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Autore: _Agrifoglio_    06/10/2021    12 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La commedia degli equivoci (ovvero di drammaturghe in erba, Viscontesse umiliate, driadi, granatieri, calunniatori e poveri sciocchi innamorati)
 
Torino, 20 ottobre 1805
 
Il Generale Junot si avvicinò con circospezione e timore a Napoleone che stava terminando di abbigliarsi per assistere alla rappresentazione teatrale che si sarebbe svolta a breve, per festeggiare il compleanno della sorella Paolina, nata il venti ottobre di venticinque anni prima.
Sebbene fossero amici di vecchia data, Junot viveva sempre con apprensione i frangenti in cui era costretto a dare all’Imperatore una cattiva notizia. Questo era uno di quelli, con un particolare peggiorativo: le brutte notizie, in quel caso, erano addirittura due.
– Maestà, è arrivato un corriere da Roma, con due notizie infauste…
– Parlate, Junot.
– La prima è che Re Luigi XVII è stato liberato e ha trovato asilo politico nello Stato Pontificio.
Merde!! E la seconda?!
– La seconda è che Pio VII non presenzierà alla Vostra incoronazione. Il Pontefice si scusa, ma, data l’età, non se la sente di affrontare il viaggio.
Napoleone serrò le labbra e saettò dagli occhi lampi di feroce stizza. Junot era abituato a quelle manifestazioni di collera fredda e non parlò. In quei giorni, poi, l’Imperatore era particolarmente nervoso, perché sapeva che la loro flotta, guidata dal Vice Ammiraglio de Villeneuve, era in procinto di forzare il blocco navale imposto dalla Royal Navy, allo scopo di fare rotta verso il Mediterraneo e di sbarcare in Liguria i fanti di Marina da impiegare nell’esercito di terra. Dall’esito di quella manovra, sarebbe dipeso il potenziamento della Grande Armée.
– E meno male che le notizie erano soltanto due! Come si è reso possibile questo disastro? – domandò Napoleone, con voce irritata.
– Il Generale Oscar François de Jarjayes si è recata in missione diplomatica a Roma, dove ha convinto il Papa a non presenziare all’incoronazione. Sempre da Roma, ha diretto la missione di salvataggio del Re, condotta a termine da un manipolo di soldati, comandati dal Colonnello de Valmy.
– Avrei dovuto immaginarlo!! Tutte le volte, c’è sempre di mezzo quella maledetta donna con le palle!!
L’Imperatore era pieno di rabbia. Sin dai loro primi incontri, non gli era sfuggito lo sguardo da leonessa di Oscar che non si piegava davanti a quello d’aquila di lui. Era impossibile che la nemesi di Napoleone Bonaparte fosse una donna, non se ne poteva proprio capacitare. Quell’enigma umano, quella sfinge, quella valchiria doveva finire di frapporsi fra lui e i progetti che lo conducevano al dominio assoluto dell’Europa e del mondo!
– Quel che è fatto è fatto. Domani, penserò a una contromossa. Per oggi, non fate cenno all’accaduto, non voglio che il genetliaco di mia sorella sia rovinato. Andiamo a questa dannata rappresentazione teatrale.
Si rassettò una piega dei pantaloni con uno schiaffo veloce sul lato esterno della coscia e uscì dalla stanza a ritmo nervoso, seguito da Junot.
 
********
 
Gli attori erano in attesa di Napoleone per dare inizio alla rappresentazione teatrale e, in sala, c’era un forte chiacchierio. Non si conoscevano il titolo dell’opera né il soggetto e neppure se si sarebbe trattato di una commedia o di una tragedia. L’unica notizia certa (o quasi) era che le sorelle Bonaparte avevano collaborato alla stesura del testo e da ciò si deduceva che la pièce era inedita e che, probabilmente, sarebbe stata un’opera buffa.
Joséphine de Beauharnais sedeva su una poltroncina a lei riservata, situata a debita distanza da quelle della festeggiata e della madre e delle sorelle di lei. Poche sedie dopo la Viscontessa, c’erano i coniugi de Girodel mentre, sull’altro lato, si trovavano i Conti di Canterbury con a fianco il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin che, da semplice fidanzato, era ancora escluso dal clan Bonaparte.
Era assente il Principe Camillo Borghese il quale, dopo l’annuncio del fidanzamento di Paolina, aveva preso la via per Roma. Camille Alexandre de Saint Quentin, invece, non faceva che accarezzare, nella tasca del giustacuore, il panno di velluto color porpora contenente un bracciale di zaffiri e brillanti, suo regalo di compleanno per la fidanzata. Pensava e ripensava all’espressione di gratitudine e di amore che Paolina avrebbe avuto nel vederlo e a come il gioiello si sarebbe intonato con gli splendidi occhi di lei.
La levata in piedi dei cortigiani segnalò l’ingresso in sala dell’Imperatore che, non appena si fu seduto, fece cenno agli altri di fare altrettanto.
Le luci furono spente, il sipario si aprì e gli attori entrarono sul palcoscenico.
Quello che seguì fu un susseguirsi di rabbia e umiliazione o di risate e malignità, a seconda dei punti di vista. L’opera, una commedia, narrava le vicissitudini di una vecchia avventuriera ridicola e licenziosa che escogitava di tutto pur di farsi sposare dal Re della città che, però, le preferiva delle donne più giovani e avvenenti. Al termine dei tre atti, si scopriva che il marito della vecchia era ancora vivo e arrivava, su una carrozza, il Papa in persona che negava il suo consenso alla dichiarazione di nullità del matrimonio e ordinava alle Guardie Svizzere di cacciare l’avventuriera fuori dal castello.
Joséphine de Beauharnais impiegò molto poco a capire che la commedia era una parodia della situazione in cui si trovava lei e rimase impietrita sulla sedia, in bilico fra il desiderio di porre fine a quella farsa e la paura che essa terminasse, così da doversi alzare e affrontare gli invitati. Malgrado il suo autocontrollo, non riuscì a trattenere una lacrima di dolore e di dispetto che le sgorgò a tradimento e le solcò la gota, venendo notata da più di un cortigiano.
Elisa, Paolina e Carolina Bonaparte ridevano a crepapelle, la madre troneggiava immobile e sprezzante come al solito mentre Napoleone era immensamente infastidito, perché si prefigurava le lamentele di Joséphine che si sarebbero andate ad aggiungere a tutti i problemi che gli erano piovuti addosso in quella giornata.
Camille Alexandre aveva la mente occupata dal bracciale e dalla sua amata, ma pensava anche che, dopo il matrimonio, avrebbe dovuto farle un serio discorso, per richiamarla al senso di compassione che ogni buon cristiano deve avere verso i suoi simili, pur se a lui sgraditi.
Quando la commedia fu terminata e le luci si riaccesero, i cortigiani furono introdotti nella sala del rinfresco.
Joséphine de Beauharnais, che, da perfetta donna di mondo, si era apparentemente ripresa, conversava con brio e leggerezza, come se nulla fosse successo, ben sapendo che, in sala, tutti avevano capito. Chiunque le si avvicinasse ne assecondava la gaiezza, ben sapendo che ella aveva capito. Tutti avevano capito, ma facevano finta che le ultime due ore non ci fossero state e intrattenere una conversazione, pochi minuti dopo il termine di una commedia, parlando di tutto, fuorché della commedia stessa, non fu semplice per alcuno. Le sorelle Bonaparte guardavano verso Madame de Beauharnais e sghignazzavano e, pur essendo le artefici di quella messinscena, erano probabilmente le uniche a non capire niente di niente.
I coniugi de Girodel e i Conti di Canterbury conversavano fra di loro e, sebbene non commentassero l’accaduto, erano carichi di disapprovazione. La Viscontessa de Beauharnais non rientrava nella cerchia delle loro amicizie ed era una donna ambiziosa e libertina che non avrebbe mai riscosso la loro stima. Tuttavia, non era malvagia e, anzi, aveva dato spesso prova di buon cuore, non li aveva mai danneggiati e, soprattutto, come qualsiasi altra persona, non meritava un simile trattamento.
Di tutti loro, la Contessa di Canterbury era quella col cuore più pesante, perché era rattristata dal nebuloso futuro matrimoniale che attendeva Camille Alexandre. Lanciava, ogni tanto, delle occhiate in tralice al fratello che, comprendendone il significato, taceva, combattuto in cuor suo fra amore ed evidenza. Sebbene fosse completamente prigioniero della sua passione, giustificare le stranezze di Paolina diventava, per lui, ogni giorno più faticoso.
Dopo circa un quarto d’ora, Paolina Bonaparte uscì dalla sala del ricevimento. Madame de Beauharnais lo notò e decise di seguirla per farle una scenata.
Qualche minuto dopo, il Marchese Camille Alexandre si accorse dell’assenza della fidanzata e iniziò a fremere, cercandola insistentemente con lo sguardo da un capo all’altro del salone. Stringeva convulsamente il panno con dentro il prezioso contenuto, divenendo sempre più ansioso.
Non riuscendo ad aspettare, uscì anche lui dalla sala. Nel corridoio, incontrò la Viscontessa alla quale si rivolse subito con apprensione ben palpabile nel volto e nella voce.
– Madame de Beauharnais, Vi prego di scusarmi, ma non vedo più la mia fidanzata… Vorrei consegnarle il mio regalo di compleanno…
– Signor Marchese, non dovete assolutamente scusarVi, sono ben lieta di aiutarVi. Madamigella Paolina Bonaparte si trova, adesso, nella sala delle udienze private.
– Vi ringrazio, Madame, Vi sono debitore!
Le fece un rispettoso inchino e corse via, col cuore in gola e il respiro che si faceva sempre più affannoso.
Arrivato all’ingresso della sala delle udienze private, esitò, prima di entrare, in preda a un oscuro presentimento, ma varcò la soglia subito dopo, dandosi dello stupido.
L’ambiente era deserto e, tuttavia, da dietro un paravento separé, provenivano dei rantolii soffocati e delle risatine licenziose.
Il giovane si avvicinò quasi tremando, sperando in un colossale equivoco. Bruciava dal desiderio di fuggire via e, al tempo stesso, era spinto ad andare avanti da una forza misteriosa.
Giunto davanti al paravento, sentì le braccia pesanti, che non volevano obbedirgli ed esitò di nuovo, finché, con un gesto secco, scagliò il separé di lato.
La scena che gli si presentò lo fece rabbrividire… Paolina, scarmigliata e semidiscinta, avvinghiata al fatuo granatiere che l’aveva insistentemente fissata all’uscita del Palazzo Reale, lo guardava incredula e stupefatta, come un bambino colto nell’atto di rubare la marmellata.
Egli indietreggiò, con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta, per prendere le distanze da quell’immagine che gli faceva orrore. Lei, col volto rosso e accaldato e i riccioli scuri bagnati dal sudore, camminava verso di lui, coprendosi il seno con lo scialle di velluto verde, raccolto da terra e appallottolato alla bell’e meglio fra le braccia e, con voce da sirena, piangendo, lo supplicava:
– Camille, Vi prego di credermi, non è come sembra… Quell’uomo… Quell’uomo mi ha usato violenza…
Il granatiere, per nulla imbarazzato, si stava ricomponendo con lentezza e nonchalance e, nel sentire le labili giustificazioni di lei, fece un sorrisetto e alzò le sopracciglia.
Il Marchese continuò a indietreggiare, emettendo ad alta voce alcune parole sconnesse:
– Pazzo… Avevano ragione… Povero pazzo… Idealizzata… Demone… Perfidia… Dolore… Morte…
– Dopo un po’ di quel delirio, parve ritrovare il senno, se non la calma e urlò:
– Madamigella Bonaparte, non siete la donna che credevo! Dio mi è testimone che non vi conosco affatto! Considerate il nostro fidanzamento irrevocabilmente rotto!
Detto ciò, scagliò il panno di velluto sul pavimento e fuggì via mentre Paolina piangeva, strepitava e lo supplicava invano.
Il granatiere se ne stava in piedi accanto al paravento rovesciato e guardava la scena senza parlare.
Correndo via, il Marchese de Saint Quentin incrociò Napoleone che camminava speditamente nella direzione opposta e, nella concitazione del momento, neanche lo notò.
Joséphine de Beauharnais – che aveva seguito Paolina per insultarla, l’aveva vista appartarsi con il soldato e aveva messo il Marchese sulle tracce di lei per vendicarsi della commedia – udendo i passi dell’Imperatore, si dileguò in una delle stanze laterali.
Napoleone, avendo scorto Paolina e Joséphine uscire dalla sala del ricevimento e non avendole viste rientrare, aveva deciso di cercarle per metterle a tacere prima che la situazione degenerasse ulteriormente e si era incamminato nella direzione dalla quale provenivano gli strepiti.
Entrato nella sala delle udienze private, incenerì i due amanti clandestini con uno sguardo adirato e, senza perdere il controllo, rivolto alla sorella, tuonò:
– Tu vai immediatamente nei tuoi appartamenti!
Paolina fuggì via, coprendosi il viso e il seno con lo scialle.
Subito dopo, l’Imperatore guardò il granatiere e decretò:
– Tu sei agli arresti! Combatterai in prima linea nella prossima battaglia! Presentati ai tuoi superiori e riferisci i miei ordini!
Il soldato, che si era messo sull’attenti, fece il saluto militare all’Imperatore e abbandonò la stanza.
Nel frattempo, erano sopraggiunti i coniugi de Girodel e di Canterbury. Girodel, vedendo sul pavimento il panno di velluto color porpora dal quale fuoriusciva parzialmente il bracciale, lo raccolse e lo porse alla Contessa di Canterbury che lo ringraziò con un lieve cenno del capo.
Napoleone uscì dalla sala con passo marziale, senza degnarli di uno sguardo.
 
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Torino, 21 ottobre 1805
 
Era fuori di sé dalla rabbia e, malgrado la predilezione da sempre nutrita per quella sorella così affezionata e bizzarra, poco propenso a chiudere un occhio e a far cadere la questione.
– Devi essere uscita di senno, non c’è altra spiegazione! Sono molto deluso! Hai coperto te stessa e tutti noi di vergogna! La sorella dell’Imperatore abbarbicata a un soldato senza né arte né parte e rifiutata da un fidanzato ben al di sotto di lei… In pochi minuti, sei riuscita a toccare il fondo!
– Napoleone, non essere in collera con me! Quell’uomo mi ha usato violenza! – diceva, fra un singhiozzo e l’altro, stringendo nelle mani un fazzoletto con cui si asciugava le lacrime.
– Falla finita, per favore! Non insultare la tua intelligenza e la mia!
– Napoleone, ti prego!! In fondo, era il mio compleanno!!
– Domani stesso, partirai per Roma.
– Roma? No, Roma no!
– Il Principe Camillo Borghese è tanto stupido da volerti ancora malgrado il tuo fidanzamento con quell’altro. Ti ordino di sposarlo al più presto, prima che questo scandalo divenga di dominio pubblico e giunga alle orecchie dell’unico fidanzato che ti è rimasto!
– Uffa, no, non andrò! – sbottò la ragazza, pestando i piedi.
Ogni lacrima era sparita, sostituita da un’immensa stizza per non essere riuscita a spuntarla.
– Se non partirai, ti mariterò al primo stalliere che mi passerà davanti!
– Aaaaaahhhhhh!!! – urlò lei, percuotendo i pugni sul tavolo.
– Nostra madre ha già ricevuto disposizioni di farti preparare i bagagli.
Paolina uscì inviperita dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.
 
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Torino, 27 ottobre 1805
 
Era passata una settimana da quell’orrenda giornata che aveva posto fine al fidanzamento con Paolina e ancora non si dava pace.
Il Marchese de Saint Quentin malediceva se stesso e la propria stupidità.
Eppure i segnali li aveva avuti tutti sotto gli occhi, ma, con ostinata cecità, si era rifiutato di vederli. L’eccessiva frivolezza della giovane donna, quel parlare solo ed esclusivamente di moda, l’ostinata e infantile crudeltà verso Madame de Beauharnais e chiunque non le andava a genio, tutto contribuiva a tratteggiare un quadro poco lusinghiero. C’erano anche i modi troppo disinvolti di lei, l’assoluta assenza di contegno e la totale mancanza di rispetto verso i nobili e gli anziani.
Paolina non era altro che una bellissima selvaggia, epicurea fino al midollo, recalcitrante a ogni forma di disciplina, completamente irresponsabile e lui aveva chiuso gli occhi, in nome di una passione folle.
Ripensò all’umiliante e vergognoso interrogatorio al quale l’aveva sottoposto Napoleone, forte della sua potenza e della debolezza di uno sciocco innamorato.
Rivide sua sorella che quasi lo supplicava di ritrovare il senno e lui che la zittiva, incurante che gli avesse fatto da padre e da madre.
Gli tornò in mente l’episodio della driade che l’aveva baciato sotto una maschera di foglie e di rami. Ne udì di nuovo la risata e, a un tratto, ricordò: era la stessa risata che aveva sentito, per la prima volta, nei giardini reali e, poi, accanto ai tableaux vivants e in tante altre occasioni.
Per sua fortuna, gli fu risparmiato di sapere che, all’epoca del ballo in maschera, era ormai stato deciso che Paolina avrebbe sposato il Principe Borghese e che la ragazza aveva architettato di concedersi a lui indossando una maschera, per togliersi il capriccio prima del matrimonio combinato, senza compromettersi. Soltanto la reazione inaspettata di rifiuto che egli le aveva opposto, in nome dell’amore per un’altra – che, poi, era lei – l’aveva spinta a puntare i piedi e a convincere il fratello a mutare progetti matrimoniali, nella speranza di trovare in lui uno sposo sempre adorante e arrendevole.
A quale donna stava per affidare la sua felicità e, soprattutto, l’educazione e la cura dei suoi futuri figli!
Camille Alexandre tentava di autoconvincersi di dovere essere lieto dello scampato pericolo, ma, intanto, riusciva soltanto a tormentarsi e a soffrire come un pazzo.
 
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Torino, 28 ottobre 1805
 
– Cosa c’è, Berthier?
Napoleone si rivolse in modo spiccio al Generale Berthier, entrato nello studio. Lo aveva disturbato mentre lavorava e, dall’espressione che aveva, era sicuramente latore di altre grane.
– Mi duole informarVi, Maestà, che la nostra flotta ha subito una sconfitta al largo di Capo Trafalgar, a nord ovest dello Stretto di Gibilterra, ad opera del Vice Ammiraglio Nelson.
– Dannazione!! Di che dimensioni è questa sconfitta? – chiese Napoleone, battendo il palmo della mano sul ripiano della scrivania.
– Apocalittiche, Maestà. Delle trentatré navi della nostra flotta e di quella degli alleati spagnoli, una è stata affondata e ventuno catturate. Di queste ultime, molte, compresa la Bucentaure, sono affondate a causa del maltempo mentre erano portate via dagli inglesi. Contiamo quasi quattordicimila fra morti, feriti e prigionieri.
– E gli inglesi? – il volto di Napoleone era una maschera di collera.
– Pur avendo subito danni considerevoli, non hanno perso alcuna nave. Contano milleduecentootto feriti e quattrocentocinquantotto morti, compreso Lord Nelson.
– E il vice Ammiraglio de Villeneuve che ha fatto in tutto ciò? – domandò Napoleone, con voce aspra.
– Ha mantenuto la posizione e ha combattuto gli inglesi, ma non ha potuto evitare la sconfitta ed è stato preso prigioniero.
– Poco male, è un buono a nulla – sogghignò l’Imperatore.
Fissò, per alcuni istanti, la scrivania e, poi, riprese a parlare:
– Questa sconfitta disastrosa pone per sempre la parola “fine” ai miei progetti di invadere l’Inghilterra… Non li sconfiggeremo mai via mare… E tutto per colpa di quel codardo di Villeneuve!! L’unico modo di sconfiggere gli inglesi, d’ora in poi, sarà distruggere la loro economia, prendendo di mira i loro traffici commerciali e le loro colonie. Devo ridurli alla fame…
Napoleone strinse i pugni, pensando al rifiuto del Papa di presiedere alla cerimonia dell’incoronazione e alla liberazione di Re Luigi XVII dalla prigione in Corsica. A questo quadro sconfortante, si aggiungeva la disfatta di Capo Trafalgar… Doveva reagire con forza e determinazione. Per prima cosa, si sarebbe concentrato militarmente sugli austriaci. Poi, avrebbe fatto di tutto per fiaccare l’economia inglese. E non sarebbe stato male inviare delle spie a Roma, con l’incarico di organizzare un secondo rapimento o addirittura l’avvelenamento di Luigi XVII…
I pensieri dell’Imperatore furono interrotti dal Generale Berthier che, prima di andarsene, disse:
– Maestà, in anticamera, c’è il Conte Maxence Florimond de Compiègne che vuole conferire con Voi.
– A proposito di vigliacchi… – biascicò Napoleone.
– Gli dico di tornare in un’altra occasione?
– No, Berthier, fatelo passare, così me lo levo di torno, ma riferite che posso concedergli soltanto cinque minuti.
– Sarà fatto, Maestà.
Pochi istanti dopo l’uscita di Berthier, entrò nello studio il Conte di Compiègne che si profuse in una serie di inchini e di saluti melliflui. Napoleone, che provava una viva antipatia per lui, gli ingiunse di sedersi con uno sbrigativo cenno della mano.
– Conte di Compiègne, parlate pure, ma siate rapido, per favore.
– Mi è stato riferito che siete molto impegnato, Maestà e non intendo abusare del Vostro prezioso tempo, ragion per cui verrò subito al dunque. Il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin sta diffondendo in giro per Torino voci calunniose su Vostra sorella, Madamigella Paolina. Il contenuto di tali diffamazioni è talmente odioso da gridare vendetta, perché nessun uomo può permettersi di attentare alla rispettabilità della Vostra eccellentissima sorella.
Naturalmente, quanto riferito dal Conte di Compiègne non era vero, ma egli aveva un conto in sospeso con la famiglia de Saint Quentin, a seguito delle reazioni scaturite da un tentativo di violenza da lui esperito ai danni della Contessa di Canterbury, all’epoca ancora nubile.
Il Conte di Compiègne disponeva a Torino, come in tutti i luoghi che frequentava, di una rete di spie, costituita da servitori, militari di basso rango e finanche nobili decaduti, da lui prezzolati. Tramite questi, era venuto a conoscenza delle prodezze erotiche di Paolina Bonaparte e della conseguente traumatica rottura del fidanzamento fra lei e il Marchese.
– Se volete, posso far venire a testimoniare due gentiluomini, Maestà.
– Date i loro nomi al mio segretario e fate tornare qui il Generale Berthier. Potete andare.
Il Conte di Compiègne lasciò lo studio in un tripudio di ossequi e di inchini e, pochi minuti dopo, entrò di nuovo Berthier.
Napoleone, che era un fascio di nervi, nel vedere Berthier, si alzò di scatto e, puntando le mani sulla scrivania, disse:
– Fate arrestare immediatamente il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin e ordinate l’escussione dei due testimoni i cui nomi sono in possesso del mio segretario. Andate!
 
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Torino, 30 ottobre 1805
 
I due testimoni, ovviamente pagati dal Conte di Compiègne, furono ascoltati in gran segreto e, all’esito dell’interrogatorio, Napoleone ordinò la fucilazione senza processo del Marchese de Saint Quentin. Il tutto si sarebbe svolto all’alba del due novembre, senza testimoni.           
La mattina del trenta ottobre, il Generale de Girodel e il Conte di Canterbury si diressero nell’anticamera dello studio di Bonaparte. Il segretario, che aveva ricevuto ordini tassativi di non farli passare, disse che l’Imperatore era assente, ma i due gentiluomini, che sapevano bene che egli era lì, entrarono di prepotenza.
Appena li vide varcare la soglia come due furie ultrici, Napoleone si alzò in piedi di scatto e si mise a urlare:
– Ma come osate!! Guardie!! Guardie!!
Girodel gli si avvicinò, batté i pugni sul ripiano della scrivania e lo apostrofò malamente:
– Rilasciate immediatamente il Marchese de Saint Quentin, miserabile o ve la vedrete con la nostra collera!!!!
Più freddamente, il Conte di Canterbury disse:
– Maestà, Vi conviene stare ad ascoltarci, se tenete alla rispettabilità di Vostra sorella Paolina.
Napoleone sbiancò e, proprio in quel momento, entrarono le Guardie Imperiali.
Rien, rien, è tutto sotto controllo, andate! – grugnì e le Guardie uscirono dalla stanza.
– Maestà – proseguì il Conte di Canterbury – Il Generale de Girodel e io veniamo a chiederVi di rilasciare il Marchese de Saint Quentin, vittima di calunnie e di una colossale ingiustizia.
– Quell’uomo ha diffamato mia sorella e voi vi state macchiando del crimine di lesa Maestà!!
– Il Marchese è innocente, ma, se lo fucilerete, tutta Europa saprà come si sono svolti i fatti – disse, con calma distaccata, il Conte di Canterbury.
– L’unica vittima è il Marchese de Saint Quentin – tuonò Girodel, che aveva perso la sua consueta lucidità, non potendo soffrire Napoleone e sentendosi in parte responsabile, poiché aveva scoperto che dietro quella macchinazione vi era il cugino, il Conte di Compiègne – e, se il torto non sarà riparato, la verità verrà a galla e, a quel punto, vedremo come reagirà il Principe Camillo Borghese!
– Osate minacciarmi?! – ruggì Napoleone.
– Noi ci stiamo soltanto difendendo – precisò il Conte di Canterbury – e sappiate che, se il Generale de Girodel o io dovessimo prematuramente trapassare, i nostri congiunti, in Inghilterra e in Francia, sapranno cosa fare. Sono già in viaggio da due giorni e hanno ormai varcato il confine dei messaggeri, diretti in Inghilterra e in Francia, con ampi resoconti dei fatti svoltisi il venti ottobre scorso, con tanto di nomi, di date, di luoghi e di firme di testimoni. Se succederà qualcosa al Marchese o a noi, i resoconti saranno divulgati e Vostra sorella Paolina sarà pubblicamente disonorata!!
Napoleone sedette col volto stanco e provato e suonò il campanello d’oro che si trovava a destra del sottomano. Il segretario entrò nello studio e si inchinò.
– Date ordine di scarcerare immediatamente il Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin. Predisponete il dispaccio e portatemelo da firmare.
Il segretario si inchinò e uscì.
– Il Marchese de Saint Quentin dovrà lasciare le terre del mio Impero entro due giorni da oggi. Quanto a Voi, Generale de Girodel, partirete insieme a lui, perché non siete più un ospite gradito.
Il Generale de Girodel e il Conte di Canterbury attesero il ritorno del segretario e assistettero alla firma del dispaccio da parte di Napoleone e all’apposizione del sigillo imperiale sulla ceralacca fusa, sbirciando, contemporaneamente, sia pure dal verso contrario, l’effettivo contenuto dello scritto.
Al termine di tutto, furono scortati fuori dal Palazzo Reale.
Girodel si rammaricava, perché, malgrado tutte le sue riserve mentali sull’aggressività di Oscar e sulla non opportunità che ella andasse in missione diplomatica a Torino, era stato proprio lui a prendere fuoco e a trascendere.
Napoleone fremeva di collera, perché detestava perdere e perché, in quel momento, avrebbe voluto fucilare Girodel previa tortura. Quel damerino, pieno di spocchia come i cadetti aristocratici dell’Accademia Militare di Brienne, non gli era mai andato a genio e, ora, si era anche permesso di sbattere i pugni sulla scrivania, di alzare la voce, di minacciarlo e di insultarlo con la parola “miserabile”! Figurarsi se avrebbe mai osato fare altrettanto con Luigi XVII o con le altre teste coronate d’Europa! Non lo rispettava, non lo considerava un Capo di Stato, non onorava alcuno che non facesse parte del suo ceto di provenienza! Prima o poi, Girodel avrebbe pagato il conto, così come Oscar François de Jarjayes!!
 
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Porto di Parigi, alba del 30 ottobre 1805
 
Il battello si accostava lentamente all’area del molo che gli era stata assegnata per l’attracco, seguito da una placida scia di onde che si allargavano, disperdendosi nelle acque del fiume.
Le figure che stazionavano dritte sul ponte, intabarrate nei loro lunghi mantelli di lana e avvolte dalla foschia, si stagliavano scure contro il cielo blu cobalto, sopra la Senna ancora nera, sebbene rischiarata, a intervalli regolari, dai riflessi allungati delle luci dei lampioni.
Il silenzio era interrotto, di quando in quando, da qualche frase breve e decisa, urlata dagli uomini di fatica che si affaccendavano a terra.
Mentre l’imbarcazione percorreva l’ultimo tratto di fiume, videro sulla riva due macchie scure, la cui immobilità contrastava con la concitata frenesia di mozzi e scaricatori. La prima di queste pareva una piramide, affiancata da un lungo fuso. A mano a mano che si avvicinavano e che l’oscurità del cielo era progressivamente attenuata dai primi chiarori del giorno, si avvidero che la piramide altro non era che un mantello che dalla testa si allungava fino alla gonna. Dopo alcuni istanti, qualche passo indietro alla piramide e al fuso, altre due figure sfumate emersero dalla nebbia e dall’oscurità.
Il battello finalmente si fermò e, mentre i marinai lanciavano le funi di ormeggio ai mozzi di terra affinché le avvolgessero intorno alle bitte, Oscar e André riconobbero le figure avvolte nella foschia e i loro occhi traboccarono di commozione. Contemporaneamente, accanto a loro, il Re ebbe un sussulto.
Scesero in fila indiana su un’asse di legno e raggiunsero la banchina, con il cielo, sopra di loro, che un poco rischiarava.
Il Generale de Jarjayes fece alcuni passi in avanti, tenendo saldamente sotto braccio la consorte e, con gli occhi lucidi, carichi di fierezza addolcita dall’età, disse:
– Sono molto orgoglioso di te, Oscar e anche di te, André!
I mozzi del battello, intanto, scaricavano le casse e i bauli e alcuni uomini di fatica di stanza al molo dimenticarono per qualche istante il lavoro, appoggiarono i loro fardelli sulla banchina e restarono attoniti a guardare il colosso nero come la pece che scendeva dall’imbarcazione.
La piramide lasciò il braccio del fuso e corse verso il Re mentre il cappuccio le scivolava all’indietro, lasciando scoperti i capelli. Gli strinse le dita intorno al volto ossuto e gli occhi le si riempirono di lacrime nel contemplarne il pallore e le profonde occhiaie. Lui, che la sovrastava di tutta la testa, le appoggiò le mani sulle spalle e, poi, afferrò quelle di lei, gliele baciò e due grosse lacrime gli scesero lungo le gote.
– Sono tornato, Madre.







L’episodio di Paolina Bonaparte scoperta dietro un paravento con un soldato pare che sia vero.
La tentata violenza posta in atto dal Conte di Compiègne ai danni della futura Contessa di Canterbury è narrata nel quarantunesimo capitolo.
Come al solito, sinceramente grazie a chi vorrà leggere e recensire!
   
 
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