Passo
dopo passo sto girando tutt’attorno alle mura di Reggio: solide e alte, i
mattoni hanno ancora il colorito rossastro sgargiante, i rampicanti non osano
indebolirne la struttura e nemmeno i muschi li ammantano ove è maggiore
l’umido. Mi incanta sempre l’imponenza dei bastioni, ne ho contati nove, che
dalla cinta avanzano nel fossato per controllare il territorio, pronti a far
tuonare i cannoni contro i nemici che oseranno porre assedio qui.
Alla
mia destra il fossato, alla sinistra una spianata. Non riesco, però, a godermi
la camminata. Non è il freddo il problema, quello me lo sono scrollato di dosso
proprio col movimento, è qualcosa di … meno concreto. Un’oppressione, ecco, ma
ineffabile. Una spinta, una presenza alle mie spalle.
Mi
volto. L’orlo del mantello, per lo slancio del giro, mi colpisce i polpacci.
Non
c’è nulla di strano. Alcune persone spingono i piedi nella neve come me,
trasportano ceste e gabbiette di legno in cui si agitano galline; qualcuno
tiene per le briglie un asino dalla cui groppa pendono bisacce. C’è pure un
carretto fermo prima del ponticello della Porta che ho da poco superato; le
guardie lo stanno esaminando.
È
tutto normale, nessuno mi era particolarmente vicino. Chissà che mi è preso.
Sarà
stata suggestione.
“Et sia sforzato di venir qui al deserto, al tribunal tuo, a
la giusta pugna con il crucifisso in forma di
serpente.”
Le
parole della preghiera di suor Paola mi echeggiano ancora nella testa. Devono
essere state quelle a suscitarmi disagio.
Dai,
non pensiamoci. Se ci rimugino sopra, poi entro nel dettaglio, perdo la visione
d’insieme e mi impressiono. Lo sappiamo che il distacco è fondamentale per una
lucida analisi.
Scuoto
la testa: spezziamo l’attenzione dagli interrogatori. L’indagine riprenderà
domani, ora dobbiamo rilassarci.
Mi
rigiro e riprendo il cammino. Pensiamo ad altro. Cos’è che mi ha colpito prima?
Ah, giusto, le mura e la loro robustezza.
Il
Duca Ercole II d’Este ha fortificato con cura tutte le sue città. Il vecchio
Ippolito mi raccontava che sono stati fatti grandi lavori a Reggio, nemmeno 10
anni fa. In primis la ricostruzione della cinta muraria. Mi pare l’intervento
più impegnativo intrapreso, ma suppongo che gli abitanti e il Vescovo abbiano
percepito come più pesanti e invasivi altri cambiamenti. Per eserciti avversi
risulterà ostico assediare Reggio poiché non vi è alcun riparo che possano
sfruttare: per 600 metri sarebbero esposti alla grandine di falconetti, arcieri
e balestrieri. Il Duca ha ordinato che fosse abbattuto ogni edificio entro
questo perimetro, non solo le borgate, costringendo famiglie a trovare nuovi
alloggi, ma anche conventi, senza riguardo per la sacralità e l’antichità dei
luoghi.
Passi
dietro di me. Sono ovattati nella neve ma li distinguo.
Il
Vescovo Grossi mi raccontava, tra i sospiri, quanto gli dolesse essere stato
privato di quel dolce luogo di riposo che era per lui San Claudio con la
residenza episcopale estiva, vagheggiava le passeggiate nel giardino ricco di
profumi e colori.
Che
fastidio, però, che qualcuno mi cammini così d’appresso. Peggio sarebbe se
fosse davanti a rallentarmi ma anche così mi innervosisce. Quasi sento il fiato
sulla nuca. Basta, adesso andiamo piano, così questo ci supera e noi ce ne
torniamo tranquilli.
La
stessa sorte di demolizione è toccata anche al convento del Santo Spirito, una
chiesa di San Giovanni e una di San Biagio e, quel che ha reso tutti più
sgomenti, all’abbazia di San Prospero. Ippolito mi ha narrato che, nei numerosi
secoli di vita, quel monastero aveva subito parecchie devastazioni ma era
sempre sopravvissuto. La sua torre era stata abbattuta più volte, con disprezzo
da Feltrino Gonzaga e, durante le guerre d’Italia, dal Duca Alfonso I stesso,
per evitare che diventasse per gli invasori un rifugio sicuro e proprio rivolto
alla cittadella, il cuore difensivo. La torre era stata abbattuta più volte ma
sempre ricostruita. Nessuno, qui, immaginava che pure l’abbazia sarebbe stata
rasa al suolo. Conteneva le reliquie del Santo patrono che dunque son state
traslate dentro le mura, nella basilica ricostruita di recente.
Eh
la guerra impone grandi sacrifici.
Oh,
ma allora, questo tale si decide a superarmi oppure no?!
Silenzio.
Non ci sono più i passi. È rimasto indietro?
Controllo.
Nessuno alle mie spalle se non molto distante, non c’è nemmeno nessuno che
cammini verso la campagna a una distanza tale da presumere sia stato dietro di
me fino a poco fa. Nessuno tra le sponde delle montagnette
di neve ammucchiata nei giorni scorsi per liberare la strada, prima che altri
fiocchi tappezzassero la terra.
Sollevo
le spalle: me lo sarò immaginato. Forse ho una remota paura in me che mi mette
troppo sulla difensiva. Fino a sentire suoni? Ma sì, più o meno, ci sarà stato
qualche tonfo, magari un uccellino a caccia di vermetti,
e i miei sensi in allerta lo hanno ingigantito. Insomma, quando si è a letto
non capita di sentire dei rumori e non capire se siano reali o le avanguardie
dei primi sogni? Ecco era successa una simile cosa: eccesso di difesa. Capita
quando c’è troppo silenzio.
A
proposito di difesa, non ho ancora capito dove sia la “giulia”.
Voglio assolutamente vederla, prima di lasciare Reggio. Una colubrina da 9.000
libre, in grado di sparare proiettili da 50 è cosa rara. Questa, poi, non è
solo una delle già straordinarie artiglierie estensi, è speciale! Forgiata col
rame che aveva composto una statua di Papa Giulio II.
Povero
Michelangelo! In poco più di un anno aveva plasmato un Giulio II seduto e
benedicente, collocato nel febbraio 1508 sulla porta della basilica di Bologna,
città liberata nel novembre del 1506, ma non era durato nemmeno un lustro. I
Bentivoglio, tornati con la forza a Bologna per qualche mese, avevano abbattuto
la statua, l’avevano decapitata e ne avevano consegnato il metallo agli Este
per farci un cannone dal nome allusivo.
Mi
risulta sia stato collocato qui già dal nonno dell’attuale Duca. Voglio
vederlo.
Un
brivido guizza su per la schiena mi stringe e irrigidisce le spalle. Inizia a
fare freddo.
Qualche
fremito mi attraversa gli avambracci, pure i denti battono tra loro di quanto
in quanto. Se alito, il vapore che dalla bocca si compone nell’aria davanti a
me pare una nuvoletta di fitta nebbia. Affondo le dita nella pelliccia che
fodera il mantello e lo stringo per bene sul davanti.
Una
folata di vento si intrufola tra le ciocche di capelli che mi sbucano da sotto
al berretto. Gelo nella punta delle orecchie. Un fischio. Tremore sotto la
pelle delle braccia, le mani faticano a restare chiuse. Il fischio, di nuovo.
Più umano.
Mi
volto di scatto. Un’ombra; credo. Mentre mi giravo m’è parso che un’ombra
scivolasse dietro al cumulo di neve. Vado a controllare?
Torno
sui miei ultimi passi, allungo il collo oltre la sponda bianca. Non si vede
granché. Vale la pena spingersi oltre e approfondire? Se mi levo dalla strada,
la neve mi arriva minimo al ginocchio. Detesto bagnare i vestiti e poi mi si
gelerebbero le gambe.
Ma
no, dai, saranno stati i miei stessi capelli a ondeggiare; li avrò visti con la
coda dell’occhio e mi han suscitato l’impressione dell’ombra. Dopotutto è
durata un istante. Ero già suggestionato da prima e la fantasia ha lavorato.
Doveva
essere una passeggiata rilassante e, invece, mi metto paura da solo. Ho i nervi
tirati peggio che la corda di un liuto. Basta. Alla prossima Porta che vedo,
rientro.
Mi
tiene compagnia il gorgoglio del Crostolo che scorre alla mia destra. Lambisce
le mura da Porta Castello a Porta Santo Stefano, non so quanto sia saggio
tenere un torrente così prossimo alla città, le mura non dovrebbero temere
un’esondazione, però secondo me è pericoloso. Ippolito, che miniera di
informazioni, mi ha spiegato che un tempo addirittura il torrente scorreva
all’interno della cinta e mi ha indicato la canaletta di scolo che, non ancora
del tutto chiusa, si vede tuttora nel corso Ghiara. Perché non l’abbiano
spostato più lontano per me è un mistero. Forse presto si renderanno conto che
è preferibile tenerlo un po’ distante e usare l’acqua dei canali per il
fossato.
Un
tonfo nell’acqua … No, questa volta non mi lascio ingannare: è un pesce che è
guizzato, nulla di più.
Lo
stomaco borbotta, vuole essere riempito. Mi hanno consigliato due locande:
quella del Giglio, sulla via Emilia,
e quella del Cappel Rosso, proprio nel centro della città,
non lontano dal vescovado, dicono che è facile da riconoscere perché è nel
vecchio palazzo del Capitano del Popolo.
Per
oggi, cenerò nella più vicina, domani proverò l’altra.
Il
suono dei miei passi ha una leggera eco, quando lascio la fanghiglia di terra e
neve in favore delle assi di legno del ponte levatoio. Le sentinelle mi
salutano, sono le stesse che ho incrociato quando sono uscito. Guardano oltre
le mie spalle e poi mi passano accanto. In effetti il ponte scricchiola sotto i
piedi di qualcun altro.
Che
sia finalmente uscito allo scoperto il mio inseguitore?
Ma
che dico?! Addirittura qualcuno mi pedinerebbe? È ridicolo, su. Smettiamola con
le sciocchezze.
Stacco
una stalattite di ghiaccio, lunga come il mio mignolo, che pende da un
sottotetto. Ne ficco la punta in bocca e me la gusto come quand’ero bambino.
Lascio dietro di me l’arcata. Devo proseguire sulla strada maggiore. Una
sbirciatina, però …
Giro
il capo appena, le guardie coprono chiunque sia il loro interlocutore. Meglio
così, in questo modo non alimento suggestioni. Andiamo dritti.
Inizio
ormai a riconoscere gli edifici e a orientarmi. Per esempio, qui sulla destra
c’è il chiostro di Santo Stefano col grazioso porticato, mentre già vedo più
avanti, a sinistra, la torre di Sant’Antonio. Ormai la conosco piuttosto bene quella
chiesa, tanto ho passeggiato avanti e indietro per tutte e tre le navate prima
coi canonici, poi con la badessa e infine con alcune consorelle delle monache
ammaliate da Albrisio. Le suore di Santa Chiara si sono trasferite in
Sant’Antonio una decina di anni fa, prima il loro convento era troppo vicino
alla Cittadella. Si sa, non è mai una buona cosa che i soldati siano troppo
vicini a delle donne. Fossero solo i militari a insidiare la virtù …
È
stata una buona scelta far erigere qua un nuovo monastero. Chissà, il
trasferimento potrebbe aver turbato le suore e reso le loro menti più inclini
agli inganni del Dottor Albrisio?
Mah,
forse una o due, però ad essere coinvolte sono ben 12!
Passiamo
oltre, è meglio, almeno per ora.
Il
piede slitta appena, irrigidisco la gamba e resto in piedi. Le strade
lastricate hanno il vantaggio di non sporcare di fango quando piove, ma
diventano assai scivolose con il gelo.
Beh,
giacché mi sono fermato un momento … getto un occhio indietro. Un gran viavai
di gente. Se qualcuno mi sta seguendo, ora potrebbe nascondersi perfettamente.
Riprendo
a cercare la locanda.
Il
mio sguardo balza da un lato all’altro, ecco un altro dei miei riferimenti,
sulla destra: il torrazzo che incombe accanto la chiesa di San Paolo, soffocata
e compressa tra tutti gli edifici da cui emerge, si accontenta di porticine
modeste. Tutt’altra presenza ha invece San Bartolomeo, la sua facciata è
accomodata sulla via Emilia, placida e a proprio agio.
Un
portico a tre arcate, sostenuto da rosse colonne in terracotta, sormontate da
capitelli a campana, sopra di esso una loggia. Finalmente, sono arrivato. Se
anche non mi fosse stata descritta così minuziosamente l’osteria Del Giglio, mi sarebbero bastati
l’invitante profumino che stuzzica le mie narici e il vociare allegro che fugge
dalle finestre, per capire di trovarmi dinnanzi a un’ottima locanda. La grossa
in segna di legno con dipinto in blu un giglio fiorentino è la conferma
definitiva.
Mi
soffermo ancora qualche momento: che eleganza i decori in cotto che
incorniciano l’edificio e le sue aperture!
L’odore
di stufato mi solletica e lo stomaco mi richiama all’ordine: nelle osterie si
mangia, non si contempla.
Entro
e chiedo cibo e vino, poi mi accomodo a un tavolo non ancora occupato da
nessuno. Quello in angolo che mi permette di avere la schiena e il lato
sinistro al muro è perfetto: potrò tenere sott’occhio tutta la sala.
Ci
sono molti rossi e neri negli abiti degli altri avventori e sono abbelliti da
passamanerie in filo d’oro e pietre incastonate in catene e spille d’oro e
d’argento: visitatori illustri soggiornano qui.
Il
camino scoppietta. Un paio d'uomini hanno le braccia stese e i palmi vicini
alle fiamme, sono in abito da staffetta, devono aver cavalcato al gelo tutto il
giorno, poveretti. Un terzo siede su uno sgabellino e
rimira le faville danzanti. Un altro, barba bianca che risalta all’altezza del
petto sul nero della veste, è in piedi, appoggiato all’angolo del timpano che
sovrasta il caminetto; non è interessato alle braci, scruta la stanza … guarda
me? È lui che mi segue da ore? È curvo nelle spalle, non sembra agile per
pedinare qualcuno e nascondersi per non farsi notare.
Allunga
il braccio e stringe la mano attorno al manico di un bastone. Non lo avevo
notato. Appoggiandosi al sostegno si sposta verso un tavolo e mi dà le spalle.
Bene.
Il
fuoco fa bene il suo lavoro: il sudore fa capolino, assieme a quel fastidioso
mal di testa che si precipita, quando passo d'improvviso dal freddo al caldo. Togliamo
il mantello, su. Slaccio i cordini che ondeggiano tra le clavicole e lo faccio
scivolare dalle spalle. Molto meglio, son più leggero, oltre che meno
accaldato.
La
giocosa voce di un cantastorie che narra e suona il liuto mi rallegra.
Godiamoci un po’ di pace, tanto domani dovremo romperci ancora il capo con
l’eretico.
Goccioline
si condensano sulle mie guance. Il vapore risale leggero dal grosso piatto
fondo che mi è stato messo dinnanzi. Un uovo spaccato galleggia sul brodo in
cui tocchetti di carne scura nuotano assieme a cipolle odorose e aglio, danno
un po’ di colore il verde di erbe aromatiche e il viola di carote tagliate a
rondelle. In un cestino intrecciato, pane e formaggio restano a disposizione.
Via,
vivacizziamo ancora un po’ la minestra con un'aggiunta di vino che non guasta
mai.
Il
brodo si tinge di rosso. Appoggio con un suono sordo la brocca sul tavolo. Un
secondo tocco, un terzo, un altro ancora. Non sono io. Da dove viene il
picchiettio?
Sollevo
il capo: l’anziano che prima era vicino al caminetto si sta dirigendo verso di
me. È sempre curvo, la testa, infossata tra le spalle, prova a drizzarsi. Il
passo è incerto pur con il bastone che batte sul cotto del pavimento.
Beviamo
almeno una cucchiaiata, prima che inizino le seccature.
«Buona
sera.» sosta davanti al tavolo, i suoi occhietti tondi e azzurri cercano
compassione «Voi siete l’inquisitore Girolamo Volta. Dico bene?»
Inspiro
riempiendo i polmoni e butto fuori l'aria, obbligandomi a un sorriso: «In
persona. Voi siete?»
Precipita
le parole nella voce debole: «Il Dottore in arti mediche Albrisio. Alessandro.
Alessandro Albrisio.»
«Ah,
il fratello del mio eretico.» continuo a sorridergli, addento un boccone di
carne e l’osservo.
Guarda
spesso in basso e in giro, stringe le mani sull’impugnatura del suo sostegno.
Mettiamolo
a proprio agio e sondiamo un poco: «Prego, accomodatevi pure.»
Mi
ringrazia con un cenno del capo, tira indietro una sedia per lo schienale.
«Dunque
siete medico anche voi?»
Si
adagia: «Come mio padre, anche. È il mestiere di famiglia.»
«Vostro
fratello sembra preferire la carriera del Messia.»
«Non
deridetelo, vi prego.»
«Vi
assicuro che non scherzo e soppeso con attenzione le sue dichiarazioni.»
«Sì,
ma non abbiate fretta di giudicare.» la voce è rapida e trema «Voi non sapete
tutta la storia. Dovete conoscerla e capirete che lui è una vittima.»
«Indago
proprio per scoprirla. Scovare la verità è il mio mestiere.» una buona sorsata
di brodo mi scalda la gola «Volete riferirmi voi la storia per intero? Ammesso
che la conosciate.»
«Mio
fratello è innocente.»
«Allora
perché avete bruciato i suoi scritti? Basilio ha già distrutto se stesso con le
proprie affermazioni, ripetute anche in carcere. Non è stato calunniato.»
«La
colpa è di quell’Angelo Gabriello.»
Inarco
un sopracciglio e adagio il cucchiaio: «Un arcangelo sarebbe responsabile di
una blasfemia tale? O forse volete insinuare che vostro fratello dica il vero
poiché guidato dal messo di Dio?»
Appoggia
la fronte al palmo e scuote la testa per diniego. Si ricompone: «Vedete che c’è
molto che ignorate? No si tratta di creature celesti ma di un uomo: Angelo,
della famiglia dei Gabrielli. Ha 29 anni e lavora la
lana.»
Oh,
questo sì che è interessante. Finalmente un nuovo elemento della scena, un
nuovo giocatore. Si tratta quindi di una persona in carne e ossa, ecco perché
le monache ne parlavano con famigliarità, tanto da definirlo un loro buon amico. Quando avevano, però,
occasione di incontrarlo?
«Cosa
potete dirmi su costui e come mai lo ritenete responsabile di ciò che ha fatto
vostro fratello?»
Abbassa
di nuovo lo sguardo, tra sospiri cerca le parole e ci ripensa. Continuo a
cenare e gli lascio il suo tempo.
«Io
non lo conosco molto. L’ho visto poche volte, ma Basilio ha cominciato a cambiare
pian piano, dopo che lo ha conosciuto. Più parlava in casa di questo
giovanotto, più si accrescevano le sue teorie bislacche.»
«Bislacche? Io avrei utilizzato vari
termini: eretiche, blasfeme, eterodosse, folli … non un semplice e innocente bislacche. State affermando che un
artigiano abbia instillato l’eresia in un uomo dotto, dedito alla scienza?»
Tentenna
sempre più. Potrebbe aver inventato tutto per avere un capro espiatorio.
«Io
non vorrei rischiare di peggiorare la sua posizione, nel tentativo di
difenderlo, o coinvolgere altri … Voi cosa ne pensate della situazione del
Cardinale Morone?»
Cosa
c’entra il Morone adesso? Come se non avesse già
abbastanza problemi che lo fan marcire in una cella di Castel Sant’Angelo, in
attesa di essere giudicato dai più conservatori membri del Sant’Uffizio, che
più odiano la deriva luterana.
Gli
è andata male che i Rigoristi non abbiano permesso la sua elezione a Pontefice
e ora Paolo IV vuole levarsi di torno l’ultimo grande prelato di spicco del
partito Conciliatore.
Preferisco
essere generico: «Sua Santità potrebbe aver aggiunto il proprio personale
risentimento allo zelo inquisitoriale che l’ha
indotto a incarcerare il Cardinale e metterlo sotto processo per eresia.
D’altra parte il dilagare delle correnti luterane, e non solo, a Bologna e
soprattutto Modena, di cui avrebbe dovuto prendersi cura, lo rende sospetto.
Non lo aiuta la sua appartenenza al circolo degli Spirituali che si erano
stretti attorno al Cardinale Pole. Che cosa c’entra con vostro fratello?»
«Eh
… c’entra, c’entra … il Cardinale Morone ha amici a
Reggio, per esempio nei Parisetti.»
Parisetti?
Uno nel consiglio giudicante si chiama così.
«I
Parisetti hanno molti amici in città e … capite …»
Odio
i giri di parole: «Vostro fratello è tra di essi e dunque potrebbe essere
entrato in contatto con dottrine eretiche e protestanti direttamente tramite il
circolo del Cardinale Morone?»
«È
un’ipotesi. Come ho detto non voglio creare problemi ad altri cittadini.
Consideratele supposizioni.»
Cerca
di scaricare la colpa su altri, lontani e già sott’accusa. Voglio restare sul
concreto.
«Approfondirò,
certo. Tuttavia, questi interessi intellettuali e teologici di Basilio non lo
avevano mai distolto dalla dottrina della Chiesa. Avete detto che è stato
questo tale Angelo a deviarlo. Spiegatemi, vi prego, come avrebbe fatto?»
Si
gratta il capo semi calvo: «Non saprei … non ho seguito i loro incontri, non i
primi almeno. Vi sono state riferite le tempistiche? Se la sono presa con
Basilio adesso ma lui frequenta quel convento dal 1555 e in quel periodo lui
aveva già sviluppato le sue teorie e …» deglutisce mortificato «Cercava suore
che potessero aiutarlo.»
«Aiutarlo
in cosa?»
«A
purgare la Chiesa. Lui tentava da tempo di diventare il medico di riferimento
per qualche convento, non gli importava se di frati o di suore, voleva solo
trovare terreno fertile per la sua dottrina. È stato Angelo a suggerirgli che
le monache erano preferibili … più suggestionabili.»
«Dati
gli esiti cui si è arrivati, non aveva tutti i torti. Questo artigiano ha una
mente acuta.»
«Beh
… era una deduzione facile. Lo scandalo tra i Domenicani e le suore di San
Raffaele è scoppiato l’anno successivo, ma il sentore era diffuso e molti
sapevano.»
Ecco
qualcosa di cui il Malaguzzi non mi ha ancora fatto parola.
«Che
cosa è successo? Sapete, sono Mantovano e non del tutto aggiornato circa cosa
sia accaduto qui. Spiegatemi, per favore.»
Le
sue guance si tingono di rosso. Abbassa la voce per farfugliare: «Eh i
Domenicani avevano la cura spirituale delle suore di San Raffaele ma … col
pretesto della confessione, si incontravano per … ehm … motivi carnali. La
castità è stata violata … nelle celle dei frati son state ritrovate lettere
d’amore e berretti e fazzoletti ricamati dalle monache come pegni … Povere
donne! Solo 3 hanno mantenuto la santità della vita, le altre erano state tutte
viziate. Quando la faccenda è stata presentata al Consiglio della città, il
popolo in preda allo sdegno ha imbracciato le armi e scacciato con furia i
frati da San Domenico.»
In
effetti questo appalesa il perché Basilio, o l’artigiano, abbiano ritenuto
facile il plagiare le suore, tanto più che si è trasformato nel loro
confessore, consolidando così il legame da guida spirituale. Una volta che le
ha indotte a raccontargli i loro peccati, le loro debolezze, Basilio poteva
facilmente manipolarle, conosceva su cosa far leva per confortarle o suscitare
i sensi di colpa. Deve aver fatto breccia con qualche concetto filosofico e
frase d’effetto udita dal circolo del Morone, in
questo modo le ha affascinate presentandosi come savio e dotto nelle Sacre
Scritture. Le suore si sono fidate magari lo vedevano più gentile e
compassionevole, rispetto ai chierici che le hanno in custodia, e quindi si
sono confessate volentieri con lui. Lui le ha sentite mettere a nudo il loro
animo e ha trovato per ciascuna il modo di soggiogarla, non con minacce, bensì
offrendo redenzione.
Se
ha davvero agito così, non lo si può considerare un pazzo. È un complotto
elaborato, frutto di una mente lucida. Quale poteva essere, però, il suo scopo?
Dire
di essere il prossimo Messia è una follia, ma se Basilio è sano di mente,
perché lo afferma?
Vuole
essere un novello Savonarola e prendere il controllo della città?
Oppure
è solo un ambizioso egocentrico che, prendendo spunto dal successo di Lutero,
vuole fondare una nuova chiesa per essere adorato dai seguaci?
Finora,
però, è rimasto abbastanza nell’ombra e non abbiamo rintracciato altri aderenti
fuori dal convento, a parte il Gabriello.
«Avete
detto che vostro fratello, quattro anni fa, aveva già sviluppato le sue
dottrine. Quando è cominciato tutto?»
Socchiude
gli occhi, sta calcolando.
«Nostra
madre ha conosciuto Angelo nel 1547 e ha iniziato a farlo venire in casa
qualche volta. I primi segni di malumore mio fratello li ha avuti l’anno dopo.»
Dieci
anni? È andato avanti per dieci anni! E nessuno si è accorto di nulla?
O
ha tenuto tutto per sé a lungo, oppure qualcuno lo ha protetto.
«Malumore?»
«Sì.
Sembrava vinto da un’immensa malinconia. Aveva quasi smesso di mangiare, era
taciturno, si chiudeva in camera e non dava ascolto a nessuno. Poi d’improvviso
cambiava, si riempiva di vino, si preparava misture di oppio. In entrambi i
modi era scontroso e aggressivo. Vedevo che soffriva e soffrivo anch’io perché
non sapevo come aiutarlo. Per qualche tempo credetti
che si fosse innamorato, ricevendo un rifiuto. Appurai che non si trattava di
quello. Poi, un giorno, Angelo era ospite da noi a pranzo, si è fermato a
parlargli. Non so che si siano detti in quelle ore ma dopo quel dialogo Basilio
ha ritrovato l’appetito, la gentilezza e … sono iniziate le sue predicazioni.»
«Farneticazioni,
è il termine corretto. All’epoca, però, questo Angelo non aveva ancora venti
anni. Come poteva avere un simile ascendente.»
Trema,
mi sembra affranto. Scuote debolmente il capo.
«Non
lo so. Mi spiace. Io non mi sono mai voluto avvicinare troppo a lui. Mi desta
una sensazione strana. Ha un viso dolce e gentile, davvero angelico, con
capelli biondo cenere appena mossi, le labbra scarlatte e gli occhi che
cangiano, riflettendo il cielo. Con gli anni è anche diventato alto e robusto,
senza perdere la delicatezza.»
Certo
che ne tesse fin troppo bene le lodi, per essergli antipatico.
«La
sua voce è di miele. Chi lo ascolta rimane incantato come i marinai con le
sirene. Ho visto mia madre, vedova austera da anni, sciogliersi come una
fanciulla davanti a lui. Non che mia madre si sia mai concessa a lui, lei aveva
già sessant’anni quando lo ha conosciuto, tuttavia lo trattava come un nipote e
non voleva gli mancasse nulla. Ho visto anche Basilio pendere dalle sue labbra
ed esaltarlo ogni volta che lo nominava. Non volevo che mi ammaliasse, quindi
l’ho evitato il più possibile.»
Un
giovinetto grazioso che si imbonisce uomini e donne. Chissà quanti denari e
regali avrà scucito agli Albrisi. È plausibile?
Basilio ha qualche delirio e teme, tanto che si chiude in se stesso; arriva un
ragazzotto che gli dà corda, non solo crede nelle sue teorie ma lo incoraggia e
gli dà forza, tanto che Albrisio ritrova fiducia in sé. Mostra gratitudine ad
Angelo che continua ad alimentare le sue follie per il proprio tornaconto.
Sarebbe
possibile. Stride, però, con l’ipotesi di Basilio manipolatore. Il medico
sarebbe comunque in grado di irretire le suore? Oppure l’artigiano le ha
abbindolate per interposta persona, suggerendo al suo burattino cosa dire e
fare? Troppo complesso.
«Ci
sono altri che sono rimasti affascinati dal Gabriello?»
«Non
lo so.» ha risposto troppo in fretta «Non lo escludo … Perché?»
«Mi
sembra improbabile che per anni le dottrine di vostro fratello siano rimaste
fra lui e l’amico. Chi altro è coinvolto?»
«Nessuno.»
voce acuta «Cioè, con qualcuno avran parlato ma non
erano presi sul serio. E poi erano discreti, insomma, sapevano i pericoli.»
«Chi
state proteggendo? Forse non è la corrispondenza con le suore che avete
bruciato.»
Le
mani gli tremano. Lo sguardo atterrito non si smuove da me ma con le dita cerca
di recuperare il suo bastone.
«Vi
chiedo un’ultima cosa. Dove posso trovare questo Angelo Gabriello?
Vorrei sentire anche la sua versione.»
Si
blocca. Gli occhietti si spalancano. Un filo di voce: «L-lui
ha lasciato la città. Quando ci siamo accorti che l’Inquisizione sarebbe
intervenuta, mio fratello ha deciso di rimanere, lui di fuggire.»
«Capisco.»
annuisco e gli faccio cenno di andare.
Così
ha scaricato tutte le responsabilità su un individuo che opportunamente è
uscito di scena. Potrebbe aver mentito su questo Angelo, potrebbe
esserselo addirittura inventato!
Farò
controllare gli atti di battesimo e i registri dell’arte della lana: se esiste,
da qualche parte deve pur comparire.
Questo
Alessandro Albrisio sembrava convincente, mi ha nascosto informazioni ma non mi
è parso mentisse. Indagare sul giovanotto può essere utile. Oppure entrambi i
fratelli sono abili bugiardi.
Oh,
accidenti, la zuppa! È solo tiepidina ormai.
Cucchiaio
dopo cucchiaio vuoto il piatto. Avrei preferito gustarmela in tranquillità.
Vediamo
se c’è un dolcetto per consolarmi. Ortensio Lando consigliava di assaggiare la Cotognata
qui a Reggio. Proviamo a chiederla.
Vengo
accontentato. I polpastrelli di indice e pollice premono appena per saggiare la
consistenza di uno dei cubetti gelatinosi, spolverati di zucchero davanti a me.
Lo porto alle labbra. Sì, il sapore della mela è intenso e dolce. Davvero squisita.
Ora,
però, meglio rientrare.
Le
spalle scompaiono sotto il peso del mantello. Una folata mi raggela il naso e gli
zigomi al primo passo oltre il portichetto. Rieccoci in strada.
Nel
buio distinguo le forme dei palazzi e le sagome delle poche persone che s’aggirano
ancora, mi infastidisce la luce delle lampade che pendono dai muri qua e là. Rischiarono
e rendono riconoscibili i colori, i dipinti che decorano le facciate, ma spiccano
troppo sul buio circostante, mi costringono a chinare gli occhi.
Un
cigolio. Qualcuno deve oliare i cardini dell’uscio o le finestre. Passi attorno,
s’avvicinano e si allontanano. Chiacchiericcio dei passanti. La città è viva.
Un
caso come quello di Albrisio deve suscitare scalpore, molti ne parleranno. Cerchiamo
di captare qualche discorso dei passanti, magari c’è qualche dettaglio che passa
di bocca in bocca ma nessuno si azzarda a riferirlo a noi, o per paura di essere
coinvolto o perché dà per scontato che noi lo si sappia già.
«…
e allora la Caterina ha cercato la collana …»
«…
siete sicuro che si traduca così? Non voglio far brutta impressione al Maestro Corradi
…»
«…
vi dico che è così! I Benedettini di San Pietro vogliono la custodia delle reliquie
di San Prospero, visto che erano nella loro vecchia abbazia …»
«È
lui. Presto!»
Mi
giro. Non so perché, ma per un attimo m’è parso che indicassero me.
Nessuno
mi sta guardando. Nessuno sta correndo. Nessuno sta avvicinando qualcun altro.
Non
capisco.
Un
borbottio dal vicolo alla mia sinistra. L’ho superato poco fa. Che si sia cacciato
là dentro chiunque mi abbia additato?
Schiena
al muro, piatta-piatta, piccoli passi laterali, striscio i piedi per non far rumore.
Voglio sentire cosa dicono. Una voce. Una sola. Intona una litania, ha la stessa
cadenza delle preghiere ma non distinguo le parole. Un altro passo ancora, sono
sull’angolo.
« Et sia sforzato
di venir qui al deserto, al tribunal tuo, a la giusta pugna con il crucifisso in forma di serpente.»
Oh,
no! Riecco quella dannata invocazione.
Ma
allora ci sono in giro altri adepti. Lo sapevo!
Devo
fermarli. Devo vedere chi sono.
Mi
butto adesso? Sono solo, disarmato.
Pure
nel vicolo c’è soltanto una persona. Credo. Spero.
Oh,
non posso perdere l’occasione!
Balzo.
Ruoto su me stesso per aver di fronte chiunque sia nella stradina e bloccargli il
passaggio verso la via Emilia. Lo slancio è troppo. Metto male il piede sinistro,
la caviglia si piega di lato; il destro, colto alla sprovvista con tutto il peso
del corpo, slitta in avanti. Scivolo.
Intravedo
appena, prima di chiudere gli occhi, due sagome umane che scattano a correre verso
il fondo della viuzza.
Colpisco
col sedere il suolo ghiacciato, non c’è neve ad attutire. La schiena batte a terra,
poi le spalle e ricadono in ultimo le mani. Irrigidisco il collo e spingo la fronte
in avanti. La testa è salva, non ho sbattuto la nuca.
«Messere!
Tutto bene, Messere?» una voce giovane e in apprensione.
«Sì,
mi sembra. Grazie.»
Sollevo
le palpebre. Un giovanotto è chino su di me e mi offre la mano per aiutarmi ad alzarmi,
un sorriso gentile tra le labbra rossissime. Ha un cappello di pelliccia ma alcuni
ricci d’oro gli sfuggono e ondeggiano davanti agli occhi preoccupati.
Accetto
la mano. Le mie dita gli sfiorano il palmo, il bruciore istantaneo di una scossa
che mi attraversa per intero. Mi rialzo.
«Dovete
stare attento.» la sua voce è una carezza «La caduta è imprevedibile.»
«Grazie.»
mi guardo le vesti e con le mani mi scuoto di dosso lo sporco.
«Imprevedibile
come la giusta pugna con il crucifisso in forma di
serpente.»
Cosa?
Trasalgo. Anche lui è coinvolto?
Sollevo
il capo. Non c’è più.
Il
vicolo è vuoto. Mi affaccio sulla strada maggiore. Giro il capo a destra e sinistra.
Gente cammina ma lui non c’è. È entrato in un portone? Lo avrei visto almeno richiudersi,
non sono stato tanto lento. Che succede? Chi era?
Il
cuore martella il petto, mi manca il fiato.
Chi
era? Com’è sparito?
Un
momento. Giovane, ricci biondi, modi di fare confortevoli … è la descrizione di
Angelo Gabriele. Era lui? Come aveva gli occhi? Non ci ho fatto caso.
È
ancora a Reggio dunque?
Che
sia lui o meno, è comunque coinvolto e ha cercato di intimidirmi. Era una minaccia,
no?
Sì,
lo era. Un avvertimento almeno.
Basta.
Voglio tornare nella mia stanza, ho bisogno di riposo.