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Autore: FreddyOllow    04/11/2021    0 recensioni
Thomas Horke è un uomo depresso, apatico, imprigionato in un vuoto abissale che si porta dietro da sempre. Ogni notte, scoccata la mezzanotte, si siede sul parapetto del tetto e guarda giù.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1

Tornato a casa, mi buttai sul letto e fissai il soffitto. Chissà com'è essere famoso? Essere ammirato per i propri lavori, avere dei fans. Più ci pensavo, più preferivo non esserlo. Molti avrebbero parlato male di me, giudicato il mio pensiero, criticato i miei lavori. Quante sarebbero state false critiche bonarie? Quante quelle oneste?
Compresi che non era questo il problema, non temevo il giudizio. In realtà non m'importava niente della fama. Non riuscivo nemmeno a sentire l'eccitazione di come doveva essere. Vuoto. Totale. Esistenziale.
Chiusi gli occhi e ascoltai il traffico fuori dalla finestra. Mi addormentai.
Mi svegliai verso le tre del pomeriggio e restai sul letto a fissare un fascio di luce polveroso filtrare da uno spiraglio nella tenda. Mi alzai, mi sciacquai la faccia e accesi il pc portatile. Andai sul forum di pittura e scrollai le varie sezioni. Nessuno scriveva nella chat da quasi un mese.
Lessi i commenti di una discussione dal nome: il mio primo disegno sfumato.
Non dirò nulla sul disegno, perché c'è molto da dire, ma le sfumature sono tutte sbagliate.
Un disegno infantile e privo di vita.
Gli alberi li avrei fatti diversamente, sembrano fatti da un bambino.
La prospettiva è fatta malissimo. Non sai disegnare. Prima di postare, impara a disegnare.
Ma avevano capito che era il suo primo lavoro? Dov'erano i consigli? I suggerimenti? Dove? Per poter condividere una propria passione dovevi per forza essere Van Gogh?
Uscii dal forum, mi alzai e andai a stapparmi una birra. Le giornate che più odiavo erano quelle in cui non avevo niente da fare. Lanciai un'occhiata verso la tela bianca messa contro il muro. Sentivo il bisogno di riempirla, di sporcarla, o forse era il vuoto interiore che volevo colmare.

Alle sei andai a fare una passeggiata. M'incamminai nelle caotiche strade di Harmony e giunsi al parco. Mi sedetti su una panchina e fissai il gettito d'acqua di una fontanella sgorgare in un'ampia fontana.
"Thomas!"
Mi voltai. Era Lea in compagnia di una sua amica. Una ragazza sopra i vent'anni, magrolina, lunghi e ondulati capelli castano scuro, naso aquilino. Indossava una maglietta nera e jeans grigi strappati.
Si fermarono davanti a me.
"Ehi, Lea."
"Sei da solo?"
"Facevo una passeggiata."
"Anche noi." Guardò la sua amica. "Patricia, Thomas. Thomas, Patricia."
Le porsi una mano. "Piacere."
Me la strinse. "Piacere mio."
"Quindi sei da solo?" sorrise Lea.
"Così pare."
"Vuoi unirti a noi? Stiamo andando al Crazy JoJo."
"Grazie, ma ho da fare."
Si accigliò. "Oh, va bene..."
Mi alzai. "Ci vediamo."
"Sì... ciao."
Mentre mi allontanavo, gettai uno sguardo alle mie spalle. Patricia stava dicendo qualcosa a Lea. Quando si girarono verso di me, fecero finta di niente e si avviarono dall'altra parte del parco. Sapevo che non si era bevuta quella scusa. A volte mi sentivo anche in colpa, ma sapevo che, conciato com'ero, una donna era l'ultimo dei miei pensieri. E non mi andava di trascinarla nel baratro insieme a me.
Mi sedetti sugli scalini di una palazzina e divorai un panino con la carne. Tutt'attorno la gente rideva, scherzava e la solitudine mi colse come una coltellata nello stomaco. Tornai al mio appartamento, posizionai il cavalletto sul balcone e posai la tela. Il sole calava dietro i tetti degli edifici e mandava tinte rossastre nel cielo. Lo dipinsi. Pennellate veloci, nervose. Dopo due minuti mollai tutto.
Schifo totale!
Non mi andava di fare niente. La strana e improvvisa stanchezza che si era impossessato del mio corpo era in realtà angoscia. Angoscia di cosa?
Mi sedetti sul divano e guardai un film horror sul pc portatile.
Parla di un ragazzo che, durante una banale passeggiata nel bosco, incontra uno strano essere astratto. Da lì cominciano una serie di eventi assurdi che non riuscirei a spiegare nemmeno se leggessi la trama.
Finito il film, che trovai sul limite della follia e della confusione, guardai l'orario sul pc. Mancavano dieci minuti a mezzanotte. Era la prima volta che non mi andava di salirci. Non ne avevo proprio voglia. Anzi, non mi andava di fare niente, nemmeno di alzarmi dal divano. Mentre pensavo a Lea, il volto di mia madre si materializzò davanti agli occhi. Uno sguardo grave, sospettoso e acido.
Scattai in piedi e uscii dall'appartamento. Salii le scale e mi sedetti sul parapetto del tetto.
Ora buttati di sotto! Non vedi quanto fa schifo la tua vita? Non hai nessuno, sei solo. SOLO!
Non era la voce che mi convinse a farlo, ma la faccia di mia madre. Lo sguardo sempre contrariato per ogni cosa che dicevo e facevo, quella stridula voce che mi incolpava di averle reso la vita un inferno.
Non volevi che nascessi? Ti semplifico la vita! Sarà colpa tua! TUA!
Guardai la mezza luna con gli occhi umidi, li chiusi.
Saltai.
Finalmente...



 

2

Qualcuno mi afferrò dalle spalle e mi trascinò giù dal parapetto, il cuore che mi schizzava dal torace.
Non volevo morire. Non volevo! Che cazzo mi è passato per la testa?
"Lo sapevo che c'era qualcosa che non andava." La voce mi arrivò distorta, lontana.
Mi voltai, frastornato, le labbra asciutte, gli occhi sbarrati.
Era Derek. "Cosa volevi fare? Volevi ucciderti?"
Non riuscivo a trovare le parole.
"Forza, tirati su. Vieni con me. Ti preparo qualcosa."
"Io... non..."
"Sssh. Non parlare. Sei scosso."
"Sto... sto bene."
"Non stai bene. Forse non lo sei da un bel po' di tempo."
Aprì la porta del tetto e scendemmo la rampa di scale. Quando entrammo nel suo appartamento, Toby ci scodinzolò tra le gambe, come se non vedesse l'anziano da una vita.
Derek mi condusse nel soggiorno, accese la tv e andò in cucina.
Fissai il vuoto. Le immagini scorrevano, ma non riuscivo a vedere niente. Mi guardai le mani. Tremavano. Non le sentivo, eppure era così.
Forse mi sono pisciato addosso. Abbassai lo sguardo. Niente. I battiti cominciarono a rallentare.
Derek entrò nella stanza con due tazze fumanti. Me ne porse una. "È camomilla."
Non mi piace. "Grazie..."
Si sedette al mio fianco e sorseggiò la bevanda, preso dal film western, o almeno dava questa impressione.
Restammo in silenzio fino alla pubblicità. Non riuscivo a parlare.
Ricominciò il film. "Perché l'hai fatto?"
Lo fissai.
"Sapevo che c'era qualcosa che non andava. Quando sei venuto a cena da me, ne ho avuto la conferma."
Mi limitai a guardarlo.
Posò la tazza sul tavolino ovale. "Mia moglie... Lei... lei aveva l'alzheimer. Non era nel pieno della malattia, ma all'inizio. Si dimenticava le cose, a volte chi ero o chi era lei. Poteva durare un momento, diversi minuti, a volte ore." Abbassò lo sguardo su Toby, gli accarezzò la testa. "Un giorno tentò di togliersi la vita. La trovai distesa nel bagno. Aveva ingoiato non so quanti tranquillanti..." Gli occhi gli si umidirono. "Quella volta le andò bene. Bastò una lavanda gastrica, ma... non fu un caso isolato. Cercò di uccidersi in altri modi... Io... non... non capivo. Pensavo fosse la malattia, invece... lei voleva uccidersi. Me, me lo disse un giorno quando..." Scoppiò in un pianto sommesso. "Non voleva vivere così. Non voleva dimenticare i nostri anni insieme. Preferiva uccidersi prima che..." Si asciugò le lacrime con la manica della giacca di lana. "Aveva paura di dimenticare, di dimenticarmi. Così l'ho lasciata andare... Si è addormentata con la testa sul mio petto. Voleva... voleva sentire il mio cuore battere mentre se ne andava..."
"Mi dispiace." Le parole mi uscirono di getto. Percepii un nodo alla gola e mi trattenni dal piangere.
Derek mi guardò con gli occhi arrosati. "Tu hai lo stesso sguardo. La stessa sofferenza. Ho creduto che tu, insomma, che fosse normale, che fosse il tuo sguardo. Dopo che hai cenato con me, i tuoi occhi sono cambiati, si sono rilassati. Mi sei sembrato felice. E li ho capito."
Ed era così. Avevo cenato e guardato un film western con un vecchio, eppure ero stato felice. Con nessuno avevo provato una simile serenità.
"Ti ho visto uscire questa notte. Ho intravisto il tuo sguardo sconvolto e non mi è piaciuto per niente. Così ti ho seguito... Ti sei seduto sul parapetto."
"Sei rimasto a osservarmi per tutto quel tempo?"
Derek annuì. "E ti dirò anche che non è la prima volta. È da quando sei venuto a cena da me che ti osservo."
"Quindi... quindi non stavi dormendo quando me ne sono andato?"
"Certo che sì. Mi sono svegliato appena hai chiuso la porta. Invece... Quando... quando sentivo la tua porta chiudersi a mezzanotte, qualcosa mi diceva di seguirti. Sentivo che avresti fatto qualcosa di... di sbagliato."
Non sapevo cosa dire. Più lo guardavo negli occhi, più mi sentivo nudo, esposto. Una sensazione sgradevole. Non mi era mai piaciuto sentirmi così, come non mi era mai piaciuto che gli altri mi leggessero dentro. Non avevo nulla da nascondere, eppure era una cosa che temevo. Non volevo che gli altri vedessero quanto in realtà fossi fragile e sensibile. Non volevo dare in mano agli altri il potere di farmi soffrire, di annientarmi.
Ma lui è solo un vecchio col suo cane. Un vecchio che si è preoccupato per me.
Si alzò. "Sarei più tranquillo se dormissi qui, questa notte. Ho una stanza per gli ospiti, in fondo al corridoio. Ultima porta a destra." Prese le due tazze vuote e andò in cucina.
Restai seduto per un lungo momento, l'acqua del lavabo che scorreva nella stanza adiacente. Fissai lo schermo della tv. Dietro un tavolo, una donna dava le notizie del primo mattino.
"Una nuova svolta sul caso Francis. Non si è trattato di omicidio, ma di suicidio. Stando alle nuove prove del procuratore Alexis Johnson, Francis si sarebbe ucciso con..."
Mi alzai, spensi la tv e andai in cucina. Trovai solo Toby che mangiava le crocchette dalla ciotola.
Uscito nel corridoio, un fascio di luce filtrava attraverso uno spiraglio nella porta socchiusa. Si spense.
Rimasi immobile per un attimo. Toby zampettò accanto ai miei piedi e scodinzolò nella camera di Derek. Sorrisi e girai la maniglia della camera degli ospiti.



 

3

Mi svegliai con una strana felicità. La stessa che mi aveva da sempre dato sui nervi. La percepivo come un emoziono falsa. La temevo. Quando le cose andavano bene o ero felice, l'universo mi lanciava buchi neri. Ma ora ero in pace con tutto e tutti.
È solo un momento, una cosa di passaggio. Tra poco tornerai ad essere depresso. Tornerai ad avere il mondo contro. A sentirti una nullità, un fallito! Tu sei un fallito, lo sai! Guardati allo specchio. Sei il riflesso del fallimento.
Mandai via quei pensieri, ma ritornarono più insistenti di prima. Cominciai a innervosirmi. Aprii la porta. Un intenso odore di caffè mi pervase le narici. Andai in bagno e mi sciacquai la faccia.
Quando entrai in cucina, vidi Derek seduto al tavolo, in mano una tazzina di caffè. "Buongiorno."
"Buongiorno."
"Ho appena fatto il caffè. Serviti pure. Le tazze sono sopra la mensola, accanto al frigo."
"Grazie." Me ne versai un po' e mi sedetti al tavolo.
Facemmo colazione in silenzio, interrotto dal masticare rumoroso di Toby.
Derek posò la tazzina sul tavolo. "Oggi è domenica. Cosa farai?"
Niente. Nei fine settimana sono una sagoma stagliata su uno sfondo sfocato. Non esisto. "Non lo so. Non organizzo mai le giornate."
Sospirò. "La vita avrà sempre l'ultima parola sui tuoi impegni. L'ho imparato poco prima di sposare Helen." Sollevò una foto che teneva posata sul grembo e la osservò a lungo. Me la porse. "Lei è mia moglie. La mia Helen."
Era una foto in bianco e nero. Derek era quasi irriconoscibile. Spalle ampie, da nuotatore, occhi vivaci, capelli tirati all'indietro e un viso meno scavato. Indossava un abito elegante, una cravatta e una rosa nel taschino esterno della giacca.
Helen era stupenda con quel sorriso solare e quegli occhi grandi e pieni di vitalità. Era molto più bassa di Derek e mi dava la sensazione che fosse lei la più forte dei due. Portava i capelli raccolti in uno chignon e indossava un lungo abito bianco ricamato dalle braccia. Entrambi apparivano come due persone semplici, genuine, come i loro vestiti.
Accarezzò Toby che si era sistemato ai suoi piedi. "Ci siamo sposati in gran segreto. La sua famiglia non accettava il nostro fidanzamento."
Gli resi la foto. "Perché?"
Fissò il pavimento. "Helen proveniva da un famiglia agiata, mentre io... beh, ero povero. Avevo un lavoro quando la conobbi, ma un un'anno dopo mi licenziarono. Tagli al personale. Così poco dopo mi ritrovai senza un soldo. Cercai persino di troncare con lei, in quanto avrebbe vissuto senza avere niente. Ma Helen non volle saperne. Era testarda..." Sorrise e osservò la foto. "Quando la sua famiglia ha scoperto che ci vedevamo in segreto, suo padre è venuto da me e mi ha detto di lasciarla stare... Non ha detto proprio così. Mi ha minacciato. Non dissi niente a Helen e cercai di allontanarmi..." Abbassò lo sguardo. "Suo padre aveva ragione. Non le potevo offrire una vita agiata. Non potevo portarla fuori a cena, comprarle qualcosa di carino. Quando arrivò il suo compleanno... non potevo darle niente. Ma lei rimase con me... Dopo un anno e mezzo trovai un altro lavoro e riuscii a mettere qualcosa da parte. Anche lei trovò lavoro in un negozio di abbigliamento, contro il volere del padre. Alla fine ci sposammo di nascosto e venimmo a vivere qui." Si guardò intorno. "Ogni angolo di questa casa mi parla di lei. A volte sento la sua voce, come se mi chiamasse da un'altra stanza."
Provai una nota di invidia nei suoi confronti. Non avevo mai provato un'amore simile e forse non lo proverò mai.
Mi guardò. "Tu hai una ragazza?"
"No, e mi va bene così."
"Qualcuno ti ha spezzato il cuore?"
"Più di una."
"Ti va di parlarne?"
Toby salì sul grembo dell'anziano e sbadigliò.
Sospirai. "Con la mia ultima ragazza andava bene, ma c'era qualcosa di... non so come dirlo, non trovo le parole. Era come se stesse con me per qualcos'altro. Per paura."
"Paura della solitudine?"
"Ecco, sì, era quella la sensazione. Non me le sono mai presa con lei, ma era una cosa che mi logorava dentro. Non era più come prima. Non mi amava. Lo vedevo, lo sentivo. Era tutto forzato. Abitudine, credo. Dopo quella storia non ho più cercato nessuna donna. Sto bene così."
"E solo perché non hai incontrato quella giusta."
"Può darsi, ma non ho mai creduto nell'amore."
Derek sorrise. "Se avessi visto me e Helen, forse ti saresti ricreduto."
Già...



 

4

Nel pomeriggio tornai nel mio appartamento e mi feci una doccia. Appena mi sedetti sul divano a guardare un film sul pc portatile, squillò il cellulare che avevo lasciato in bagno. Andai a prenderlo.
Era il dottor Waren. Cosa vuole? "Sì?"
"Salve, Thomas. Come va?"
Una merda, come al solito. Sai, ieri sono quasi riuscito a uccidermi. "Bene, tu?
"La dottoressa Sullivan mi ha detto che una sua paziente ti ha minacciato di morte e che..."
"Intendi Fiona?"
"La conosci?"
"No, ho solo sentito la psicologa chiamarla per nome."
"Ne sei sicuro?"
"Certo. È solo una pazza che mi ha fissato per tutto il tempo nella sala d'aspetto."
Non rispose subito. "Ha fatto solo questo?"
"Sì, solo questo."
"Ti è sembrata nervosa, arrabbiata o..."
"Non aveva nessuna espressione particolare. Anzi, pensavo che stesse dormendo con gli occhi aperti. Non li sbatteva mai. Era un po' inquietante."
"Prima che tu entrassi da Carla, ha fatto qualcosa di insolito?"
"Insolito come?"
"Ti ha seguito? Ti è apparsa nervosa? Ha fatto qualche gesto strano?"
"No, ha continuato a fissarmi. Anche quando la psicologa le ha detto che aveva sbagliato giorno dell'appuntamento, ha annuito e ha continuato a fissarmi."
Il dottor Waren sospirò. "Capisco. Grazie per le risposte. Buona giornata."
"Aspetta! Perché mi ha fatto queste domande? Perché mi hai chiamato?"
"Volevo capire se c'era un nesso tra voi due, se la conoscevi."
"Quindi è davvero pazza?"
"Sai che non posso parlare degli altri pazienti. Ora devo andare. Buona giornata."
Posai il cellulare sul divano. Perché ha pensato che la conoscessi? Mi reputa uno psicopatico come lei? Oppure ha pensato che le abbia fatto qualcosa? Nemmeno la conosco.

Guardai per la centesima volta Inception e visitai il forum di pittura. Notai che ci stavo entrando spesso e non capivo perché.
Forse non ho di meglio da fare? Forse voglio solo incazzarmi pur di sentire qualcosa? O ne sono ossessionato? Forse ho davvero una rotella fuori posto...
Lessi un paio di discussioni e commenti di dubbio valore. Critiche sterili spacciate per costruttive. Alcuni difendevano a spada tratta la loro opera, altri se ne fregavano. I primi sprecavano tempo, in quanto c'era un botta e risposta inutile e ridondante. I secondi non davano peso alle parole. Alcuni di questi erano davvero bravi nella pittura, molto più di quelli che tentavano di trovare il pelo nell'uovo. Sono sicuro che avrebbero criticato anche la Gioconda di Leonardo da Vinci, se le avesse dipinta e postata al giorno d'oggi. Trovare l'umiltà in quel forum era come cercare oro sugli alberi. E non si trattava di persone dalla forte personalità critica, ma di stronzi.
Gli stronzi non criticano mai se stessi, né accettano critiche. Grandi o piccole che siano.
Pensai a Simon, diventato famoso. Sul forum i suoi dipinti erano stati dapprima criticati, poi passati in sordina. Ora un suo quadro stava per essere messo in mostra al Louvre. Il talento non sempre è visibile a tutti.
Uscito dal forum, raggiunsi il balcone e poggiai gli avambracci sulla ringhiera. Qualche sporadica nuvola macchiava il cielo. Di sotto, un via vai frenetico di veicoli. Guardai in su, verso il cornicione del tetto.
Se Derek non mi avesse tirato giù, mi sarei spiaccicato sul marciapiede. Comincio a credere che i miei tentativi di suicidio fossero insensati... Che cazzo mi è passato per la testa? Forse... forse sono pazzo, più pazzo di Fiona. Perché dovrei uccidermi? Non ha senso. Che vadano tutti affanculo! Non mi ammazzerò per gli altri.

Verso le cinque uscii a fare una passeggiata nel parco. Bambini che si rincorrevano, coppie sdraiate sul prato, amici che giocavano a palla, anziani seduti sulle panchine. Mentre camminavo, vidi Derek seduto sul bordo della fontana. Toby ai suoi piedi e una decina di piccioni poco più avanti. Mi avvicinai. "Dai da mangiare ai piccioni?"
"Anche loro devono mangiare" sorrise. "Passeggiavi?"
Annuii.
"Come ti senti?"
Stranamente bene. "Non male."
"Pensi ancora al suicidio?"
"Io... non credo. Non..."
"Non farlo. Non pensarci. Sei ancora giovane. Qualunque sia il motivo, non è così importante da toglierti la vita." Posò una mano sulla mia spalla. "Le emozioni negative sono lì per dirti qualcosa, ascoltale, accettale. Ma non farti trascinare da loro, ok?" Ritirò la mano.
Poche parole che mi fecero capire quanto Derek ci tenesse a me. "Ok."
"Stasera ceni da me?"
"Certo, perché no."
Sorrise e gettò una manciata di molliche ai piccioni.

   
 
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