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Autore: Mary P_Stark    22/11/2021    2 recensioni
Il piccolo paese di Nederland, Colorado, viene stravolto dalla notizia di un rapimento incomprensibile ed Emily Poitier, fotografa e scrittrice presso una piccola casa editrice della zona, è suo malgrado costretta a rivivere ciò che, vent'anni addietro, accadde a lei.
Sarà grazie all'aiuto dei suoi amici e di Anthony, sua vecchia fiamma, se riuscirà a non impazzire a causa dei ricordi, aiutando così a scoprire chi si cela dietro al rapimento e a recuperare, una volta per tutte, la serenità tanto cercata.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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21.
 
 
 
 
Se Emily aveva pensato che, con il colpo di testa improvviso di Anthony, William Consworth si fosse un poco ammorbidito, dovette ricredersi in fretta.

Non solo non era presente in albergo, quando lei e Tony si presentarono per recuperare il resto dei suoi oggetti, ma neppure i dipendenti dell’hotel ebbero a riferire loro alcun messaggio.

Come se la partenza improvvisa del figlio non lo preoccupasse minimamente, o non significasse alcunché, per lui.

Anzi, da quel poco che avevano saputo dai dipendenti più fidati, le parole di scherno e derisione uscite dalla bocca di William, e tutte indirizzate al figlio assente, non erano certo state leggere.

Tra i più giovani era serpeggiato il dubbio, oltre a un’immensa amarezza mista a confusione, ma Tony non si era stupito neppure di questo. Suo padre non aveva certo mai fatto mistero di non fidarsi di lui, e denigrarlo apertamente coi membri più giovani dello staff sembrava essere solo la sua ultima mossa per ferirlo.

Emily aveva preferito non chiedere lumi al padre, che si trovava nell'albergo dei Consworth già da diversi giorni, ma era sempre più tentata di domandargli se, alle sue orecchie, fosse giunta voce di qualche dissidio tra i due.

Non era certa che i dipendenti fossero arrivati a lagnarsi coi clienti, ma poteva sempre succedere, e questo avrebbe potuto diventare un danno irreparabile per il nome dell'albergo.

Il tutto a discapito di Anthony che, volente o nolente, sarebbe stato il prossimo proprietario... a meno di un qualche colpo di testa di William, ovviamente.

Essendo Anthony soltanto un dipendente, e non un socio, non poteva vantare alcun diritto di proprietà, se non in caso di eredità diretta causata dalla morte prematura di William. Se il padre, per evitare qualsiasi rischio, avesse deciso di vendere, Tony non avrebbe potuto fare nulla per evitarlo.

Emily sapeva però bene quanto Anthony tenesse a portare avanti l'eredità dei nonni. Molto più dello stesso William che, invece, vi aveva sempre e solo visto un mero interesse economico e nulla più.

"Quindi, cosa pensi di fare, adesso? E non raccontarmi che non ti interessa più niente dell'albergo. Ho visto quanto impegno hai sempre speso per portarlo avanti al meglio, anche se tuo padre ti ha sempre remato contro" sottolineò Emily, sorseggiando il proprio tè.

Anthony sospirò rassegnato, si passò una mano tra gli umidi capelli castani e ammise: "Mi conosci troppo bene, perciò so già che non posso raccontarti storielle, ma è difficile accettare di rimettere piede là dentro per tornare a lavorare come se niente fosse successo."

"Hai provato a parlarne con Morgan? O con Becky?" domandò a quel punto Emily, riferendosi al maitre di sala e alla receptionist dell'albergo, le due figure più anziane all'interno dell'hotel e che più conoscevano la situazione tra i due Consworth.

"Ammetto di non averne avuto il coraggio, ma a questo punto penso che lo farò" sospirò lui, levandosi in piedi per uscire di casa.

Emily lo seguì sotto la piccola veranda d'entrata, lo baciò teneramente e infine domandò: "Sei sicuro che non vuoi che venga con te? Dopotutto, oggi non posso arrampicarmi sui monti, perciò…"

"Posso farcela. Inoltre, non voglio che tu e lui vi incrociate per sbaglio. Abbiamo già rischiato molto stamattina, quando siamo andati a ritirare il secondo carico di scatoloni. Chiederò consiglio a Morgan e Becky come mi hai consigliato, e dopo ti farò sapere come andrà il colloquio con mio padre" le promise lui, salutandola per poi discendere a piedi verso il paese.

Sospirando, Emily lo osservò allontanarsi fino a perderlo di vista, e solo a quel punto si accorse di essere osservata.

Arrossendo fino alla radice dei capelli, salutò con un cenno della mano Samuel, sulla soglia di casa e intento a cullare la piccola Sophie.

Lui le sorrise a mezzo, si avvicinò alla staccionata di confine e, indicando con un cenno la strada ormai vuota, chiosò: "Mickey si è perso il primo bacio della zia. Come facciamo?"

"Glielo racconteremo non appena lo avremo trovato" gli promise lei prima di carezzare gentilmente il capo addormentato della piccolina. "Come sta Consuelo? Spero un po’ meglio."

Annuendo con fare tranquillo, Samuel lanciò uno sguardo verso il primo piano della casa, dove si trovavano le loro stanze, e ammise: "Da quando ha parlato con tua madre, ora si sente più fiduciosa. Adesso sta rassettando la stanza di Sophie. Dice che tenersi attiva in qualche modo la aiuta."

Emy sorrise compiaciuta, annuendo alle sue parole. Non sapeva cosa volesse dire essere un genitore a cui hanno rapito il figlio, poiché lei era stata il figlio in questione e conosceva bene solo le proprie emozioni, pur se aveva visto - e provato sulla pelle - quali strascichi lasciasse anche sui genitori.

Le faceva perciò piacere che aver ascoltato il punto di vista di sua madre avesse potuto aiutare in qualche modo Consuelo, soprattutto in virtù del fatto che le indagini dell’FBI non avevano ancora portato a nessun risultato.

"La caviglia come va, oggi?" domandò a quel punto Samuel, sfiorandole gentilmente il viso con le nocche di una mano.

Lei gli sorrise grata, afferrò la sua mano per stringergliela e replicò: "Sono stata sciocca e disattenta, lo ammetto spudoratamente, ed è stato sciocco anche non dirvi niente. Sapevo che avreste finito con il sapere tutto da terze persone, e si finisce sempre per avere notizie frammentarie o sbagliate. In realtà, è stata una cosa più leggera del previsto ma, per qualche giorno, dovrò stare a riposo. Ordini del dottore e del fidanzato."

"Quindi, tu e Tony..." sorrise Samuel, scrutandola speranzoso.

"Già" ammiccò Emily, arrossendo un poco per poi aggiungere: "Ma mi è spiaciuto sapere che, mentre io finivo in quella buca, lui ha bruscamente litigato col padre e, stavolta, in maniera piuttosto definitiva."

Samuel sollevò sorpreso un sopracciglio, esalando: "Cristo! E dire che Tony è la quintessenza della calma e della compostezza! Cosa diavolo ha fatto, William, per fargli perdere le staffe? Non mi stupisce che stia spostando la sua roba da te!"

"Credo dipenda in parte da me, e in parte da voi. William non ha mai apprezzato Consuelo, lo sai, e il fatto che Tony vi stia aiutando, pare averlo irritato più del comprensibile. Inoltre, io e Anthony stiamo tenendo segreto il nostro riavvicinamento, almeno a lui, perciò William ancora crede che il figlio si sia lasciato scappare un'ereditiera coi fiocchi... con tutti gli insulti a corollario."

Samuel imprecò tra i denti a bassa voce prima di borbottare: "Quell'uomo è sempre stato un pezzo di... beh, hai capito. Non merita davvero un figlio come Anthony, che ha sempre fatto il tutto e per tutto per tenere in piedi l'eredità di famiglia. Fossi stato in lui, avrei ceduto anni e anni fa."

"Io sono letteralmente scappata via da mio padre, perché non sopportavo più la sua vista..." scrollò le spalle Emily. "...solo che, se per me c'è stato un lieto fine almeno in quel frangente, non credo che Anthony troverà molte soddisfazioni, per quel che riguarda suo padre."

"No, temo di no" ammise Samuel per poi sorriderle nuovamente. "Sono contento che tu e tuo padre vi siate riappacificati. Con noi è stato davvero gentilissimo."

"Beh, come per mamma, anche lui può fornirvi un'esperienza di prima mano, in effetti. Mi ha anche detto che, nel caso in cui servirà un avvocato, ha già in mano una lista di amici pronti a darsi da fare per voi."

Samuel annuì grato, asserendo con tono fiacco: "Sì, me l’ha accennato ma, davvero, adesso siamo ben lontani dal poter averne bisogno."

Emily assentì a quelle parole, sapendo bene quanto fosse difficile vedere un proprio caro stare male, e non avere le competenze - o la possibilità - per essere d'aiuto in maniera attiva. Quando poi non potevi neppure essere vicino alla persona a cui volevi bene, era ancora peggio.

Chissà se Mickey stava bene? Aveva bisogno di un medico? Lo trattavano bene, ovunque lui si trovasse? Ma, soprattutto,… dov’era?!

Lei stessa, di fronte a quella situazione in cui si sentiva particolarmente coinvolta, non era del tutto convinta di aver fatto completamente del suo meglio, per Mickey, pur ammettendo in tutta coscienza di non sapere che altro fare, per il piccolo amico.

Sapere Consuelo più sicura di sé, grazie all’intervento di sua madre, la faceva sentire inadeguata come amica, pur Emily sapeva bene di stare solo vedendo in modo negativo l’intera faccenda.

Pur avendo trent'anni, non aveva mai realmente vissuto ciò che ogni giovane donna sperimentava nel diventare adulta e questo, in qualche modo, l'aveva come bloccata in uno stato embrionale per anni interi.

Ciò che aveva sperimentato all'università, oltre a essere stato ben poco edificante a livello emotivo, non l'aveva comunque mai portata a essere pienamente consapevole del proprio corpo e di quello del proprio partner.

Solo con Anthony, e pagando caro il fatto di non essersi aperta subito con lui, aveva sperimentato il vero amore e la vera partecipazione emotiva di una donna.

E, per poco, non aveva mandato tutto all'aria.

Certo, ora le cose sembravano essere migliorate - pur se aveva ancora paura di una possibile ricaduta - ma non si riteneva ugualmente capace di capire le pene di Consuelo, né si sentiva in grado di aiutarla a superarle.

Sapere che, invece, sua madre era stata d’aiuto per sbloccare Consuelo la faceva sentire fiera della propria famiglia, ma anche estremamente inutile come amica.

Come comprendendo i pensieri di Emyly, Samuel le disse: “Non ti venisse in mente di pensare che non sei importante, per me e Consuelo. Ognuno di voi ci ha sostenuto fin dal primo momento e, per noi, ha contato e conta tantissimo. Non dimenticarlo mai.”

Emy assentì, un groppo in gola a serrarle il fiato e il desiderio di mettere a parole ciò che sentiva ma, ancora, Samuel le sorrise e, nel passarle Sophie, mormorò: “Lei è la miglior panacea contro tutti i mali. Stai un po’ con la tua nipotina acquisita mentre io chiamo Consuelo, così potremo andare a fare tutti una passeggiata assieme. Leggera, s’intende.”

Nel ridere quando Sam le indicò la caviglia, Emily assentì e, mentre l’uomo raggiungeva la moglie per avvertirla, Emy chinò il capo per baciare la fronte liscia e profumata di Sophie, mormorando: “Vedrai… troveremo sicuramente tuo fratello. Non lo lasceremo da solo ancora a lungo.”
 
***
 
L'albergo che era stato dei nonni, e dei bisnonni prima di loro, contava una storia complessa e di profondi, continui cambiamenti.

Sorto nel periodo più florido della corsa all'oro e ai minerali preziosi - che gli uomini avevano strappato alle viscere di quelle montagne con la forza della dinamite - la piccola locanda dei Consworth aveva dapprima ospitato minatori e cercatori di fortuna.

Con il passare del tempo e l'allargarsi della clientela, però, la locanda aveva aperto le porte anche ai primi vacanzieri, allestendo così al suo interno delle piccole terme e un ristorante.

Da lì al grande salto, compiuto dai genitori di William all’inizio della loro avventura imprenditoriale, il passo era stato breve. La creazione della diga e del suo adiacente lago, aveva portato alla crescita del turismo di pari passo con la chiusura delle miniere, e questo aveva cambiato per sempre le vestigia dell'albergo.

Da locale alla buona e senza grosse pretese, l'hotel era stato ammodernato e arricchito, senza però mai perdere la patina di calda familiarità che tanto lo aveva reso famoso tra i clienti che lo avevano visitato.

Nel prendere le redini dell'albergo, però, William aveva pensato innanzitutto ai profitti che avrebbe potuto ricavare da un tale locale, e a ciò si era attenuto per tutta la vita.

Gli investimenti si erano ridotti al minimo indispensabile, e solo per questioni ‘di facciata’, che avrebbero fatto sembrare l'hotel ancora bello e desiderabile, ma senza più badare all'anima vera del luogo.

In netto contrasto con le politiche dei genitori, William non aveva più assunto nessun abitante di Nederland, e i dipendenti erano stati cambiati come si cambia la biancheria. Questo aveva creato, negli anni, un clima guardingo e privo di certezze, tra le maestranze, così da dare a William la certezza che i dipendenti non contassero troppo sulla sicurezza offerta dal loro lavoro.

Soltanto Morgan Tennyson e Becky Grant erano sopravvissuti a una simile epurazione; in quanto figli di eminenti membri di spicco della loro piccola comunità, William aveva preferito non inimicarseli.

Di tutto ciò, Anthony era stato muto testimone, non abbastanza forte per dire la sua, non abbastanza deciso per prendere le parti di coloro che avevano subito le angherie del padre.

Forse, se la madre fosse rimasta, lui si sarebbe sentito meno solo, meno inadeguato a combattere contro il padre, ma così non era avvenuto. E ora si ritrovava in un luogo che lui amava ma non era suo, e con un padre che non amava più ormai da tempo, ma che il sangue e l'anagrafe gli dicevano essere un suo stretto familiare.

L’unico rimasto, a ben vedere.

Un vero e proprio supplizio da sopportare, ma a cui voleva ormai porre rimedio una volta per tutte.

Quando, perciò, mise piede in albergo, cercò subito Morgan e, nel trovarlo impegnato a controllare il lavoro delle cameriere nella sala da pranzo, sorrise e lo avvicinò.

Morgan aveva all’incirca vent’anni più di lui ed era diventato, col tempo, quasi una figura paterna, all’interno della sua cerchia di amici. Anthony apprezzava sempre scambiare opinioni o pareri con l'uomo e, nel corso degli anni, Morgan lo aveva preso sotto la sua ala al pari degli altri suoi figli.

Alto e brizzolato, oltre che dall'aspetto piacente ed elegante, Morgan era vedovo da un paio d'anni e, con i figli ormai grandi e partiti per raggiungere Denver, viveva a Nederland da solo. 

Anthony si era sempre chiesto come mai non avesse raggiunto i figli nella grande capitale di Stato ma, nel vederlo impegnato nel mestiere di una vita, in parte lo comprese.

Lui amava prendersi cura di quell'albergo, al pari di quanto Anthony ci tenesse a portarlo avanti, a renderlo ancora più bello e accogliente. Il punto era che entrambi erano stati disillusi dall’attuale proprietario così tante volte che, ormai, ogni loro azione era dettata più dall’abitudine, che dall’effettivo impegno nel proprio lavoro.

"Ehi, Morgan... come vanno le due nuove cameriere?" esordì a quel punto Anthony, strappandolo ai suoi pensieri.

Morgan gli sorrise spontaneamente, si appuntò un paio di annotazioni sul taccuino - rigorosamente a penna, e non su un palmare - dopodiché disse: "Sono brave, e hanno occhio per i particolari. Le tavole sono in ordine e le tovaglie ben stirate. Non posso davvero dire niente."

"Ne sono lieto" mormorò Anthony, guardandosi intorno con aria piena di rammarico.

Ricordava bene quando, da piccolo, si era ritrovato spesso a correre tra tavoli simili a quelli per giocare a nascondino con la nonna, o di quando il nonno gli aveva insegnato a preparare un perfetto drink al piano bar.

Ogni volta, i genitori non erano stati presenti, troppo impegnati a urlarsi contro malignità, o a scambiarsi reciproche accuse.

Senza i nonni, lui avrebbe potuto crescere come un orfano, per quel che era interessato a sua madre e suo padre e, non a caso, Marlene non lo aveva portato con sé, quando era fuggita da lì. Lo aveva semplicemente abbandonato come un pacco postale, un inutile figlio a cui, in apparenza, non doveva nulla, neppure il rispetto di un addio.

"Pensieri profondi, Tony?" domandò Morgan, strappandolo a quei ricordi dolorosi.

Scrollando le spalle, lui ammise: "Sono arrivato al capolinea, Morgan. Non ce la faccio più."

Morgan non ebbe bisogno di chiedergli in merito a cosa. Sapeva benissimo come stavano le cose, tra William e il figlio perciò, pur spiacendosene, non se ne sorprese affatto.

Allungata una mano per dargli una pacca sulla spalla, Morgan si limitò a dire: "Come pensi di sbrogliarla?"

"Pensi che sia ingiusto, da parte mia, mollare la presa su tutto questo?" domandò per contro Anthony, allargando le braccia come a voler stringere a sé l’intero salone di foggia europea.

"William non ti ha permesso di avere alcuna voce in capitolo perciò, a livello burocratico, puoi davvero fare ben poco, a meno di non volerlo far internare. Ma dovrebbero esserci delle prove in tal senso, o non otterresti mai il trattamento sanitario obbligatorio" precisò Morgan, sospirando spiacente.

"Già... anche se sappiamo bene entrambi quanto lui sia pazzo da legare, in un certo senso" ammise amaro Anthony, infilando nervosamente le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. "Non ha mai capito perché contasse molto, tutto questo, per me. Né ha mai capito quanto contasse veramente, nella mia vita. Ha cercato in ogni modo di mandare a rotoli la mia esistenza, quasi provasse piacere nel sapermi infelice."

"Non credo che William sappia cosa sia la felicità, Tony. E' sempre stato un uomo... amaro con tutti e, per quanto io abbia apprezzato il fatto di lavorare qui per i tuoi nonni, avrei voluto lasciare questo posto di lavoro ogni giorno, a causa di tuo padre" ammise l'uomo, scuotendo tristemente il capo. "Resto per te, perché tu meriti tutto il mio tempo... ma se tu te ne andrai, io non solo capirò, ma ti darò tutto il mio appoggio."

"Morgan..." mormorò Anthony, abbracciandolo con naturalezza.

L'uomo lo avvolse a sua volta tra le braccia, aggiungendo a bassa voce: "Riprenditi la tua vita e non farti condizionare dall'albergo. E' solo una grossa scatola con dentro delle stanze. Ciò che ti hanno lasciato i tuoi nonni è ben diverso, e ben di più."

Ciò detto, si scostò con un mezzo sorriso da Anthony e, scusandosi, si rimise a compiere il proprio lavoro, sapendo di aver già dato al giovane tutto ciò di cui aveva bisogno per decidere sul da farsi.

Anthony, infatti, uscì subito dopo dalla sala da pranzo, ben deciso a trovare Becky e suo padre.

Trovando solo la donna, come sempre al bancone della reception, le sorrise prima di chiederle del padre ma, a sorpresa, Becky disse: "Mi spiace, non è ancora rientrato. Mi ha chiamato poco meno di mezz’ora fa, dicendo che sarebbe andato dalle parti di Beaver Creek per parlare con alcuni titolari di un albergo della zona. Di più non so dirti, Anthony."

"Non importa. Aspetterò il suo ritorno. Questo mi permetterà di sbrigare le ultime faccende senza averlo alle calcagna" scrollò le spalle Anthony, vedendola sorridere dolente al solo sentire quelle parole.

"Sai già dove andare?" chiese soltanto lei, non addentrandosi nei motivi che l'avevano spinto ad andarsene. Sapeva già, bene o male, che il problema poteva venire solo da una persona; il padre.

William non aveva mai dato peso alle brillanti idee del figlio, né aveva mai fatto nulla per dargli il rispetto che avrebbe meritato di diritto, se non altro per i suoi meriti personali.

Non si era mai voluto rendere conto delle innate capacità imprenditoriali di Anthony, relegandolo a meri lavori d'ufficio e poco altro, che ne avevano sempre svilito l'intelligenza.

A Becky era spiaciuto veder sfiorire quel luogo, vederlo prendere sempre più i connotati di un comunissimo albergo di città, e non di un caratteristico quanto gradevole hotel di campagna, come i nonni di Anthony lo avevano sempre pensato.

Ora, quell'ammissione di sconfitta non sorprendeva la donna, ma le spiaceva comunque esserne testimone.

"Mi troverai da Emily... ma non voglio che mio padre lo sappia, per ora" sottolineò lui.

"Da me, di certo non lo saprà. Ho visto che hai portato via già molte cose ma, se avessi bisogno di aiuto…"

"No, ti ringrazio. Faccio da me" la ringraziò lui, allontanandosi per raggiungere l'ala dell'albergo destinata ai proprietari.

C'erano cose di cui doveva disfarsi prima di andarsene una volta per tutte, e doveva farle da solo.
 
***

Margareth uscì dalla stanza poco prima delle dieci, dopo aver approfittato della colazione in camera. Jordan, per quella mattina, se ne sarebbe stato a letto a leggere un po’ e a riposare.

Le emozioni di quei giorni, unito all’altitudine, lo avevano un po’ provato perciò, su suo ordine, si sarebbe preso cura di se stesso mentre lei avrebbe badato ai figli. Ammesso e non concesso che ne avessero bisogno.

Nel discendere le scale, si imbatté in Anthony, sovraccaricato di documenti tra le braccia e con un’espressione indecifrabile sul viso.

Non aveva approfondito i motivi per cui, al suo arrivo, il ragazzo stesse trasferendo le proprie cose nella casa di Emily ma, a giudicare dal suo umore ombroso, ciò che lo aveva portato a trasferirsi, ancora lo turbava.

Sorridendogli, perciò, lo salutò cordialmente e, in un battito di ciglia, il giovane si trasfigurò, regalandole un bellissimo sorriso e un cenno cortese col capo.

“Buongiorno, Margareth. Spero che sia andato tutto bene, stanotte. Ieri non abbiamo avuto molto tempo per parlare, e me ne scuso. In questi giorni sta veramente succedendo di tutto, e pare che le buone maniere siano la prima cosa a perdersi per strada” esordì Anthony, poggiando frettolosamente i suoi documenti su uno dei divanetti presenti lungo il corridoio.

"Oh, nessun problema, caro. Non ho bisogno di tappeti rossi, per entrare in un albergo, né di uno stuolo di servitori al mio seguito" sorrise divertita la donna. "Si hanno novità?"

Anthony tornò serio a quell'accenno, ben sapendo a cosa si riferisse la donna e, nello scuotere il capo, infilò nervosamente le mani nelle tasche posteriori dei jeans per poi dire: “Purtroppo no. Ho chiamato McCoy giusto mezz’ora fa per sapere, ma non hanno ancora trovato alcuna pista. Anche Sherry brancola nel buio, e questo mi preoccupa davvero, visto che sappiamo tutti quanto è brava.”

"Se Sherry non sa che pesci prendere, la cosa si complica sul serio" mormorò pensierosa Margareth.

Annuendo pensieroso, Anthony desiderò per un istante mollare tutto e precipitarsi sui monti assieme ai volontari, ma sapeva bene di dover terminare ciò che aveva cominciato. Non poteva mollare tutto a metà dell’opera, o sarebbe per sempre stato succube delle follie del padre.

Era il momento di dire basta.

Sfiorando un braccio di Anthony con la mano per strapparlo ai tristi pensieri che sembravano invadergli la mente, Margareth domandò: "Emy come sta, stamattina?"

Pur cercando di non arrossire come un peperone maturo, Anthony percepì chiaramente un calore progressivo salirgli alle gote, ma cercò di non farci caso. Era più che naturale che la madre gli chiedesse come stesse la figlia, visto che lei era giunta proprio durante il trasferimento in casa di Emily.

Con tono il più possibile controllato, quindi, mormorò: "Sta... beh, sta meglio. Anche se ovviamente è ancora in ansia per Mickey, e non ne vuole sapere di stare a riposo per curare la caviglia."

Margareth abbozzò una risatina, dandogli una pacca sulla spalla, e replicò: "Beh, se trovi il modo di farglielo capire, esponilo anche a me. Io e suo padre non siamo mai riusciti a farle fare qualcosa che non volesse... anche prima del rapimento."

Anthony levò divertito un sopracciglio, esalando: "Oh...okay. Allora, sono nei guai fino al collo, mi pare di capire."

"Qualcosa del genere, caro" ammise lei prima di tornare seria e domandargli: "Posso chiederti come stai tu, Anthony? O mi ritieni troppo sfacciata?"

"Beh, non è certo un mistero che io e mio padre si sia ai ferri corti, perciò non le racconto nulla di nuovo" scrollò le spalle Anthony. "Mi trasferisco da Emily finché le cose non si saranno sistemate con mio padre e, visto che immagino abbia già capito che tipo d'uomo è, le cose si protrarranno per un bel po'."

“Credimi, non può che farmi piacere sapere che Emily non sarà più da sola in casa, anche se ha sempre avuto Cleo con sé” lo rassicurò Margareth prima di avvertire dei passi alle sue spalle.

Anthony sorrise nel veder giungere Jamie – che ora dormiva in una delle stanze dell’albergo – e Margareth, nel vedere il figlio, aggiunse: “Inoltre, è bello poter strapazzare mio figlio minore come facevo quando era bambino.”

Jamie lo sorrise nervosamente prima di ammiccare a Tony e dichiarare: “La strega, stamattina, è sgattaiolata nella mia stanza con la complicità di Becky, immagino, per darmi dei pizzicotti sulle guance a mo’ di sveglia. Ti pare sensato?”

Anthony scoppiò a ridere, di fronte a quella scoperta e Margareth, sorridendo senza alcun pentimento a farle compagnia, replicò: “Potrò pur divertirmi un po’, ora che sei alla mia mercé?”

“Pagherò Becky perché ti tenga alla larga dalla mia stanza” la minacciò per contro Jamie prime di scrutare la massa abnorme di documenti posta sul divanetto del corridoio e aggiungere dubbioso: “Hai intenzione di controllare i bilanci degli ultimi duemila anni?”

Anthony si fede serio, a quel commento, e asserì: “Per quello che mi propongo di fare, sì. Ho deciso che, se mio padre vuole continuare a fare di testa sua, lo farà senza di me e, visto che il contabile sono io, qui dentro, non voglio mi si dica che ho peccato in qualche cosa.”

Fischiando per la sorpresa e l’ammirazione, Jamie esalò: “Caspita! Questa sì che è una presa di posizione!”

“Era giunto il tempo” si limitò a dire lui, riprendendo in mano i documenti prima di scusarsi con i Poitier.

Rimasto con la madre, Jamie osservò la figura di Anthony sparire oltre l’angolo, dopodiché chiosò: “Quell’uomo è pazzo, a far incazzare un tipo come Tony. Ma che gli dice la testa?!”

Margareth sospirò nello scuotere il capo e, dopo aver carezzato dolcemente la schiena di Jamie replicò: “A volte, la vita non ci dà ciò che meritiamo e, purtroppo, Anthony ha subito lo scorno peggiore di tutti.”

“Beh, per lo meno gli è capitata Emy.”

La madre assentì e, dopo aver preso sottobraccio il figlio, si diresse verso il giardino esterno per godere di quella bella mattinata assieme a Jamie. Solo nel pomeriggio si sarebbero visti con Emy, perciò aveva tutto il tempo di fare il terzo grado al figlioletto ed estorcergli tutto ciò che sapeva in merito alla novella storia d’amore della figlia.
 
***

Emily storse il naso, di fronte allo sbarramento innaturale che si stagliava dinanzi alla porta d’ingresso della camera di Anthony e, nel curiosare con lo sguardo dentro gli scatoloni, gorgogliò: "E va bene... accetterò il fatto che non vuoi farmi mettere piede in camera tua… ma addirittura bloccarmi la strada coi tuoi trofei di hockey?"

Lui rise di quell’appunto, scostò un poco gli scatoloni incriminati e replicò: "Se vuoi, ti faccio vedere perché non volevo entrassi... ma poi non lamentarti, va bene?"

"Sono coraggiosa, cosa credi?" si lagnò ironicamente lei prima di gettare uno sguardo alla sua destra e rimanere chiaramente sconvolta da ciò che le si presentò innanzi. "Ah... è passato un tornado?"

Nella stanza, che lei ricordava intonsa, perfettamente in ordine e anche un tantino troppo organizzata, Emily vide il caos più totale.

Altri scatoloni aperti si trovavano sul pavimento assieme a vecchi trofei di gare di sci, gagliardetti, maglie di squadre di hokey e altri oggetti sportivi di varia natura. Sul letto, abiti su abiti attendevano di essere sistemati nelle valige aperte e lasciate negligentemente a terra al pari di diverse scatole di cartone.

E lei che aveva sempre pensato che fossero le donne ad avere un arsenale di oggetti e paccottiglia sparse nelle stanze… persino Anthony sembrava aver accumulato materiale per due vite, in quegli anni!

"Davvero vuoi rimanere qui dentro con me?" la minacciò comicamente Anthony.

Emily lo guardò con aria confusa ed esalò: "Tony, per quanto io apprezzi il fatto che tu abbia deciso di venire da me, piuttosto che da un tuo amico… ma io pensavo che fosse solo una cosa passeggera. Cosa sta succedendo, davvero? E non mi fraintendere, per me, puoi rimanere per sempre, ma…"

Tornando serio, lui annuì di fronte alla sua ovvia confusione e disse: "Indipendentemente dal fatto che io rimanga per molto o poco tempo da te, non abiterò comunque più qui. Questo posto non è mio, né lo sento mio già da molto tempo e, come dicevano i miei nonni, sono più importanti le persone, rispetto alle cose. I miei ricordi verranno con me, non rimarranno segregati qui perciò, quando e se mio padre vorrà capire che io desidero soltanto il bene di questo posto, potrò tornare a lavorarci. Diversamente, non ho più intenzione di spenderci un solo minuto."

"Tony..." mormorò spiacente Emily, stringendolo in un forte abbraccio. "...sei sicuro di riuscire ad abbandonare questo luogo? Sappiamo bene entrambi quanto tu ci tenga."

"Ne ho parlato anche con Morgan e Becky. Sta a me decidere e, di sicuro, lo devo fare senza pensare a ciò che avrebbero detto i nonni. Loro ci tenevano, io ci tengo, ma questo albergo non deve diventare una gabbia, per me. Questo, davvero non lo vorrebbero, né lo desidero io per me stesso" si limitò a dire Anthony, chinandosi per darle un bacetto sulla fronte.

Lei a quel punto annuì, lanciò nuovamente uno sguardo alla marea di oggetti ancora da sistemare e disse: "E io che pensavo che fossero le donne, ad avere un sacco di roba."

Anthony scoppiò a ridere per diretta conseguenza e, mentre Emy afferrava il borsone da hockey, lui badò a sollevare quello ben più pesante dei suoi trofei giovanili.

Emily aveva compiuto i primi passi fuori dal suo incubo, insieme a lui, e Anthony avrebbe fatto lo stesso, grazie all'aiuto della donna che amava. Pareva assurdo che si trovassero in situazioni così simili, eppure era così.

Volente o nolente, suo padre l'aveva tenuto imprigionato per tutto quel tempo, con il ricordo dei nonni a legarlo a quel luogo ma, finalmente, aveva trovato le motivazioni e la forza necessarie per sfuggire a tale presa.

Certo, ne avrebbe sofferto in futuro come già ne soffriva in quel momento, ma non voleva più rimanere rinchiuso in un loop privo di sbocchi, se poteva iniziare la sua vita altrove.

Le competenze non gli mancavano, la laurea in Economia neppure, perciò avrebbe trovato un altro lavoro, costruendo nuove radici in un altro luogo.

I nonni avrebbero capito, lui ne era certo.






N.d.A.: Tony pare deciso a dare un taglio netto al passato, anche per quanto riguarda il tanto amato albergo dei nonni ma, come ha tenuto a sottolineare anche Morgan, non sono gli oggetti che definiscono ciò che amiamo, ma i ricordi delle persone che teniamo nel cuore perciò, per quanto possa spiacergli cedere alle follie del padre, Anthony non può neppure fossilizzarsi e rimanere immobile in un loop senza scampo.
William, però, gli permetterà di sfuggire alla sua presa soffocante?
  
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