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Autore: Enchalott    13/09/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il peso del tylid
 
Il caldano era acceso, le fiamme sgroppavano basse, pronte a scandire il tempo. Il bracciale con la luna crescente riposava sul cuscino di seta, ignaro del proprio compito di arma imparziale.
Mahati sfilò la casacca e rimase con la camicia smanicata di lino bianco, le cui trasparenze lasciavano intuire il fisico perfetto. Riempì d’acqua fresca il recipiente e sedette a gambe incrociate. Sollevò la mano, invitando la principessa a fronteggiarlo.
«Non ci sono testimoni» mormorò Yozora inquieta.
«Nessuno deve sapere quali verità ci scambieremo.»
«M-ma potremmo imbrogliare e non affrontare la prova.»
«Lo vorreste?»
«No.»
«Allora indossate questo. Se aveste risposto di sì, non ne sarebbe valsa la pena.»
Lei trasalì nell’apprendere che l’asheat era già iniziata.
«Vostro fratello non me l’ha detto!»
«Bene, ha adempiuto al suo compito con discrezione.»
La ragazza si chiese quanto altro le avesse nascosto, ma non ebbe tempo di farsi catturare dall’angoscia poiché il fuoco raggiunse l’altezza desiderata e fu costretta a infilare il tylid. Il peso risultò familiare, così la sensazione di indispensabilità dello scambio con l’uomo che avrebbe sposato. Lui non esitò.
«Vi sentite attratta da me?»
«Io… s-sì.»
«Come ne siete certa, se non avete esperienza?»
«Oh, desidero conoscervi a fondo.»
Il bracciale scese nell’acqua e fu Mahati a inserirlo al polso.
«E voi? Mi considerate attraente?» ricambiò Yozora.
«Fisicamente.»
«È metà della risposta.»
«Non vi ho frequentata a sufficienza per stabilire se siete insolita o dannosa. Ciò che guardo mi soddisfa.»
Lei accettò la risposta gelida e passò il turno.
«Deduco che prima abbiate parlato della mia personalità» riprese il principe «Voglio sapere come reagisce il vostro corpo. Se provate desiderio fisico per me.»
«Siete l’uomo più bello che abbia mai incontrato. Ma non posso scindere la pulsione carnale dai sentimenti che costruiscono un rapporto. Siamo all’inizio, è presto per me.»
Mahati socchiuse le palpebre e la trapassò con lo sguardo.
«Vale come un no. Altrimenti il vostro sangue scorrerebbe come un fiume in piena, il calore invaderebbe ogni recesso. Portereste i pensieri su di me, immaginando come rendermi vostro, come lasciarmi senza respiro e ottenere da me pari piacere. Tanto per cominciare.»
Al quadro illuminante la ragazza arrossì fino alla radice dei capelli.
Il tylid fluttuò nel recipiente e tornò al braccio del Kharnot.
«Provate questo mentre siete in mia compagnia?» approfondì Yozora.
«Avverto il vostro rifiuto, la vostra paura, e il desiderio non raggiunge l’apice.»
«Con Mirai è accaduto?»
Mahati avrebbe voluto imprecare, tuttavia stabilì di analizzare con obiettività il trascorso privo d’importanza, che per la promessa sposa possedeva invece valenza opposta. Arrivò a cogliere le sue motivazioni.
Non m’importerebbe apprendere che prima di me è stata con un altro, ma sapere che per lei è stato ed è ancora prezioso mi irriterebbe. Parecchio.
«Per niente. L’ho provocato durante l’amplesso, è una reazione spontanea.»
Yozora lasciò raffreddare il gioiello e si preparò a rispondere. Erano questioni private e imbarazzanti, però non quanto si era figurata. Forse l’esercitazione con Rhenn era servita, forse il secondo principe non era invadente o forse l’esigenza di superare l’asheat forniva la spinta necessaria.
«Avete mai nutrito qualcosa di diverso dalla passione fisica?»
«Un Khai non ama, se è ciò su cui mi interrogate tra le righe.»
Niente da fare. La principessa indossò il tylid, pensando a come scendere nella sua interiorità. Doveva esistere un argomento in grado di scalfire la sua scorza.
«Vi siete mai innamorata?»
Yozora sussultò: Mahati aveva posto la domanda in idioma salki per evitare di ricorrere a un verbo che i demoni negavano e basta.
«No.»
«Cosa ve ne dà la certezza?»
«Avrei riconosciuto i segnali.»
«Quali sarebbero?»
«Oh, per esempio un potente batticuore nel vedere l’amato, inseguire sogni di cui lui è parte imprescindibile, sentire una felicità perfetta, unica in sua compagnia, aborrire ogni istante della sua assenza, percepire un vuoto allo stomaco e migliaia di farfalle palpitanti qui…»
Mahati inarcò un sopracciglio nel vedere la mano di lei posarsi sul diaframma.
«Suona raccapricciante» commentò.
«È alchimia. Una versione potenziata del semplice affetto, per esempio per un amico.»
«Con tali sintomi un amico volerebbe a chiamare un guaritore e invocherebbe gli dei affinché veglino sulla mia salute mentale.»
La principessa fece per obiettare, ma lui tagliò corto. Yozora optò di interpellarlo in lingua khai per avere la certezza di essere compresa.
«Dunque nessuna donna per voi è stata preziosa?»
Il principe apprezzò la sfumatura terminologica che lo allontanava dalle chiacchiere sdolcinate. Si trattava di ammettere un sentire ordinario, non aberrante.
«Una sola.»
«Chi?»
«Mia madre.»
Lei sbiancò. Il discorso era precipitato nel laccio che avrebbe voluto evitare a ogni costo. Intuì quale sarebbe stata la richiesta successiva e si sentì in trappola. Come paventato, il calappio si chiuse senza misericordia.
«Com’è morta la regina di Seera?»
«Strappata al mondo dalla guerra.»
«Siate più precisa.»
«È scoppiato un incendio.»
«In che modo?»
«Il fuoco delle catapulte è attecchito a un’ala del palazzo. Sono troppe richieste!»
Tuffò il braccio in acqua e avvertì sollievo solo dal bruciore. Stava ansimando, il peso sul petto la stava schiacciando. La vulnerabilità affiorò nella sua crudezza, snudando una sofferenza mai estinta. Sapeva che Mahati avrebbe le spremuto i ricordi e il cuore, senza pietà, ma non era giusto che la costringesse a rivivere quel momento. Verità non significava supplizio, conoscere quel particolare non avrebbe influito sulle sue opinioni o sulla loro unione.
È una prevaricazione, un tentativo di affermare la sua supremazia mentale!
Lo guardò con occhi lucidi, adirata, e decise di infliggergli la medesima tortura. Attese che portasse il polso nella posizione corretta e gli scagliò addosso la domanda come uno strale.
«Cos’è successo a vostra madre?»
«È morta partorendo mia sorella.»
Yozora raggelò. Si pentì all’istante, deplorando l’intento vendicativo. Non era così che desiderava agire, attaccare e ferire per difendersi non era corretto. L’astio svanì, così la volontà di gareggiare anziché avvicinarsi a lui.
«La bambina?»
«Non ce l’ha fatta.»
«Mi dispiace, non avrei dovuto…»
Lui si liberò del tylid, indifferente.
«È la prova. Tentate di farmi male finché non vi verrà a noia, dirò sempre la verità.»
«Non voglio questo.»
«È un problema vostro. Il ladi ha bruciato le vostre catapulte?»
«Sì.»
«Un attacco dei miei guerrieri?»
«Sì.»
La vista della ragazza si velò di lacrime al ricordo delle fiamme divampate alla spinta del vento. Il rosso aveva squarciato la notte, sbranato le mura e poi la torre. Erano fuggite verso le segrete. Lei, Hyrma e Kelya.
I timpani si riempirono delle grida strazianti di chi era rimasto intrappolato, percepì l’esalazione acre del fumo, il sapore soffocante delle ceneri.
«Quello della prima notte d’inverno, circa dieci anni fa?» la riscosse il principe.
«Sì…»
Mahati rammentò il freddo insopportabile di quel giorno, il fiato che si condensava in volute diafane, rivide il tramonto calare sulle mura della città assediata, lontana, non ancora sconfitta. Riesumò l’onda di collera derivante dalla stasi, gli sguardi dei reikan in attesa, ognuno dei quali bucava come un aculeo. I Salki resistevano e suo padre lo osservava scontento, lo metteva alla prova nonostante i desideri del loro dio. Il nemico non capitolava e nell’aria c’era un forte odore di neve: li avrebbe rallentati, i vradak non avrebbero potuto levarsi in volo, la vittoria si sarebbe allontanata. Una battaglia, una sola per ribadire il proprio carisma. Se non l’avesse vinta, Belker avrebbe distolto gli occhi da lui per la vergogna! Il ladi era predisposto, i Khai erano pronti e l’oscurità per i loro occhi era come l’alba, come l’aurora, la mia aurora…
«Avete ordinato voi l’attacco?» domandò Yozora.
Il Kharnot comprese il suo “ho creduto ne foste informato”.
«L’ho guidato. Ma lo sapete già.»
«Avete scientemente impedito che le fiamme venissero estinte?»
«Sì.»
«Sapevate che all’interno del palazzo reale c’erano dei civili? Donne e bambini…»
«L’ho immaginato.»
Il bracciale iniziò a scottare: Mahati lo immerse con un senso di liberazione. Spettava a lui capire, tormentare, stanare la verità.
«Perché la regina dei Salki non era al sicuro?»
Yozora incassò la richiesta, riudì la voce indimenticata della madre, ne percepì la dolcezza, la risoluzione.
“Andate! Hyrma, prendi tua sorella, scendete nelle cripte, la pietra non cederà! Vi raggiungerò! Vi raggiungerò…”
«È tornata indietro per aiutare gli altri.»
La memoria del principe volò attraverso il tempo e dall’alto ripercorse i disperati tentativi di chi non si era rassegnato al dilagare del rogo, agli inutili secchi d’acqua gettati sulle mura ridotte a tizzoni carbonizzati. In cerchi concentrici i Khai avevano disperso quei coraggiosi, li avevano caricati con i vradak spingendoli verso la rovina, lambendo le fiamme e lasciando che il vento teso uccidesse in loro vece. Il secondo lancio di ladi non aveva lasciato scampo. Un’ala del castello era crollata, aveva vinto quello scontro, l’onore era stato preservato.
«Perché non ha ordinato ai soldati o ai servitori di occuparsene?»
«Nessuno è servo o sovrano davanti alla morte, abbiamo tutti lo stesso valore. La regina amava i suoi sudditi, portare la corona per lei significava proteggere, non comandare. Ogni creatura prigioniera in quel fuoco era figlia e compagna e sorella!»
Il tylid cadde nel recipiente con le lacrime della principessa: l’asheat non era conclusa, Mahati ne era certo: era preparato all’ira di lei, alla rivalsa che sarebbe scaturita dallo spietato insistere su un nervo scoperto. Non era pronto a intendere la vittoria come responsabilità, il diadema come un’incombenza volta a preservare gli altri. Ripescò il monile e stese il braccio. Realizzò con orrore che stava tremando.
«Vi dispiace di aver impartito quell’ordine?» domandò Yozora.
«No.»
«Vi dispiace aver infierito su chi non stava combattendo?»
«No!»
«Vi dispiace di aver ucciso mia madre!?»
«È stata l’ostinazione di Entin a ucciderla! Se si fosse arreso…»
«Rispondete alla richiesta!»
Mahati ringhiò rabbioso, il tylid iniziò a farsi sentire.
«In guerra si muore!»
«Siete voi la guerra! Vi dispiace di aver ucciso mia madre!?»
«Non più di tre domande!»
Fece per tuffare il polso, ma lei lo afferrò e lo trattenne sul braciere. Intrecciò le dita alle sue, incurante della temperatura critica del metallo. Si sarebbe potuto liberare all’istante e dichiarare fallita la prova, tuttavia non si svincolò. La fissò feroce. Le lacrime luccicavano sulle guance della ragazza, ma il suo sguardo lo inchiodava al senso della prova che stavano affrontando. Insieme, per davvero.
«Vi duole uccidere?»
«No!»
«Vi duole ordinare la devastazione?»
«No!»
«Vi duole la guerra?»
«No!»
«Vi duole che mia madre sia morta a causa vostra?»
«Sì!»
Mahati strappò da sé la verità. Rimase in quella posizione, indifferente al fuoco che gli bruciava la pelle, fiero come in ogni istante della sua vita. Yozora gli spinse la mano nell’acqua e si abbandonò contro di lui. Le loro dita rimasero avviluppate nel bacile mentre il fuoco, disertato, si abbassava.
Si sentì svuotato, le tempie pulsavano come per una febbre, il respiro non accennava ad acquietarsi. Si appoggiò al muro, assimilando il tepore di lei: l’umidità del suo pianto gli infradiciava la spalla, la fronte posata nell’incavo del collo era un incastro perfetto. Erano un mosaico complesso che aveva trovato una giuntura.
Era insolito contenere una donna in lacrime in un abbraccio, insolito coglierla come una mescolanza di fragilità e forza, desiderare più di comprenderla che di averla. Strano che non lo infastidisse, che lo attraesse, che lo placasse.
Passò un tempo imprecisato, nel caldano non restò che brace. La principessa mosse la mano nella sua, come a liberarla.
«Tocca a voi.»
Lui strinse, trattenendola nell’acqua immota.
«Basta. La prova è terminata.»
Sollevò il braccio e si preparò a contemplare l’ignominiosa falce di luna, ma non ve n’era traccia. Solo un discreto rossore, che sarebbe scomparso in pochi minuti. Lei era nelle stesse condizioni. Si portò il suo polso alle labbra e lo leccò piano, tenendola tra le ginocchia. La sentì sussultare, accettare la premura, rabbrividire al contatto.
Fece lo stesso per sé in una tranquillità illogica e rasserenante. Il combattimento era finito, l’asheat era stata un duello in favore dell’autenticità e, come ogni scontro, comportava uno strascico da assimilare. Non aveva mai sentito nessuno raccontare di averlo vissuto con tale intensità. Rhenn ironizzava sulla consuetudine, si chiese se le sue prove avessero sortito il medesimo effetto. Se si erano fatti a brandelli come lui e Yozora.
Siamo un unicum?
I singhiozzi di lei si esaurirono. Gli restò aggrappata come fosse l’unico scoglio sicuro in una burrasca. Aveva appena ammesso di essere causa del suo lutto, di un dolore lacerante, ma lei non lo respingeva.
«Perché siete venuta qui?» le sussurrò all’orecchio «Perché avete acconsentito alle nozze con l’assassino di vostra madre?»
Il corpo di lei tornò in tensione.
«Avete detto che la prova è conclusa.»
«Rispondetemi se ritenete importante che io capisca, non perché siete obbligata.»
La principessa rimase un istante in silenzio.
«Per cancellare l’odio e perdonarvi, per dimostrare che è possibile vivere in pace, spezzare con il passato. Sarebbe felice di sapere che vi ho donato il suo anello, che non vi porto rancore.»
Le parole schizzarono al cuore di Mahati come un dardo.
«Non ho domandato l’assoluzione.»
«È sufficiente il vostro dispiacere.»
«Non inseguo l’iwatha
«Ma ora tra me e voi c’è la pace che unisce.»
Lui scosse il capo come a scacciare un’insensatezza, ma ciò che provava era reale. Le impresse un bacio sulla fronte, avvertì la reazione istintiva nell’accelerazione dei palpiti.
«Siete stanca?»
«Sfinita.»
Era la definizione calzante: nelle vene il sangue sembrava mescolato a un narcotico, la spossatezza lo stava invadendo come dopo una notte insonne, eppure il primo Sole non era tramontato. La sollevò, reggendola tra le braccia. Lei si allacciò al suo collo senza ribellarsi, finché non oltrepassarono la tenda che celava il talamo, finché non la depositò sul letto nuziale: allora s’irrigidì, stringendosi i vestiti addosso.
«Volete…?»
«No. Pulitevi il viso.»
Yozora contemplò il proprio aspetto disfatto.
«Oh… non sono presentabile. Scusatemi.»
Mahati sedette all’altro lato, appoggiandosi ai gomiti.
«Parola mia, anche così siete bellissima.»
Lei avvampò, sorpresa dalla sua percettività e confusa dal complimento. Quando tornò a guardarlo, si era sfilato la camicia sgualcita. Il thyr sul suo torace nudo sembrò prendere fuoco. Era stata lei a cercarlo, a toccarlo. Le sue braccia erano salde, protettive, la sua pelle calda, il suo respiro avvolgente, il suo sguardo magnetico.
Lui stiracchiò gli arti e rimase supino a distanza, gli occhi chiusi.
«Non avvicinatevi troppo» mormorò ironico «Sono un maschio khai in astinenza, non garantisco né moderazione né autocontrollo.»
«Dormirete con me?»
«D’ora in poi lo farò.»
«È un vincolo conseguente alla prova?»
«No. Ho voglia di stare con voi. Vi turba?»
«Ecco, io non sono abituata…»
Lui si girò sul fianco appoggiando il viso alla mano.
«Indubbio, eppure percepisco che non vi dispiace.»
Al culmine dell’imbarazzo Yozora abbassò lo sguardo sul ciondolo blu che gli pendeva dal collo. I segni dell’incisione erano difficili da leggere.
«Cosa c’è scritto?» svicolò.
«Naora.»
«Oh, naora come speranza?»
«Naora come mia madre. Era suo.»
La principessa fu invasa dall’emozione. Il fatto che portasse un ricordo della donna che lo aveva generato, definita preziosa, la sorprese e la commosse. Forse i Khai non erano tanto diversi difronte a una perdita, avevano un altro modo per affrontarla, un codice che consentiva loro di conservare la dignità.
Il nome della regina le sembrò diverso da quello pronunciato da Naiše, ma stabilì di rinviare la questione. C’erano state molte domande e il viso del promesso sposo era rilassato nella quiete che precede il sonno.
 
Mahati si destò in piena notte, rinvigorito dal riposo straordinario. Non era solito coricarsi prima del tramonto o dormire a lungo: non sarebbe riuscito a riprendere sonno, dunque stabilì di dedicarsi ad altro.
Purtroppo non a quello di cui avverto l’impellenza.
Scrutò la principessa addormentata: non si era tolta gli abiti e non aveva indossato la veste leggera con cui le Khai si infilavano a letto solo per produrre nei compagni il potente desiderio di strapparla via.
Tsk, ho sbagliato a dirle di non provocarmi.
Resistere si rivelava più arduo del previsto. Al chiarore lunare le sue curve erano una tentazione, le labbra una calamita, i lunghi capelli castani un mare in cui affondare.
Dannazione!
Era naturale desiderare una donna attraente, sua di diritto o solo perché era il principe dei Khai e nessuno osava disobbedirgli. Non lo era volerla in quanto diversa dalle altre o perché in lui si era insinuata la sciocca determinazione proteggerla.
Da cosa poi?
Lasciò la stanza. Attraversò l’ala, imboccando la scala privata che culminava sulla vetta della torre ovest. La luminosità diafana inondava la sala e si diffondeva sulla superficie immota della piscina, un argento liquido privo di increspature.
«Ti sei deciso finalmente.»
Rhenn si mosse dal cono d’ombra, la pelle chiara acquisì la medesima tonalità dell’ambiente in un fondersi armonioso di luce e ombra.
«Speravo te ne fossi già andato.»
«Conosci un altro posto dove stare in pace?»
Mahati lasciò scivolare l’abito a terra e scese nell’acqua. La collera contro il fratello non era scemata, ma comprendeva quanto fosse catartico isolarsi dal mondo.
«Hai il suo odore addosso» constatò il primogenito.
Il minore restituì l’occhiata penetrante, considerando l’osservazione banale alla stregua di una richiesta mirata.
«Trai le debite conclusioni.»
Negli occhi dell’erede al trono balenò un lampo di rabbia. La voce per contro risuonò incurante.
«È ancora viva?»
Il secondogenito sorrise freddo, adagiandosi sul fondo di pietra. Non soddisfare la sua curiosità era un modo per affermare l’autodeterminazione, vederlo sulla corda era meglio di una vittoria in battaglia.
«Potrei non avere bisogno di te per la seconda asheat
«Avete sostenuto la prima?»
Rhenn si sforzò di mantenere una tonalità neutra, ma l’istanza eruppe con urgenza eccessiva. Fissò i polsi del Šarkumaar e non scorse alcun segno.
«Affrontata e superata» confermò questi.
Il principe della corona si appoggiò al bordo levigato. Sentì il sollievo mitigare le altre sensazioni e lo attribuì al trovarsi un passo più vicino ai propri obiettivi. Quanto al ruolo di tutore, scoprì di non volersene privare, anzi di attendere con inusuale impazienza l’occasione per interagire con la ragazza. La sua presenza lo metteva di buon umore, gli consentiva di scrollarsi di dosso le formalità e le regole – quelle che avrebbe dovuto insegnarle – di comportarsi con…
Libertà? È questa la parola che cerco?
«Aspetto che tu ti profonda in ringraziamenti.»
Mahati avvertì il mutamento interiore del fratello dietro l’aria distaccata.
«Scordatelo. Abbiamo sfiorato l’ustione.»
Rhenn spalancò gli occhi: nessuno riportava i particolari di un’asheat.
È un modo per tacciarmi d’incapacità?
«Suppongo abbia tirato fuori le solite sciocchezze sull’amore. Le ho assicurato che non l’avresti ricambiata, evidentemente non ho avuto sufficiente presa.»
«Ricambiarla?» ripeté il Kharnot stupefatto.
«Sostiene di volersi innamorare di te. Poiché non è qualcosa che avviene a comando, sta cercando di scoprire le tue doti nascoste. Non te ne ha parlato?»
Mahati ripercorse i momenti salienti della prova con un senso d’inquietudine.
Non ne ha avuto bisogno. Perdonarmi è stato un atto d’amore, il cammino è tracciato, lo percorrerà fino in fondo e sarò costretto a difendermi. A farle male per preservarmi dalla corruzione.
«Sono stato io a chiederle di descrivere in cosa consiste.»
«Divinità immortali, perché hai scoperchiato il vespaio?» sospirò il maggiore.
«Se conosci il volto del nemico, diventa semplice individuarlo.»
«Interessante. Cosa ti ha risposto?»
Il secondo principe riportò in dettaglio le parole della promessa sposa e si godette l’espressione esterrefatta dell’altro.
«Qui?!» sbottò Rhenn appoggiando la mano sul diaframma «Ogni volta che mi verrà fame dovrò interrogarmi su un’eventuale colpo di fulmine! Per l’Arco letale di Belker, mai sentite tante idiozie!»
Mahati rise tra le zanne. Non riferì altro, rispettando il segreto.
«Se ha aperto le gambe, sono esentato dal fastidioso incarico legato alla seconda asheat?» riprese l’Ojikumaar.
«Non l’ho detto.»
«Allora spiegati, non ho voglia di giocare agli indovinelli!»
«Pensavo che i rompicapi fossero il tuo pane. Abbiamo dormito insieme, nient’altro. Vacci piano con le spiegazioni sulla seconda prova, non è pronta.»
«Cosa vuoi che me ne importi! Non sono tollerante come te! Ho i miei metodi, funzionano, ne hai avuto conferma! Troverai la strada spianata!»
Mahati si adirò al voluto doppio senso.
«Non azzardarti a…!»
Accompagnò con gli occhi il gesto nervoso del fratello, che strizzò i capelli e appoggiò il gomito all’orlo mosaicato della vasca. Pensò di avere le allucinazioni.
Il primogenito inarcò un sopracciglio, sorpreso che la ramanzina fosse rimasta in sospeso. Poi comprese l’errore da principiante: aveva mostrato il polso, la mezzaluna risaltava nitida sulla pelle candida. Emerse dalla piscina, fremente di rabbia.
«Rhenn. Coprila con un tatuaggio.»
La reazione dimessa accrebbe la furia. Sarebbe stato meno umiliante se Mahati gli avesse riso in faccia dandogli dell’imbecille. Non stava infierendo perché lo capiva, perché aveva corso lo stesso rischio e ne era uscito illeso.
«Una parola e ti ucciderò! Dimenticherò che abbiamo lo stesso sangue!» ruggì.
Lasciò la stanza in un fruscio di seta bianca.
   
 
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