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Autore: Enchalott    08/11/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Verso Shamdar
 
Mahati fissò gli sprazzi d’azzurro che si alternavano al rotolio delle nuvole grigie. La pioggia era cessata, l’attacco sferrato alla città aveva dato gli esiti sperati e il bastione sud era caduto. I Minkari avevano protetto la breccia a oltranza, ma le perdite erano state ingenti.
Approfittando del caos, Eskandar era penetrato tra le mura nemiche, così non aveva ordinato il lancio del ladi, sebbene avesse promesso di non procrastinare.
Osservò la merlatura riarsa e i filamenti di fumo che salivano dalle torri: l’amico non era tipo da lasciarsi sorprendere, nondimeno avvertiva una fitta d’inquietudine.
Tornò con la mente al tempo in cui erano ragazzini in cerca di gloria e il rapporlo un boccio destinato a fiorire.
 
«Tenete il braccio sinistro troppo basso, altezza.»
Mahati aveva sollevato uno sguardo irritato sul giovane che aveva rivolto un appunto al suo impeccabile stile di combattimento.
«Il maestro di spada non mi ha mai corretto.»
Il guerriero che lo fronteggiava, maggiore di qualche decennio, aveva alzato le spalle.
«Cambiatelo, in un vero duello vi giochereste il collo.»
Il principe aveva aggrottato la fronte alla non velata analisi. Date le batoste ricevute da Rhenn, il desiderio di licenziare l’istruttore era potente. Ma Kaniša aveva imputato le ripetute sconfitte alla sua inadeguatezza, non a quella di chi lo addestrava.
«E vi distraete in continuazione» aveva tranciato l’altro, sfiorandolo di punta.
Mahati aveva fatto un salto all’indietro e d’istinto aveva sguainato la seconda spada. Stringerle entrambe lo faceva sentire sicuro, ma l’antagonista aveva scosso la testa in aperta commiserazione.
«Se siete deciso a montare, imparate a usare una sola mano. Anche il vradak più fedele può compiere movimenti bruschi e disarcionarvi. Non potete mollare le redini. Non ve l’ha detto vostro fratello?»
Aveva preso male l’ennesimo raffronto con Rhenn, una bilancia sulla quale gli era sempre destinato il piatto sbagliato. Aveva percepito l’ondata rovente della collera, però aveva rinfoderato, diviso tra l’orgoglio ferito e l’ostinazione.
«E ora alzate quel braccio prima che ve lo tagli» aveva chiuso l’oppositore.
Mahati si era difeso bene ma aveva perso lo scontro, confermando suo malgrado le ragioni del più esperto. Questi non aveva mostrato né spocchia né soddisfazione, gli si era seduto accanto per elargirgli ulteriori suggerimenti. Si era rivelato preparato e lo aveva incuriosito.
«Come vi chiamate?»
«Eskandar. Al vostro servizio.»
«Posso chiedervi quanti anni avete?»
«Centottanta, mio signore»
La sorpresa si era accresciuta: molto giovane eppure tra loro c’era un abisso.
«Siete abile, non mi stupisco che siate già reikan e vi abbiano mandato qui.»
«Non mi hanno scelto. Sono l’unico ad aver accettato.»
Il principe aveva spalancato gli occhi senza capire e l’altro aveva sorriso furbo.
«Istruire il figlio del re comporta notevoli rischi, soprattutto se si fa male o si dimostra ribelle. La possibilità di essere giustiziati è dietro l’angolo.»
«Non la paventate?»
«Voglio mettermi alla prova. Come voi, suppongo.»
Mahati aveva ricambiato la smorfia sagace, apprezzandolo.
«Andremo d’accordo, Eskandar.»
Gli occhi ciclamino del reikan si erano accesi.
«Non significa che non ci andrò pesante. Sono pronto a subire decine di frustate pur di educarvi al volo o a ciò che richiederete in extra.»
«Le prendo sempre da Rhenn, così non è strano pensarmi come irresoluto. Ma sono più coriaceo di come appaio.»
Il cavaliere alato si era messo a ridere.
«Anch’io ho un fratello più grande, competere è un modo per esercitarsi, non ha importanza chi vince. Sebbene, ve lo confesso, sogno di sbatterlo nella polvere ogni volta che ci sfidiamo!»
«Prospettiva interessante. Mio padre dovrebbe vederla allo stesso modo.»
«Sta a voi sradicarlo dalle sue posizioni.»
 
Mahati rivolse l’attenzione ai guaritori giunti da Mardan: Rhenn era stato di parola, non restava che attendere gli esiti dell’autopsia e quadrare l’improbabile cerchio. Nel frattempo si sarebbe dedicato a Shaeta: era persuaso che non si trovasse a palazzo.
Sperò che Eskandar non si cacciasse nei guai per dar seguito alle convinzioni. Se fosse stato costretto a ritirarsi alla svelta, avrebbe potuto richiamare Ankŭrsai solo dagli spalti e non l’avrebbe messa in pericolo. Per un reikan il vradak era una parte di sé e viceversa accadeva spesso che un animale, privato del suo cavaliere, non gli sopravvivesse.
 
«Ci sei portato, Mahati! Non ho mai visto nessuno entrare in tale simbiosi con un uccello da battaglia! Fyratesh non ha quasi bisogno delle redini per obbedirti!»
Si era rallegrato, poiché il Eskandar non era prodigo di complimenti.
«E non hai visto il resto!»
Si era infilato l’imbrigliatura tra le zanne e aveva stretto le ginocchia. Quando vradak era planato sull’altipiano, aveva estratto la lama corta e aveva tranciato di netto le sagome per le esercitazioni. Poi aveva spronato, riportando in aria il rapace.
Eskandar lo aveva fissato sbalordito, la lunga treccia blu che fluttuava al vento.
«E questa quando l’hai inventata?»
«La scorsa settimana ho provato a lanciare il ladi, ma è mancato poco che prendessi fuoco. Così mi sono ingegnato su un altro tipo di attacco.»
«Sei fuori di testa! Un principe reale non scaraventa i cocci incendiari, non è compito suo! Piuttosto non trascurare il riposo, persino i Khai hanno un limite.»
«Come prossimo Kharnot non posso permettermelo. Stabilire una strategia non è ordinare la mischia, voglio agire con cognizione di causa.»
L’altro lo aveva fissato con sincera ammirazione. Poi si era espresso in un sogghigno.
«Indubbio. Ma hai centovent’anni, se ora non te la godi un po’, quando? Alla tua età andavo a caccia di femmine con un discreto successo.»
«Adesso no? Sono tutte incantate da te.»
«Ognuno ha i suoi talenti» aveva riso Eskandar «Ma quando sei presente i sospiri sono tutti per te.»
«Perché sono il Šarkumaar. Sperano di combinare il matrimonio, non hanno un reale interesse nei miei confronti. Tu sei sicuro che vogliano passare la notte con te, non con il tuo grado militare.»
Il reikan si era dimostrato comprensivo ma non gli aveva permesso di affogare nell’autocommiserazione.
«Ancora con quella storia! So che non vuoi finire come tuo fratello e che non hai voce in capitolo, ma… per l’Arco letale di Belker, se per grazia divina qualcuna ti piacesse, saresti a posto!»
«Che ne sai che non l’abbia già fatto?»
«Hai inaugurato la pratica e non me l’hai detto!?»
«Non sono solito interpellare un araldo per il mio privato.»
«Oh, andiamo! Se hai taciuto è perché si tratta di qualcosa di indecente. Non mi dire che è sposata o promessa!»
«Per chi mi hai preso!? E poi è stata più sconveniente lei!»
Eskandar lo aveva messo alle strette. Avevano continuato il botta e risposta nel vento, finché Mahati, esasperato, non aveva confessato.
«Zaflisa! Mi sono portato a letto Zaflisa!»
L’altro era quasi caduto di sella: per un istante il futuro Kharnot aveva pensato che avrebbe sfoderato la spada per tagliargli la testa o altro più in basso.
«Tu… per gli dèi! Sei stato con mia sorella!? Fai solo che ti prenda, Mahati e…»
 
Non si era arrabbiato per il chi, era suo diritto scegliersi qualunque donna libera. Lo aveva tenuto all’oscuro, mentre la vera amicizia – come aveva verificato in innumerevoli circostanze – era fatta di condivisione, di responsabilità e di rispetto. Il legame non si era intaccato: quando l’irritazione era passata, Eskandar aveva la sua predilezione accettato come un onore.
La relazione fisica con Zaflisa invece non era durata: era un ragazzino e lei non era portata per i rapporti stabili, una caratteristica di famiglia a giudicare dalle numerose conquiste dell’affascinante cavaliere alato.
La riflessione indirizzò i pensieri su Yozora. Concentrarsi su di lei gli donava quiete: una sensazione che aveva provato di rado nei suoi duecento anni e che lo aveva sempre messo sul chi vive. Non in quel caso, come se fosse lecito riposare l’animo. Si domandò come avesse accolto il veto di recarsi a Seera.
Forse sono stato eccessivo.
Ma permetterle di tornare tra i Salki sarebbe stato un passo indietro, in più era necessario che si concentrasse sulla seconda asheat.
Il pensiero lo fece fremere di desiderio. Nel profondo voleva la ragazza in barba a ogni previsione o forzata avversione. Magari perché era stato respinto ed era precipitato in un’inconscia rivalsa personale. Qualcosa di lei aveva trovato spazio dentro di lui ed era imperativo decidere se fosse un bene o un male.
Mente calma e corpo in fiamme: una dicotomia nociva, che risucchia una parte consistente dell’attenzione, quando dovrei rivolgerla al nemico e all’arma misteriosa.
Convocò Sheratan.
«Ti sei fatto un’idea su dove Amshula abbia nascosto l’erede?»
«Concordo nell’escludere i sotterranei, soprattutto dopo l’attacco odierno. Se fossi in lei, dirigerei la mia scelta su un luogo anonimo.»
Il principe annuì al ragionamento collimante: il ventaglio delle opportunità era esiguo. Andò per esclusione, immedesimandosi nella strategia di Danyal più che nell’ansia di una madre sola. Citò due alternative, Sheratan eliminò quella meno papabile.
«Organizza un’incursione e cancella i dubbi. Se Shaeta non fosse lì, invia un messo a Mardan.»
«Siete in partenza, mio signore?»
«Sì. Ti affido il comando temporaneo. Avvisami non appena Eskandar rientrerà dalla missione e controlla che non intraprenda ulteriori colpi di testa.»
«Agli ordini.»
Mahati si preparò a rientrare alla capitale, dove avrebbe dovuto giustificare la deroga all’ordine di suo padre e alla volontà di Belker. Ma altri pensieri lenirono il disagio.
 

 
Yozora si fermò sul camminamento tra gli spalti, guardando la sagoma possente di Delzhar piantata sulla merlatura con fiero cipiglio: sciocco non vagliare che sarebbe dovuta salire in groppa a un vradak.
Rhenn agguantò le redini e bisbigliò un comando. L’animale si abbassò, ma percepì l’odore della paura e diresse i feroci occhi di granato alla riluttante passeggera.
«Lo state innervosendo.»
«Invece lui mi sta mettendo a mio agio» borbottò lei.
«Non tutti gradiscono inalare l’essenza del puro terrore.»
«Deduco che voi l’apprezziate.»
«La trovo eccitante.»
Yozora fu sul punto di rispondergli per le rime, ma si trattenne: un commento inappropriato l’avrebbe messo in imbarazzo, costringendolo a reagire. E il confronto con Rasalaje le aveva insegnato a non offrirgli materiale utile.
«Non sono portata per il volo, sarebbe controproducente impormi una mortificazione che ricadrebbe sullo stimato nome del Šarkumaar
Rhenn apprezzò il rifiuto degno del galateo khai e ovviamente non corrispondente ai reali pensieri.
«Cosa proporreste?» domandò sottile.
«Banali cavalli.»
I guerrieri schierati sulle merlature si irrigidirono, mentre gli attendenti che avevano scortato il principe presero a mormorare interdetti. Li zittì con un cenno imperioso.
«Parlate senza perifrasi o salirete in arcione con le maniere dell’ultima volta.»
Yozora indietreggiò per la pericolosa vicinanza dell’animale da guerra.
«Sapete che i vradak mi fanno paura! Inoltre mancherei di rispetto a vostra moglie, che desidera volare non è stata accontentata! Non voglio rattristarla, è sconveniente un contatto tanto serrato con il fratello del mio promesso sposo!»
Nelle iridi d’ametista divampò il fuoco, ma il tono rimase controllato.
«Siete già stata in groppa con me, l’intera corte potrebbe malignare a piacimento e non me ne importerebbe un khu. Diciamo che rispetterò il generoso proposito di non dispiacere alla futura regina.»
Carezzò il rostro color ferro del rapace e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Delzhar strinse le palpebre sugli occhi sanguigni, poi spalancò le ali immense e abbandonò, le fortificazioni.
Yozora si domandò quanta irrisione contenesse l’insolito assenso, ma Rhenn sollevò una mano.
«Sellate i cavalli!»
«Altezza, voi su un mezzo di trasporto tanto vile, un animale dozzinale destinato al popolo, sarebbe fuori luogo…»
«Non mi avete sentito?»
Gli attendenti impallidirono e si affrettarono a eseguire. Quando li congedò, sui loro volti passò un’onda di stupore. Scese dalle merlature con la principessa.
«Cos’hanno di negativo i cavalli?» domandò lei.
«Non volano, sono lenti.»
«Per questo i vostri uomini sono sorpresi?»
«A prescindere dal mezzo, voi ed io viaggeremo soli.»
Yozora fece i conti con le proprie errate convinzioni: aveva immaginato che l’erede al trono avrebbe richiesto un seguito, invece non ne aveva avuto la minima intenzione. Forse voleva evitare che ficcassero il naso nella seconda asheat. Nel profondo, lei aveva sperato lo stesso e l’unità d’intenti le diede una stilettata d’ansia.
 
Due stalloni, lucidi come ossidiana e bardati con il Sole di Mardan, aspettavano all’ombra degli spalti. Alle selle erano fissate le bisacce di cuoio e i maniscalchi reggevano le briglie, troppo emozionati per sollevare gli sguardi.
Rhenn si era liberato della tenuta in pelle per indossare un abbigliamento leggero: dal mantello pendeva un cappuccio di tela bianca, atto a respingere il riverbero dei soli, la chioma era raccolta da un fermaglio blu. Montò in arcione con la sicurezza di chi è abituato, gettando alla ragazza un’occhiata ironica e osservando l’abito lungo, inadatto alla sella.
Yozora rifiutò l’aiuto e si issò con un moto d’orgoglio. Ignorò la seta svolazzante, che la espose agli sguardi altrui.
«Shamdar è lontana, altezza, ed io non sarò al vostro fianco» mormorò Mirai.
«Affronterò il viaggio, non importa se spiacevole. È una prova, vengo tenuta sotto costante esame e non permetterò al principe della corona di giudicarmi debole o irresoluta. Evitare il volo è stato il primo traguardo.»
Mirai sospirò, tutt’altro che ottimista. Non espresse le proprie opinioni, ma in cuor suo era convinta che il cavallo fosse un castigo, i cui effetti non avrebbero tardato a manifestarsi.
Rhenn piantò i talloni nei fianchi dello stallone e partì al trotto: il rimbombo degli zoccoli sul selciato attirò l’attenzione dei presenti, che fissarono sbigottiti il futuro re allontanarsi dal palazzo con la shitai in coda.
Attraversarono il portale sud, il vento del deserto li accolse con una sferzata di sabbia, che li costrinse a serrare gli occhi. Lui sollevò il copricapo e lo assicurò con gli appositi legacci: il silenzio pesò più della ramanzina che Yozora attendeva. Fu certa che l’indifferenza fosse parte dell’ammaestramento volto a persuaderla che sarebbe stato meglio non obiettare.
Non obbedirò ai suoi umori o alle sue imposizioni!
Sciolse lo scialle per usarlo a mo’ di velo, ma i granelli continuarono a pizzicarla come centinaia di aghi quando spinse l’animale al galoppo.
Il paesaggio divenne più scabro e arido via via che si allontanavano dalla capitale: le abitazioni fuori dalle cinte erano misere, alcune in rovina, fagocitate dal deserto che stappava agli esseri viventi vita e speranza. Non c’erano né sorgenti né pozzi, il caldo era insopportabile: il pulviscolo le seccò la gola nonostante la schermatura di fortuna.
Allentò le redini, consentendo al destriero di prendere il controllo, impossibilitata a sollevare il capo. Rimanere in sella divenne il problema principale e peggiorò strada facendo. Persino respirare apparve ostico.
Avrebbe voluto chiedere a Rhenn di rallentare, ma l’orgoglio la frenò. Immaginò che anche per lui esistesse un limite, tantopiù che era abituato a volare. Attese che raggiungesse la soglia della sopportazione, ma le ore trascorsero senza soste. Il pensiero che l’avesse accontentata per ripicca divenne certezza.
Avrei dovuto ascoltare Mirai.
Passò le dita sul collo sudato del cavallo, altrettanto fradicia, con il malessere aggiuntivo della sabbia che le si incollava addosso superando le vesti svolazzanti. Gli stivali bassi si erano riempiti e le toglievano presa sulle staffe. Strinse le ginocchia e si piegò in arcione, pregando che il sommo Kalemi le desse la forza. Si arrese quando il primo sole intraprese la parabola discendente.
Si fermò all’ombra di uno sperone roccioso, che emergeva alla stregua di una benedizione divina. Rhenn voltò la cavalcatura e tornò sui propri passi.
«Siete già stanca?»
«Questa povera bestia non ce la fa più.»
«Mi pare possa proseguire, è un animale addestrato.»
«Quanto manca a Shamdar? Avete parlato di viaggio in giornata.»
«Certo, ma ho valutato le tempistiche di un vradak. Con i vostri amici quadrupedi impiegheremo una settimana, salvo sorprese. Il divertimento ci attende oltre quelle creste, dove ci impegneremo a evitare i crepacci, le tempeste, le belve e gli hanran. Non angustiatevi, ci riposeremo nei momenti di caldo letale e la mia visione notturna è perfetta!»
Yozora piombò su una roccia, priva di energie. Si sarebbe messa a piangere per la frustrazione, se le fosse rimasta l’idratazione per condensare le lacrime. Non trovò il fiato per rispondergli. Bevve un sorso d’acqua e bagnò le labbra del cavallo.
«Non la sprecate» la rimproverò corrosivo il principe.
Gli lanciò un’occhiata furente, conscia di dover biasimare solo se stessa. Lo sguardo di Rhenn fendeva, nel profondo fluttuava una nota trionfante. Sapeva di aver vinto.
«Come fate a resistere?» gli domandò rauca.
«Il mio fisico è diverso dal vostro, il ruggito tre Soli mi accompagna da tutta la vita. Ogni Khai sa come sopravvivere in queste condizioni.»
La principessa si fissava le mani, troppo sfinita per muoversi.
L’Ojikumaar la guardò capitolare, la pelle arrossata dal calore e dall’infuriare della sabbia, i lunghi capelli castani schiariti dalla polvere, le labbra aride, gli abiti sgualciti. Solo le iridi brune scintillavano di perseveranza.
La mente non si è arresa, solo il suo fragile corpo.
Sorrise senza la soddisfazione che si attendeva. Smontò e le sedette accanto.
«Non mi fate notare che me la sono cercata?» mormorò lei abbattuta.
«Se proprio insistete» sogghignò Rhenn «Non è la prima volta che vedo un ragazzino caparbio alle prese con il deserto. Quando Mahati è tornato dal saakyo, era combinato esattamente come voi. Ha dormito tre giorni prima di recuperare.»
«Saakyo
«Uno degli ostacoli che i maschi del popolo demoniaco sono chiamati a superare per essere considerati adulti. Tocca a tutti superare il deserto di cenere procurandosi cibo e acqua. Una prova di resistenza e di intelligenza.»
«Presso di voi esiste qualcosa che non sia un esame?»
«Non ci sarebbe gusto.»
Yozora alzò gli occhi al cielo zafferano e provò ad alzarsi, ma le gambe rifiutarono di reggerla. Se fosse sopravvissuta avrebbe dormito tre mesi, non tre giorni. E lui aveva previsto ogni cosa. Non era certa che la seconda asheat non riguardasse proprio la tempra personale: lamentarsi, dichiarare una disfatta pur evidente sarebbe equivalso a un demerito. Ma Rhenn aveva parlato di ingegno e quella era una virtù infaticabile. Spostò lo sguardo sull’orizzonte e le sembrò di distinguere una costruzione.
«Quello è un miraggio?»
«No. È il tempio di Valarde.»
«Oh, ne ho sentito parlare. Come mai si trova in mezzo al nulla?»
«Non abbiamo superato il confine di Mardan, in teoria è costruito al limite. I Khai non lo frequentano, è tollerato per mero rispetto.»
«La dea della Montagna è generosa, perché riservarle un luogo tanto isolato?»
«Una devozione praticata dagli schiavi e dai sottomessi. Nessun guerriero di sangue piega le ginocchia se non a Belker. Mio padre aveva meditato di interdire l’accesso, poi ha pensato che l’adorazione sotterranea avrebbe causato più danni. Meglio avere l’obiettivo sotto mano.»
«State scherzando! Che male possono causare le suppliche alla somma Valarde?»
Lo sguardo di Rhenn si riempì di disprezzo, ma lasciò trapelare anche altri sentimenti.
«Nessuna deferenza per chi sostiene valori opposti a quelli del mio popolo. Le sue sacerdotesse predicano debolezza e umanità, osteggiano la guerra e si oppongono quando i loro figli vengono reclutati! Le loro azioni rendono gli shitai speranzosi e audaci, propagano un morbo insanabile!»
«Quante assurdità! Mi risulta che la principessa Rasalaje sia venuta qui!»
«Mia moglie farebbe di tutto per darmi un erede, compreso evitare che una presunta ostilità di Valarde impedisca la gravidanza. Le è stata accordata un’eccezione a patto che restasse fuori dall’edificio!»
«Quindi onorare Belker e fidarsi ciecamente dei suoi verdetti non è dogmatico?»
«Io non mi fido di nessuno!»
Yozora si alzò, dimenticando la spossatezza e l’Haiflamur che l’attendeva al varco.
«Si vede che al vostro sommo dio è gradita la presunzione!»
«Se vi è tornato il fiato, usatelo per proseguire. La pausa è finita!»
«Certo, era proprio quanto stavo meditando! Finché c’è luce posso raggiungere il tempio e chiedere ospitalità. Non dormirò all’addiaccio per la vostra soddisfazione!»
«Cosa!? Scordatevi di mettere piede tra quei miscredenti!»
«Restate fuori se vi crea problemi! Io non sono una Khai, le vostre motivazioni sono ridicole! Non mi sto consegnando a una setta di assassini!»
Diede di talloni e si diresse verso il tempio con estrema soddisfazione.
   
 
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