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Autore: Nana_13    03/11/2021    1 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 22

 

La notte delle lanterne (parte 2)

 

Quel pomeriggio, dopo una ben poco rilassante mattinata in compagnia di Najat e degli altri capi tribù, Dean aveva deciso di portare Claire al campo di addestramento, per distrarsi e permetterle di sfogarsi un po’. Quando aveva trovato lei e Rachel a trafficare con la magia, sul momento era rimasto alquanto perplesso, avendo avuto modo di sperimentare la pericolosità di entrambe, ma poi non si era sentito in diritto di obiettare. Fra tutti, Claire era decisamente la meno vulnerabile e dunque la più adatta ad aiutare Rachel nelle sue esercitazioni, così si era limitato a raccomandarsi di non esagerare, nella speranza che non distruggessero l’accampamento. Per quel giorno, comunque, avevano fatto abbastanza e Claire era stata ben contenta di seguirlo. 

All’arrivo Dean si stupì dell’arena mezza vuota, visto che normalmente era pieno di guerrieri che si allenavano. Trovarono soltanto Mark e Cedric, già lì dalla mattina, appoggiati alla bassa palizzata di legno che delimitava i confini del campo. Poco più avanti, Evan e Qiang si stavano scambiando qualche colpo, ma niente di troppo violento.

“Ehilà! Guarda chi si vede!” Appena si accorse di loro, Evan sfoderò uno dei suoi calorosi sorrisi ed entrambi interruppero l’allenamento per andare a salutarli. 

“Come mai qui?” chiese Mark sorpreso. 

Dean fece spallucce, appoggiandosi con i gomiti alla palizzata. “Mi mancava un po’ di svago.” confessò, per poi guardarsi intorno. “Cos’è questo deserto oggi?” 

Colta l’ironia, Evan ridacchiò. “Sono tutti impegnati con i preparativi per stasera, così ci siamo detti: quando ci ricapita? Abbiamo l’intero campo a disposizione, approfittiamone.”

“Già.” concordò Qiang accanto a lui. “Non siamo tipi da allestimenti noi. Preferiamo l’azione.” 

“Ben detto, fratello.” 

I due si diedero il pugno in un gesto di complicità e a Dean sfuggì spontaneo un sorriso. “Buono a sapersi. Stavo giusto pensando che Claire ha bisogno di esercizio.” Quindi lanciò un’occhiata eloquente alla ragazza, che ricambiò alquanto stupita.

“Sul serio? Mi lasci combattere contro uno di loro?” gli chiese con l’aria di chi pensa di aver capito male.

Anche Cedric sembrava scettico. “Credi sia il caso? Sai che giorno è oggi…”

Lui però annuì, dando conferma a entrambi. Era arrivato il momento di metterla alla prova in un vero scontro. Certo, era rischioso, ma Claire si nutriva ormai da due giorni proprio per arrivare preparata al plenilunio. Inoltre, voleva soddisfare la propria curiosità e verificare l’efficacia dell’addestramento a cui la stava sottoponendo. Alzando un sopracciglio, si rivolse di nuovo ai guerrieri. “Allora? Chi si fa avanti per primo?” 

Quando con entusiasmo Qiang si offrì volontario, fu colto dal dubbio che Claire potesse farcela. Il guerriero cinese era abile con le armi quanto nel corpo a corpo, ma non era detta l’ultima parola. Si trattava pur sempre di un essere umano contro un vampiro e infatti lei dimostrò ben presto di riuscire a tenergli testa. La sua statura minuta poi le consentiva di schivare più facilmente gli attacchi dell’avversario. 

Dal suo punto di osservazione Dean studiava concentrato lo scontro, senza prestare particolare attenzione ai commenti ironici di Evan e alle reazioni talvolta preoccupate degli altri due. La cosa che gli saltò agli occhi più di tutte fu la mescolanza tra lo stile di combattimento degli Jurhaysh, che Claire aveva in parte assimilato durante gli addestramenti passati, e quello in uso dai vampiri, meno evidente per via del breve tempo trascorso al castello. Ad ogni modo c’era e per chi come lui lo conosceva bene sarebbe stato impossibile non notarlo. Era un modo di combattere che puntava molto sull’aggressione e meno sulla difesa, contando appunto sulla maggiore forza fisica dei vampiri rispetto agli umani. Tuttavia, alla lunga risultò palese come la strategia di Claire si limitasse a sfruttare tale vantaggio, evitando i colpi a cui non sapeva come rispondere e attaccando più o meno a caso e nei momenti sbagliati. 

Alla fine riuscì ad atterrare Qiang, ma solo perché non fu abbastanza rapido da schivare il suo ennesimo colpo, che lo prese in pieno stomaco, scaraventandolo a un paio di metri di distanza. Cedric e Mark trasalirono, mentre Evan al contrario scoppiava a ridere. 

Visibilmente allarmata, Claire accorse subito per controllare che stesse bene. “Scusa! Non volevo colpirti così forte…”

“Tranquilla, è tutto okay.” provvide subito a rassicurarla, piegato in due per via dell’addome dolorante. “Sei una tipa tosta tu.” disse con il fiatone, una volta riuscito ad alzarsi in piedi.

Di nuovo rilassata, Claire sogghignò orgogliosa. “Sorpreso?”

“Beh, l’ultima volta che abbiamo combattuto non avevi ancora ricevuto questo piccolo aggiornamento, se mi passi il termine.” scherzò, facendola ridere.

“Mi dispiace…” 

Mentre si ripuliva i vestiti dalla terra, Qiang però le fece segno di non preoccuparsi. “Figurati, un guerriero non deve mai scusarsi con l’avversario. La prossima volta non mi farò fregare, vedrai.”

Nel frattempo, dalla recinzione Cedric li scrutava con aria piuttosto impensierita. "Sai, ora come ora, non credo mi convenga molto litigare con lei." osservò rivolto a Mark. 

L’amico annuì concorde. “Già. Appena puoi ti consiglio di chiederle scusa.”

Dean non afferrò il senso di quello scambio di battute e neanche gli interessava. La sua attenzione venne subito dirottata sull’arrivo di Juliet, che non si aspettava di vedere prima dell’ora di cena. L’istinto lo portò subito a cercare di capire di che umore fosse, reduce com’era da giorni con il morale a terra per via delle spiacevoli novità sulla sua famiglia, e al primo impatto gli diede l’impressione di essersi ripresa. Sperava solo di non invertire la rotta con quello che aveva da dirle.

“A quanto pare, oggi abbiamo avuto tutti la stessa idea.” constatò Evan, dopo averla salutata calorosamente. A dire il vero, un po’ troppo per i suoi gusti.

“Ehi!” Accortasi dell’amica, Claire le andò incontro tutta sorridente. “Credevo fossi in infermeria.”

“Visto che non c’era molto da fare, Laurenne mi ha abbonato il resto della giornata. Rachel mi ha detto che eravate qui e allora sono venuta a vedere che stavate facendo.” spiegò lei.

Al suono di quel nome, Dean vide Mark irrigidirsi e i tratti del suo volto farsi più tesi. Sembrava come sul punto di chiederle qualcosa, ma poi non lo fece. Ad ogni modo, preferì ignorarlo. Non erano affari suoi e comunque poco dopo Claire lo distrasse da quei pensieri. 

“Allora? Come sono andata?” si informò, curiosa di conoscere il suo parere sullo scontro con Qiang. 

“Abbastanza bene.” rispose, senza sbottonarsi più di tanto. “La forza fisica di certo non ti manca, ma quanto a tecnica... difetti un po’.”

Lei si finse offese, forse aspettandosi qualche lode in più. “Beh, era la mia prima volta da vampiro. Potresti scendere in campo e darmi una dimostrazione. Come mio maestro sarebbe tuo dovere, non pensi?”

Suonava tanto di sfida, Dean lo colse al volo dal suo tono. Tuttavia, non era molto convinto.

“Bell’idea!” esordì invece Evan, entusiasta. “Combatto io con te.” Neanche il tempo di dirlo, che si stava già sgranchendo i muscoli del collo e delle braccia, preparandosi allo scontro. 

“Ne sei proprio sicuro? Non vorrei ti facessi male…” lo provocò con un ghigno.

Il ragazzo però non si fece intimidire. “Non sottovalutarmi, vampiro. Scommetto che riuscirò ad atterrarti per primo.” 

In risposta Dean si accigliò, lanciandogli un’occhiata interrogativa. L’ennesima scommessa con un umano. D’un tratto ebbe come un dejà-vu. “E quale sarebbe il premio per chi vince?” 

“Un bacio, magari.” propose inaspettatamente Juliet, alludendo a una vecchia questione in sospeso tra loro due. 

La prospettiva sembrava allettare Evan, che sogghignò, per poi farle l’occhiolino. “Se sarai tu a darmelo, volentieri.” 

Il tono velatamente malizioso con cui lo disse spinse subito Dean a guardarlo male. A quel punto, non poteva più rifiutare la sfida. C’era in gioco il suo onore. “E sia.” Si tolse la maglietta per agevolare i movimenti e la lasciò sulla staccionata, prima di rivolgersi di nuovo a Claire. “Guarda e impara.” Dopodiché si diresse al centro dell’arena, dove Evan lo stava già aspettando con una certa impazienza. 

Una volta faccia a faccia, il ragazzo sollevò i pugni a proteggere il volto, fece scivolare il piede destro in avanti e piegò le ginocchia, assumendo una posizione di difesa. “Forza, fatti sotto.” lo invitò quindi con un ghigno beffardo. “Tanto quel bacio è già mio.”

“Il solito spaccone!” lo derise Qiang dalla staccionata. 

Lui e gli altri sembravano divertirsi un mondo, compresa Juliet. Diversamente dalle sue aspettative, fu Dean ad attaccare per primo, forse punto sul vivo dalla provocazione, ma Evan parò rapido il colpo con l’avambraccio. Quello scambio funse da anteprima allo scontro vero e proprio, che iniziò qualche istante dopo. Il tempo di studiarsi a vicenda per una manciata di secondi, poi il guerriero si fiondò all’attacco e Dean rispose.

Era la prima volta che lo vedeva combattere e ne rimase impressionata. Adesso capiva davvero il significato di ciò che spesso gli aveva sentito ripetere durante gli allenamenti in Scozia: non bastava il solo uso del busto e delle braccia, ogni parte del corpo doveva agire in sincrono e allo stesso tempo bisognava essere in grado di sfruttarla singolarmente a seconda dell’evenienza. Facile a dirsi nella teoria, ma vederlo mettere in pratica quegli insegnamenti fu tutta un’altra cosa. 

Poco distante, Cedric imprecò tra i denti, con gli occhi fissi sullo scontro. “È dannatamente bravo.” si costrinse ad ammettere. “Non lo sopporto.”

Sebbene fosse d’accordo, bisognava riconoscere che Evan gli stava dando del filo da torcere. Dean lo superava in forza fisica, ma il ragazzo possedeva comunque una tecnica notevole, per quanto diversa. Di conseguenza, nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro e la cosa andò per le lunghe. 

“Cos’hai da ridere?” gli chiese a un certo punto Evan, durante un breve momento di pausa. 

Dean però, nel fomento della lotta, non se n’era neanche accorto e non rispose, concentrato com’era nell’intento di prevedere la sua prossima mossa. Da parecchio non gli capitava di scontrarsi con qualcuno in sostanziale parità e questo lo aveva esaltato, infondendogli una sensazione di euforia ormai quasi dimenticata. Dopo anni di repressione degli impulsi, sentiva riemergere di nuovo l’istinto del vampiro, eppure temeva ancora di perderne il controllo. Dopotutto in pieno plenilunio non era il caso di strafare. Senza considerare poi la figura da ipocrita che avrebbe fatto di fronte a Claire. 

“Ti stai trattenendo, lo so.” disse infatti Evan con il fiatone, come se gli avesse letto nel pensiero. “Non farlo, altrimenti che gusto c’è?” 

Le sue parole lo colsero un po’ alla sprovvista e dubitò che dicesse sul serio. “Credimi, è meglio di no.” gli rispose, già più padrone di sé. 

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata, prima di attaccarlo di nuovo. La stanchezza, però, iniziava a farsi sentire e le sue mosse non erano più così avvedute, tanto che alla fine commise l’errore di lasciare un punto scoperto nella sua difesa, che Dean sfruttò all’istante. Abbassatosi con un movimento fulmineo, gli serrò le braccia intorno alla vita e spinse con forza, facendogli perdere l’equilibrio. Evan tentò di restare in piedi, ma le gambe non ressero e piombò a terra, dove Dean lo costrinse a rimanere bloccandolo con un ginocchio. “Fine dei giochi.” gli sussurrò subito dopo, chino su di lui con un ghigno trionfante stampato in faccia.

Il disappunto non tardò a manifestarsi in Cedric, che fin dall’inizio aveva tifato per Evan. “Oh, andiamo!” esclamò, battendo infuriato il pugno sulla staccionata. 

“Bello scontro, davvero. Sei stato proprio una spina nel fianco.” dovette riconoscere Dean. Erano anni che non si divertiva così. Finalmente aveva potuto battersi alla pari con qualcuno non perché gli era stato ordinato o per salvarsi la vita, bensì per semplice sfogo personale e ora si sentiva molto più leggero.

Ansante per la fatica, Evan afferrò la mano che gli aveva offerto per aiutarlo a rialzarsi. In lui non c’era la minima traccia di risentimento, al contrario. “Già, anche tu. Peccato solo per quel bacio…”

“Non mi provocare.” replicò Dean, neanche troppo ironico. Che avesse un debole per Juliet era ormai chiaro e voleva fargli capire che quella era zona preclusa.

Lui ridacchiò, cogliendo la velata minaccia. “Scherzavo, scherzavo. Rilassati.” si affrettò a rassicurarlo, mentre si allontanava per darsi una ripulita. 

Quando tornò dagli altri, Claire lo accolse con un’aria di sincera ammirazione. “E bravo il mio maestro.” commentò colpita. 

“Ora ti è più chiaro cosa intendessi per tecnica?” C’era una punta di saccenza nella domanda, ma Dean lo fece di proposito.

Lei sogghignò, afferrando l’ironia nel suo tono. “Sì, ho visto come l’hai fregato all’ultimo secondo con quella mossa da ninja…”

“Non era una mossa da ninja.” la contraddisse, sospirando paziente. “Ho semplicemente sfruttato una falla nella sua difesa. Studiare le mosse del nemico è essenziale. La forza bruta da sola non basta, specie con avversari così abili. Ci vuole astuzia e spirito di osservazione.” 

Satura dell’ennesima lezione, Claire alzò gli occhi al cielo. “Va bene, ho capito. Posso andare ora? Vorrei togliermi di dosso un po’ di terra.”

Con un cenno sbrigativo della mano Dean le diede il permesso e lei si allontanò in direzione di alcune vasche ricolme d’acqua che i guerrieri utilizzavano per ripulirsi dopo gli allenamenti. A quel punto, Cedric si scambiò una rapida occhiata d’intesa con Mark, prima di raggiungerla per poterle parlare da solo.

“Sei stata grande prima.” esordì alle sue spalle, mentre era intenta a lavarsi.

Claire gli lanciò a malapena una breve occhiata di traverso, per poi asciugarsi il viso con un panno pulito. “No, anzi. Non avrei dovuto colpirlo così forte, potevo fargli male sul serio.” replicò in tono piatto.

“Sciocchezze, se la caverà.” minimizzò lui, abbozzando un mezzo sorriso di circostanza. “Al massimo gli verrà un bel livido.”

Il tempo di concludere la frase e la tensione calò nuovamente su di loro. Ora si fronteggiavano,  entrambi con espressione incerta, consapevoli di dover risolvere una questione in sospeso, ma  senza sapere bene in che modo.

Alla fine, afflitto da sensi di colpa che cercava di nascondere con scarsi risultati, Cedric decise che era arrivato il momento di rompere gli indugi. “Claire, senti…” mormorò. Per un istante esitò ancora, per poi farsi coraggio. “Mi dispiace per ieri sera. Il tuo racconto su Greenwood mi ha spiazzato e per giorni non ho fatto altro che pensare alla mia famiglia, a quello che gli sta succedendo, e quando non sono lucido… Beh, lo sai, mi capita di dire cose che non penso. Credimi, non avevo intenzione di farti pesare il fatto che ora sei...” Seppur involontariamente, non poté fare a meno di indugiare e la cosa non sfuggì a Claire.

“Puoi anche dirla quella parola. In fondo, è quello che sono.” disse, scura in volto.

Lui annuì con un sospiro. “Ad ogni modo ho esagerato. Come al solito.” aggiunse poco dopo, riuscendo a farla sorridere. “È solo che è tutto talmente nuovo e… strano…”

Vederlo così a disagio nel tentativo di esprimere tutto il rammarico che provava la colpì così tanto da spingerla ad andargli in soccorso. “Ced.” lo interruppe allora, avvicinandosi. “Va tutto bene, non sono arrabbiata. Se mai preoccupata.”

Il volto del ragazzo si fece serio. “Di che cosa?” 

“E se Rachel non riuscisse a completare la pozione? O peggio, se la pozione non funzionasse?”

La possibilità preoccupava anche lui, ma come spesso accadeva cercò di nasconderlo dietro una risatina nervosa. “Non hai fiducia nella tua amica? Vedrai che ce la farà…”

Ormai, però, Claire lo conosceva bene e, senza lasciarsi abbindolare, gli posò una mano sul braccio per far sì che la guardasse negli occhi. “Sii serio per una volta. Supponiamo che Rachel non riesca davvero a concludere niente e io non tornassi più umana, tu… insomma…” Un groppo alla gola le impedì di concludere il discorso, costringendola a distogliere lo sguardo per evitare che la vedesse piangere.

“Ehi.” Intuendo i suoi pensieri, Cedric corse ai ripari sollevandole delicatamente il viso, affinché tornasse a guardarlo. “Qualunque cosa stessi per dire, fermati. Vampira o umana, con le squame o le antenne, non mi importa. Niente potrà cambiare quello che provo per te, non scordarlo mai.” chiarì sincero.

Incapace di parlare per l’emozione, a Claire riuscì solo di sorridere; poi, commossa, gli gettò le braccia al collo, unendo con impazienza le labbra alle sue. La risposta di Cedric giunse quasi immediata e, preso dall’impeto, la circondò con le braccia, sollevandola leggermente per stare più comodo.

Entrambi assorbiti dal momento, non fecero nemmeno caso a Dean, che li osservava a qualche metro di distanza, sempre attento a seguire ogni minimo spostamento di Claire.

“Adesso fai anche il guardone?”

La sortita improvvisa di Juliet alle sue spalle lo riscosse e, voltatosi di scatto, si accorse che lo stava fissando con aria perplessa. “Cosa? No…” balbettò. “Ma che dici? Sai che devo controllarla…”

“Dean.” lo zittì lei, interrompendo quegli impacciati tentativi di giustificarsi. “Stavo scherzando.” Sorridente gli passò un panno perché potesse asciugarsi quel poco di sudore che aveva addosso. Nonostante l’incontro con Evan fosse durato un bel po’, non dava grossi segni di stanchezza e il suo respiro era regolare come se non si fosse sforzato affatto. “Prova a darle un po’ di tregua. È dal giorno dell’incidente che si comporta bene e anche oggi è stata brava, no?” tentò di convincerlo. 

Stavolta Dean si vide costretto a concordare. “Sta imparando in fretta, devo concederglielo. Naturalmente c’è ancora parecchia strada da fare, ma la forza di volontà non le manca.”

Juliet gli sorrise di nuovo. “Merito dell’insegnante.” Poi abbassò lo sguardo, velato dall’imbarazzo. “Anche tu sei stato bravo, però.” aggiunse quasi in un sussurro.

“Grazie.” replicò lui, ricambiando il sorriso. “A questo proposito, mi sembra di aver vinto la scommessa, eppure non ho ancora ricevuto il mio premio.” ironizzò.

Per tutta risposta, Juliet finse di rifletterci su, indecisa se lo meritasse o meno. Alla fine avvicinò il viso al suo, finché le loro bocche non furono a una distanza di un millimetro l’una dall’altra, ma una volta lì esitò. Voleva tenerlo un po’ sulle spine, prima di accontentarlo. 

Dean parve intuire i suoi propositi, perché rimase immobile a lasciarla fare. Tuttavia, quando lei gli sfiorò le labbra in un rapido e casto bacio, non nascose la delusione. “Tutto qui?” domandò accigliato.

“Non vorrei che ti montassi troppo la testa.” disse, soddisfatta di averlo almeno per una volta in pugno, per poi passargli anche la maglietta recuperata dalla recinzione. “Tieni, altrimenti rischi di bruciarti con questo sole.”

Tra i presenti, infatti, Dean era il solo ancora a torso nudo e la cosa non sembrava assolutamente rappresentare un problema per lui. “Tranquilla, non c’è pericolo.” Subito dopo averla rassicurata la sua espressione cambiò e un ghigno sornione si fece strada sul suo volto. “Non dirmi che ti dispiace.” la provocò in tono insolitamente allusivo.

Colta di sorpresa, Juliet si sentì avvampare, ma non a causa del caldo. Da quando era diventato così audace? Che fosse colpa dell’adrenalina incamerata durante il combattimento? In ogni caso, non ci era abituata e le ci volle un po’ per reagire. “Dai, non prendermi in giro!” ribatté infine indignata, scatenando la sua ilarità.

Continuò a ridere anche mentre si rinfilava la maglietta e lei scosse la testa, arricciando le labbra con finta disapprovazione. Lentamente, però, Dean tornò serio e Juliet capì che stava pensando a qualcosa. Per un breve momento rimase a guardarla, senza proferire parola, poi sollevò la mano per riavviarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla treccia. Un gesto tenero che la spinse a sorridergli. 

“Sembra che tu stia meglio. Mi fa piacere.” notò lui, ricambiando.

Le fu subito chiaro che si riferiva al tracollo emotivo di qualche giorno prima, dopo che Claire aveva parlato delle fattorie e della sorte toccata ai loro genitori. In seguito nessuno aveva avuto voglia di tornare sull’argomento, tantomeno lei, così si era rintanata nel suo angolo in compagnia di se stessa e della sua disperazione, credendo di voler restare sola. L’ostinazione di Dean, però, le aveva fatto cambiare idea. Le era rimasto accanto tutta la notte, in silenzio, lasciando che si sfogasse finché non si era addormentata tra le sue braccia. Al risveglio lo aveva trovato ancora lì. “Cerco solo di non pensarci. Tenermi occupata mi aiuta ad andare avanti.” mormorò intristita. 

Lui annuì, dando segno di capirla. “Preferirei non darti altre preoccupazioni, ma ci sono delle novità e mi sento in dovere di parlartene.”

“Ahia. Di solito quando inizi così non promette bene.”

Con una certa ansia in corpo, lo vide fare un respiro profondo e poi raccogliere le idee, nell’attesa che il resto del gruppo abbandonasse il campo, lasciandoli soli. Aveva tutta l’aria di non sapere da che parte cominciare e questo non faceva che alimentare la sua angoscia. 

“Allora?” gli chiese inquieta, dopo aver salutato distrattamente Claire e gli altri.

A quel punto, Dean si decise. “Si tratta della Siria.”

L’argomento non le suonava nuovo, avendo sentito Claire accennarvi sere prima tra le altre cose, pur non ricordando i dettagli. Il fatto che ora ne stesse riparlando non faceva presagire nulla di buono.

“Najat ha deciso di organizzare una spedizione per liberare le persone prigioniere di Nickolaij. È una cosa grossa, tanto che anche Avartak e i suoi vi prenderanno parte e probabilmente richiederà tempo e sforzi per essere risolta.” le spiegò in breve.  

Fu sufficiente a insinuare in lei il sospetto di avere ragione, ma comunque lo lasciò continuare.

“Partiranno tra un paio di giorni e non si sa di preciso quando potranno tornare.” concluse Dean, buttando altra carne sul fuoco, nel palese tentativo di sondare il terreno. 

Juliet infatti aveva già capito dove volesse andare a parare, ma aveva preferito attendere un segnale da parte sua che confermasse i suoi presentimenti. “E tu vuoi andare con loro. Ho indovinato?” Non che ne dubitasse davvero. Tutt’al più si trattava di una domanda retorica.

L’espressione che vide comparire sul suo volto comunicò più sorpresa di quanto si aspettasse. Forse perché pensava di dover essere più esplicito. Evidentemente non era ancora consapevole di quanto ormai lo conoscesse bene. Con aria spossata, Juliet fece un sospiro, volgendo lo sguardo altrove. “Ascolta. Non ti mentirò dicendo che la cosa mi faccia piacere o che è giusto che tu vada, o altre cretinate simili…”

“Juliet…”

“No!” Si ritrasse stizzita quando fece per prenderle la mano. “Tanto hai già deciso, lo so. A questo punto, mi chiedo perché tu me ne stia parlando.” 

Dean aggrottò la fronte, squadrandola confuso. “Come perché? Avresti preferito venirlo a sapere da altri? Ci tenevo a informarti di persona, non potevo certo andarmene senza dire nulla.”

“Ci mancava solo che non me lo dicessi!” replicò fomentata.

La sua reazione lo colpì profondamente, tanto che per qualche istante non trovò le parole. Un evento raro nel suo caso. In seguito lo vide rilassarsi e il suo volto si rabbuiò. “Mi dispiace che tu l’abbia presa in questo modo.” disse, serio come solo lui sapeva essere.

“Come avrei dovuto prenderla secondo te? Stai per andare a rischiare la vita, incurante del fatto che io rimarrò qui, terrorizzata dal pensiero di quello che potrebbe succederti.” Riusciva a malapena a guardarlo, talmente sentiva crescere la rabbia dentro di sé. In momenti del genere era molto facile che le venisse da piangere e infatti l’impulso si presentò presto, obbligandola a distogliere lo sguardo perché non se ne accorgesse. Gesto ovviamente del tutto inutile. “Per fortuna avevi promesso di non escludermi più da certe decisioni.” Che stupida era stata a cascarci.

Dean, però, non accettò di incassare l’accusa. “Eh no, aspetta un attimo. Proprio in virtù di quella promessa ho ritenuto opportuno renderti partecipe.”

A Juliet sfuggì un ghigno amaro. Certo, facile metterla così. “Dirmelo a cose fatte è un tantino diverso che prendere insieme la decisione, non trovi?” ribatté, incrociando le braccia frustrata. “Non mi pare tanto difficile! Tu vieni a sapere una cosa, ne parli con me e solo dopo decidiamo il da farsi. Insieme, Dean. È una dinamica semplice, non capisco proprio quale sia il tuo problema!” Quel modo di fare sarcastico non era da lei, ma la paura di perderlo, unita a quella di non averlo accanto in un momento così brutto della sua vita, l’avevano trasformata nella persona aspra che non era mai stata. Forse il suo era semplice egoismo, ma per una volta non le importava.

Ad ogni modo, Dean non ne sembrò risentito. Se mai iniziava a prendere consapevolezza di aver fatto un errore a dare per scontato che avrebbe appoggiato la sua scelta. Inaspettatamente calmo, le si avvicinò e con lo sguardo le trasmise tutta la sua determinazione. “Se me lo chiedi, resterò. Per te.” 

Quella frase la spiazzò. Fin dall’inizio aveva creduto che ormai fosse tutto deciso e che lui avesse già dato la sua parola a Najat, ma adesso le venne il dubbio che forse non era così. Per un attimo neanche troppo breve fu tentata di dirgli di sì, che era quello che voleva, ma ovviamente la sua maledetta coscienza non glielo permise. “E sentirmi in colpa per averti impedito di salvare delle vite? No, non ci sto.” Nonostante tutto era la decisione giusta, anche se le faceva una gran rabbia doverlo ammettere. Non si sarebbe comportata come una di quelle ragazze morbosamente attaccate al fidanzato. 

Assumendo un’aria fiera, Dean le sorrise. “Sapevo che avresti capito.”

-Certo, sono sempre io a dover capire- pensò amareggiata. 

“Posso chiederti un’ultima cosa?”

Che altro c’era adesso? Finora non aveva dovuto mandar giù abbastanza rospi? “Avanti, parla.” acconsentì.

“Nei giorni in cui sarò via, tieni gli occhi aperti con Claire. Sarà anche migliorata, ma non è il caso di abbassare la guardia.”

Juliet dovette sforzarsi di trattenere il disappunto. Ancora non si fidava di Claire, malgrado fossero ormai passati giorni dal suo arrivo e a dispetto della fatica che l’amica stava facendo per dimostrargli la sua buona fede. “Farò del mio meglio.” tagliò corto infine, stizzita.

Dopo averla ringraziata, si avvicinò per posarle un bacio leggero sulla guancia. “Voglio solo che tu sia al sicuro.” le sussurrò in seguito all’orecchio. 

In circostanze diverse quel modo che aveva di risvegliare l’attrazione che provava per lui sarebbe bastato ad abbattere le sue fragili difese, ma stavolta Juliet si sentiva strana. A dispetto della sua opinione, Dean l’aveva avuta ancora vinta, lasciandola di nuovo con l’impressione che le sue esigenze fossero, se non del tutto superflue, almeno in parte trascurabili. A essere sinceri, quella situazione cominciava a stancarla. “Lo so.” rispose freddamente. “Ora andiamo. Si sta facendo tardi e dobbiamo ancora prepararci per la festa.”

Dal canto suo, Dean capì che non era il caso di insistere. Così annuì e insieme si avviarono verso l’accampamento.

 

Quando la sera uscirono dalla tenda per raggiungere il centro dell’accampamento, dove si sarebbero tenute le celebrazioni per il capodanno Jurhaysh, si trovarono di fronte a uno spettacolo inatteso. Addobbi e luci appesi un po’ ovunque rendevano l’ambiente quasi irriconoscibile. C’erano ghirlande colorate su ogni tenda, grande o piccola che fosse, e in lontananza l’eco di una musica tribale diffondeva nell’aria un’atmosfera di festa. La gente era allegra, i bambini tiravano i genitori per farli andare più in fretta e non perdersi gli spettacoli. Nella piazza principale, infatti, giocolieri e acrobati si stavano esibendo su un piccolo palco allestito per l’occorrenza, intrattenendo il numeroso pubblico.

“Certo che sanno come divertirsi da queste parti!” commentò Cedric, con un grosso sorriso stampato sulla faccia e gli occhi che brillavano. Per lui, infatti, era la prima occasione di partecipare a un evento tradizionale della tribù. 

“Gli Jurhaysh sono parecchio festaioli. Ti ci abituerai presto.” disse Claire ridacchiando, prima di prenderlo per mano e trascinarlo nella mischia. Sembravano due bambini al luna park.

Anche per Juliet era la prima volta, o almeno la prima volta come sé stessa e non nei panni di una duchessa del sedicesimo secolo, eppure non provava nemmeno un quarto dell’eccitazione di quei due. La mezza discussione con Dean aveva spazzato via l’entusiasmo per la serata, lasciandole solo l’amaro in bocca. Amaro che aveva tutta l’intenzione di togliersi bevendo qualcosa.

Seguirono Cedric e Claire verso un piccolo palchetto in legno, dove un tizio stava facendo volteggiare con maestria cinque torce infuocate sopra la testa, tra gli applausi e lo stupore generale. Rimasero a guardarlo per un po’, quando d’un tratto si sentirono chiamare da lontano e videro Laurenne e Samir avvicinarsi.

“Vi state godendo lo spettacolo?” domandò la sciamana, raggiante e favolosa nel suo abito colorato e pieno di perline.

Samir, però, si intromise prima che potessero rispondere. “L’abbiamo fatta per voi!” esordì fomentato, posando ai loro piedi una grossa lanterna di carta di cui aveva tutta l’aria di andare molto fiero.

Di fronte al consueto disagio di Dean in presenza del bambino, Laurenne gli andò in soccorso, provvedendo a chiarire. “Tradizione vuole che ogni famiglia costruisca la propria lanterna da liberare nel cielo a mezzanotte. È un modo per salutare il vecchio anno e augurarsi il meglio per quello che verrà.” Con fare amorevole accarezzò i riccioli neri del figlio, che li fissava ancora sorridente. “Immaginando che non potevate saperlo, io e Samir ne abbiamo costruita una anche per voi. Ormai fate parte della famiglia.”

Commossa, Juliet si piegò all’altezza del bambino e lo coinvolse in un abbraccio. “Grazie.” le riuscì solo di mormorare, rivolgendo poi lo stesso sguardo emozionato alla sciamana. “Grazie di cuore. È stato un pensiero davvero gentile.” Era un sollievo continuare a prendere atto giorno dopo giorno di quante persone meravigliose si potessero incontrare e di come la loro compagnia avesse avuto un effetto quasi terapeutico in alcuni momenti della sua vita non proprio idilliaci. Senza quel supporto probabilmente non avrebbe mai potuto superare certe avversità.

Dopo aver ricambiato il sorriso, la donna augurò a tutti un buon proseguimento e insieme al figlio li lasciò per raggiungere un gruppo di madri circondate da un’orda di bambini scalmanati.

L’ora del banchetto arrivò al termine degli spettacoli, quando Najat invitò tutti i guerrieri e gli ospiti d’onore a riunirsi attorno ai tavoli che aveva fatto allestire per l’occasione. Tra questi scoprirono di esserci anche loro, così si affrettarono ad andare a salutarla, per non sembrare maleducati. In seguito presero posto al loro tavolo, a qualche metro di distanza da quello grande e variopinto dove il Qahyd sedeva insieme ai suoi capitani, trovando anche Evan, Kira e Qiang, oltre ad altri guerrieri che avevano avuto modo di conoscere in quei giorni di permanenza al campo. 

Quando tutti si furono sistemati, Najat afferrò la sua coppa di vino e si alzò in piedi. “Amici miei.” esordì con voce ferma e sorriso composto, richiamando l’attenzione su di sé. Il brusio generale scemò piano piano, finché gli occhi di tutti furono puntati sul comandante, in attesa del suo discorso.

Mentre Najat parlava, tra i tavoli venivano riempite delle coppe simili a quella che lei teneva sollevata davanti a sé. Quando arrivò il loro turno di riceverla, Cedric ne annusò il contenuto, riuscendo a stento a trattenersi dal tossire. “Che diavolo c’è qui dentro?” chiese sottovoce a Kira, seduta di fronte a lui.

Bushriā.” rispose lei sbrigativa, tornando subito dopo a seguire con aria attenta il discorso del comandante. 

L’occhiata che Cedric le rivolse era tutta un programma. “Grazie Mulan, adesso è molto più chiaro.”

Dall’altro lato, Qiang ridacchiò. “È il vino tradizionale del capodanno Juhraysh. Quando Najat avrà finito, proporrà un brindisi e dovremo berlo tutti insieme.”

“Non ha un odore invitante…” osservò Juliet, storcendo il naso. 

“Aspetta di sentire il sapore…”

“Volete stare zitti?” li rimproverò Kira, per poi fulminare il fratello con lo sguardo. “Nostro padre ci guarda.”

Lui alzò gli occhi al cielo e tornò a seguire il discorso, ormai giunto alla conclusione.

“Spero apprezzerete la festa. Godetevi un po’ di svago prima della vostra partenza, ve lo siete meritato. Al nostro futuro!” esclamò la guerriera, sollevando ancora di più il bicchiere per dare il via al brindisi. Dopodiché lo portò alle labbra, subito imitata dagli altri.

“Adesso! Giù tutto d’un fiato.” disse Qiang, prima di fare lo stesso.

Mentre gli altri commensali si abbandonavano ad applausi e grida di giubilo, Juliet e Rachel, così come Mark e Cedric, per poco non si strozzarono con la loro dose di vino, facendo scoppiare a ridere tutti quelli che sedevano con loro. 

“Con cosa lo fate questo vino? Fiamme dell’inferno?” domandò Cedric tra un attacco di tosse e l’altro, la voce resa roca dal forte sapore della bevanda.

“Caffè, uva, spezie e molto alcool. Immagino che voi ragazzi di città non abbiate mai bevuto niente di simile.” li schernì Evan, ridacchiando; poi sul suo volto si aprì un ghigno di sfida. “Scommetto che non riesci a berne un altro bicchiere.”

Punto nell’orgoglio, Cedric non se lo fece ripetere e come prevedibile accettò la sfida, incitato subito da Qiang e dagli altri guerrieri. 

Nel giro di breve tempo, tutti divennero preda dell’entusiasmo dato dall’alcol e dalla voglia di dimenticare le proprie preoccupazioni, almeno per un po’. Tutti tranne Dean. Rimuginava ancora sul discorso di Najat, del quale non aveva perso neanche una parola. “Cosa intendeva con prima della vostra partenza?” domandò incuriosito a Kira, l’unica guerriera ancora lucida del tavolo.

“Molte delegazioni torneranno nei rispettivi avamposti nei prossimi giorni, mentre noi ci occuperemo della Siria.” spiegò lei seria.

Anche Rachel, che era abbastanza vicina da sentirli, si mostrò interessata. “Scusa e tutto quel discorso sullo sconfiggere insieme il nemico? Credevo che riunire le tribù servisse a pianificare un attacco.” L’argomento le premeva non poco, visto che una volta completata la pozione, si sarebbe posto il problema di come somministrarla a Nickolaij e la prospettiva di avere l’appoggio di un solido esercito la faceva stare leggermente più tranquilla. In parole povere più gente c’era più aumentavano le probabilità di riuscita.

“Quella è la seconda fase.” replicò Kira, annuendo come a darle ragione. “Ciò che Nat ha fatto finora è stata un’opera di convincimento e credetemi non è stato per niente facile, ma alla fine ce l’ha fatta. Ora che sono tutti d’accordo li fa tornare a casa per radunare le truppe, così poi da pianificare l’attacco. È un processo lungo e soprattutto non è mai stato messo in atto prima. Dovrà essere perfetto.”

Le sue parole la rassicurarono un po’. Dalle premesse sembrava che l’attacco a Bran fosse imminente, invece ora scopriva di avere molto più tempo davanti a sé per preparare la pozione e non poté che tirare un sospiro di sollievo.

“Per oggi basta parlare di lavoro, va bene? È una festa, cerchiamo di divertirci!” esclamò Evan, per poi alzarsi in piedi con in mano la bottiglia mezza vuota e incitare i presenti a un altro brindisi.

Da quel momento in poi la festa degenerò. Il gruppo musicale non smise un attimo di suonare e il solito spettacolo di ballerine deliziò gli invitati già piuttosto ubriachi e chiassosi. Alcuni dei capitani più anziani si congedarono presto dopo la cena, lasciando spazio ai giovani che al contrario si stavano divertendo parecchio. Eccezion fatta per Avartak, che completamente sbronzo dava spettacolo cantando a gran voce le canzoni tradizionali del suo paese, il tutto intervallato da copiose sorsate di vino e conseguenti scrosciate di risate generali. 

Col proseguire della serata la sfida tra Cedric ed Evan si allargò, coinvolgendo nelle bevute molti altri guerrieri. E Mark.

Dall’angolino appartato in cui nel frattempo si era defilata, Rachel non aveva smesso di osservarlo neanche un attimo, forte del suo essere sobria, a differenza della maggior parte dei presenti. Qiang lo aveva appena battuto in una stupida sfida a braccio di ferro, costringendolo a trangugiare un intero boccale di birra per penitenza. Il quarto, se i suoi conti erano esatti. Vederlo ubriacarsi in quel modo la faceva sentire malissimo e per quanto Mark stesse fingendo di considerarlo un gioco, lei conosceva bene il motivo dietro quel comportamento. Ecco perché non poteva smettere di preoccuparsi. Nonostante la decisione di lasciarsi fosse stata sua, restare indifferente era impossibile.

Per un attimo pensò addirittura di imitarlo, mandare giù un sorso nella speranza che quell’oblio cogliesse anche lei, sottraendola temporaneamente al dolore, ma il pensiero delle sue condizioni la riportò ben presto alla ragione. Aveva perfino finto di bere il vino tradizionale durante il brindisi di Najat per non dover dare spiegazioni, con il rischio di portarsi sfortuna da sola. –Tanto peggio di così-. In un gesto istintivo si portò una mano al ventre. Era passato solo qualche giorno da quando aveva scoperto di aspettare un bambino. Sebbene fosse sempre decisa a liberarsene, sia lei che Laurenne avevano avuto un gran da fare e non c’era mai stata occasione di procedere con la preparazione dell’infuso che le sarebbe servito. 

Finito anche l’ultimo goccio, Mark si voltò e, quando per un istante i loro occhi si incontrarono, Rachel ebbe un tuffo al cuore. Era in uno stato pietoso, la lucidità ormai un lontano ricordo, ma nel suo sguardo poté leggere tutto il risentimento contro di lei. Poco dopo uno dei guerrieri gli mise un braccio intorno alle spalle, riportandolo tra loro e l’incantesimo si spezzò, anche se la sensazione di malessere le rimase impressa nel petto. Non ce la faceva più. Forse era arrivato il momento di andarsene, ma proprio quando stava per farlo Claire e Juliet le si sedettero accanto, mandando all’aria i suoi propositi di fuga.

“Dov’eri finita? Ti stavamo scercando…” biascicò Juliet, anche lei ormai sotto gli effetti dell’alcool.

Claire ridacchiò. “Ci è andata giù un po’ pesante, avevo bisogno di supporto morale.” mormorò, facendo in modo che non la sentisse.

“Tu invece sei più che sobria, vedo.” notò Rachel, fingendo stupore.

“Divertente.” ribatté lei con una smorfia. “Sapevi che i vampiri non possono ubriacarsi? Una noia mortale… Anzi no, aspetta, neanche la noia può uccidermi!” scherzò. 

Senza prestare molta attenzione ai loro discorsi, Juliet mandò giù un altro sorso dalla bottiglia che stringeva tra le dita, alla stregua di uno di quegli ubriaconi che si incontravano la notte nei vicoli. “Uomini. Pensano solo a loro stessi…” asserì in tono lamentoso. “Guardate Dean, per esempio. Abbiamo appena discusso e se ne sta lì a divertirsci come se niente fosse.” Con il mento accennò al tavolo poco distante, dove Evan e Qiang avevano appena sfidato Mark e Cedric all’ennesima gara di bevute, mentre gli altri urlavano incoraggiamenti chi da una parte chi dall’altra. 

In effetti, Rachel trovò Dean insolitamente coinvolto, seppur in maniera più composta. Sembrava a suo agio fra quelle persone, forse più che in ogni altra occasione le fosse capitato di vederlo. 

“È una festa Juls, è questo che si fa di solito. Ammettilo, ce l’hai con lui solo perché ha deciso di partire con Najat.” la stuzzicò Claire, prima di rubarle la bottiglia e scolarsi un goccio. 

Intuendo di essersi persa qualcosa, Rachel alzò un sopracciglio, ma prima che potesse chiedere qualcosa ci pensò l’amica a colmare le sue lacune, mettendola al corrente dei motivi del litigio con Dean e perdendosi nell’elenco non richiesto di tutte le volte che l’aveva portata all’esasperazione. 

“Che poi non è che sce l’abbia con lui perché vuole partire. Anzi, la sua è una giusta causa e sarei un’egoiscta a chiedergli di restare. È solo che avrei voluto mi avesse coinvolta nella decisione! Le coppie fanno così, giusto? Eppure a volte scembra che non gli interessi cosa penso. Forsce non tiene così tanto a me, dopotutto…”

Claire sospirò paziente. “Sai che non è vero. È andato fuori di testa quando ti ho aggredito…”

Rachel si girò di scatto a guardarla con gli occhi sgranati. “Tu cosa?” chiese allibita.

“Nulla di grave, è stato solo un incidente. Poi ti spiego.” glissò lei per tutta risposta, prima di tornare su Juliet, che intanto si era riappropriata della bottiglia. “Il punto è che tu sei la cosa più importante per lui, solo che è fatto così. È un testone.”

“Esatto! Hai detto bene!” esclamò infervorata.  “A volte è proprio un testone. E per quanto glielo ripeta, lui proprio non capisce…” e ricominciò a lamentarsi di Dean, finché Rachel, distratta ancora una volta da quello che stava combinando Mark, non smise di ascoltarla.

“Ehi, ma mi ascolti?” Juliet richiamò la sua attenzione dandole un colpetto sulla spalla e lei tornò a guardarla confusa.

“Come?”

“Ti ho chiesto cos’è successo con Mark? Vi abbiamo scentito litigare l’altra sera, poi tu sei sparita…”

“Ci siamo lasciati.” la informò allora senza troppe cerimonie, con una freddezza che sorprese anche lei e che lasciò le amiche di sasso. 

Claire fu la prima riprendersi. “Lo sospettavo. Soprattutto perché ultimamente non ti si vede più tanto alla tenda. Certo, speravo di sbagliarmi…”

Al contrario, Juliet era ancora scioccata e la guardava come se qualcuno le avesse rovesciato un secchio pieno di acqua gelida in testa. “Ma… come…”

Tuttavia, Rachel la fermò prima che potesse attaccare con l’ennesimo monologo. “Non ne voglio parlare, Juls.”

Lei stava per ribattere, ma la voce di Cedric che chiamava Claire da qualche metro più in là la fece desistere. 

“Ehi, dolcezza!” la apostrofò, facendole poi segno di raggiungerlo.

Naturalmente Claire non si fece pregare e con l’agilità di un gatto si alzò di nuovo in piedi. “Signore, è stata una bella chiacchierata, ma il dovere chiama. Continuate pure a deprimervi senza di me.” le schernì, per poi allontanarsi. 

“Ti odio!” urlò Juliet alla sua schiena.

“Non è vero!” ribatté lei senza voltarsi.

Con lo sguardo la seguirono fino al tavolo dove Cedric la stava aspettando e, una volta raggiunto, gli si sedette in braccio con fare lascivo. Un istante dopo si chinò su di lui e iniziarono a baciarsi in modo decisamente poco casto, incuranti dei fischi della gente intorno. 

“Ma guardali.” commentò Juliet, storcendo il naso. “Non so se essere felice per loro o invidiosa.” 

Rachel non disse niente, ma non poté fare a meno di pensare lo stesso. Se le cose fossero andate diversamente, adesso ci sarebbero stati lei e Mark a sbaciucchiarsi in un angolo, ubriachi e felici. 

“Che schifo l’amore.” sentenziò l’amica disgustata, scolandosi anche l’ultimo sorso.

Dentro di sé Rachel pensò che doveva essere proprio partita per dire una cosa del genere e d’istinto le venne da sorridere. 

L’espressione di Juliet si fece triste nel constatare che la bottiglia era ormai vuota. “Vado a prenderne un’altra. Ti unisci a me?” le chiese in un singhiozzo, per poi alzarsi forse troppo velocemente. Un giramento di testa la colse e sembrò quasi ripiombare sulla panca, ma all’ultimo momento riuscì a reggersi al tavolo, ritrovando un equilibrio, seppur precario. 

Rachel scosse la testa per declinare l’offerta, anche perché era da un pezzo che intendeva abbandonare la festa e quella era l’occasione giusta. Stava già pregustando un meritato riposo, quando con la coda dell’occhio vide Claire bisbigliare qualcosa all’orecchio di Cedric, per poi alzarsi e, dopo averlo guardato maliziosa, prenderlo per mano e trascinarlo via con sé.  

Non c’era bisogno di particolare immaginazione per intuire dove stessero andando e come si sarebbe conclusa la loro serata, così Rachel non ebbe altra scelta che tornare a sedersi, conscia di doversi rassegnare ancora per un po’ a quella tortura.

A fatica si impose però di non continuare a tormentarsi su Mark, sempre più ubriaco e distante da lei, sebbene a separarli ci fosse solo qualche tavolo. Così vagò con lo sguardo altrove, finché la sua attenzione non fu attirata dai gridolini eccitati di un gruppetto di bambini assiepati intorno a un omone dalla pancia prominente, che stava distribuendo delle candele accese, e d’un tratto realizzò che doveva mancare poco a mezzanotte e al tradizionale lancio delle lanterne.

Mossa da un improvviso spirito di iniziativa, prese il regalo di Laurenne e Samir e, avvicinatasi anche lei all’omone, gli fece capire con il dito di volere una candela. Quando, però, lui si offrì sorridente di accendergliela, Rachel rifiutò con un sorriso altrettanto cordiale. Preferiva pensarci da sola. Si allontanò quindi dalla calca, fermandosi solo una volta sicura di essere sola. Posizionò la candela nella lanterna, sul supporto costruito apposta per lo scopo, e con un semplice gesto della mano la accese. Con sguardo rapito rimase a osservare la fiamma aumentare di volume, mentre il calore faceva gonfiare la sottile copertura in foglie di palma pressate e intrecciate. Purtroppo, però, non tirava abbastanza vento quella sera e Rachel temette che non sarebbe riuscita a prendere il volo, prima di ricordare che in fondo l’aria era il suo elemento. 

Preso un bel respiro, si concentrò allora sulle flebili correnti che la circondavano, lasciandosi pervadere dalla loro energia nascosta; poi, con un movimento sinuoso delle mani provò a metterle insieme per creare una folata di vento degna di questo nome, con cui finalmente poté far fluttuare la sua lanterna. Soddisfatta delle sue capacità, si concesse un sorriso, mentre la guardava salire sempre più in alto e unirsi al fiume di luci che si stavano alzando in volo da ogni angolo dell’accampamento, finché non fu così lontana da diventare anch’essa uno dei tanti puntini luminosi che costellavano il cielo buio. 

Con gli occhi ancora pieni di quello spettacolo mozzafiato, Rachel pensò a quanto le sarebbe piaciuto fare lo stesso, lasciare tutti i suoi problemi a terra e volare via libera e leggera come una lanterna di carta. 


 

   
 
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