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Autore: Nana_13    27/10/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21

 

Cocci rotti (parte 2)

 


Era pomeriggio inoltrato quando Rachel si ripresentò nella tenda, provata dal viaggio e con un’espressione decisamente funerea sul volto. Dentro trovò solo Juliet, che la accolse con calore. 

“Ti aspettavamo ieri.” le disse, mentre la coinvolgeva in un abbraccio. 

Rachel ricambiò in maniera distratta, per poi accasciarsi su un cuscino lì in terra dopo essersi sfilata la borsa. “C’è voluto più del previsto. La pianta che mi serviva cresce solo in determinate zone del Nilo ed è anche piuttosto rara.” 

“E siete riuscite a trovarla?”

“Solo qualche foglia. Speriamo che basti.” Stava ancora parlando quando fece caso al cerotto sulla guancia dell’amica. “Che hai fatto alla faccia?” domandò quindi, aguzzando la vista dietro le lenti degli occhiali. 

Ebbe l’impressione di averla colta alla sprovvista, perché Juliet esitò. “Niente, un incidente in cucina.” si limitò a dire, con un mezzo sorriso sulle labbra. 

“Fammi vedere.” Mentre Juliet si toglieva la garza, si alzò per guardare meglio la ferita. In realtà, era poco più che un graffio e si stava già formando la crosta. Sicura di sé, Rachel allora sollevò la mano destra avvicinandola alla guancia dell’amica, che istintivamente si scansò. “Tranquilla.” mormorò in tono rassicurante. Ormai sentiva il potere fluire dall’interno verso la punta delle dita come qualcosa di naturale, che le era sempre appartenuta, e in pochi attimi il taglio si assorbì del tutto. Sembrava non essere mai esistito.

Ultimata la sua opera, ritrasse la mano e soddisfatta osservò Juliet toccarsi il viso, di nuovo liscio e privo di imperfezioni, prima di rivolgerle un’occhiata esterrefatta. 

“L’ho imparato da poco.” disse, rispondendo ai suoi muti interrogativi con un’alzata di spalle. “Sarebbe stato un peccato se la cicatrice avesse rovinato il tuo bel viso.” Le sorrise benevola, mentre dava una rapida occhiata in giro. “Gli altri?” chiese con finta noncuranza, nel tentativo di mascherare l’apprensione. Avrebbe preferito trascorrere un altro mese sul Nilo con Laurenne pur di non dover affrontare Mark.

“I ragazzi sono ad allenarsi, mentre Dean è da Najat in riunione e si è portato dietro Claire.” 

Rachel alzò un sopracciglio, perplessa. “In riunione?”

“Sì, Najat voleva il suo parere su un piano di battaglia che stanno organizzando. Non so… Non ho capito bene.” tagliò corto sbrigativa. 

Si vedeva lontano un chilometro che non le faceva piacere, ma Rachel evitò di mettere bocca. L’ultima cosa di cui aveva bisogno adesso era pensare ai problemi sentimentali degli altri. “Bene, io me ne vado a dormire. Sono distrutta.” annunciò a quel punto, afferrando la borsa e facendo per ritirarsi, ma Juliet le ricordò che c’era ancora qualcosa di cui parlare.

“Aspetta. Non mi racconti niente?” 

“A che proposito?” ribatté, temendo già la risposta.

Lei infatti sospirò impaziente. “Hai chiesto a Laurenne di visitarti? Sei o non sei…” Non concluse la frase, convinta che l’amica avrebbe comunque afferrato.

Sebbene fosse così, Rachel si mostrò reticente nel dirle la verità. Ogni volta il solo ripensarci rappresentava un supplizio. Per fortuna bastò il suo silenzio come risposta, insieme allo sguardo di muta disperazione che Juliet lesse sul suo volto subito dopo. 

“E adesso? Cosa pensi di fare?” 

Rachel scosse la testa, i lucciconi agli occhi. “Non lo so…” 

In preda al pianto, si rifugiò tra le braccia dell’amica, che la strinse a sé, provando a sua volta la sensazione di avere il cuore serrato in una morsa. Era come se il destino avesse deciso di accanirsi contro di loro, mettendoli continuamente di fronte a prove estreme. Non se la sentì di dirle niente, tanto meno di colpevolizzarla per essere stata imprudente. Sarebbe potuto capitare a tutti, anche a lei. Così la accompagnò al suo giaciglio, aiutandola a sdraiarsi e lasciando che si sfogasse per un po’, finché non riuscì a prendere sonno.

Un paio d’ore più tardi, quando le voci concitate di Mark e Cedric annunciarono il loro ritorno, era già in piedi. 

“Dai, adesso ti sogni le cose.” stava dicendo Cedric a Mark, un attimo prima di comparire sulla soglia. “Come fa a essere colpa mia, quando è palese che hai fatto tutto da solo? Ti ricordo che ho ancora un braccio malandato.”

“Certo, come no. E magari mi sono sognato anche la tua gamba tesa in avanti per farmi inciampare. Quella mi sembra apposto.” replicò lui inacidito, lanciandogli un’occhiataccia di rimprovero. Il fatto che fosse coperto di terra dalla testa ai piedi avvalorava le sue accuse. 

Cedric alzò le spalle, lasciando intendere di considerarlo un dettaglio. “Quanto la fai lunga. Si sa, in guerra e in amore tutto è lecito.” Probabilmente Mark stava per dire qualcos’altro, ma a quel punto l’attenzione dell’amico era già rivolta altrove. “Ciao, splendore.” Si scambiò sorridente un rapido bacio con Claire, tornata poco prima di loro insieme a Dean, che però non sembrava molto presente.

Perfino quando Juliet lo informò di essere riuscita a recuperare un paio di sacche di sangue dall’infermeria annuì distrattamente, riservandole un misero grazie, come se stesse pensando a tutt’altro, e dovette riconoscere di esserci rimasta un po’ male. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per spiegare a Naeem, l’unico tra gli apprendisti di Laurenne a masticare la sua lingua, a cosa le serviva quel sangue. Gli aveva addirittura mentito inventandosi che ad averne bisogno fosse proprio Dean, visto che nell’accampamento nessuno, a parte loro e la cerchia di Najat, sapeva che Claire era un vampiro. Ad ogni modo decise di lasciar correre, pur continuando a domandarsi cosa si fossero detti in quella riunione da impensierirlo tanto. Non si era neanche accorto che il taglio sul suo viso era scomparso.

Di lì a poco, Rachel uscì dal bagno dopo essersi lavata via la sporcizia del viaggio e inevitabilmente il suo sguardo incrociò quello di Mark. Ci fu un attimo di perplessità, in cui nessuno dei due seppe come comportarsi.

“Ciao…” mormorò lui infine, cercando di non mostrarsi troppo sorpreso dall’essersela vista comparire davanti all’improvviso.

“Ciao.” La risposta le uscì in maniera meccanica e si sentì alquanto stupida per non aver saputo trovare di meglio, ma in fondo non c’era altro da dire. Non con gli altri presenti almeno. Per fortuna, ci pensò Juliet a salvarla in extremis chiedendole di aiutarla a preparare la cena, anche se sapeva benissimo che il momento della verità era solo rimandato. 

Per tutto il tempo del pasto non si scambiarono che poche parole. Giusto qualche commento sulle gesta dei ragazzi durante gli allenamenti e altre sciocchezze del genere. Juliet riuscì a strapparle un breve resoconto della sua avventura con Laurenne, ma niente di particolarmente esaltante. Per non sentirsi esclusa, Claire si versò mezza sacca di sangue in un bicchiere e, per non metterla a disagio, loro si premurarono di fingere che i suoi occhi rossi e i canini sporgenti non li impressionassero. 

“C’è una domanda che mi frulla in testa da un po’…” esordì Cedric, mentre la guardava bere. “Che sapore ha?” chiese poi, dopo un istante di incertezza.

Dall’espressione che fece, Claire sembrò trovare la domanda insolita e i suoi occhi si soffermarono sul contenuto del bicchiere, prima di offrirglielo con aria ammiccante. “Vuoi provare?”

“No, grazie. Sto bene così.” Lui si scansò, piegando la bocca in un mezzo sorriso di circostanza. “Però la curiosità resta… Cosa senti quando lo bevi?”

Claire ci pensò su un attimo prima di rispondere. “È strano da definire. Non ha un sapore vero e proprio. Se però dovessi associarlo a un cibo, direi che per me sa di…” esitò, riflettendoci ancora. “Cheesecake alle fragole.” stabilì infine. 

La sentenza suscitò in loro non poco stupore.

“Bene, la prossima volta che vedrò una cheesecake alle fragole mi farà tutto un altro effetto.” scherzò Cedric, riprendendosi per primo.

“E questo vale solo per te o tutti i vampiri sentono la stessa cosa?” le chiese Mark interessato. L’argomento aveva stuzzicato la sua curiosità scientifica. 

“Beh, Dean mi ha spiegato che per ognuno ha un sapore diverso. Però dipende anche dall’età della persona da cui proviene. Più è in là con gli anni più il sapore peggiora.”

Cedric allora lanciò un’occhiata maliziosa a Dean, rimasto seduto in disparte per tutta la sera. “E per Mister Perfettino che sapore ha?” 

A quel punto, sentendosi chiamato in causa, riemerse dai suoi pensieri. “Come?” domandò spaesato, guardandoli per la prima volta.

Lui alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa rassegnato. “Lascia perdere.”

Per Juliet ormai non era difficile intuire quando Dean era turbato. Le bastava vederlo chiudersi in se stesso, diventare tutto a un tratto taciturno e scostante, per metterla sull’avviso. “Ma cos’hai? Da quando sei tornato non hai detto una parola. È successo qualcosa alla riunione?” 

Non ricevette risposta, ma lo vide scambiarsi con Claire un’occhiata d’intesa, come se entrambi già sapessero di cosa si trattava. E infatti poco dopo Dean si decise. “Devi dirglielo.” la esortò, estremamente serio in volto.

L’attenzione generale si spostò allora su di lei, che tuttavia sfuggì ai loro sguardi abbassando gli occhi sul bicchiere che aveva appena posato sul tavolo.

Cedric continuava a scrutarla confuso e anche un po’ allarmato. “Dirci cosa?”

Fino all’ultimo Claire sembrò restia a parlare e si decise soltanto perché ormai non poteva più evitarlo. Così, preso un respiro profondo, raccolse i pensieri e iniziò. “Oggi abbiamo saputo da Najat che qualche giorno fa i suoi uomini hanno catturato un vampiro durante una spedizione in Siria. Dopo averlo interrogato, hanno scoperto delle cose…” tentennò di nuovo, cercando sostegno in Dean, che però si limitò a fissarla in attesa che continuasse.

“Che genere di cose?” la spronò Mark al posto suo, ansioso di sapere. 

“Quando Nickolaij prende possesso di una città o di un villaggio, lascia sempre che un gruppo di vampiri si occupi degli abitanti, trasformando questi posti in…” Aveva chiaramente la parola sulla punta della lingua, ma si intuiva che avrebbe fatto volentieri a meno di pronunciarla. “Beh, loro li chiamano fattorie.” 

Il solo udire quel nome fu sufficiente a suscitare negli altri la stessa inquietante sensazione provata da Dean quando Claire gli aveva raccontato quella storia durante il tragitto di ritorno. Era sempre stato a conoscenza dei metodi in uso da Nickolaij quando si stabiliva in una città, motivo per cui aveva deciso di non riportarli a Greenwood, ma mai avrebbe immaginato potesse spingersi a tanto. In quel momento, aveva davvero provato vergogna. Per la prima volta in novantacinque anni di vita alla Congrega aveva rimpianto di non essersi mai interessato alla sorte delle persone che finivano sotto il giogo dei suoi simili. Semplicemente non gli importava. Il sangue arrivava puntuale a ogni plenilunio e tanto gli era sempre bastato sapere.

“Nelle fattorie la gente vive praticamente sotto schiavitù. Gli uomini vengono divisi dalle donne e dai bambini in base alla qualità del loro sangue e ogni mese, in periodo di plenilunio, vengono costretti a donarne un po’ affinché i vampiri possano nutrirsi.” proseguì la ragazza. “Li tengono separati sotto minaccia di far del male ai loro cari in modo che non si ribellino. Chi si rifiuta o prova a scappare non fa una bella fine.” Detto ciò fece una pausa, per dar loro modo di assimilare la triste verità. Sebbene non avesse ancora menzionato Greenwood, infatti, nessuno si illudeva che il discorso delle fattorie fosse casuale, anche se mancava il coraggio di ammetterlo ad alta voce.

“Arriva al sodo, Claire.” 

Quando Dean la richiamò all’ordine, lei si riscosse, guardandolo con la coda dell’occhio prima di continuare. “Ecco… A Greenwood succede la stessa cosa.” rivelò infine, mettendo da parte le ultime reticenze.

“E tu come fai a saperlo?” chiese Rachel a Claire in un soffio. Per via dello shock riusciva a malapena a parlare. 

“Perché ci sono stata.” rispose lei, tenendo gli occhi bassi. “Dopo esserci entrata in confidenza, ho convinto Nickolaij a lasciarmi partire. Ricordavo che Dean disse di averci mandato nel deserto di proposito perché nel Montana saremmo state in pericolo, perciò volevo vederlo con i miei occhi. Volevo capire che fine avesse fatto la mia famiglia, così ho ingoiato l’orgoglio e chiesto il suo permesso. Alla fine ce l’ho fatta. Ho visto quello che succede laggiù.” A giudicare dalla sua espressione, le immagini di quei momenti sembravano scorrerle ancora vivide nella mente.

“Hai visto i nostri genitori?” le domandò Juliet, la cui ansia andava di pari passo con l’incupirsi del volto di Claire.

Senza guardarla, lei annuì appena e questo non fece altro che darle la conferma dei suoi timori. “Erano…” Non ebbe la forza di finire la frase, ma il resto era intuibile.

“Ho visto tua madre e tuo fratello. Stavano bene. Degli altri non so niente, ma credo che siano  vivi anche loro.” si affrettò a chiarire l’amica. “Ammesso che quella si possa definire vita.”

“Mio Dio.” Ormai al limite, Mark si alzò in piedi, la mano tra i capelli. “Perché hai aspettato tanto a dircelo?”

“Io volevo farlo, ma era un argomento delicato e non ho mai trovato il momento giusto.” si difese. 

Le sue parole rimasero sospese ad aleggiare nell’aria per un po’, nel silenzio di ghiaccio che avevano creato, finché Cedric non spostò il suo sguardo frastornato su Dean. “Non avevi detto che Nick lasciava tutto com’era, senza creare scompiglio? Non mi sembra, visto che i nostri familiari vengono trattati come bestie d’allevamento.” Più che un’accusa la sua sembrava una constatazione. 

Lui se lo aspettava e infatti non si scompose. “Vi avevo parlato dei metodi di Nickolaij. Sapevo che avrebbe lasciato un distaccamento a Greenwood, ma riguardo alle fattorie sono sorpreso quanto voi. Non immaginavo che avesse organizzato un sistema del genere per prendere il sangue degli umani.”

“Najat lo sa almeno?” chiese Rachel in ansia.

Claire, però, scosse la testa. “No, era pieno di gente ed è già tanto che nessuno abbia fatto domande sul perché fossi lì. L’ho detto a Dean dopo la riunione.”

“Diciamoglielo adesso, allora!” proruppe Cedric d’impulso. “Potrebbe fare qualcosa, radunare un po’ di gente e andare a liberarli!”

“Non è così semplice.” obiettò Dean.

“Usano i portali per spostarsi, quanto potrà essere complicato?”

Lui scosse la testa, massaggiandosi le tempie. “Non è solo questo. Bisogna organizzarsi, creare una strategia. Non si può decidere da un giorno all’altro di attaccare un posto del genere senza un piano preciso.” 

“E allora cosa dovremmo fare secondo te, Signor Sotutto? Lasciarli al loro destino?” 

Rachel sentì Dean ribattere, probabilmente con un altro dei suoi inattaccabili argomenti, ma ormai non ce la faceva più a stare lì dentro. Le mancava l’aria e le chiacchiere le avevano riempito il cervello fino a farle superare la soglia di sopportazione, già piuttosto bassa di per sé. Così, senza dire nulla, abbandonò il tavolo e in pochi passi imboccò l’uscita, ritrovandosi sola nella tranquilla atmosfera della notte. 

Per un primo tratto le gambe si mossero da sole e non si curò della destinazione. Voleva solo allontanarsi da quella tenda; poi, però, il peso di tutto quello che le stava capitando divenne insostenibile e avvertì il bisogno di sedersi. Trovata una roccia a pochi metri, vi si abbandonò, tuffando il viso nelle mani. Come aveva potuto dimenticare suo padre? Le conseguenze dell’essere una strega l’avevano assorbita a tal punto da rimuoverlo dalla lista delle sue preoccupazioni e adesso scopriva che era addirittura sfruttato come distributore di sangue per vampiri. Non c’era davvero limite a ciò che le si chiedeva di sopportare. Avrebbe voluto piangere, ma era troppo nervosa per versare anche una sola lacrima. 

Non trascorse molto tempo che dei passi in avvicinamento le annunciarono l’arrivo di qualcuno alle sue spalle.

“Vorrei restare un minuto da sola, mi è concesso?” domandò irritata, sollevando appena la testa. Non sapeva chi fosse e non le importava nemmeno, finché non sentì la voce di Mark risponderle altrettanto seccato.

“Certo, figurati. Volevo solo essere sicuro che stessi bene, me ne vado subito.”

“No, aspetta.” corse ai ripari, voltandosi di scatto a guardarlo. Il suo volto era scuro, quasi austero, quando i loro occhi si incontrarono. “Scusa, non volevo. È solo che… è stata davvero una pessima giornata.”

Mark allora sembrò rilassarsi, si mise le mani in tasca e annuì con un sospiro. “Già.” concordò, mentre la raggiungeva per sedersi accanto a lei sul masso. “Questa storia delle fattorie è allucinante. Vorrei poter fare qualcosa, andare a salvarli, e invece sono bloccato qui. Mi sento così inutile.”

Quell’affermazione ebbe l’effetto di farla sorridere, ma non in senso positivo. Era un sorriso a mezza bocca, dal sapore amaro. Se lui si sentiva inutile, figurarsi una su cui in teoria pesava la responsabilità di dover risolvere la situazione, ma che in pratica non non sapeva neanche da dove iniziare.

Mentre ci pensava abbassò lo sguardo, assumendo un’aria malinconica che Mark associò alla sua stessa angoscia e per cercare di tirarle su il morale le circondò le spalle con il braccio, attirandola dolcemente a sé.

Fino a poco tempo prima la vicinanza tra i loro corpi avrebbe avuto il potere di cancellare ogni inquietudine, invece ora non faceva che alimentarle. Già da settimane Rachel sentiva che il loro rapporto era appeso a un filo e, considerando ciò che aveva da dirgli, le cose non avrebbero potuto che peggiorare. Come se non bastasse, si era aggiunta la notizia dei loro genitori a renderle il compito ancora più difficile. Ad essere sinceri, l’idea di non informarlo le era anche passata per la testa, ma sarebbe stata una bugia troppo grossa e Mark non lo meritava. Doveva farlo e alla svelta. Quanto al modo, ci aveva rimuginato lungo tutto il viaggio di ritorno, senza trovare altra opzione se non quella più diretta. “Sono incinta.” confessò sulla scia dei suoi pensieri, ma impiegando circa due secondi a realizzare di aver esordito un po’ dal nulla. “Mi sono fatta visitare da Laurenne e a quanto pare non mi sbagliavo.” aggiunse quindi, nel tentativo di dare un minimo di contesto al discorso.

Contrariamente alle aspettative, la risposta di Mark arrivò rapida quanto incomprensibile. 

“Bene…” disse.

Questo bastò ad allontanare da lei qualunque proposito di sostenere una normale conversazione. “Bene?” ripeté incredula, sentendo la rabbia montare. “Come sarebbe a dire bene?”

“Non lo so. Bene per dire che almeno ora lo sappiamo con certezza. Bene nel senso di… bene!”

L’agitazione prese possesso di lui nel giro di un attimo e andò nel pallone. Non sapeva più neanche cosa stava dicendo, talmente la notizia lo aveva sconvolto. 

“No, invece!” esclamò Rachel. “Non è affatto un bene, è un completo disastro!” Affranta, nascose di nuovo il viso tra le mani, vergognandosi perfino di guardarlo.

“La stai facendo più tragica di quanto non sia. Ray, aspetti un bambino…”

“Lo so! E di certo continuare a ripeterlo non mi farà sentire meglio!” sbottò, interrompendolo. Perché reagiva in quel modo? Avrebbe preferito di gran lunga che si infuriasse per non essere stati capaci di evitarlo. Invece eccolo lì, calmo e posato. Anzi, era sicura che ne fosse perfino contento.

Quando lo sentì prenderle la mano, spingendola a guardarlo negli occhi, un calore piacevole la pervase dalla punta delle dita e lì per lì non trovò la forza di respingerlo. 

“Ascoltami. Non sto dicendo che sarà facile, ma vedrai che insieme…”

A quel punto, però, si rifiutò di ascoltare un’altra parola. “Non dire che insieme ce la faremo! Non ti azzardare!” Fuori di sé, si alzò in piedi, allontanandosi da lui. “C’eri anche tu nella tenda, hai sentito quello che ha detto Claire! Le nostre famiglie sono prigioniere di quegli psicopatici e io non so nemmeno se riuscirò mai a completare quella dannata pozione! Dovrei pensare a occuparmi di un bambino in queste condizioni? È troppo da sopportare, con o senza il tuo aiuto! Possibile che non te ne rendi conto?” Ormai era un fiume in piena, le guance rigate dalle lacrime e il respiro ansante. Intorno a loro, le fiammelle delle torce piantate nel terreno iniziarono pericolosamente a tremolare.

“Calmati, adesso.” tentò lui, notando la cosa. “Sei spaventata, è normale. Anch’io lo sono, ma se solo provassimo a…”

“No, ho già deciso.” lo interruppe lapidaria e in quello stesso istante il tremore delle fiamme cessò. “Chiederò a Laurenne di aiutarmi a risolvere il problema, mi ha già assicurato il suo appoggio. Tanto sono ancora in tempo.” 

Dopo lo spaesamento iniziale, la delusione comparve sul volto di Mark, che divenne di granito. “Capisco. Quindi sei decisa a portare avanti il tuo piano. Io non ho voce in capitolo.” 

“In casi come questo no, non ce l’hai.” confermò lei senza mezzi termini. “Non avrò questo bambino, Mark. È una responsabilità troppo grande per entrambi e poi è del mio corpo che stiamo parlando. Solo io posso stabilire come gestirlo.” La femminista convinta che era in lei tornò a guidare i suoi pensieri e fu ben lieta di ascoltarla. 

Decisamente spiazzato, lui la scrutò per un paio di secondi; poi annuì, distogliendo lo sguardo. “D’accordo. Buono a sapersi.” concluse, sistemandosi gli occhiali sul naso.

Rachel però non capì. “Che vuoi dire?”

“Beh, visto che ti sei già organizzata e che la mia opinione è del tutto irrilevante, non posso fare a meno di chiedermi se anche il nostro rapporto conti ancora qualcosa per te.”

E adesso che c’entrava questo? “Mark…” fece per replicare.

Tuttavia, lui la ignorò. “Da settimane non facciamo che litigare e quando non succede ci scambiamo a malapena due parole. E ora questo…” Con aria stanca si tolse definitivamente gli occhiali, prendendo a massaggiarsi le tempie. “Sai che non sono il tipo che ti forzerebbe a continuare una relazione. Ho solo bisogno di chiarezza, Ray. Credo di averne diritto. Perciò, se pensi davvero che la magia o la tua missione siano più importanti di noi e anche di un figlio, allora abbi il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi che non provi più niente per me. Se è così, ti lascerò in pace e cercherò di farmene una ragione, ma ho bisogno di sentirtelo dire.” 

Il suo era un discorso estremamente maturo e Rachel ne rimase colpita. Sarebbe stato disposto a rinunciare a lei se glielo avesse chiesto e per un attimo sentì le proprie convinzioni vacillare. Non era affatto sicura di poter compiere il passo successivo, ma poi il peso di ciò che la aspettava tornò a schiacciarla, riportandola con i piedi per terra. 

Tutta la tensione di quei giorni, per non parlare di quella che sarebbe venuta in futuro, li avrebbe allontanati comunque. Tanto valeva batterla sul tempo. Così fece un respiro profondo, sforzandosi di apparire risoluta. “È finita, Mark.” sentenziò. 

Benché si aspettasse una reazione diversa, l’espressione di Mark non cambiò di una virgola. Rimase di gesso e lei non riuscì a interpretare l’effetto delle sue parole. Temette addirittura che non le avesse creduto, ma le sue paure vennero smentite quando vide la mascella del ragazzo contrarsi in maniera quasi impercettibile. 

“Almeno ora lo so.” commentò infatti telegrafico. Dopodiché, restio anche solo a degnarla di uno sguardo, le diede le spalle e si allontanò.

Lentamente, Rachel tornò a sedersi sul masso, fissando il vuoto davanti a sé. Strinse le braccia al petto, ma non per proteggersi dal freddo. In quel momento nemmeno lo sentiva. Dentro di lei avvertiva un malessere mai provato prima, come un buco nero che lentamente s’ingrandiva, risucchiandole l’anima. D’un tratto sentì un macigno premerle sul petto e piegandosi su se stessa tentò di reprimere il dolore, che invece si liberò in un singhiozzo strozzato.

 
   
 
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