Sul suo petto era applicato un cartellino con scritto “Lotty”.
Si trovavano in una piccola tavola calda invasa da un forte aroma di cibi speziati conditi con un po’ troppa cipolla. Nonostante l’orario della colazione fosse passato da un pezzo, il ragazzo aveva ordinato una fetta di torta al limone e una tazza di caffè, emozionato come se fosse la prima volta che lo faceva.
In effetti neanche si ricordava come fosse mangiare in un posto diverso dalla tenda della mensa, con la vecchia caldaia borbottante e l’onnipresente odore di frittura.
Era impaziente di mettere piede a terra da quando New Orleans era stata annunciata come tappa del loro tour: la città del Mardi Gras e delle feste folli a bordo degli steamboats occupava da sempre un posto d’onore nella sua immaginazione.
Così, appena il treno si era fermato, aveva approfittato della confusione per saltare sul primo tram diretto in centro, con l’intenzione di girovagare all’ombra dei suoi portici in ferro battuto, ascoltare le chiacchiere della gente e i quartetti che suonavano jazz agli angoli delle strade. E magari, conoscere un vero stregone vudù.
Ma la realtà che si era trovato di fronte, era molto diversa da quella che si aspettava: gli edifici storici versavano in condizioni pessime, e in quasi tutte le vetrine dei negozi – quei pochi aperti, almeno – c’erano appesi cartelli che informavano: non si assume. Aveva visto bambini affamati rovistare nei cassonetti in cerca di cibo e per la strada s’era imbattuto in due uomini malconci con dei cartelli appesi al collo, il primo con scritto: 45 anni, padre di famiglia e veterano di guerra. Datemi un lavoro, e il secondo: laureato in economia, dormo nella mia auto da un annoLa coda alla mensa dell’Esercito della Salvezza era lunga almeno due isolati.
La crisi non aveva risparmiato neanche New Orleans, eppure la sua atmosfera lo aveva conquistato: per le strade sfrecciavano automobili e carretti a cavallo, dalle finestre uscivano profumi di buon cibo creolo e canzoni ed era bello camminare in quartieri dove non tutti avevano la pelle bianca.
«Adesso, Lotty» disse in tono solenne alla cameriera. «Avrò bisogno del tuo aiuto. Coraggio, soffia qui.»
Lei alzò un sopracciglio, dubbiosa, ma lo accontentò. Lui riaprì il pugno vuoto, le accostò le dita ai capelli e fece ricomparire la moneta da dietro al suo orecchio.
«Sei fortunata, bambola» commentò, facendo rotolare la moneta sulle nocche, dall’indice al mignolo. «Le monete magiche sono dispettose, una volta sparite non sempre si lasciano trovare.»
Lei gli rivolse un sorriso indulgente.
«Non è una gran magia. Da queste parti bazzica un tipo con una scimmietta: sa fare un mucchio di trucchetti come questo, solo che alla fine si fa uscire la moneta dal naso.»
«Che schifo.»
«Già. Ma almeno è originale.» Lotty buttò un occhio sulla pila di manifesti appoggiati sul tavolo. Ne prese uno.
«“Lo Straordinario Khazam”» lesse ad alta voce. «“Il più giovane e potente mago dai tempi di Harry Houdini”. Saresti tu?»
«In persona.»
«Sei simpatico, Khazam, ma ti conviene aggiornare i tuoi trucchi. A New Orleans non ci si impressiona per così poco e di “maghi straordinari” come te ce ne sono a volontà.»
Lui bevve un sorso di caffè e ricambiò il sorriso. Carina e anche sveglia, proprio il suo tipo.
«Fidati, tesoro, nessuno è come me. Facciamo una scommessa: se il prossimo numero non ti piace, puoi tenerti la moneta. Ma se riesco a sorprenderti, stasera ti porto a ballare.»
Lei scoppiò a ridere. «Sfacciato!»
Eppure, dal modo in cui lo stava perlustrando da cima a fondo, era evidente che non lo trovasse poi così male: un giovanotto alto e abbronzato, con capelli rossicci, occhi nocciola e l’espressione volpina.
«Va bene, sorprendimi.»
Lui pose le mani l’una sull’altra, nascondendo la moneta, e le avvicinò alla bocca; dopo aver sussurrato qualche parola, le aprì, ma al posto della moneta era apparsa una minuscola farfalla dalle ali bianche. Una farfalla vera, viva e vegeta.
Lotty stavolta emise un piccolo strillo, attirando l’attenzione di qualche avventore e un’occhiataccia del proprietario, intento ad asciugare un bicchiere dietro il bancone. La farfalla svolazzò intorno al mago due volte e infine svanì in una nuvoletta di fumo.
Nessun altro nel locale sembrò essersene accorto.
«Gesù, ma come hai fatto?!» boccheggiò la ragazza, guardando qua e là in cerca della farfalla. «Dove la tenevi?»
Il mago rise e si sporse sul tavolo. «Guarda che prima non scherzavo, sorella» le disse con voce suadente. «Al mondo non esistono maghi come me.»
Roteò in maniera teatrale la mano e afferrò dall’aria un mazzolino di nontiscordardimé. Lotty arrossì in maniera repentina e prese i fiori con un sorriso.
«Ehi, coso» disse una voce brusca alle sue spalle. «Hai finito di importunare la mia donna?»
Lotty trasalì con aria colpevole. Khazam invece si girò col gomito poggiato allo schienale della sedia, per incontrare il volto imbronciato di un ragazzo poco più vecchio di lui, che sembrava saltato fuori da una rivista sportiva: vestito di bianco, spalle larghe e capelli neri lucidi di brillantina.
«Non mi stava importunando, Donnie» ribatté Lotty, diventando ancora più rossa. «Mi ha solo fatto vedere un gioco. E per la cronaca, non sono più la tua donna! Da due settimane, se ti ricordi.»
Donnie la ignorò; esaminò invece con espressione disgustata l’abbigliamento del mago, il suo gilet in denim ricamato, i pantaloni rosso mattone e il cerchietto d’oro che pendeva dal lobo sinistro.
«Non sei uno di quei pagliacci che è arrivato stamattina?»
«Lavoro per il circo» rispose lui, tranquillo. «Perché non fai un salto anche tu, Donnie Bello? Hai l’aria di uno a cui servirebbe farsi una risata. Ma solo se ti comporti bene: non ci piace la gente maleducata e ancora meno chi non è gentile con le signore.»
«Khazam è un mago» aggiunse in tono di sfida Lotty. «Il più grande mago dai tempi di Houdini.»
«Khazam?» rise Donnie. «Cazzo, non sei riuscito a trovarti un nome migliore? E dimmi un po’, Khazam, sei uno di quelli che ipnotizzano i polli?»
«Qualche volta. Ma potrei provarci anche con te, il quoziente intellettivo sembra lo stesso.»
I pochi clienti interruppero le loro conversazioni per ascoltare e qualcuno iniziò persino a scommettere su chi dei due avrebbe mollato il primo cazzotto.
Donnie si rivolse a Lotty, rabbioso. «Non andrai sul serio a vedere questo imbroglione?»
«Illusionista» precisò Khazam. «Non imbroglio nessuno, quella che faccio io si chiama arte.»
«Non sto parlando con te!»
«Certo che ci andrò» replicò lei altezzosa. «E dopo andremo anche a ballare. Tu non mi hai mai voluta portare a ballare!»
«Oh, perdindirindina!» s’indignò il mago. «Questo è oltraggioso, tutte le belle ragazze si meritano di essere portate a ballare! E dopo a mangiare le cialde. Ti piacciono le cialde, Lotty?»
«Con sciroppo e panna?»
«Ovvio, non siamo mica barbari.»
«Ehi!» strillò Donnie. «Io sono ancora qua!»
«Senti, Donnie Bello» sospirò Khazam, un po’ spazientito. «Che hai deciso di fare? Perché a me sembra che l’unico che sta importunando la dolce Lotty qui sia tu.»
In risposta, Donnie spinse a terra la risma di manifesti con una manata. Al tavolo vicino, una signora trattenne il fiato. Khazam lanciò una rapida occhiata ai fogli sparsi sul pavimento. «Questo non lo dovevi fare.»
«Ascolta, zingaro del cazzo!» Donnie afferrò il mago per il gilet e lo costrinse ad alzarsi, la faccia sbarbata e paonazza a un palmo dalla sua. «Tu non sai con chi hai a che fare. Posso sbattere fuori da questa città te e i tuoi compari accattoni con uno schiocco di dita, perciò ti conviene levare le tende.»
«Ehi, voi!» intervenne il barista. «Se morite dalla voglia di prendervi a sberle fatelo fuori o chiamo la polizia!»
Nel locale era calato un silenzio teso e ormai tutti li fissavano. Lotty si era portata le mani alla bocca, facendo saltare lo sguardo da Donnie e a Khazam, che ancora non si era mosso.
Poi, il ghigno volpesco tornò a farsi strada sul suo volto. «D’accordo, vecchio mio» disse, sollevando le mani. «Mi hai proprio convinto, me ne vado. Ma prima, che ne dici di una piccola dimostrazione gratis, solo per te?»
Prima che Donnie avesse tempo di fare qualsiasi cosa, il mago ruotò un dito e i volantini si sollevarono, come se nella sala fosse entrato un vento fortissimo. Vorticarono intorno a Donnie, e gli si appiccicarono alle braccia, alle gambe, dappertutto.
«Ma che cazzo...?»
Un manifesto raffigurante Khazam in abiti orientali gli si attaccò proprio sulla faccia e Donnie piombò a terra.
La folla era ammutolita. Poi, si sciolse in un’ondata di risate e applausi e qualcuno si alzò addirittura in piedi.
«Ben fatto!»
«Hai visto che roba?»
«Bravo, se l’è proprio cercata!»
«Signore e signori» disse a quel punto il mago, cacciando dalla tasca un nichelino di mancia e lo lasciandolo sul tavolo. «Scusate se il mio amico e io abbiamo disturbato il vostro pranzo. Se questo assaggio vi è piaciuto, non perdete il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley! Altri prodigi vi attendono sotto il nostro tendone, al modico costo di un quarto di dollaro a persona! Mi raccomando, spargete la voce e accorrete numerosi!»
Detto ciò, si esibì in un piccolo inchino e dopo aver strizzato l’occhio a Lotty, gettò a terra qualcosa: una nuvola verde si spanse per tutto il locale e, quando si diradò, di lui non era rimasta più traccia.
 
[1] Fermi: nel gergo circense, la gente che non appartiene al circo.
[2] Martedì nero: giorno del crollo della borsa di Wall Street avvenuto il 29 ottobre 1929.
[3] Dritti: gente del circo, girovaghi.
[4] Galuppi: nel gergo circense, gli operai.
  
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