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Autore: EleAB98    16/10/2021    3 recensioni
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*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XIII – (Non Ti Fidar Di) Un Bacio A Mezzanotte – (Parte Quarta)

Martedì

 

Entrammo in quel grazioso localino quasi in punta di piedi. Sembravamo due innocenti bambini che, del tutto soggiogati dall'atmosfera di quel posto, si guardavano perennemente intorno avendo cura, però, di non incrociarsi negli sguardi. O forse, ero proprio io a voler evitare un simile confronto. Sulla prima, non sapevo spiegarmi il perché. Ma ero altrettanto consapevole del fatto che, se soltanto avessi dato credito a uno dei tanti, troppi retropensieri che mi portavo appresso da un bel pezzo, non avrei di certo retto quella serata. Tentai di concentrarmi sulla melodia che accompagnava il nostro ingresso; quella canzonetta che, tra l'altro, mi sembrava di aver già sentito da qualche parte.

«Mezzanotte per amar, mezzanotte per sognar... fantaaa-stiii-caaa.»

Il canticchiare sommesso di Megan mi fece sorridere. Finalmente, mi presi la briga di squadrarla di nuovo, come fossi un esperto di opere d'arte. Le rifilai un'occhiata penetrante e analitica. Un'occhiata che, molto probabilmente, qualche donzella – lei compresa – avrebbe giudicato come illegale. La sua classe e la sua eleganza non potevano certo passare inosservati. D'altronde, non ero un grande (ed egocentrico, okay) esteta anche io? «Conosci questa canzone?» le chiesi, schiarendomi la voce. Dovevo cercare di mantenere una parvenza di controllo, o mi sarei scaldato troppo.

Megan si voltò verso di me. «Credo sia uno dei brani più spassosi, romantici – e antichi, sì – in circolazione, e poi... lo trovo davvero divertente. Tu no?»

Le sfiorai le dita della mano destra con insolita gentilezza, quindi la trascinai su un tavolino libero. Dopo averle scostato la sedia la feci accomodare, quindi presi posto anch'io. Per un istante, mi guardò con somma perplessità.

«Cosa c'è?» le chiesi, alzando le spalle. «Non posso abbandonarmi a un gesto di cortesia, di tanto in tanto?»

«Non è questo», ribatté lei. «Mi sembra che tu abbia un po' la testa altrove, stasera.»

Ignorai quella constatazione (più che veritiera). «Di cosa parla questa canzonetta, mh?» le chiesi, stavo disperatamente cercando di godermi quella strana serata senza che lei dovesse continuare a farmi il terzo grado. Non lo avrei sopportato. Non in quel momento.

«Il testo della stessa parla molto chiaro...» rispose prontamente Megan. «Sembra proprio che una donzella proibisca al suo spasimante di baciarla, e non solo...» Megan azzardò un sorrisetto che avrebbe mandato sulla Luna persino un aliscafo. «E il suo caro spasimante, be'... non sembra poi molto d'accordo con questa condizione, a suo dire assurda.»

Annuii, sinceramente colpito. «Strano... la nostra condizione è esattamente l'opposto.»

Megan continuò a sorridere, finché non decise di chiamare il cameriere, un giovanotto sulla ventina, molto probabilmente. Ordinammo entrambi un bel gelato e, senza il benché minimo preavviso, tornammo a guardarci negli occhi. Dopo qualche minuto di silenzio trascorso ad assaporare quella montagna semisolida ricoperta di panna, una canzone terribilmente familiare cominciò a riempire l'abitacolo. Scattai sul posto, euforico. «Dai, balliamo!» esclamai, prendendola per mano. Megan mi regalò uno sguardo confuso. Evidentemente, non conosceva Cannonball dei Supertramp, una canzone che, nel 1985, aveva letteralmente spopolato. Non peraltro, l'avevo sempre ballata in discoteca, malgrado mi ritenessi un vero pezzo di legno. Incominciai a seminare mosse a destra e a manca. Dovevo sfogarmi, darci dentro come uno sciocco ragazzino nel pieno di una sbornia. Incominciai ad agitare le braccia, a muovere le gambe senza la benché minima sincronia; in poche parole, liberai tutt'a un tratto quella parte di me stesso alla quale, per quasi sei anni, avevo impedito di esprimersi in tutto il suo splendore. Cominciai davvero a divertirmi, senza pensare a nient'altro. Tutto, intorno a me, cessò di esistere. O quasi. Megan continuava a guardarmi con quegli occhioni da cerbiatta smarrita, con quelle labbra semichiuse e, al tempo stesso, talmente invitanti, che se fossi stato veramente brillo le avrei dato uno di quei baci che mai – e sottolineo mai – si sarebbe scordata. Il suo sorriso si allargò, inaspettatamente. Prese a muoversi anche lei e, in pochissimo tempo, tutta la sala si riempi di pseudo-ballerini in preda a chissà qualche spasmo. Davanti a me, però, avevo il più grande spettacolo della natura. Megan si muoveva scandendo appieno il ritmo di quella fantastica musica. Dio, se ci sapeva fare. Era semplicemente divina. A musica finita, mi ritrovai tra le sue braccia senza neanche volerlo. Qualcuno, da dietro, mi aveva spintonato verso di lei e io non mi ero nemmeno voltato. L'irrefrenabile voglia di baciarla prese il sopravvento e, senza chiederle permesso, mi avventai sulle sue labbra. Megan non rispose immediatamente, ma, quando schiuse la bocca, divorò la mia senza pietà. La sua forte passione annebbiò totalmente quel poco di sale in zucca che, fino a quel momento, mi aveva impedito di abbandonarmi a quel desiderio. Un desiderio proibito, dalla portata maestosa. Senza alcun pudore, le strinsi forte i fianchi e l'attirai a me. Non mi importava un fico secco di trovarmi all'interno di un locale, di non essere da solo con lei. Volevo che Megan sapesse quanto, fino a quel momento, mi fossi trattenuto dall'esternare quella voglia di lei, quell'istinto irrefrenabile a cui avevo fatto appello per anni. Eppure, lei aveva acceso in me un fuoco indomabile. C'era qualcosa di diverso, in lei. Ma allo stesso tempo, quasi sentivo di conoscerla da sempre. Quando Megan si staccò da me, riaprii gli occhi e tornai del tutto alla realtà. Lei mi aveva stretto forte, si era aggrappata a me come se fossi la sua ultima speranza di salvezza. Come se fosse in procinto di affogare. Si guardò intorno, imbarazzata. Non disse neanche una parola, stava soltanto cercando di riprendere fiato. Quel fiato così caldo e leggero mescolatosi al mio, con una forza impressionante. Cercai, invano, i suoi meravigliosi occhi. Non mi considerò di striscio. Quando fece per andarsene, tentai di fermarla prendendola per un braccio, ma lei si liberò prontamente da quella stretta. La seguii, sconcertato. «Megan! Megan!»

 Uscì dal locale in tutta fretta, senza voltarsi indietro. Si stava comportando come un animale in trappola. Peccato che non fossi io, il pericoloso predatore della notte. Bensì la luna. I lampioni che attorniavano Piazza della Signoria e che illuminavano il suo e l'altrui cammino. Megan non mi sarebbe mai sfuggita. Non questa volta. «Fermati, per l'amor del cielo!»

All'improvviso, una pioggia torrenziale ci investì. Megan si coprì con la borsetta ma continuò a correre, imperterrita. E continuai anch'io, incurante del fatto che, di lì a poco, mi sarei bagnato come un pulcino. Gli occhi mi brillarono nell'istante in cui lei si fermò nel bel mezzo della piazza. «Lasciami stare!» gridò, con tutto il fiato che avevo in gola.

«Non ho alcuna intenzione di farlo», ribattei. «Non me ne andrò da qua finché non mi dirai cosa ti prende.»

«Questo non può succedere», si limitò a dire.

Mi avvicinai a lei, mentre la pioggia scrosciante continuava a imperversare sui nostri volti, e non solo. «Cos'è che non può succedere, me lo spieghi?»

Di colpo, prese a balbettare. «Io e te... tu e io, sì, insomma... Noi non possiamo...»

Sorrisi, intenerito. «Non possiamo... cosa?» Mi avvicinai ancora più a lei, che teneva saldamente quelle mani sopra al capo, assieme alla borsetta. Le sfiorai la guancia con le labbra. «Com'è che diceva la canzone?» le sussurrai, dandole un dolce bacio dietro la nuca. I suoi capelli raccolti davano accesso a quel collo tanto morbido e stupendo con cui avevo combattuto per giorni e giorni, senza nemmeno poterlo contemplare così da vicino. Ci avrei scoccato mille baci sopra. Lei indietreggiò, quella paura impressa nei suoi occhi mi fu talmente familiare, che per un momento tentennai anch'io. «Quella canzone... com'è che diceva?» insistei, carezzandole la guancia destra con il palmo.

Lei prese fiato, un sussurro appena udibile fuoriuscì dalle sue labbra. «Non ti fidar di un bacio a mezzanotte...»

Guardai l'orologio e mi sfuggì un sorriso. «Si dà il caso che sia scoccata proprio adesso.» Tornai a guardarla. Intensamente. «E poi?»

«E poi... cosa?»

Mi leccai le labbra bagnate dall'acqua piovana. Il sapore di Megan era già svanito. «Sì, insomma... Come continua la canzone?»

«Se c'è la luna non ti fidar...»

«Perché perché, la luna a mezzanotte... riesce sempre a farti innamorar...» completai la frase incriminata, quindi mi riavvicinai a lei. Quando stavo per baciarla di nuovo, una sensazione di panico mi colse. Guardai di sottecchi la torre dell'orologio, che sostava proprio di fianco a noi. Un zuccheroso ricordo mi sovvenne nella mente. Deglutii, a fatica. Tornai con lo sguardo su di lei. L'intensità di quegli occhi mi disarmò ancora una volta. «Vieni con me», le dissi, trascinandola su un vicolo. Mi fiondai su di lei senza alcuna pietà, posando la mia fronte sulla sua. Quella cieca voglia di baciarla, quella subdola intenzione di riaverla con me... mi stava facendo diventare matto. Volevo sentirla, volevo assolutamente trascinarla nel vortice della passione. Senza concederle replica alcuna, tornai sulle sue labbra. Il bacio che le rifilai, questa volta, fu tremendamente dolce. Ci assaporammo l'uno all'altra con reciproca e studiata lentezza, e non solo. Quando l'abbracciai, serbando comunque il timore che Megan potesse scappare da un momento all'altro, un gemito improvviso le sfuggì dalle labbra. Fu la mia fine. O meglio, la nostra.

Persi del tutto la cognizione del tempo. Il suo profumo, il suo coinvolgimento, il mio desiderio. Non esisteva altro, per me. Continuai a nutrirmi di quella stupenda creatura che tenevo tra le mie mani. Mi avventurai, per la primissima volta, su quel collo che sfociava nel décolleté. Ma prima che la situazione potesse degenerare, le mie effusioni proibite furono interrotte da un tuono che ci fece sobbalzare.

«Che dici, chiamiamo un taxi?» le domandai, dopo qualche minuto di silenzio.

Megan non ricambiò il mio sorriso. Sembrava preoccupata, o forse... pentita di avermi baciato. Quell'ultima eventualità mi fece veramente male. E io non ero affatto abituato a quel tipo di dolore. «Credo sia meglio, sì... anche se temo che l'autista pretenderà una tariffa in più.» Si guardò l'abito, sconsolata. «Siamo completamente fradici.»

Il mio sguardo cadde dove non doveva. Dio, le sue forme erano ancora più accentuate a causa della pioggia. Scostai lo sguardo, quindi estrassi il telefonino dalla borsa. «Non fa niente», le risposi. «L'importante è tornare in albergo, non credi?»

Annuì, poco convinta.

«Sta' tranquilla, okay? Quanto successo tra noi... non è stata che una parentesi», mi affrettai a chiarire, tornando scostante come non mai. In realtà, non ero poi troppo sicuro delle mie parole, ma nei suoi occhi trovai la conferma peggiore: io, per lei, ero il nulla. Semplicemente il nulla.

 

*Un Bacio A Mezzanotte: brano de I Quartetto Cetra (1945)

   
 
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