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Autore: Neamh Moonstar    16/12/2021    2 recensioni
Gli scontri divennero presto la consuetudine e la popolazione di Tadfield si ritrovò, volente o nolente, a proteggere coloro che li avevano protetti. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" divenne letterale, e il villaggio costruì delle mura sia fisiche che divine, cercando di contrastare le forze del male.
Umani buoni contro umani cattivi. Angeli contro demoni. Giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Gli umani che venivano feriti, correvano dai medici. Gli angeli feriti andavano dai Guaritori.
Anathema era una di loro.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Umana?!» Esclamò il serpente, nel panico. «Che sta succedendo?»


L'area diventava sempre più buia con il passare dei secondi. La notte aveva ripreso ad avvolgerli nella sua coltre. Tutt'attorno regnava un'oscurità crescente che odorava di morte e putrefazione. 


L'angelo si era ridotto ad un lume intermittente. Se ne stava immobile, accasciato contro il corpo squamoso del demone come una marionetta. Nonostante fosse già naturalmente candido, il suo volto era ora quasi grigiastro: una maschera mortuaria.

Aveva smesso di lamentarsi, i suoi occhi erano serrati e immobili. Non cambiò di posizione, né mosse l'ala, ora libera dal fardello che l'aveva bucata.


Nulla che Anathema non si aspettasse.

Posò la freccia che aveva ancora tra le mani, scattò in piedi come una molla -causandosi un giramento di testa- e infilò le dita nelle tasche interne della borsa come un animale che cerca la sua preda sottoterra. 

«Sta' indietro, demone» disse al serpente, una volta trovata la fiala lunga e sottile che stava cercando. «Questa non ti piacerà.»


Ed effettivamente, quando il demone ebbe notato ciò che la giovane aveva appena tirato fuori, sbarrò -per quanto possibile- gli occhi dorati e fece scattare all'indietro la grossa testa.

Nella fialetta c'era della pura, trasparente ed immacolata acqua santa.

«Te ne vai in giro con quella roba?» Sibilò, tra lo schifato e l'impaurito.


«Vivo in un villaggio protetto da angeli e continuamente attaccato da demoni. Nei casi d'emergenza dovrò pur avere un'ultima risorsa, non credi?» spiegò Anathema, svitando il tappo.


L'acqua santa era un'arma potente. Sui demoni aveva il terribile effetto di ridurli in poltiglia: una goccia ed era fatta; inoltre, le creature infernali non potevano individuarla in nessun modo: motivo per il quale la serpe non era riuscita a fiutarla in precedenza.

Se la Guaritrice avesse sospettato, anche solo per un secondo, che si sarebbe ritrovata un serpente demonico davanti, ne avrebbe versata un po' sulla spada e non ci avrebbe pensato due volte a colpire. Da un lato sarebbe stato meglio, dall'altro...

Per quanto riguarda gli angeli, per loro -in casi normali- era come della comunissima acqua potabile, se non fosse stato per l'effetto rinvigorente. In casi di emergenza veniva usata dai Guaritori sui pazienti più gravi, ma mai era stata applicata direttamente su una ferita così profonda e così profondamente martoriata da un'arma infernale.

Normalmente, veniva diluita o unita agli unguenti. Usarla pura era qualcosa che nessun Guaritore si sarebbe mai sognato di fare. Ma quella non era una situazione normale, ormai era chiaro. 

Anathema non sapeva quali effetti collaterali avrebbe avuto l'azione che stava per compiere, ma il liquido benedetto era la sua ultima speranza. La sua e quella dell'angelo morente.


Senza dire una parola, la Guaritrice tolse la pezza intrisa di sangue angelico dall'ala e fece cadere qualche goccia di acqua santa tra le piume ormai ridotte ad un miscuglio marrognolo dai riflessi gialli. Fece molta attenzione a non farne cadere nessuna sulle ora più distanti spire e, a lavoro terminato, si allontanò.


Per dieci interminabili secondi, nulla cambiò.

Anathema sentiva i brividi salirle e scenderle per la spina dorsale. Tenne lo sguardo fisso sulla ferita e la boccetta stretta in pugno. Smise persino di respirare, iniziando lentamente a pregare Dio e tutti i santi che la cosa funzionasse.

Non poteva né vederlo né sentirlo, ma l'ansia del demone era quasi percepibile. Entrambi avevano cancellato l'universo attorno a loro, concentrandosi solo ed esclusivamente sull'angelo ancora immobile.


Lentamente, come il sole all'alba, la luce tornò. Prima flebilmente, poi pian piano sempre più forte. Arrivò a sembrare un piccolo falò tra le tre figure; non luminoso come quando il serpente aveva liberato l'angelo dalle sue spire, ma stabile.

Sembrava che l'angelo stesse migliorando: il volto gli si addolcì, colorandosi di in tenue bagliore rosato. Poi però, una striscia di sangue gli scivolò dall'angolo destro della bocca e altre due si mescolarono alle lacrime, iniziando a scendergli dagli occhi. Fu come se l'emorragia avesse deciso di spostarsi dall'ala per andare a morire su quelle gote perfette. 


Anathema chiuse la fiala, buttandola nella borsa, e si inginocchiò di fronte al ferito. Avrebbe dovuto recuperare lo straccio ancora avvolto al dardo, ma al momento la sua testa non arrivò a fare il collegamento. In quel frangente, la sua mente era in subbuglio: una massa di ansia, preoccupazione, stanchezza e decisioni prese sul momento.

«Sapevo che sarebbe stato come buttare della polvere da sparo nel fuoco» disse, pulendo il volto sanguinante del suo paziente con il mantello. «Almeno sta recuperando.»


Il demone era rimasto -stranamente- in silenzio per tutto il tempo, le pupille ridotte a due sottili linee nere immerse nell'oro dei suoi occhi.

Gli ci volle un attimo per tranquillizzarsi, assicurarsi che il liquido fosse abbastanza lontano, e riabbassare il capo. «Ne sei certa?» Chiese, cauto e leggermente tremante.


Anathema annuì. «Mi sono concentrata sulla sua aura. Sta tornando calma e tranquilla, proprio come dovrebbe essere.»

Nonostante gli forzi, però, il suo tentativo di pulizia finì in tragedia, spargendo il sangue sulle morbide guance dell'angelo.


A quella vista, il serpente tornò a spazientirsi. Allontanò la mano della Guaritrice con un gesto seccato del muso, e si mise a passare lentamente la lingua sul volto macchiato del suo protetto, ripulendolo con la stessa dolcezza di una madre che passa un tovagliolo sulla bocca sporca di marmellata del figlio.


La giovane ne approfittò per fare qualche passo indietro e si lasciò cadere sull'erba, distrutta. Sospirò, togliendosi gli occhiali e passandosi due dita sulle palpebre. Si asciugò la fronte imperlata di sudore e pensò alla figura che avrebbe fatto tornando a Tadfield sporca di sangue angelico e fango. Si chiese anche se la battaglia avesse procurato altri feriti che sarebbe poi stata costretta ad aiutare. Il solo pensiero le fece venire la nausea e fece pulsare la sua già dolorante testa.

I suoi pensieri vennero interrotti da una serie di sibili e sussurri. Alzò nuovamente lo sguardo sull'improbabile duo e notò che il demone aveva preso a picchiettare lievemente il muso contro la fronte dell'angelo, il quale non dava cenni di risposta.

«Qualcosa non va?» Chiese Anathema, già pronta a sentirsi dire che le condizioni del ferito avevano ripreso a peggiorare.

Eppure l'aura angelica andava stabilizzandosi e l'angelo stesso aveva un aspetto decisamente migliore...


«Quando si sveglierà?» Chiese la serpe; tutta la sua rabbia e ansia ormai sciolte in una pozza di tristezza e preoccupazione. 


«Ho appena finito di curarlo, dagli un attimo» rispose la Guaritrice, cercando di rivolgergli un sorriso stanco ma rassicurante. «Non appena potrà, si richiuderà la ferita da solo e si darà una bella ripulita. Non preoccuparti.»


Il demone annuì. Se avesse potuto, avrebbe sospirato mentre tornava ad accarezzare l'angelo con premura.


Il silenzio che seguì, servì soprattutto ad Anathema per calmare gli incessanti battiti del suo cuore. Alla fine rimasero solo la spossatezza e la testa dolorante a tormentarla.


«Ti avevo promesso delle risposte, no?» Chiese ad un certo punto il serpente, posando la testa sul petto del suo protetto.


Oh, giusto. Anathema se n'era completamente dimenticata. 

Guardò la bestia negli occhi ed annuì. Forse, nell'attesa che il ferito desse segni di vita, quello sarebbe stato il modo migliore di passare il tempo e di distrarre il demone.


«Molto bene, allora. Procedi. Tutto quello che vuoi: penso di dovertelo» disse quest'ultimo, come se le stesse facendo un favore. Un favore di quelli grossi.


La giovane pensò di iniziare sul semplice. «Come ti chiami?»

Il demone la fissò stranito -per quanto un serpente possa sembrare stranito.

Forse si aspettava una domanda più profonda, pensò Anathema. Magari qualche nozione sui demoni da poter utilizzare contro di loro in battaglia.


Nonostante ciò, il demone rispose: «Mi chiamo Crowley. Sì, so che ti sembrerà poco originale.»


«In realtà» rispose la giovane, facendo spallucce, «lo trovo azzeccato. Io sono Anathema, comunque.»


 Crowley alzò appena il capo, stupito: «Ecco, questo è originale. Diciamo che è strano, insomma, che razza di nome è?»


«Nome di famiglia. Una delle mie antenate era fissata con i nomi particolari: pensa che sua figlia si chiamava Virtue... che sì, non è strano come Anathema, ma comunque inusuale.»

La giovane aveva avuto quella conversazione innumerevoli volte, ormai. In effetti, era quasi sicura di essere l'unica Anathema al mondo e ciò straniva praticamente chiunque -demoni compresi, a quanto pareva.


L'altro emise un "mhmh" che suonava tutto fuorché convinto, così la giovane decise di cambiare argomento.

«Che mi dici di lui?» Chiese, indicando l'angelo. 


«Si chiama Aziraphale e vive più a Tadfield che in Paradiso, praticamente.»


Anathema annuì: «Sì, immaginavo. Sta sempre in biblioteca.»


L'altro emise una leggera risata, di quelle che si fanno pensando ai bei momenti e alle persone care. «Già, puoi dirlo forte. Sarebbe capace di trasferirsi lì dentro per l'eternità.»


La giovane non poté fare a meno di sorridere. Nonostante l'assurdità della situazione, tutto -dalla preoccupazione, alla paura, all'affetto ai quali aveva assistito, era così dolce e così genuino da rendere la fatica tutto fuorché vana. 

Decise così di tirar fuori ciò che ormai da un'ora la attanagliava. La domanda fatidica. Il dubbio arcano.

«Sembri volergli davvero bene. Come ha fatto un demone ad affezionarsi ad un angelo?»


«Sai che avevo già intenzione di maledirti per cucirti la bocca e che questo peggiorerà la situazione, vero?» Chiese Crowley, gli occhi ridotti a due fessure.


Anathema deglutì. Essere maledetti da un demone non era cosa buona per nessuno, soprattutto per chi lavorava a stretto contatto con gli angeli. Si ritrovò combattuta tra la curiosità e la paura di essere scoperta. Poi realizzò che, anche rifiutando di assecondare la prima, Crowley l'avrebbe comunque condannata a tenere le labbra cucite sulla questione. Non aveva motivo di non andare sul sicuro, in fondo. No?

«Lo so, lo so» rispose infine, sospirando. «Correrò il rischio.»


«Beh, la questione è più semplice di quel che potresti pensare» iniziò Crowley. «Accadde durante uno dei primi conflitti, molto tempo fa. Ci ritrovammo a combattere l'uno contro l'altro e lo scontro fu così violento da farci finire fuori dal villaggio, tra questi stessi alberi. Precipitammo stremati e, per un po', nessuno di noi due si mosse.»

Si fermò a guardare Aziraphale, come se volesse fargli rivivere quel momento, e continuò: «Ad un certo punto, lui mi guarda e dice che preferisce morire per mano di un demone, piuttosto che continuare a combattere una battaglia senza senso.»


La domanda sorse spontanea: «E tu perché non l'hai fatto? Insomma: un angelo che si arrende spontaneamente è il sogno di qualsiasi creatura infernale.»


«Primo, perché "qualsiasi creatura infernale" normalmente significa "tutti tranne me"» puntualizzò Crowley. «E poi perchè nemmeno io volevo combattere. Andiamo, pensaci: questa guerra è un'idiozia. Nessun umano o demone, per quanto ci provi, potrà mai appropiarsi del potere di un angelo. Loro hanno Dio al loro fianco, capisci che vuol dire?»


Anathema capiva perfettamente. Anzi: era assolutamente d'accordo. 

Certo, senza battaglie non c'erano angeli feriti e senza angeli feriti non c'erano Guaritori; ma la giovane avrebbe volentieri dato il suo lavoro in cambio dell'ormai lontana pace perpetua della quale le avevano raccontato i suoi nonni. Una Tadfield lontana, persa nelle pieghe del tempo e circondata dall'Amore di Dio.

«E quindi vi siete alleati» azzardò la giovane.


«Non solo» precisò Crowley. «Abbiamo scoperto di andare d'accordo. Non è stato facile, inizialmente. In fondo stavamo andando contro i nostri ruoli e la nostra natura.»


Eppure adesso erano lì, l'uno accanto all'altro, pensò Anathema. Qualcosa le disse che, se la situazione fosse stata ribaltata, l'angelo avrebbe fatto carte false pur di risolvere la situazione ed aiutare Crowley. Capì poi quanto le due creature fossero sotto la paura costante che l'Inferno e il Paradiso facevano gravare su di loro. Se fossero stati scoperti, sarebbe successo un disastro al quale non osava neanche pensare.

E ora, tra l'alto del cielo e le profondità della terra, c'erano un angelo, un serpente e lei: un'umana incastrata tra i due regni sui quali si reggeva l'intero universo. Una posizione assai scomoda, dalla quale si aveva però una prospettiva interessante di ambedue le parti.


Con un mugugno, la debole mano di Aziraphale cercò il muso di Crowley, il quale spostò immediatamente tutte le sue attenzioni su di lui.

Anche Anathema fece lo stesso, fissando quelle morbide dita luminose accarezzare delicatamente le ruvide squame del demone. Era un gesto così dolce, tenero, lieve e bisognoso d'affetto da farle venire il magone. 


«Sono qui» rassicurò Crowley, la voce ridotta ad un sussurro. «Sono qui, cosa c'è?»


L'altro non rispose, continuando a strisciare debolmente i polpastrelli contro il muso del serpente. Era ancora stretto nella morsa dell'incoscienza, ma la sua luce era ormai tornata la meraviglia che era stata inizialmente.


«Forse dovrei lasciarvi spazio» disse Anathema. Aveva già iniziato a raccattare le sue cose, freccia compresa, pensando che forse era di troppo in mezzo a quel cerchio perfetto fatto di amore, affetto e spire. E poi, Crowley le aveva già detto tutto e forse anche troppo. Non le interessavano le strategie di guerra, né voleva sapere cosa si nascondeva nelle profondità dell'Inferno; voleva solo tornare a casa e farsi un sana dormita.


«Resta» la intimò il demone. «Giusto in caso le cose vadano male.»

Sembrava una preghiera, un preghiera intrisa di aspettative. Ma i demoni non pregano, giusto? E non si fidano di nessuno, nemmeno di loro stessi.


Crowley però lo aveva fatto: aveva riposto fiducia in lei, pensò Anathema.

Aveva mantenuto la sua promessa, anzi, le disse che poteva continuare a domandare intanto che aspettavano; che poteva riposare e che ci avrebbe pensato lui a svegliarla se avesse avuto bisogno di aiuto.

E così, la Guaritrice rimase e i due si misero a parlare. Fu interessante scoprire come le origini della Terra stessa fossero indissolubilmente legate a quello strano duo. Una cosa era certa: la giovane non avrebbe più letto i testi sacri allo stesso modo.


~•°•~


Anathema se ne andò all'alba.

Quando si svegliò, vide che la ferita di Aziraphale si era rimarginata, lasciando dietro di sé solo lo sporco e il sangue rappreso.

Con un debole sorriso, guardò Crowley, il quale non aveva chiuso occhio -non che ne avesse bisogno- e chiese: «Quindi, posso considerarmi maledetta?»


«Solo moralmente» disse lui, aprendo le sue spire e lasciandola andare.


L'umana salutò con un cenno del capo, sorpasso i corpi già mezzi putrefatti e tornò verso Tadfield. 

La battaglia aveva lasciato i suoi segni dovunque e piume bianche e nere volavano ancora a mezz'aria. Voci sparse e sussurri dicevano che l'armata di Dio aveva trionfato, ma che frecce rosse come il fuoco avevano ferito gravemente i protettori del villaggio.

La giovane capì che avrebbe trovato i suoi colleghi già al lavoro.

«Nulla che un po' di acqua santa non possa sistemare» avrebbe detto, entrando in infermeria spettinata, sporca e maleodorante.

Avrebbe dato una mano e poi sarebbe andata a darsi una lavata. Se tutto andava bene -ma ne era certa- l'indomani avrebbe incontrato Aziraphale in biblioteca.


~•°•~


Il sole iniziò a fare capolino tra le fronde e Crowley lo accolse con gioia. Dopo la nottataccia che aveva passato, i raggi caldi parvero sciogliere le sue spire e spazzare via il freddo pungente che si era insediato nel suo essere. Una vera e propria benedizione.

Chiuse gli occhi, iniziando a crogiolarsi. Per un attimo, non sentì i movimenti incerti e gli spostamenti stentati che stavano avvenendo all'interno della sua morbida stretta. Fu la flebile voce a strapparlo brutalmente dal suo stato di torpore.


«Crowley?»

Aziraphale aveva iniziato a passarsi le mani sugli occhi. Dove passavano le sue dita, sporco e incrostazioni sparivano, lasciando spazio ad un volto perfetto.

Aprì lentamente gli occhi, seppur non del tutto, guardando l'altro con aria interrogativa, confusa e leggermente frustrata. 


«Aziraphale! Accidenti a te» esclamò Crowley infilando il muso tra il mento e il petto dell'angelo, stringendolo più forte di quel che avrebbe voluto. «Hai idea di quello che mi hai fatto passare!?»


L'altro gli avvolse delicatamente le braccia attorno alla testa, sospirando: «Scusa, ma non è stata colpa mia. Non avrei mai voluto andare a combattere in prima linea.»

La sua voce era ancora lieve e rauca; i suoi movimenti, però, si erano fatti più sicuri e la sua stretta più salda.


«Lo so, lo so, angelo. Non ti stavo incolpando» si affrettò a precisare Crowley. «Adesso rilassati e riprenditi con calma. Un passo alla volta.»


Aziraphale scosse la testa, avvicinandosi l'ala ferita e iniziando a passarci debolmente le dita sopra, per sistemarla. «Non posso. Da quant'è che sei qui? Chissà cosa penseranno se-»


Crowley lo zittì, spostando le spire in modo che creassero come una sfera protettiva attorno a entrambi. 

L'angelo non replicò, lasciandosi accomodare. Non era da lui, pensò il demone. Normalmente avrebbe dovuto fare i salti mortali per convincerlo a non muoversi. L'ultima volta che aveva visto Aziraphale così allo stremo, era stato il giorno in cui si erano scontrati.

Se trovava il demone che aveva creato quelle dannate frecce...


«Ehi, Crowley?» domandò Aziraphale, guardando il foro bordeaux sulla sua ala destra. «Lei chi è? L'umana. Dovrei ringraziarla. È stata così gentile...»


«Lo farai, angelo. Lo farai» lo rassicurò il demone. «Tornerai a Tadfield non appena starai meglio.»


L'altro annuì, seppur non del tutto convinto. «Non dovremmo restare qui» disse, richiudendo gli occhi. «È pericoloso.»


«Non preoccuparti, se arriva qualcuno, ci penso io a-»


«Crowley... Niente spargimenti di sangue.»


Il serpente ripensò per un attimo ai cacciatori che aveva ucciso durante la notte. Oh, l'angelo gli avrebbe fatto una di quelle ramanzine infinite. Pazienza, ormai. Crowley l'avrebbe rifatto anche venti volte se ciò avesse potuto salvare Aziraphale da morte certa.

«Nnno, niente sangue. Tranquillo» rispose con un ghigno sul muso.


L'altro aprì un occhio, scoccandogli un'occhiata di rimprovero e scuotendo la testa. Ecco: quello era l'angelo che Crowley adorava.


«Comunque; grazie, caro» disse Aziraphale accarezzandogli la testa. 


«Questo ed altro per te, lo sai» rispose il demone, iniziando a cullarlo.


Rimasero lì tutto il giorno, aggrovigliati l'uno attorno all'altro, circondati solo dal fruscio del venticello tra le foglie. Nessuno venne a cercarli e nessuno li disturbò.


~•°•~


Il giorno seguente, Anathema uscì di casa più veloce di un fulmine. Corse verso la biblioteca, schivando i passanti che la guardavano straniti. 

Era una giornata meravigliosa. Sembrava quasi che non fosse successo niente: Tadfield era calma e pacifica come sempre; tutti gli angeli erano stati soccorsi, così come tutti gli umani. Il male si era nuovamente allontanato, lasciando dietro di sé una dolce seppur temporanea pace.


La giovane entrò in biblioteca, dirigendosi rapida verso la sezione dove era solita studiare. 

Fu lì che vide Aziraphale: in mezzo ai tavoli, un libro chiuso tra le mani e l'aura perfetta. Se non fosse stato per il leggero segno rossastro rimasto sull'ala, nessuno avrebbe mai potuto immaginare le condizioni in cui era stato non molto tempo prima.

Davanti a lui, però, c'era qualcuno che Anathema non riconobbe. 

Pareva umano. Aveva le braccia conserte, indossava abiti scuri e una miriade di capelli rossi gli copriva i lineamenti affilati.

Le bastò sentirlo parlare per capire.

Quella voce era semplicemente indimenticabile.


Con un sorriso, Anathema fece un bel respiro e li raggiunse.


~•°•~


Fine

   
 
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