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Autore: Gaia Bessie    04/12/2021    2 recensioni
Ginny Weasley è inquieta nel proprio matrimonio perfetto.
Draco Malfoy è inquieto nel proprio matrimonio (meno) perfetto.
[Draco/Ginny, Mini-long di otto capitoli | Partecipa al "Calendario dell'avvento" organizzato da Cora Line sul forum Ferisce più la penna].
[Cap. 6]: Ginny Weasley non sa scrivere composta, non ha niente della fredda calma della Granger o della spensieratezza con cui la Lovegood faceva dondolare le gambe sulla sedia. Lei sbuffa, gratta l’orecchio, cambia posizione, intreccia le caviglie, si macchia d’inchiostro il polso.
E, quando finalmente le vengono le parole, sorride come se avesse trovato la chiave di volta per la vita eterna. Un po’ la invidia.
È così che si spiega perché la tiene così in alta considerazione, nonostante le sue scelte matrimoniali (chiaramente sbagliate), nonostante il suo cognome, nonostante il passato che l’avvolge come un velo opaco. Opachi, i pensieri che Draco deve riordinare per averci a che fare.
La invidia per davvero – ne invidia la tranquillità con cui s’approccia a sé stessa, quando un tremore le squarcia il viso, l’angolo della bocca che spinge per contrarsi in una smorfia: ma Ginny Potter sorride e, in lei, non s’intravede nulla di quell’inquietudine che Draco conosce.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, Draco/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Stelle di cannella



2. L’ultimo motivo
 
[Miopia]
 
Finisce che a casa non ci torna nemmeno, mostrando alla moglie la settimana dopo un’agenda che rigurgita impegni: una visita al San Mungo, cene di lavoro, interviste, articoli da consegnare e mille altre scritte che Astoria nemmeno comprende fino in fondo – stai bene, gli domanda, cosa sei andato a fare al San Mungo?
Lui le mostra degli occhiali tondi, in corno, e si mette a ridere: tutta la vita a cercare di essere migliore di Potter, commenta con astio, e poi Zabini si mette a dire che sono miope e se voglio vederci devo mettere questa roba.
Astoria ride, si copre la bocca con una mano – è sempre stata insicura, di quel sorriso, quando qualcuno le ha detto che sorrideva troppo poco (e poi, a un certo punto, per un po’ non l’ha fatto più): ti stanno bene, gli dice, davvero.
«Tu come stai?» le domanda, stancamente. «Il bambino?».
Non si rende nemmeno conto che, ogni volta che menziona quell’esserino che le cresce dentro, Astoria si rabbuia: e cede alla malinconia, alla sera, quando una lacrima le sfregia il sorriso (dietro la mano) e non sa cosa farci. Draco si sistema gli occhiali sul naso, con aria comica, ma lei non ride già più.
«Lunedì abbiamo il controllo con la Medimaga» gli ricorda, atona. «Ti andrebbe di accompagnarmi?».
Lui non dice mai di no – ha il sapore di infanzia ritrovata, quel bambino o bambina, ha il sentore di un sorriso che si sposa con il rossetto di sua moglie e con quei biscotti alla cannella che lei si ostina a portargli a lavoro.
«Certo» risponde, infatti, con un sorriso stanco. «Chiederò un giorno di permesso per poterti accompagnare, non è un problema».
Lei annuisce – ha qualcosa di inconcluso, quando gli volta le spalle e s’avvicina al ventre della cucina per preparare la cena. È il loro patto: Astoria Greengrass, che è cresciuta nella famiglia meno Purosangue tra i Purosangue, ha detto sì, lo voglio, ma alle mie condizioni.
E Draco, che le ha infilato un anello al dito senza rendersi conto delle conseguenze, non le ha nemmeno mai domandato del perché fosse disposta ad amare dietro condizioni.
«Astoria» non si rende nemmeno conto d’averla chiamata, finché lei non si volta e ne scorge il dubbio in quegli occhi verdissimi. «So dei biscotti».
Lei sorride, rigorosamente a bocca chiusa – si passa una mano tra i capelli bruni, con aria stanca. Quando si volta, e Draco non saprebbe dire se lo sente per davvero o se lo sta solamente immaginando, si ode distintamente un tintinnio di boccette che frusciano nella tasca della gonna di sua moglie.
«Immaginavo» commenta Astoria, con tono svagato. «Tu non sei completamente miope e io non sono una stupida, pare».
Draco sospira, non sa che parole rivolgerle: Astoria Greengrass-Malfoy s’è ridipinta in tocchi di nero scuro e disperato e, ogni volta che lui prova a scrostarle da dosso quella pellicola di tintura troppo secca, scopre solamente altri strati di carbone sotto la pittura. C’è qualcosa di cupo e oscuro, in sua moglie quando gli sorride senza scoprire i denti, qualcosa che si aggrappa alla vita con ardore – ma è già caduta giù e non se ne sa nemmeno rendere conto.
«So anche di Fred Weasley» commenta, cercando di non ferirla con quelle parole (impossibile, impossibile). «Perché non me ne hai mai parlato prima?».
Lei si volta, sembra una bambina in una posa da ritratto, con il mento poggiato sulla spalla e i capelli che in onde dolcemente le decorano le spalle.
Sorride, questa volta scopre i denti e quell’incisivo scheggiato che non le piace per niente, sorride per davvero.
«Cosa importa?» domanda, insolitamente serena. «Tu non ti sei mai innamorato, a tredici anni?».
«Certo che no» risponde lui, con aria perplessa. «A tredici anni che ne puoi sapere, di cosa sia l’amore?».
«A tredici anni?» chiede lei, con aria un po’ svampita. «E se poi muori a quattordici?1».
A Draco si gela il sangue nelle vene – lui lo sa: che Daphne è fuggita in Francia per reinventarsi e godersi gli anni di vita che le restano. Le Greengrass hanno in sangue fragile come resina vetrosa, ha commentato Blaise quando lui gli ha domandato perché non l’avesse seguita, Daphne me l’ha detto che voleva morire da sola.
Una morte orribile, aveva commentato Zabini, ma comunque migliore che annegare tra le lacrime mie e di sua madre, non trovi?
Astoria adesso ha una malinconia inconsueta nello sguardo e, allora, lui deve domandarselo: non gliel’ha mai domandato, se anche il suo sangue è teso come corda sottilissima tra le vene e, a ogni passo, rischia di spezzarsi.
«Non sei morta a quattordici» sussurra, allungando una mano per sfiorarle i capelli. «E nemmeno a quindici».
«Ma non è per sempre» risponde lei, dolcemente. «Ho fatto una scommessa e finora l’ho vinta, domani chissà. Domani sono ancora in tempo per perdere».
Lui non l’abbraccerà. Ha le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni, strette in un pugno, e non le muoverà per allungarsi ed abbracciare la donna che ha voluto sposare – nemmeno mentre lei gli dice che non è morta a quattordici anni, ma potrebbe farlo il giorno dopo domani o quello prima.
«Va bene così, Draco» commenta Astoria, dirigendosi verso la cucina. E voltandosi solamente a pochi passi dalla porta, le labbra strette in un sorriso a denti coperti. «Draco?».
Alza lo sguardo, incontrando gli occhi verdissimi di sua moglie: Astoria inclina il capo, poggiata sullo stipite della porta della cucina, e lo guarda con un’intensità devastante.
Lui lo comprende in quel momento – ha sempre pensato d’esser bravo a tenere i propri segreti (e quelli degli altri) e oggi scopre che sua moglie ne ha sempre saputa una più di lui, che forse non sarà il demonio, ma ci si è avvicinato a sedici anni a scoprire quante egli potesse conoscerne.
Ha sempre pensato di conoscere sua moglie in ogni noiosa sfumatura di nero che la caratterizzava, finché lei non l’ha colto in contropiede, sorprendendolo.
Perché Astoria sorride, dietro la mano, e ha quell’espressione di trionfo che non gli lascia scampo.
«Io lo so» commenta, in un sussurro. «Anche quello che ti neghi da solo, io lo so».
Lui non comprende – si dice che non può, in realtà non vuole.
 
***
 
I bambini dormono, lei è un treno che corre da una stanza all’altra, torcendosi le mani – dimmi che sei felice, perché non me lo dici mai?
Harry ha mandato un Patronus per avvisare che farà tardi a cena (come ogni sera) e di mettere a letto James, con la promessa della favola della buonanotte al mattino successivo, e di dare un bacio sulla fronte del neonato Albus.
Lei ha sorriso, digrignando i denti, e gli ha risposto di non preoccuparsi – d’altronde, quando mai Harry riesce a preoccuparsi di qualcosa? La fine della Guerra gli ha restituito serenità, quel senso di casa che un vagabondare di un anno gli aveva tolto, i propri sogni.
E cosa ne sarà dei miei, vorrebbe chiedergli sua moglie, cosa ne è stato dei miei?
Harry Potter non avrebbe risposta a una simile domanda: le direbbe, perché lo farebbe, che pensava che fosse quello, il suo sogno. Una casa, una famiglia con lui.
Sì, risponderebbe Ginny di rimando, ma adesso non mi basta più: ci hai mai pensato, Harry, che potevo non essere felice quanto lo sei tu?
Harry Potter ha inseguito i suoi sogni, sua moglie ha lasciato marcire i suoi in acqua stagnante – ha dovuto abbandonare il Quidditch alla prima gravidanza e, per quanto James Sirius le possa far sciogliere il cuore quando gorgoglia quel suo mamma sdentato, lo rimpiange ancora.
Non il Quidditch in sé: vedere il cielo come fosse vicino, sentirsi libera di sbagliare, cadere, ricominciare da zero.
Dimmi che sei felice, perché non me lo dici mai?
Molly passa da sua figlia, alla sera, portandole la cena quando sa che Harry si attarderà a lavoro: mani di mamma che le sistemano i capelli, domandandole il perché di quell’inquietudine che le separa il cuore in frammenti filamentosi e insensati cui nemmeno Ginny stessa saprebbe mettere in ordine.
«Mi sembri scontenta» sussurra sua madre, mettendo a scaldare lo stufato di funghi. «Ti andrebbe di dirmi perché?».
Ginny non risponde mai – tira su con il naso, si massaggia le tempie: va bene così, mamma, non ti preoccupare più. Ti giuro che stasera non faccio tardi, e appendo via tutti i miei drammi, e domani sarà diverso.
Molly annuisce, ha i capelli striati di rosso e grigio. Vuole crederle, lo vuole disperatamente, ma a sua figlia non riesce a dirlo – di non infrangere in un mare di frammenti quel suo sogno della famiglia perfetta, almeno lei.
«Se sei stanca, domani posso tenere io i bambini» propone Molly, calma. «Non è il tuo giorno libero da lavoro? Riposati, vai a fare compere, esci con le amiche: ci penso io, ai piccoli».
Ginny sorride, non riesce a far altro – socchiude gli occhi, come se non riuscisse a distinguere i contorni di sua madre, e sospira.
«Va bene» cede. «Pensavo di andare a fare una passeggiata, niente di impegnativo… ma chiamami, se dovessero darti problemi».
James ha quasi due anni e non riesce a star fermo per più di due minuti: Harry sostiene di non sapere da chi abbia preso, ma sua nonna ne ha piena consapevolezza – ha la stessa irrequietezza della madre, la stessa anima inquieta che lo soffia come foglia tra le pozzanghere. Stanco, fradicio, James Sirius s’addormenta alla sera come se lo avessero spento con un telecomando: ma, nei suoi sogni, corre ancora e gioca, parla, cerca quella sensazione di benessere e tranquillità che prova solamente in braccio a sua madre.
Ginny è così – ma, adesso che ha perso quella sensazione e non sa più dove ritrovarla, il suo cuore non ha pace e nemmeno il suo animo un po’ scompigliato: e pensava che fosse amore, si ripete silenziosamente, quando invece (forse lo era stato) s’era scolorato in abitudine e sopportazione. L’anticamera della pietà, pensa con cinismo, gli occhiali scuri di un cieco messi su di me che non sono nemmeno miope – ci vedo benissimo: Harry è cieco, ma la moglie di Malfoy mette Amortentia nei biscotti e lui è inquieto e angosciato almeno quanto lo sono io.
Ha imparato a conoscerlo, in quei mesi passati uno di fronte all’altra, alla Gazzetta del Profeta: l’ha visto tiepidamente contento di un articolo accettato dal caporedattore, scontento, frustrato, con le occhiaie, riposato. Draco Malfoy in tre stagioni s’è girato, è mutato fino a diventare una persona che né lei né Hermione o Harry o Ron saprebbero riconoscere più.
«Non stare tutto il pomeriggio da sola» la rimbrotta sua madre, muovendo la bacchetta per mescolare lo stufato. «Chiama Luna o qualche collega».
Ginny sorride, annuisce – dentro di sé, sa già chi chiamerà: se lo figura, nel proprio giorno libero, solo come quel calzino spaiato che lei trova sempre nella cesta del bucato, a osservare sua moglie che si riempie di farina fino ai gomiti e non riesce a pulirsi senza sporcarsi di più. Se lo vede camminare fuori da casa sua, le ha detto che si sono trasferiti a Dover, per andare incontro alle onde come fossero pensieri sfuggenti.
«Sì, va bene» acconsente Ginny, con un sorriso. «Chiederò a qualche collega se ha voglia di un gelato e una passeggiata per Londra».
Molly sorride, improvvisamente rasserenata – ma Ginny, seduta al tavolo della cucina, si sta ancora torcendo le mani: non amare più è come essere miopi, pensa distrattamente. Tutto quello che le appariva come chiaro e perfettamente definito è adesso totalmente sfocato e indistinto e, quando cerca di raccapezzarsi in mezzo a quella frantumaglia scomposta che è la sua visione, non ci riesce mai.
«Fai bene, tesoro» sussurra Molly, avvicinandosi al caminetto per poter tornare alla Tana. «Molte volte, una mamma e una moglie ha bisogno di ritornare padrona dei suoi spazi».
Ginny sorride e la saluta con la mano – non le dice quel che annega nei suoi pensieri: che, molte volte, una madre non nasce per esser madre e una moglie per esser moglie. E lei, che pensava di esser nata per far la moglie di Harry, adesso non ne riesce più a essere così sicura.
Erano sogni di bambina, nitidi come ogni convinzione – adesso si sfumano in lontananza e lei non ci si raccapezza più.
 
***


Le dice: ti porto in un posto.
Lei non risponde mai di no – come una bambolina di pezza si lascia trascinare fino a un caffè divorato tra due palazzi, nella parte più periferica della Londra Babbana: Ginny posa i piedi sui suoi passi, mentre Draco Malfoy cammina a passo sostenuto.
Ha le occhiaie scavate sotto gli occhi come un’incisione su una lapide e, nel momento in cui la guarda, lei ne riesce a sentire la stanchezza come fosse la propria: non gli domanda il perché ma, quando si siede all’esterno e chiama con un cenno il cameriere, gli tremano le mani.
Ginny non domanda: vive nella consapevolezza cieca ed annichilente che, anche se lo facesse, Draco Malfoy non direbbe una parola – dovrebbe scucirla dal tessuto del proprio orgoglio e, allora, non ci riuscirà mai: non è stato smistato nella Casa sbagliata, ma ha qualcosa di Grifondoro anche lui, come uno smeraldo che riflette sangue rosso, rossissimo.
«Non mi hai detto perché siamo venuti qui» commenta lei, rigirando una tazza di tè tra le mani. «Non pensavo che fossi il tipo da un caffè in centro».
Lui sorride, mastica quelle parole come fossero bollenti e dovesse raffreddarle con la saliva e aria gelida, mentre glielo dice senza calma, senza dolcezza.
«Qui non conoscono mia moglie» dice, semplicemente. «Prima di sposarsi con me, Astoria cantava nei locali: musica Babbana, per lo più, ma poi ha smesso. Non so perché».
Ginny lo sa, ma non glielo può dire – il matrimonio e la morte cambiano moltissime cose e, al pari di lei stessa, Astoria Greengrass deve aver rinunciato a quel che credeva esser la parte dimenticabile di sé per divenire macchia sfocata sotto gli occhi grigi di suo marito.
«Si tratta di scelte, Malfoy» commenta, stringendo i denti. «Tutte rinunciano a qualcosa, con il matrimonio».
Lui sospira, si passa una mano tra i capelli biondissimi. «Ed è per questo che pensavo che non mi sarei sposato mai» risponde, atono. «O che l’avrei fatto solamente se ne fosse valsa la pena».
Lei gli indica la mano, sfiorandogli appena il dorso con l’indice, e scrolla le spalle. «Ma lo hai fatto» constata. «Forse, ne valeva la pena».
«Ho sposato Astoria perché era giusto così» commenta Draco, quietamente. «Perché era quello che ci si aspettava da me, perché avrebbe riabilitato il nome dei Malfoy e perché mi amava».
Ginny alza un sopracciglio color tramonto, socchiudendo la bocca in una smorfia scontenta.
«Non dici da nessuna parte che tu l’amavi» commenta, senza dolcezza. «Che dovrebbe essere il primo motivo».
Lo fa sorridere – maschera un risolino, quando glielo dice in un sussurro, come se nemmeno lui credesse  a quell’affermazione.
«O l’ultimo» risponde, senza scomporsi minimamente. «Non ho mai pensato di doverlo fare, amare qualcuno: Astoria è stata una buona scelta, nonostante tutto».
Ginny giocherella con il cucchiaino, lo muove sul fondo della tazza con aria pensierosa, tirando su un pezzetto di zolletta di zucchero semi-sciolta.
«Una buona scelta» ripete, pensierosa. «Non fatico a comprendere perché abbia cercato di propinarti biscotti all’Amortentia, sai?».
«Lei non mi ama per davvero» precisa Draco, a disagio. «Ama l’idea che si è fatta di me, che è tutto meno che vera».
«Che ne puoi sapere» sibila Ginny, assottigliando lo sguardo. «Ne parli come se sapessi tutto, ma gliel’hai mai domandato, cos’è che prova?».
Draco alza un sopracciglio, con aria perplessa. «Perché devi sempre prendere tutto così a cuore?» domanda, stizzito. «Non la conosci nemmeno, mia moglie».
«Siete tutti così» prosegue Ginny, torcendosi le mani. «Si può sapere perché dovete sempre dare tutto per scontato?».
«Astoria viveva una vita all’ombra di sua sorella maggiore e pensava che io fossi il principe azzurro venuto a salvarla» commenta Draco, senza scomporsi minimamente. «E, adesso che ha scoperto che non è così, le rimane solamente una fantasia che non si può realizzare».
Ginny lo sa – che non dovrebbe sentire quella dolorosa pietà per Astoria Greengrass ma, quando guarda la durezza con cui Draco Malfoy parla di lei, non riesce a non sentirsi rimescolare lo stomaco di comprensione mista a pena.
«Ed è per questo che tu speri che lei abbia avuto una meravigliosa storia d’amore con Fred» commenta Ginny, storcendo la bocca in una smorfia disgustata. «Per liberarti dai sensi di colpa: è squallido, Malfoy».
«Comunque meno squallido di poter pensare che io sia in grado di salvare qualcuno che non sia io» risponde lui, risentito. «Astoria non mi conosce. Siamo sposati da anni e non mi conosce».
Lei vorrebbe dire di poter provare pietà anche per lui – ma, quando l’osserva storcere il naso mentre parla di sua moglie, nella sua mente si dipinge Harry mentre fa la medesima cosa.
«Spero anche io che abbia avuto una meravigliosa storia d’amore con Fred» sputa insieme alle virgole nella tazza da tè. «E non per salvarti la coscienza, Malfoy, ma perché se lo merita e tu sei così miope nel non renderti conto di quello che vuoi gettare via: hai una moglie che non pensa che il vostro matrimonio sia la tomba del vostro amore e non le dai nemmeno una possibilità».
«Tu lo pensi?» domanda lui, alzando un sopracciglio. «Che l’amore sia la tomba del tuo matrimonio».
Ginny spalanca gli occhi castani, sorpresa.
«A volte» sussurra. «Ma chi è che non pensa qualcosa di negativo, qualche volta?».
Lo fa sorridere – una maschera di cera spezzata che ne deforma i lineamenti e lascia traccia macchiata e stracciata tra la bocca e il naso, come una ruga incancellabile che gli scrive addosso di .
«Non una persona che ha amato suo marito per tutta la sua vita» commenta Malfoy, acido. «A volte, Weasley?».
Ginny vorrebbe rispondere, ma tutto quello che riesce a dire è quel a volte ripetuto una seconda, una terza volta.
Lo fa sorridere – un sorriso vero, sincero, che lo illumina leggermente dalle labbra agli occhi e lo costringe a socchiudere gli occhi, come se facesse fatica a vederla.
Lei sorride di rimando – i suoi occhi, sono sulla sua bocca.

 

1Riadattata da Stefano Benni, Margherita Dolcevita
 

Eccomi qui, con il secondo capitolo di questa breve (si fa per dire) storia. Sono molto contenta dei pareri ricevuti, in questi giorni risponderò con calma: per una volta, è un piacere permettermi di sperimentare.
Grazie per avermi letta.
Gaia
   
 
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