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Autore: SkysCadet    10/10/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quando Ariel tornò in camera sua, aprì le ante dell'armadio e fissò le mensole semivuote, andando alla ricerca di un vestito adatto al luogo in cui avrebbe dovuto sedurre ma non essere sedotta.

Fece un lungo sospiro portando il dorso della mano sulla sua fronte umida di un sudore provocato da sentimenti di ansietà e paura; non era certo uno scherzo stare di fronte a colui che spesso l'aveva manipolata per produrre male a se stessa e a coloro che amava, ma, in quel momento, le lancette dell'orologio da polso correvano veloci; quindi si scrollò di dosso quei pensieri con un rapido gesto del capo e prese di scatto un vestito nero appeso in fondo al guardaroba per poi gettarlo sul letto ordinato.

Ancora con il telo avvolto in vita, si diresse verso la cassettiera per cercare dei trucchi adatti alla serata; per entrare alla festa del Dark Lithium vi era un'unica via: possedere il prezioso invito e presentarsi vestiti e truccati di nero. Chiunque non avesse rispettato una delle prerogative avrebbe perso l'occasione di introdursi alla festa più esclusiva della città.

Così Ariel si guardò a lungo allo specchio posto all'interno dell'anta, mentre si spruzzava un eccessiva quantità di profumo dall'aroma speziato e floreale; il suo sguardo era scurito dalla polvere di kohl e le labbra erano messe in risalto da un rossetto dalla tonalità scurissima ma lucida.

Dopo un'ultima pennellata di fard uscì di corsa da quella camera con l'incedere di un soldato che sta per andare in trincea.

In quel momento Nathan e Simon si trovavano insieme nello studio e non potevano non accorgersi dei tacchi rumorosi che percorrevano le scale.

«Così, l'hai lasciata andare...» commentò Nathan con aria perplessa, posto con i gomiti sulla scrivania del padre e il mento tra le dita intrecciate.

«Nostro Padre è così che si muove:» spiegò, posto in contemplazione di fronte all'ampia finestra del suo studio, che mostrava il cortile del Centro e la ragazza che lo stava percorrendo di corsa «ci lascia liberi di sbagliare, di fare le nostre esperienze e, a volte, muta le nostre azioni sconsiderate in opere buone, per la nostra salvezza».

«Però...» sospirò il ministro dal capo riccioluto «Quell'invito è stata un'autentica dichiarazione di guerra!»

Simon rise sotto la folta barba, disegnando tre curve ai lati degli occhi, poi roteò il busto nella sua direzione, fissando amorevolmente lo sguardo sul viso turbato di Nathan e gli disse: «Come ben saprai: se le tenebre scatenano l'inferno, io sono pronto a scatenare il paradiso!»

***

Ariel aveva dovuto prendere due autobus per arrivare al Lungomare che percorreva la costa cittadina, con non pochi disagi dovuti alla sua figura vestita di un abito nero lungo fino ai polpacci, con una spacca centrale che arrivava a metà coscia; il tessuto morbido le fasciava il busto e lasciava poco spazio all'immaginazione della sua fisicità; la scollatura disegnava una "V" sul suo petto e le spalline erano fili finissimi che si intrecciavano nella schiena nuda in un reticolo sinuoso.

Percorrendo la via marina della piccola città di Filadelfia, con la brezza salmastra che le scompigliava i capelli ondulati e sotto lo sguardo voglioso di alcuni passanti, Ariel si dirigeva a passo spedito verso il Dark Lithium, che faceva brillare rami di luce purpurea verso il cielo scuro, ben visibili già da molto lontano, reggendo solo una pochette nella mano sinistra, incurante dei fischi che alcuni ragazzi le riservavano senza alcun ritegno.

Gli occhi bassi scrutavano la pavimentazione lineare e biancastra del Lungomare, facendo attenzione a non inciampare rovinosamente su qualche chewingum appena gettato da qualche passante incivile.

Pian piano, la tipica musica latina aumentava di volume, accompagnando le estati dei maturandi e le sessioni estive degli universitari che si concedono la dolce euforia di una notte di balli e nuove conoscenze.

Così aumentò il passo, stringendo tra le dita l'invito che avrebbe dato accesso al locale.

L'uomo al quale si avvicinò era di molto più alto di lei, tanto che, per mostrare il biglietto, Ariel dovette mettersi sulle punte, nonostante i tacchi.

Una volta entrata, sentì scemare la musica che l'aveva accolta.

Osservò coppie di ballerini dileguarsi a destra e sinistra, quando ad un tratto i suoi occhi si incastonarono a quelli del volto di un ragazzo a lei conosciuto.

Era in piedi, con un bicchiere di vetro tra le labbra dischiuse; gli occhi di ghiaccio erano sbarrati fin all'inverosimile e la fissavano con stupore. Il ragazzo posò lentamente il bicchiere contenente un liquido ambrato su un tavolino a lui vicino senza staccarle gli occhi di dosso.

Lui non seppe decifrare la sensazione di averla lì, a un pochi passi dalle sue mani, senza aver fatto nessuno sforzo per scovarla.

Una bellissima coincidenza...

Lei restò lì, immobile, osservandolo come fosse la prima volta, con un bruciore all'altezza dello sterno: i capelli corvini erano legati dietro la nuca; i pantaloni neri, aderenti, svelavano la forma simmetrica degli arti inferiori ma ci fu un particolare che incuriosì la vista di Ariel: mentre tutti i presenti non avevano osato indossare nemmeno un accessorio chiaro, lui mostrava il bianco di una canottiera sotto una camicia nera, sbottonata sul davanti.

Mentre lo stava osservando, Acab iniziò a muovere dei passi nella sua direzione, con un mezzo sorriso compiaciuto, ma con l'andatura insicura e trascinata. Ariel inspirò profondamente e rivolse lo sguardo altrove, studiando il luogo in cui si trovava, rivolgendo gli occhi in ogni dove alla ricerca di un piano bar e di eventuali vie di fuga.

Il locale era costituito per lo più da piani in legno scurissimo che comprendevano la pavimentazione e i parapetti dei balconcini che davano sul mare, ma risultava poco agevole così pieno di persone. Il piano bar era stracolmo di giovani, ma il barman non sembrava dolersi più di tanto.

Decise quindi di avvicinarsi per rinfrescare il palato riarso, ma il tocco gelido di Acab sulla spalla scoperta, la fece sussultare e voltare indietro, dove incontrò i suoi due zaffiri che le inchiodarono lo sguardo prepotentemente, mentre una musica dolce e sensuale si insinuava nei loro pensieri.

«Mi concedi questo ballo?» domandò lui, posando le labbra sul dorso della mano destra di Ariel che lo fissò a lungo con occhi spalancati prima di annuire impercettibilmente. Dopo qualche istante, ricordandosi il motivo per cui si trovava lì, drizzò la schiena facendo scivolare dalla spalla i lunghi capelli castani ricchi di onde ramate, mostrando il collo e la scollatura; le dita scivolarono lungo quelle di Acab le quali strinsero con dolcezza la mano di Ariel mentre i polpastrelli del palmo destro le sfioravano la parte nuda della schiena; lo scrutò a lungo senza emettere suono, mentre lui seguiva i passi lenti ed incerti di Ariel con il capo chino sui piedi.

Qualcosa non andava nei piani di Ariel: era certa che Acab avrebbe potuto farle del male in qualsiasi momento, ma lì, di fronte a lui, e a stretto contatto con il suo corpo, non sentì alcuna necessità di fuga.

Che sia questo il suo potere?

Mentre questo pensiero la lasciava perplessa, lui si mosse, curvandosi verso il suo orecchio e le chiese: «Non hai paura?»

Una voce suadente e profonda le provocò una lieve scarica elettrica dalla nuca fin a raggiungere ogni centimetro di pelle olivastra; parole dette in un soffio caldo vicino al lobo dell'orecchio, le dita che accompagnarono i capelli per scoprire il collo e per poggiare la guancia al suo viso, le mani che le prendevano i polsi per far sì che le braccia potessero cingergli il collo.

Le riservò quei gesti in maniera così delicata che il cervello andò in confusione: azioni estranee al suo modo di essere, che non gli appartenevano. O almeno, credeva fosse così.

«Non mi hai ancora risposto...» constatò Acab.

«Devo proprio?» rispose lei, in imbarazzo e con l'ansia che martellava nel petto.

«Sì. Altrimenti non potrò portarti lontano da qui...» le sussurrò, stringendola a sé fino a mozzarle il fiato.

In quel momento Ariel si accorse che Acab era impregnato di un odore acre misto ad alcol, provocando nella sua mente un campanello d'allarme che le attivò l'adrenalina.

Gli si staccò bruscamente, spingendolo su un passante, percorrendo tutta la pista da ballo fino ad arrivare all'esterno dove una scalinata di legno conduceva sulla spiaggia.

Con respiro concitato, fece scivolare il palmo sul corrimano legnoso, scendendo velocemente finchè si fermò ansante sul penultimo gradino; vi si sedette girandosi verso l'interno del locale di tanto in tanto, cercando di sciogliere le fibbie dei sandali vertiginosi per camminare sulla rena a piedi nudi e scappare il più lontano possibile da quel luogo.

«Quindi avevi paura...»

Gli occhi scuri di Ariel si alzarono lentamente per identificare il volto della persona che gli aveva parlato con tono sarcastico.

Acab le stava di fronte, intento ad arrotolarsi le maniche della camicia fino ai gomiti con dei ciuffi neri che gli ricadevano sugli occhi; e mentre la luce bianca della luna illuminava le tenebre di quel lembo di terra, Ariel sentì il freddo della morte gelare le vene e percorrere in gocce trasparenti la sua fronte.

Si immobilizzò deglutendo saliva, prima di cercare di alzarsi. Lui con un balzo gli si fiondò addosso bloccandole ogni via di fuga: le mani le stringevano i polsi al petto e le ginocchia le fermavano i fianchi, mentre il soffio pesante del suo respiro le arrivava sulle labbra.

«Pensi che sia così stupido?» gli ringhiò a denti stretti «Pensi che non sappia che i tuoi amici siano qua fuori?»

Ariel, con mento tremolante, tentò di alzarsi, ma lui la strinse di più ai bordi dei gradini legnosi, fissandola con uno sguardo truce «Avresti potuto essere la parte migliore della mia morte, ma hai deciso di scappare...» le confidò «Volevo solo un po' di calore... » concluse con fronte corrugata e sguardo malinconico.

«Sei ubriaco!» urlò, cercando di divincolarsi, in preda al panico, cercando di spingerlo via con la sola forza delle mani.

«Può darsi...» commentò osservandola interamente nel momento in cui il vestito lasciava scoperte le gambe, infiammandolo; ma in quegli occhi terrorizzati e lucidi non ci trovò nulla di piacevole, se non una fitta lancinante alle tempie, tanto che si alzò di scatto tirandola su dalle braccia.

Fece un passo indietro, respirando a fatica e, portando tre dita sulla fronte, chiuse gli occhi pesanti.

Ariel avrebbe potuto fuggire in quel momento, ma il terrore che la bestia in cui l'adepto avrebbe potuto tramutarsi la assalisse nuovamente nella fuga la inchiodò alla sabbia soffice.

«Devo portarti con me, Ariel...» le confessò con occhi chiusi in una smorfia di dolore.

Con il petto ancora dolorante, Ariel fece fatica a comprendere quanto stava accadendo: Acab era in evidente stato confusionale e il rivolo di sangue che gli spuntò sulla canotta bianca le fece gelare il sangue; poco le importò se il tono usato per nominare il suo nome fu profondo e particolarmente pacato per essere pronunciato da uno che, in passato, non aveva esitato a mettersi in macchina per uccidere due ragazze appena fuori dall'università.

«Ok. Verrò con te» intervenne poi con voce tremolante la castana, guadagnandosi lo sguardo incredulo del giovane «Solo... Dimmi se è ancora vivo...»

Il solo presentimento che, di lì a poco, avrebbe potuto vedere Joshua in punto di morte, le fece versare copiose ma silenziose lacrime.

Dall'alto di uno dei balconi del locale, Judas osservava la ragazza dirigersi sulla rena seguendo Acab.

«Bravo ragazzo» commentò sorseggiando dal suo bicchiere semi vuoto.

Ariel seguì Acab a passi lenti, percorrendo a piedi nudi quel poco tratto di spiaggia umida fino a sentire lo scrosciare delle acque calme lambire i suoi piedi. Era acqua nera come la notte in cui l'occhio si perdeva alla ricerca dell'orizzonte, in quel cielo che sembrò essere scomparso nei flutti.

La mano gelida di Acab prese quella tremante di Ariel, e dopo aver estratto dal taschino dei jeans scuri un ellisse metallico, lo portò alle labbra per stringerlo tra i denti mentre congiungeva i palmi della ragazza.

Lei era silenziosa, con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi fissi al vortice che si era aperto a pochi metri da loro e si ricordò che Judas l'aveva utilizzato per scendere negli abissi, qualche tempo prima.

Da allora erano passati esattamente sette mesi.

Un numero che alimentò le calde lacrime che percorrevano il viso di Ariel.

Acab le chiuse i polsi dentro quel freddo metallo e lo strinse tanto da provocare una smorfia di dolore nel viso livido della giovane.

«Di solito» intervenne con voce cupa «le mie vittime sono già svenute prima di varcare la porta d'ingresso al mio mondo...» sospirò guardandola, per poi irrigidire la mascella.

La condusse verso il passaggio, camminando all'indietro mentre gli occhi non smettevano di fissarla e un dolore al petto gli assaliva lo sterno.

Poi si fermò, poco prima di varcare l'oblio, e sfiorandole le braccia nude, la costrinse a guardare il Lungomare.

«Guarda ciò che gli uomini pensano di non vedere; ascolta ciò che gli uomini pensano di non ascoltare; senti ciò che gli uomini pensano di non sentire, perché laggiù non ci sarà più... »

Ariel avvertì nelle sue parole un chiaro riferimento a quella presenza costante che accompagna ogni essere vivente e, nel suo cuore, pregò intensamente che quelle parole non fossero veritiere.

Poi l'avambraccio di Acab le cinse la vita, mentre l'altro le bloccava la gola. Senza il tempo di accorgersi di nulla, iniziò la sua caduta verso ombre impenetrabili, tra le sue urla e quelle di altri esseri sinistri mentre il suono dell'acqua scrosciante, pian piano, non si udì più.

***

Quella sera, Simon non riuscì a chiudere occhio; il buio di quella notte era più impenetrabile delle altre.

Alte preghiere giungevano dalla Chiesa di Filadelfia, riunita in un solo, strano presentimento: che il nemico avrebbe fatto la sua comparsa tra le mura del Centro.

Nathan, a capo del gruppo di preghiera, insieme a Lucia ed Heliu in lacrime, invocava Quel Nome che avrebbe avuto la potenza di arrivare lì dove gli uomini non possono: il Nome di Gesù Cristo.

«Ti stavo aspettando...» mormorò Simon, bloccato nel suo letto in posizione supina, in un rantolo.

Judas uscì dalle ombre della camera di Simon con un ghigno e la mano tesa sul corpo del padre che avvertiva il peso di un macigno sul petto e gli arti come atrofizzati.

«Quindi l'hai mandata tu alla gogna. Ben fatto, padre.» come rasoi che solcano la pelle facendo sanguinare, così furono accolte quelle parole da un Simon dal volto scarno che tossì emettendo un gemito, tra i denti.

«E quindi tu cosa sei adesso? Sei diventato una nullità, a quanto vedo...» sbuffò prima di spostare il palmo della mano sinistra verso la parete opposta al letto, scaraventando Simon al suolo.

«Io...» tentò di rispondere Simon, che, avendo battuto contro il comodino al lato del letto, sentì un caldo rivolo di sangue scivolare dalle narici al mento tremante «Io sono...»

Cercò di rialzarsi, ma le braccia non riuscivano ad obbedire ai comandi nervosi, fino a quando non vide le scarpe lucide di Judas a pochissima distanza dal suo viso.

«Non ti sento...» e, con un calcio all'addome, Judas bloccò il respiro di Simon mentre con un altro movimento del palmo lo spostò dal pavimento in cui giaceva fino al davanzale della finestra, con la sola forza del suo spirito.

Il colpo violento della testa al marmo del parapetto interno della finestra, provocò una profonda ferita al capo del padre, che emise un grido di dolore.

Judas gli si avvicinò. Lo prese dal colletto della camicia e lo sbatté contro i vetri della finestra.

«Facciamo così:» pronunciò in un ghigno Judas, mentre un fascio di luce lunare illuminava il suo pallido viso e gli occhi rossi come il sangue «se tu smetti di insegnare ai tuoi figli come arrivare al potere, io libererò Joshua e Ariel!»

Quella proposta, nel momento in cui la vista gli si annebbiava, provocò una fitta al petto dilaniato mentre ogni luce sembrò allontanarsi da lui.

La debolezza dei digiuni impediva a Simon ogni movimento, così Judas, che non udiva risposta, agitò l'indice della mano destra per aprire in un attimo l'ampia finestra, portando Simon in piedi sul davanzale esterno, con un balzo, bloccandogli la gola con il braccio.

«Ma guarda che coincidenza: il tuo Signore sul pinnacolo del tempio e tu che osservi quello della tua chiesa, ad un passo dal baratro. Non è esilarante?»

«Non hai alcun potere qui!» riuscì ad urlare, fissando gli alberi del cortile ondeggiati da un vento infuocato.

«Tu ancora non hai capito con chi hai a che fare!» esclamò, mentre Simon sentì una morsa che stringeva le membra come spilli acuminati.

«Se mi uccidi, non avrai la vittoria!» urlò Simon, ormai sulla soglia del davanzale, a un passo dal vuoto.

Poi un bagliore, accompagnato da un boato e dal rumore della porta che si aprì violentemente, fece cadere Judas e Simon all'indietro, dentro la stanza.

Quando Ariel tornò in camera sua, aprì le ante dell'armadio e fissò le mensole semivuote, andando alla ricerca di un vestito adatto al luogo in cui avrebbe dovuto sedurre ma non essere sedotta.

Fece un lungo sospiro portando il dorso della mano sulla sua fronte umida di un sudore provocato da sentimenti di ansietà e paura; non era certo uno scherzo stare di fronte a colui che spesso l'aveva manipolata per produrre male a se stessa e a coloro che amava, ma, in quel momento, le lancette dell'orologio da polso correvano veloci; quindi si scrollò di dosso quei pensieri con un rapido gesto del capo e prese di scatto un vestito nero appeso in fondo al guardaroba per poi gettarlo sul letto ordinato.

Ancora con il telo avvolto in vita, si diresse verso la cassettiera per cercare dei trucchi adatti alla serata; per entrare alla festa del Dark Lithium vi era un'unica via: possedere il prezioso invito e presentarsi vestiti e truccati di nero. Chiunque non avesse rispettato una delle prerogative avrebbe perso l'occasione di introdursi alla festa più esclusiva della città.

Così Ariel si guardò a lungo allo specchio posto all'interno dell'anta, mentre si spruzzava un eccessiva quantità di profumo dall'aroma speziato e floreale; il suo sguardo era scurito dalla polvere di kohl e le labbra erano messe in risalto da un rossetto dalla tonalità scurissima ma lucida.

Dopo un'ultima pennellata di fard uscì di corsa da quella camera con l'incedere di un soldato che sta per andare in trincea.

In quel momento Nathan e Simon si trovavano insieme nello studio e non potevano non accorgersi dei tacchi rumorosi che percorrevano le scale.

«Così, l'hai lasciata andare...» commentò Nathan con aria perplessa, posto con i gomiti sulla scrivania del padre e il mento tra le dita intrecciate.

«Nostro Padre è così che si muove:» spiegò, posto in contemplazione di fronte all'ampia finestra del suo studio, che mostrava il cortile del Centro e la ragazza che lo stava percorrendo di corsa «ci lascia liberi di sbagliare, di fare le nostre esperienze e, a volte, muta le nostre azioni sconsiderate in opere buone, per la nostra salvezza».

«Però...» sospirò il ministro dal capo riccioluto «Quell'invito è stata un'autentica dichiarazione di guerra!»

Simon rise sotto la folta barba, disegnando tre curve ai lati degli occhi, poi roteò il busto nella sua direzione, fissando amorevolmente lo sguardo sul viso turbato di Nathan e gli disse: «Come ben saprai: se le tenebre scatenano l'inferno, io sono pronto a scatenare il paradiso!»

***

Ariel aveva dovuto prendere due autobus per arrivare al Lungomare che percorreva la costa cittadina, con non pochi disagi dovuti alla sua figura vestita di un abito nero lungo fino ai polpacci, con una spacca centrale che arrivava a metà coscia; il tessuto morbido le fasciava il busto e lasciava poco spazio all'immaginazione della sua fisicità; la scollatura disegnava una "V" sul suo petto e le spalline erano fili finissimi che si intrecciavano nella schiena nuda in un reticolo sinuoso.

Percorrendo la via marina della piccola città di Filadelfia, con la brezza salmastra che le scompigliava i capelli ondulati e sotto lo sguardo voglioso di alcuni passanti, Ariel si dirigeva a passo spedito verso il Dark Lithium, che faceva brillare rami di luce purpurea verso il cielo scuro, ben visibili già da molto lontano, reggendo solo una pochette nella mano sinistra, incurante dei fischi che alcuni ragazzi le riservavano senza alcun ritegno.

Gli occhi bassi scrutavano la pavimentazione lineare e biancastra del Lungomare, facendo attenzione a non inciampare rovinosamente su qualche chewingum appena gettato da qualche passante incivile.

Pian piano, la tipica musica latina aumentava di volume, accompagnando le estati dei maturandi e le sessioni estive degli universitari che si concedono la dolce euforia di una notte di balli e nuove conoscenze.

Così aumentò il passo, stringendo tra le dita l'invito che avrebbe dato accesso al locale.

L'uomo al quale si avvicinò era di molto più alto di lei, tanto che, per mostrare il biglietto, Ariel dovette mettersi sulle punte, nonostante i tacchi.

Una volta entrata, sentì scemare la musica che l'aveva accolta.

Osservò coppie di ballerini dileguarsi a destra e sinistra, quando ad un tratto i suoi occhi si incastonarono a quelli del volto di un ragazzo a lei conosciuto.

Era in piedi, con un bicchiere di vetro tra le labbra dischiuse; gli occhi di ghiaccio erano sbarrati fin all'inverosimile e la fissavano con stupore. Il ragazzo posò lentamente il bicchiere contenente un liquido ambrato su un tavolino a lui vicino senza staccarle gli occhi di dosso.

Lui non seppe decifrare la sensazione di averla lì, a un pochi passi dalle sue mani, senza aver fatto nessuno sforzo per scovarla.

Una bellissima coincidenza...

Lei restò lì, immobile, osservandolo come fosse la prima volta, con un bruciore all'altezza dello sterno: i capelli corvini erano legati dietro la nuca; i pantaloni neri, aderenti, svelavano la forma simmetrica degli arti inferiori ma ci fu un particolare che incuriosì la vista di Ariel: mentre tutti i presenti non avevano osato indossare nemmeno un accessorio chiaro, lui mostrava il bianco di una canottiera sotto una camicia nera, sbottonata sul davanti.

Mentre lo stava osservando, Acab iniziò a muovere dei passi nella sua direzione, con un mezzo sorriso compiaciuto, ma con l'andatura insicura e trascinata. Ariel inspirò profondamente e rivolse lo sguardo altrove, studiando il luogo in cui si trovava, rivolgendo gli occhi in ogni dove alla ricerca di un piano bar e di eventuali vie di fuga.

Il locale era costituito per lo più da piani in legno scurissimo che comprendevano la pavimentazione e i parapetti dei balconcini che davano sul mare, ma risultava poco agevole così pieno di persone. Il piano bar era stracolmo di giovani, ma il barman non sembrava dolersi più di tanto.

Decise quindi di avvicinarsi per rinfrescare il palato riarso, ma il tocco gelido di Acab sulla spalla scoperta, la fece sussultare e voltare indietro, dove incontrò i suoi due zaffiri che le inchiodarono lo sguardo prepotentemente, mentre una musica dolce e sensuale si insinuava nei loro pensieri.

«Mi concedi questo ballo?» domandò lui, posando le labbra sul dorso della mano destra di Ariel che lo fissò a lungo con occhi spalancati prima di annuire impercettibilmente. Dopo qualche istante, ricordandosi il motivo per cui si trovava lì, drizzò la schiena facendo scivolare dalla spalla i lunghi capelli castani ricchi di onde ramate, mostrando il collo e la scollatura; le dita scivolarono lungo quelle di Acab le quali strinsero con dolcezza la mano di Ariel mentre i polpastrelli del palmo destro le sfioravano la parte nuda della schiena; lo scrutò a lungo senza emettere suono, mentre lui seguiva i passi lenti ed incerti di Ariel con il capo chino sui piedi.

Qualcosa non andava nei piani di Ariel: era certa che Acab avrebbe potuto farle del male in qualsiasi momento, ma lì, di fronte a lui, e a stretto contatto con il suo corpo, non sentì alcuna necessità di fuga.

Che sia questo il suo potere?

Mentre questo pensiero la lasciava perplessa, lui si mosse, curvandosi verso il suo orecchio e le chiese: «Non hai paura?»

Una voce suadente e profonda le provocò una lieve scarica elettrica dalla nuca fin a raggiungere ogni centimetro di pelle olivastra; parole dette in un soffio caldo vicino al lobo dell'orecchio, le dita che accompagnarono i capelli per scoprire il collo e per poggiare la guancia al suo viso, le mani che le prendevano i polsi per far sì che le braccia potessero cingergli il collo.

Le riservò quei gesti in maniera così delicata che il cervello andò in confusione: azioni estranee al suo modo di essere, che non gli appartenevano. O almeno, credeva fosse così.

«Non mi hai ancora risposto...» constatò Acab.

«Devo proprio?» rispose lei, in imbarazzo e con l'ansia che martellava nel petto.

«Sì. Altrimenti non potrò portarti lontano da qui...» le sussurrò, stringendola a sé fino a mozzarle il fiato.

In quel momento Ariel si accorse che Acab era impregnato di un odore acre misto ad alcol, provocando nella sua mente un campanello d'allarme che le attivò l'adrenalina.

Gli si staccò bruscamente, spingendolo su un passante, percorrendo tutta la pista da ballo fino ad arrivare all'esterno dove una scalinata di legno conduceva sulla spiaggia.

Con respiro concitato, fece scivolare il palmo sul corrimano legnoso, scendendo velocemente finchè si fermò ansante sul penultimo gradino; vi si sedette girandosi verso l'interno del locale di tanto in tanto, cercando di sciogliere le fibbie dei sandali vertiginosi per camminare sulla rena a piedi nudi e scappare il più lontano possibile da quel luogo.

«Quindi avevi paura...»

Gli occhi scuri di Ariel si alzarono lentamente per identificare il volto della persona che gli aveva parlato con tono sarcastico.

Acab le stava di fronte, intento ad arrotolarsi le maniche della camicia fino ai gomiti con dei ciuffi neri che gli ricadevano sugli occhi; e mentre la luce bianca della luna illuminava le tenebre di quel lembo di terra, Ariel sentì il freddo della morte gelare le vene e percorrere in gocce trasparenti la sua fronte.

Si immobilizzò deglutendo saliva, prima di cercare di alzarsi. Lui con un balzo gli si fiondò addosso bloccandole ogni via di fuga: le mani le stringevano i polsi al petto e le ginocchia le fermavano i fianchi, mentre il soffio pesante del suo respiro le arrivava sulle labbra.

«Pensi che sia così stupido?» gli ringhiò a denti stretti «Pensi che non sappia che i tuoi amici siano qua fuori?»

Ariel, con mento tremolante, tentò di alzarsi, ma lui la strinse di più ai bordi dei gradini legnosi, fissandola con uno sguardo truce «Avresti potuto essere la parte migliore della mia morte, ma hai deciso di scappare...» le confidò «Volevo solo un po' di calore... » concluse con fronte corrugata e sguardo malinconico.

«Sei ubriaco!» urlò, cercando di divincolarsi, in preda al panico, cercando di spingerlo via con la sola forza delle mani.

«Può darsi...» commentò osservandola interamente nel momento in cui il vestito lasciava scoperte le gambe, infiammandolo; ma in quegli occhi terrorizzati e lucidi non ci trovò nulla di piacevole, se non una fitta lancinante alle tempie, tanto che si alzò di scatto tirandola su dalle braccia.

Fece un passo indietro, respirando a fatica e, portando tre dita sulla fronte, chiuse gli occhi pesanti.

Ariel avrebbe potuto fuggire in quel momento, ma il terrore che la bestia in cui l'adepto avrebbe potuto tramutarsi la assalisse nuovamente nella fuga la inchiodò alla sabbia soffice.

«Devo portarti con me, Ariel...» le confessò con occhi chiusi in una smorfia di dolore.

Con il petto ancora dolorante, Ariel fece fatica a comprendere quanto stava accadendo: Acab era in evidente stato confusionale e il rivolo di sangue che gli spuntò sulla canotta bianca le fece gelare il sangue; poco le importò se il tono usato per nominare il suo nome fu profondo e particolarmente pacato per essere pronunciato da uno che, in passato, non aveva esitato a mettersi in macchina per uccidere due ragazze appena fuori dall'università.

«Ok. Verrò con te» intervenne poi con voce tremolante la castana, guadagnandosi lo sguardo incredulo del giovane «Solo... Dimmi se è ancora vivo...»

Il solo presentimento che, di lì a poco, avrebbe potuto vedere Joshua in punto di morte, le fece versare copiose ma silenziose lacrime.

Dall'alto di uno dei balconi del locale, Judas osservava la ragazza dirigersi sulla rena seguendo Acab.

«Bravo ragazzo» commentò sorseggiando dal suo bicchiere semi vuoto.

Ariel seguì Acab a passi lenti, percorrendo a piedi nudi quel poco tratto di spiaggia umida fino a sentire lo scrosciare delle acque calme lambire i suoi piedi. Era acqua nera come la notte in cui l'occhio si perdeva alla ricerca dell'orizzonte, in quel cielo che sembrò essere scomparso nei flutti.

La mano gelida di Acab prese quella tremante di Ariel, e dopo aver estratto dal taschino dei jeans scuri un ellisse metallico, lo portò alle labbra per stringerlo tra i denti mentre congiungeva i palmi della ragazza.

Lei era silenziosa, con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi fissi al vortice che si era aperto a pochi metri da loro e si ricordò che Judas l'aveva utilizzato per scendere negli abissi, qualche tempo prima.

Da allora erano passati esattamente sette mesi.

Un numero che alimentò le calde lacrime che percorrevano il viso di Ariel.

Acab le chiuse i polsi dentro quel freddo metallo e lo strinse tanto da provocare una smorfia di dolore nel viso livido della giovane.

«Di solito» intervenne con voce cupa «le mie vittime sono già svenute prima di varcare la porta d'ingresso al mio mondo...» sospirò guardandola, per poi irrigidire la mascella.

La condusse verso il passaggio, camminando all'indietro mentre gli occhi non smettevano di fissarla e un dolore al petto gli assaliva lo sterno.

Poi si fermò, poco prima di varcare l'oblio, e sfiorandole le braccia nude, la costrinse a guardare il Lungomare.

«Guarda ciò che gli uomini pensano di non vedere; ascolta ciò che gli uomini pensano di non ascoltare; senti ciò che gli uomini pensano di non sentire, perché laggiù non ci sarà più... »

Ariel avvertì nelle sue parole un chiaro riferimento a quella presenza costante che accompagna ogni essere vivente e, nel suo cuore, pregò intensamente che quelle parole non fossero veritiere.

Poi l'avambraccio di Acab le cinse la vita, mentre l'altro le bloccava la gola. Senza il tempo di accorgersi di nulla, iniziò la sua caduta verso ombre impenetrabili, tra le sue urla e quelle di altri esseri sinistri mentre il suono dell'acqua scrosciante, pian piano, non si udì più.

***

Quella sera, Simon non riuscì a chiudere occhio; il buio di quella notte era più impenetrabile delle altre.

Alte preghiere giungevano dalla Chiesa di Filadelfia, riunita in un solo, strano presentimento: che il nemico avrebbe fatto la sua comparsa tra le mura del Centro.

Nathan, a capo del gruppo di preghiera, insieme a Lucia ed Heliu in lacrime, invocava Quel Nome che avrebbe avuto la potenza di arrivare lì dove gli uomini non possono: il Nome di Gesù Cristo.

«Ti stavo aspettando...» mormorò Simon, bloccato nel suo letto in posizione supina, in un rantolo.

Judas uscì dalle ombre della camera di Simon con un ghigno e la mano tesa sul corpo del padre che avvertiva il peso di un macigno sul petto e gli arti come atrofizzati.

«Quindi l'hai mandata tu alla gogna. Ben fatto, padre.» come rasoi che solcano la pelle facendo sanguinare, così furono accolte quelle parole da un Simon dal volto scarno che tossì emettendo un gemito, tra i denti.

«E quindi tu cosa sei adesso? Sei diventato una nullità, a quanto vedo...» sbuffò prima di spostare il palmo della mano sinistra verso la parete opposta al letto, scaraventando Simon al suolo.

«Io...» tentò di rispondere Simon, che, avendo battuto contro il comodino al lato del letto, sentì un caldo rivolo di sangue scivolare dalle narici al mento tremante «Io sono...»

Cercò di rialzarsi, ma le braccia non riuscivano ad obbedire ai comandi nervosi, fino a quando non vide le scarpe lucide di Judas a pochissima distanza dal suo viso.

«Non ti sento...» e, con un calcio all'addome, Judas bloccò il respiro di Simon mentre con un altro movimento del palmo lo spostò dal pavimento in cui giaceva fino al davanzale della finestra, con la sola forza del suo spirito.

Il colpo violento della testa al marmo del parapetto interno della finestra, provocò una profonda ferita al capo del padre, che emise un grido di dolore.

Judas gli si avvicinò. Lo prese dal colletto della camicia e lo sbatté contro i vetri della finestra.

«Facciamo così:» pronunciò in un ghigno Judas, mentre un fascio di luce lunare illuminava il suo pallido viso e gli occhi rossi come il sangue «se tu smetti di insegnare ai tuoi figli come arrivare al potere, io libererò Joshua e Ariel!»

Quella proposta, nel momento in cui la vista gli si annebbiava, provocò una fitta al petto dilaniato mentre ogni luce sembrò allontanarsi da lui.

La debolezza dei digiuni impediva a Simon ogni movimento, così Judas, che non udiva risposta, agitò l'indice della mano destra per aprire in un attimo l'ampia finestra, portando Simon in piedi sul davanzale esterno, con un balzo, bloccandogli la gola con il braccio.

«Ma guarda che coincidenza: il tuo Signore sul pinnacolo del tempio e tu che osservi quello della tua chiesa, ad un passo dal baratro. Non è esilarante?»

«Non hai alcun potere qui!» riuscì ad urlare, fissando gli alberi del cortile ondeggiati da un vento infuocato.

«Tu ancora non hai capito con chi hai a che fare!» esclamò, mentre Simon sentì una morsa che stringeva le membra come spilli acuminati.

«Se mi uccidi, non avrai la vittoria!» urlò Simon, ormai sulla soglia del davanzale, a un passo dal vuoto.

Poi un bagliore, accompagnato da un boato e dal rumore della porta che si aprì violentemente, fece cadere Judas e Simon all'indietro, dentro la stanza.

 

   
 
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