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Autore: Imperfectworld01    01/09/2021    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Quindici.


Nel mentre di quella piccola discussione, ci eravamo dimenticati di avere la televisione accesa, perciò ci eravamo persi la prima parte del film. Un motivo valido in più, a mio parere, per cambiare canale e vederci qualcos'altro. Vittorio però non volle sentire ragioni, e cercò in tutti i modi di impedirmi di prendergli il telecomando dalle mani.

Speravo di poter contare sull'appoggio di Filippo, ma in realtà sembrava piuttosto assente quella sera. Fissava lo schermo davanti a sé standosene in silenzio, ma in realtà era come se stesse guardando il vuoto. Nemmeno si era accorto del fatto che io e Vittorio stessimo bisticciando a suo lato. «Almeno dagli una possibilità! Hai detto che non l'hai neanche mai visto, magari ti potrebbe piacere» disse Vittorio.

«Ti ho detto di no» ribattei per l'ennesima volta, alzando gli occhi al soffitto.

«Quanto sei cocciuta. Non dovresti avere così tanti preconcetti. Se magari provassi a dare una possibilità alle cose che dici che non ti piacciono, potresti scoprire che...»

«Ti stai riferendo a questo stupido film oppure a qualcos'altro?» lo interruppi, prima di protendermi verso di lui per cercare di prendere il telecomando che nascondeva dietro la schiena.

«Perché, a cos'altro pensi che potrei riferirmi?» domandò con un piccolo ghigno beffardo, prima di fare un cenno quasi impercettibile al biondino al mio fianco.

Roteai gli occhi un'altra volta e sbuffai. «Sai, magari sono più romantica di quello che pensi e credo molto nelle cose a prima vista. Se un film non mi cattura fin da subito, a primo impatto, allora sicuramente non mi interesserà» dissi, prima di insinuare la mano dietro la sua schiena per cercare di afferrare il telecomando.

«Romanticismo? Quella che dici tu si chiami superficialità» contestò, passandosi poi rapidamente il telecomando nell'altra mano e sollevando il braccio che la teneva il più in alto possibile.

«Io superficiale? Magari sono solo brava a inquadrare le person... cioè, i film» mi corressi all'ultimo, prima di alzarmi in piedi sul divano per poter prendere il telecomando dalla mano di Vittorio. Lo teneva così stretto nella sua presa che stavo trovando assai difficile riuscire nella mia impresa. «E comunque magari non ho bisogno di un film nella mia vita per sentirmi completa» tirai ancora più forte, ma non c'era niente da fare: sorprendentemente, Vittorio era parecchio più forte di me, e sembrava anche divertirsi molto a dimostrarmelo.

«Ma non sei mica stata tu a proporlo?» mi ricordò, prima di lasciar andare la presa sul telecomando all'improvviso. Dato che fino a quel momento mi ero mantenuta in equilibrio facendo leva sul telecomando che lui stava tenendo, nel momento in cui lo lasciò andare persi l'equilibrio e caddi all'indietro, atterrando con la testa sulle gambe di Filippo, il quale finalmente si riscosse: «Che succede?» domandò sobbalzando, prima di guardarsi intorno disorientato.

Poi abbassò lo sguardo su di me e mi rivolse uno sguardo fra il sorpreso e il divertito. Mi presi qualche secondo per osservarlo più da vicino. I suoi occhi azzurri risaltavano più del solito, accompagnati da un contorno un po' arrossato e delle occhiaie abbastanza profonde.

Solo allora sembrai ricordarmi di quello che era il mio piano originale: scoprire cosa ci facesse lì. Chissà cosa diavolo era successo, sembrava così turbato...

Le risate sempre più rumorose e fastidiose di Vittorio mi fecero riprendere da quel momento di riflessione. Allungai i miei piedi in avanti per tirargli un paio di calci sul fianco, ma Vittorio mi afferrò le caviglie prima che potessi riuscirci. «Dai, Vittorio, lasciami!» protestai, cominciando a dimenarmi.

«Dammi il telecomando e ti lascio andare.»

«Scordatelo. Sono quasi morta per riuscire ad averlo.»

«Addirittura, quanto la fai tragica!»

«Be', per caso vuoi provare anche tu? Con la sola differenza che ti lascerei cadere a terra» lo minacciai.

Dopodiché, pian piano sentii le mie dita lasciar andare la presa sul telecomando, finché non lo ritrovai più in mano mia. Sollevai la testa e fulminai Filippo con lo sguardo: «Scherzi? Che c'è, adesso lo darai al tuo amichetto del cuore? Pensavo fossi dalla mia parte e che anche tu non volessi vedere questo stupido film» dissi, stupendomi per la maestria e scaltrezza con cui mi aveva sfilato il telecomando dalle mani. Nemmeno me ne ero resa conto.

Cercai di allungare il braccio per riprendermelo, ma dall'altra parte c'era Vittorio che mi teneva ferma, quindi non ero in grado di allungarmi quanto avrei voluto.

«Grande, Filo» fece Vittorio con un sorriso, che si spense nel momento in cui il biondino puntò il telecomando verso il televisore e lo spense.

«Aveva rotto questo film, e comunque ero l'unico a guardarlo» disse, prima di puntare lo sguardo su di me: «Tu ti levi dalle palle oppure ne hai ancora per molto?»

«Che scorbutico» commentai, prima di sollevare la testa e rimettermi seduta sul divano.

«Già, senti chi parla» mi rispose di rimando, prima di alzarsi dal divano e dirigersi verso la portafinestra che conduceva al terrazzo.

Mi scambiai uno sguardo con Vittorio, il quale scrollò le spalle. «Lascia perdere, non è la serata giusta» disse, e quella fu la conferma che stavo aspettando, ovvero che c'era davvero qualcosa che non andava.

Stavo per chiedere al ragazzo moro davanti a me di cosa si trattasse, ma mi fermai nel momento in cui iniziammo a sentire un rumore strano provenire dalla cucina. Sembrava quasi come se qualcuno stesse soffocando o rigurgitando, eppure la luce della cucina era spenta e non avevamo visto nessuno fra mia sorella, mamma o Claudio dirigersi di là prima di sentire quel rumore.

«Oh... no, che palle. Giuseppe sta vomitando» fece Vittorio in parte preoccupato e in parte scocciato, prima di alzarsi dal divano e andare a prendersi cura del suo animale domestico.

Approfittai di quell'inconveniente per fare un tentativo. Mi sistemai le calze ai piedi, dato che si erano sfilate e mi lasciavano scoperti i talloni. Dopodiché mi alzai in piedi e uscii fuori in terrazzo.

Filippo era seduto con la schiena appoggiata al muro, un ginocchio portato al petto e l'altra gamba distesa in avanti. Fra il dito indice e il medio teneva una sigaretta. Era così assorto nei suoi pensieri che si accorse della mia presenza solo quando mi inginocchiai davanti a lui.

«Non ti avevo mai visto fumare fino ad ora» dissi.

«Se neanche mi conosci, ci saremo visti tre volte» rispose soltanto.

«Sono piuttosto sicura che siano state più di tre» feci con un mezzo sorriso. Le ricordavo bene tutte, dal momento che i nostri non erano mai degli incontri tranquilli.

Si strinse nelle spalle e poi si avvicinò la sigaretta alla bocca per fare un tiro, senza dire nulla. Io però non volevo darmi per vinta. «Però è vero, praticamente non ci conosciamo. Pensa, fino a prima di stasera ero convinta che fossi un logorroico che parla sempre a sproposito, invece questa sera...»

«Un po' come lo sei tu?» mi interruppe bruscamente.

A quel punto i miei buoni propositi svanirono nel nulla, perché, come prevedibile, persi la pazienza: «Sì, forse parlo a sproposito a volte, ma in questo momento stavo cercando di aiutarti, quindi forse dovresti essere più riconoscente!».

Inarcò le sopracciglia. «Riconoscente? E dimmi, per che cosa, per avermi dato dello scorbutico o del logorroico? Giusto per citarne due fresche fresche, perché poi ce ne sarebbero così tante di cose che mi hai detto da quando ci siamo visti la prima volta.»

«D'accordo, va bene, va' avanti per la tua strada» mi rialzai in piedi, pronta a tornare dentro casa. «Mi dispiaceva solo vederti così giù di corda e volevo capire se potessi fare qualcosa per...»

«Tu? E cosa potresti fare tu per aiutarmi?» domandò, interrompendomi per l'ennesima volta.

«Magari se iniziassi col dirmi che cosa ti succede...» Tornai a sedermi a terra, ma questa volta al suo fianco, così da stargli più vicina. Mi portai entrambe le ginocchia al petto e le cinsi con le braccia.

A quel punto si girò verso di me, puntando finalmente il suo sguardo sul mio dopo averlo evitato per tutto il tempo.

Mi offrì la sigaretta e, nonostante dentro di me sapessi che avrei dovuto rifiutare perché non mi faceva bene e mi ero ripromessa di smettere, alla fine non riuscii a declinare la sua generosa proposta. Feci per prendergli la sigaretta dalle mani, ma lui schioccò la lingua sul palato e scosse la testa. A quel punto aggrottai la fronte confusa. «Apri la bocca» sussurrò.

«No» risposi, corrucciando la fronte.

«Perché?»

«Questo dovrei essere io a chiederlo a te» gli feci notare.

«Dai, fidati. Ti voglio far vedere una cosa davvero forte.» Fece un altro tiro dalla sigaretta, ma non buttò subito fuori il fumo. Stava aspettando me.

Sebbene non avessi ben chiaro ciò che avesse intenzione di fare, decisi di dargli ascolto e aprii pian piano la bocca. A quel punto Filippo sogghignò, prima di avvicinarsi sempre di più al mio viso. Feci per indietreggiare e allontanarmi da lui, ma mi ricordai all'ultimo, quando battei la testa, che avevo un muro dietro di me. E comunque era ormai troppo tardi. Filippo era ormai a pochi centimetri dal mio viso, quando infine separò le sue labbra per far passare il fumo dalla sua bocca fin dentro la mia.

Rimasi pietrificata. L'unica parte del mio corpo che sentivo muoversi era il mio cuore, che non accennava a smettere di martellarmi nel petto e che proseguì in quel modo anche quando lui si era ormai allontanato dal mio viso, facendo svanire anche quel tenue calore che provocava il suo respiro sulla mia pelle. A quel punto mi accorsi che non stavo più respirando già da una dozzina di secondi. Nel momento in cui ripresi a farlo, mi ricordai di aver aspirato il fumo e di non averlo buttato fuori, così presi a tossire ininterrottamente a causa del fumo ingerito.

Filippo prese a ridere fragorosamente, prima di darmi dei piccoli colpi sulla schiena affinché la smettessi di tossire. «Ci sei? Sei ancora viva?» chiese e io annuii, prima di prendere un respiro profondo per calmarmi. «Dai, prova tu adesso» disse, passandomi la sigaretta.

«M-ma... ma n-non ne sono capace» balbettai. Perché balbettavo?

«Sì che ne sei capace, è semplicissimo!» provò a incoraggiarmi.

«Lo faccio, ma solo se tu poi mi dici che cosa ti prende stasera» misi in chiaro le cose. Non me n'ero affatto dimenticata.

Sospirò. «Va bene, ora però vai, o tra poco sarà consumata tutta dal vento e sarà già da buttare» disse, riferendosi alla sigaretta che tenevo stretta fra le dita.

Annuii e poi la portai fra le mie labbra per aspirare il fumo. Sebben ancora titubante, presi ad avvicinarmi al suo viso. Nel momento in cui stavo per schiudere le labbra, Filippo mi portò una mano sulla nuca per ridurre ancora di più la distanza fra noi due, e io a quel punto gli appoggiai una mano sul petto per allontanarlo. Anche il suo cuore stava battendo molto velocemente, tanto quanto il mio. «Devi venire un po' più vicino, altrimenti il fumo si disperde per aria» disse a bassa voce. Poi mi prese la mano e se la portò sulla guancia. Dopodiché aprì la bocca e io tentai di replicare ciò che aveva fatto lui poco prima, trasferendo il fumo dalla mia bocca alla sua.

«Vedi? Sei andata benissimo» fece con tono affabile, mostrando la sua piccola fossetta sulla guancia e liberando il fumo. «Ora ti va di provare senza fumo?» chiese poi continuando a tenere lo sguardo fisso sulle mie labbra, e fui seriamente tentata di spegnergli la sigaretta in un occhio dopo quella sua uscita.

«Adesso non ti pare di esagerare?» Mi allontanai all'improvviso e sbuffai. Sempre il solito sbruffone. Sembrava quasi che si fosse trattenuto tutta la sera dal fare le sue solite battute scontate, e che avesse deciso di liberarle proprio in quel momento.

Fece gli ultimi tiri di sigaretta e poi la spense, calpestandola con il piede sul pavimento, prima di buttarla giù dal terrazzo. Poi calò il silenzio, che fu interrotto da lui pochi attimi dopo. «Quindi lo vuoi sapere veramente?»

«Se te l'ho chiesto, direi di sì.»

Si prese ancora qualche attimo prima di rispondere. Cominciò a fissare un punto indefinito davanti a sé. «Ecco... Mio padre ha un po' di problemi con il bere e... e a volte diventa un po' violento. Finché ero piccolo le prendevo senza oppormi, ma ora che sono cresciuto non mi va più, così inizio a dire la mia e provo a difendermi. A volte mia madre si mette in mezzo per calmare le acque e per proteggermi, e quindi lui picchia anche lei; altre volte, forse nelle ipotesi migliori, mio padre esce di casa gridando che non vuole più saperne di noi due, e mia madre gli corre dietro per riportarlo indietro, salutandomi affettuosamente con un: "Vattene, quando torneremo a casa, non voglio vederti qui". Stasera era una di quelle sere. Ecco quindi spiegato perché sono qui.»

Rimasi letteralmente spiazzata dalle sue parole, tanto da starmene lì con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Quindi era questo a cui si riferivano Claudio e Vittorio, quando parlavano dei "problemi di Filippo". Non avrei mai immaginato una cosa del genere.

«Io... m-mi dispiace. Non ne avevo alcuna idea» fu l'unica cosa che fui in grado di dire.

«Certo che no» disse con un sorriso amaro, prima di iniziare a fissarmi intensamente negli occhi. «Oltre a Vittorio e suo padre, sei l'unica persona a cui l'ho detto.»

Quell'ultima frase che disse attivò in me qualcosa molto diverso dal dispiacere, più che altro lo tramutò in disprezzo. Sembrava quasi troppo toccante il fatto che fra tutte le persone esistenti al mondo, avesse deciso di confidare una parte così intima e personale di lui proprio alla sottoscritta.

Troppo scontato. Come ogni cosa che diceva ogni qualvolta accadeva la sfortuna che aprisse bocca.

«Sì, certo. Bel modo di far colpo su una ragazza, inventando stronzate affinché ti compatisca!» esclamai, alzandomi in piedi e preparandomi a tornare dentro, ma quella volta per davvero.

Si alzò in piedi anche Filippo e mi sbarrò la strada. «Tu pensi davvero che mentirei su una cosa del genere? Ma che considerazione hai di me? E soprattutto che cosa ti ho fatto per farti avere quest'impressione di me?»

Lo sguardo che mi rivolse prima di rientrare in casa mi uccise dentro. Non avevo fatto altro che peggiorare le cose. Avevo detto che avevo intenzione di aiutarlo a stare meglio, e in realtà non avevo fatto altro che ferirlo ancora di più.

Mi ero comportata da vera stupida, come succedeva ogni singola volta. Riuscivo sempre a rovinare tutto per via del mio pessimo carattere, diffidente verso chiunque.
Avrei dovuto capirlo. Avrei dovuto capire che nello stato d'animo in cui era, non sarebbe stato in grado di giocarmi brutti scherzi come suo solito, specie su un argomento così delicato.

Rientrai in casa anch'io e chiusi la portafinestra, prima di appoggiarmici con la schiena. Mi sentivo terribilmente in colpa, tanto da voler scomparire. Non sapevo neanche che cosa fare, se provare a scusarmi oppure aspettare che fosse di un umore migliore prima di parlargli.

«Ma Filo? Dov'è andato?»

Sollevai lo sguardo e mi ritrovai Vittorio davanti, con il gatto in braccio. Non risposi. Lanciai uno sguardo schifato verso il gatto che, nonostante Vittorio avesse sicuramente fatto il possibile, emanava un odore di pesce marcio, ancor più forte del solito. Poi mi diressi con passo deciso verso camera di Vittorio, dove ero certa che si fosse rifugiato Filippo.

«Che è successo? Nina, mi vuoi parlare?» chiese Vittorio, seguendomi.

Aprii la porta della sua camera ed entrai, prima di chiudergliela praticamente in faccia. Girai la chiave nella serratura, per far sì che Vittorio non ci disturbasse. «Nina! Apri la porta!» esclamò, tirando un piccolo colpo alla porta per farsi sentire da me, ma tanto io non gli diedi ascolto.

Diedi una rapida occhiata alla stanza di Vittorio, per cercare di orientarmi. Infatti, a terra, di fronte al suo letto, era posizionato il materasso dove avrebbe dormito Filippo e, se non ci avessi prestato attenzione, ci sarei certamente inciampata sopra. Seduto sul pavimento, sotto la finestra e lo sguardo rivolto verso il basso, individuai infine il biondino.

«Nina!» mi giunse ancora la voce di Vittorio dall'altra parte della porta.

Che insistenza. «Un attimo!» risposi a gran voce affinché mi sentisse.

A quel punto Filippo si voltò verso di me: «Perché non mi lasci in pace?» chiese, con voce grave e rauca, come quando era appena arrivato a casa.

Avvertii una fitta al cuore. Andai a sedermi di fronte a Filippo, il quale a quel punto girò su se stesso e mi diede le spalle. Roteai gli occhi, pronta a dirgliene quattro, ma poi cercai di ricorrere a tutte le mie forze per evitare di farlo, dal momento che non ero proprio nella posizione per poterlo fare. Così sospirai, sia per calmarmi sia per prendere coraggio. «D'accordo, va bene anche se non mi guardi. Anzi, forse me lo rende più facile, dato che non sono abituata a chiedere scusa, non lo faccio quasi mai, con nessuno... e se lo faccio è perché devo, non perché mi va davvero di farlo. Ma non stavolta.»

Feci una piccola pausa. Nonostante quello che avevo detto iniziando il discorso, in realtà non mi stava bene stare a parlare con la sua schiena piuttosto che con lui. Così mi alzai in piedi solo per risedermi di fronte a lui. Come previsto, non appena lo feci, lui si girò di nuovo dall'altro lato. «Dai, Filippo, tanto comunque sei qui ad ascoltarmi, se non te ne importasse di starmi a sentire, ti saresti già alzato e avresti aperto la porta, quindi che cosa ti cambia guardarmi negli occhi mentre ti parlo?»

Temevo che dopo quelle mie parole si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato, ma alla fine non fu così. Rimase immobile per qualche secondo, probabilmente riflettendo sul da farsi, infine si voltò nella mia direzione. Sentii un'altra fitta al cuore, nel momento in cui scorsi, per via della luce della luna che subentrava dalla finestra, una lacrima depositata sulla sua guancia, recente ma ormai quasi asciutta.

A quel punto ero io quella che non era in grado di sostenere il suo sguardo. Lo abbassai quindi sul pavimento, prima di riprendere a parlare: «M-mi dispiace, ok? È che... è che mi sembrava assurdo che... che avessi deciso di raccontare una cosa così personale a me, che obiettivamente non sono nessuno, in fondo fino a un mese fa neanche sapevi della mia esistenza».

«Quindi per te risulta più facile credere che mi inventerei una balla per far colpo su di te, piuttosto che credere al fatto che mi fidi a tal punto da raccontarti una cosa del genere?»

Rimasi zitta, continuando a sentirmi in colpa per aver pensato una cosa del genere. No, magari lo avessi solo pensato... io gliel'avevo proprio sbattuto in faccia con tracotanza.

«Che cosa ti ho fatto? Dimmelo, che cosa ti ho fatto perché tu debba pensare questo di me?»

Non dissi nulla, incapace di dire qualsiasi cosa. E sapevo che non avrei dovuto fare così, dato che ero stata io a insistere affinché ne parlassimo e non avrei dovuto tirarmi indietro.

«Allora?» mi incalzò e io roteai gli occhi.

«Perché me l'hai voluto dire? Se è vero che lo sanno solo Vittorio e suo padre, perché l'hai detto a me?» chiesi, tornando a guardarlo. «Se neanche ci conosciamo e a quanto pare sono un mostro di persona, perché hai voluto dirmelo?»

«Chi se ne importa, Nina, ormai te l'ho detto! Mi andava di farlo e basta. Non è che se decido di confidarti qualcosa devono esserci per forza dei secondi fini.»

«Lo so, ma...» Non terminai la frase. Per me era difficile fidarmi delle persone, credere che non avessero cattive intenzioni qualsiasi cosa facessero o dicessero. Non potevo farci niente, ero diffidente verso chiunque. L'unica cosa che mi dispiaceva era che quel mio modo di fare alle volte rischiava di ferire le altre persone, oltre che me. «Mi dispiace, ho sbagliato» dissi.

«Lo so, questo l'hai già detto» fece con un mezzo sorriso amaro. «Io però voglio capire che cosa ti ho...»

«Filippo, non riguarda te, sono io il problema» lo interruppi con fare scocciato. «Non è che ce l'ho con te, né mi hai fatto qualcosa in particolare. Ho sbagliato e basta, ora ho capito e non succederà più. Pace fatta?» tesi la mano verso di lui sperando che me la stringesse e potessimo finalmente dichiarare chiuso quel discorso.

Si strofinò una mano sulla guancia e tirò su col naso, prima di annuire e stringermi la mano. Poi, continuando a stringerla, si alzò in piedi e sollevò anche me da terra. «Comunque te l'ho detto che non mi piaci più in quel senso, quindi perché pensavi che ci stessi provando?» domandò.

«Be', io... per la battuta che avevi fatto poco prima... quella sulla sigaretta» risposi, sciogliendo la presa e incrociando le braccia al petto.

«Quello che c'entra? Era uno scherzo. Te l'ho già detto, prendi tutto troppo sul serio» fece, appoggiando le sue mani sulle mie spalle e massaggiandomele per qualche secondo. «Pensavi che ci stessi provando anche quando abbiamo fatto quella cosa?» chiese al mio orecchio e mi irrigidii non appena sentii un brivido percorrermi la schiena. «Anche perché così fosse, allora sembrava che tu non fossi poi così contraria...» aggiunse a voce più bassa.

Mi allontanai di scatto. «Macché, era soltanto un gioco, no?» feci, sforzandomi di mantenere un tono rilassato. Non aveva significato niente, né per me né per lui. Altrimenti avrei di certo rifiutato.

«Certo, lo faccio con tutte le mie amiche più o meno da sempre» rispose, avviandosi verso la porta per aprirla.

«Ah bene, complimenti. E quindi io cosa sono, una delle tue amichette con cui fai giochetti stupidi e che baci quando vuoi anche se non ti importa niente di loro, giusto per divertirti?»

Mi morsi la lingua non appena dopo aver parlato. A giudicare dal sorriso compiaciuto e divertito che assunse dopo le mie parole, avevo appena detto proprio ciò che voleva sentire. «Be', sì, tanto tu hai detto che non sei diversa dalle altre ragazze. Parole tue, o sbaglio? Oppure ti aspettavi un trattamento diverso?»

Sentii le guance andarmi a fuoco dalla rabbia e strinsi i pugni per evitare di reagire. Quasi quasi lo preferivo a inizio serata, quando parlava poco e teneva il broncio.

«Tra l'altro, dimmi se sbaglio, ma non mi sembra proprio che ci siamo baciati. Però se ci tieni possiamo sempre rimediare una delle prossime volte» sorrise beffardamente e mi fece un occhiolino.

Stavo per scatenare la mia furia contro di lui, ma proprio in quel momento girò la chiave nella serratura e aprì la porta. «Prego, milady. Buonanotte» indicò il corridoio con la mano e mi invitò a uscire dalla stanza di Vittorio. Non me lo feci ripetere due volte. Uscii dalla stanza e richiusi la porta alle mie spalle con veemenza.

Dopo qualche istante sbucò Vittorio dal salotto. «Che è successo?» domandò agitato.

«Ma sai dire altro? Sembri quasi un giradischi impallato.»

«Benedetta, sempre con questa porta!» esclamò mia madre dalla sua stanza, inducendo che si trattasse di mia sorella visto che era lei solitamente a sbattere le porte, e a quel punto la mia rabbia si dissolse in un battibaleno per lasciare spazio a una risata che veniva dal profondo del cuore. Vittorio mi fissò confuso, prima di ridere a sua volta.

 

   
 
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