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Autore: Zobeyde    21/12/2021    7 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DIETRO LE QUINTE





«…e poi lei mi fa “Jim, guarda!”, io mi giro e… la pianta stava crescendo sul serio!» concluse Jim con entusiasmo. «Alycia dice che alcune piante sono sensibili alle emozioni: perciò, in qualche modo, ha percepito la passione che c’era dietro la canzone o qualcosa del genere.»
Un sorriso astuto affiorò sulle labbra di Lucia, mentre sorseggiava il suo tè; avevano approfittato della bella giornata per fare merenda in riva al lago, seduti su dei cuscini.
Jim era riuscito a intrufolarsi di nuovo nella galleria degli specchi senza dare nell’occhio grazie a Lily e all’incantesimo che aveva da poco imparato: il salto. Gli permetteva di sparire e apparire attraversando le particelle di magia che costituivano il Tutto e che secondo Blake potevano essere disposte in stringhe ordinate. Non gli era possibile percorrere grosse distanze, e riusciva a raggiungere solo luoghi a lui noti, ma si rivelò utile per tornare a far visita alla sua amica.
«Insomma, è stata una serata interessante» commentò lei alla fine, con l’aria di chi la sa molto lunga. «Piena di rivelazioni.»
Jim si sdraiò sui cuscini, le braccia incrociate sotto la nuca. «Sì, penso che ce la possa fare davvero a entrare nel Cerchio d’Oro. E se ai Decani la sua tesi non sembra una bomba, vuol dire che sono dei vecchi rimbambiti! Ci ha lavorato sodo per mesi, te l’ho detto che l’Anthea ci ha quasi affogati quando l’abbiamo trovata?»
«Sì, me l’hai già raccontato.»
«Secondo Alycia ogni grande scoperta comporta una percentuale di rischi» spiegò lui, ma notando che Lucia continuava a ridacchiare, chiese: «Che c’è? Che ho detto?»
«Oh, niente. Trovo solo adorabile il modo in cui pendi dalle labbra di questa ragazza: ti sei preso proprio una bella cotta, eh?»
Le orecchie di Jim andarono subito a fuoco. «Io non ho una cotta!»
«Hai parlato solo di lei per più di un’ora.»
«Ho parlato della pianta.»
«La pianta, certo.»
«Non è per niente il mio tipo!» chiarì lui, imbarazzato. «Ha un caratteraccio! È arrogante, pignola, ed è pure del Capricorno!»
«Non scegliamo chi amare» replicò Lucia, ma i suoi occhi mandarono un inconsueto bagliore di tristezza. «Succede e basta…anche se non vogliamo o ci fa soffrire.»
«È la figlia del mio maestro!» ribadì Jim, come se bastasse a chiudere la faccenda. «Nella remota possibilità che mi piacesse, non ci proverei comunque: Blake mi rivolterebbe come un calzino!»
«Il che rende tutto molto eccitante però, non trovi?» lo stuzzicò ancora lei e Jim decise che era proprio ora di cambiare argomento.
«Secondo Alycia è possibile che il signor Blake possa essere coinvolto in qualcosa di illegale» disse, riferendosi alla loro ultima conversazione. «A te ha detto qualcosa l’ultima volta che è stato qui? Per esempio, a proposito di una certa Strega Eretica?»
Accanto a Lucia, Lily si stiracchiò sbadigliando sul suo cuscino e la maga le accarezzò la schiena. «Sì, in effetti qualcosa lo ha accennato.»
«Davvero? Cosa?»
«Solo che da quando ha attaccato Arcanta il controllo del Decanato è diventato più rigido: non ci si fida di nessuno che provenga dal Mondo di Fuori.»
«La Strega Eretica era un’Esterna, quindi?»
«Molto peggio: era una Sanguemisto. Metà strega e metà Mancante.»
«Oh.»
Se una parte di lui aveva sperato di seguire Blake e Alycia, di poter visitare Arcanta e vivere tra la sua gente, vide immediatamente quell’ipotesi sfumare: il suo maestro non era ben visto per la parentela con un mago morto quasi mille anni fa, chissà cosa avrebbero pensato laggiù di lui!
«Insomma, mi disse che da allora doveva adottare certe precauzioni per spostarsi» disse Lucia. «Mi ha dato l’idea di essere una persona in fuga.»
Quasi il vero criminale fosse lui, pensò Jim. «È evidente che usando gli specchi evita che il Decanato lo controlli.»
«Probabile.»
«Ho provato a documentarmi, ma tra i suoi libri non ho trovato niente sull’attraversare gli specchi» disse Jim, il mento poggiato sulla mano. «E se glielo chiedo ho paura che possa scoprire che sto facendo indagini sul suo conto.»
«Potresti dare un’occhiata alla mia biblioteca» suggerì Lucia. «C’è un’intera torre piena di libri.»
«Sul serio posso?»
Lei rise. «Sono così tanti che non riuscirei mai a leggerli tutti da sola!»
Jim ringraziò e Lucia gli fece strada all’interno del palazzo. Passarono accanto a un arazzo che rivestiva un’intera parete e Jim si fermò ad ammirare la scena: da un lato vi era un corteo di cavalieri e dame, e dall’altro una folla di satiri, folletti e centauri che emergevano da un bosco ombroso, guidati da un vecchio che porgeva una spada a un giovane e biondissimo re.
«Vuoi sentire una storia assurda?» disse Jim, riconoscendo all’istante la vicenda. «Il signor Blake è imparentato con Mago Merlino! Tiene persino Excalibur esposta in salotto come un trofeo…»
Un soffio gelido sulla nuca gli fece rizzare i capelli. Ragazzo…
Il sangue gli si ghiacciò nelle vene, e Jim si voltò di scatto. «Lucia?»
Il vento spirò da una delle finestre aperte, gonfiando una tenda consumata, ma il corridoio era deserto. Il suo cuore subì una brusca impennata: possibile che avesse solo immaginato? Quando tornò a guardare di fronte a sé, si accorse di aver perso di vista la padrona di casa.
Puoi sentirmi…?
Ancora una volta si guardò le spalle, ma chiunque avesse parlato non voleva saperne di farsi vedere: quel posto era già spettrale di suo, ci mancava fosse pure infestato dai fantasmi!
«Non è divertente» sbottò, sperando di sembrare più irritato che spaventato. «Esci fuori! Sono un mago, non ti conviene fare scherzi.»
La voce tacque e Jim restò in vigile attesa. Poi, con un frastuono simile a uno scoppio, il vento spalancò tutte le porte e le finestre nello stesso istante.
SCAPPA!
Jim si coprì le orecchie finché la tempesta non si fu placata. Lentamente, allontanò le mani e alzò la testa; il vento aveva portato una pioggia di foglie secche, che coprivano ogni centimetro del corridoio. Se ne ritrovò persino qualcuna impigliata tra i capelli.
«Chi sei?» gridò Jim, la bocca secca. La persona a cui apparteneva quella voce, viva o defunta che fosse, sembrava disperata.
Il suo sguardo cadde su una stanza la cui porta era stata spalancata. Vi entrò con circospezione, pronto a reagire a qualsiasi altro strano fenomeno.
Era la camera di un bambino. Se ne accorse dalle pareti dipinte di azzurro e dai giocattoli, tra cui un cavalluccio a dondolo e un esercito di soldatini di piombo sparsi sul tappeto. Ma la cosa che più di tutte lo colpì era che, a differenza delle altre sale, sembrava l’unica a non presentare segni di abbandono, neppure un dito di polvere…
«Come sei entrato?»
La voce secca di Lucia lo colpì alle spalle come una frusta. Era ferma sulla soglia con un’espressione che Jim non avrebbe mai pensato di vederle in viso: esprimeva rabbia. Una rabbia gelida e feroce, che la faceva sembrare in qualche modo più vecchia.
«M-mi dispiace» farfugliò lui. «All’improvviso si è alzato il vento e la porta si è aperta, tu eri sparita…»
Lo sguardo torvo della donna si spostò sul corridoio invaso di foglie e sulle finestre aperte. «Non saresti dovuto venire qui.»
«Mi dispiace» ripeté lui, sempre più confuso. «Quella stanza è…?»
Lucia lo afferrò con forza per il braccio. «Devi andartene. Subito.»
«Lucia, non volevo essere invadente…»
«Ti ho detto di andartene!»
Jim aprì la bocca, ma le parole gli morirono sulle labbra. «D’accordo, scusami ancora.»
Non ebbe percorso che un paio di passi, quando Lucia disse: «Quella stanza sarebbe dovuta appartenere a mio figlio.»
Jim tornò lentamente a voltarsi. La donna si stringeva le braccia al petto, come se all’improvviso sentisse freddo.
«Si chiamava Caliban» spiegò, muovendo appena le labbra. «Era la creatura più innocente del mondo e loro me lo hanno portato via. Dissero che era un abominio, qualcosa di contro natura. Un’erbaccia che andava estirpata.»
Sconvolto, Jim ricordò come fosse scampata per miracolo a un’esecuzione per stregoneria. Quanto in là poteva spingersi il fanatismo delle persone? «E il padre?»
Il labbro inferiore di Lucia ebbe un fremito. «È sparito: troppo occupato a proteggere il suo onore, non ha fatto nulla per aiutarci.»
«Mi dispiace davvero.»
«Avrebbe avuto la tua età adesso.» Quando tornò a guardarlo, Jim colse qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che non seppe decifrare ma che gli provocò strani brividi lungo la schiena. «Siamo amici noi, Jim? Tu non mi tradiresti, vero?»
«Certo» fece lui. «Io…puoi contare su di me.»
«Avevo bisogno di sentirtelo dire.»
Uno strano silenzio occupò lo spazio tra loro, teso e imbarazzato.
«Dovresti proprio andare ora» mormorò infine la donna. «Vorrei stare sola.»
Jim non insistette: anche lui sentiva il bisogno impellente di allontanarsi di lì.
Le diede appuntamento alla prossima volta, dopodiché si avviò in fretta verso lo specchio, ma non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione che la casa e chiunque altro vi dimorasse lo stessero ancora osservando.
 
Il resto di ottobre passò in un lampo, e in men che non si dica Jim si ritrovò sotto l’incombente data dello spettacolo: si sarebbe tenuto di sabato, la notte di Halloween, così venne stabilito che il venerdì il circo rimanesse chiuso per apportare gli ultimi ritocchi.
Jim aveva deciso che dopo tanta fatica se lo era meritato un giorno di vacanza; malgrado il frenetico lavorio che gli imperversava attorno, trascorse la mattinata a bighellonare, sfruttando il salto per sgraffignare dolciumi dalle varie bancarelle, e sparire ogni volta che O’Malley cercava di assegnargli qualcosa da fare.
Apparve dal nulla, accompagnato dal tipico sibilo, fuori dalla Grotta delle Meraviglie, la vecchia tenda dove si esibiva Khazam; il suo bottino consisteva in un sacchetto pieno di insetti gommosi, e non vedeva l’ora di gustarseli quando la voce di Vanja risuonò dall’interno:
«…mi dispiace, al momento non assumiamo. E comunque, non so cosa ti abbiano raccontato, ma ti consiglio di stare alla larga da Khazam.»
«Ci deve essere un malinteso» replicò un’altra voce e, nel riconoscerla, Jim quasi si strozzò con un lombrico di liquirizia. «Lo conosco, sono venuta perché…»
«Fammi indovinare: si è messo in mostra, magari ti ha portata anche a ballare e ti ha proposto di esibirvi insieme» disse Vanja in tono di biasimo. «Cara, lo fa con tutte: c’è stata Kitty, poi Mona, poi Barbara…saltella da una bella ragazza all’altra e io sono stanca di vederle andare via col cuore spezzato. Lascialo perdere, è ora che il nostro enfant prodige cresca un po’.»
A quel punto, Jim fece irruzione. «Scusate tanto!»
Come temeva, insieme a Vanja c’era Alycia: la prima indossava solo un body che ne metteva in risalto il fisico mozzafiato, l’altra era imbacuccata in un lungo cappotto nero, con una valigetta azzurra in mano e tutta l’aria di non sapere bene nemmeno lei cosa ci facesse lì.
«Parli del Diavolo.» Vanja si portò le mani ai fianchi. «Sbaglio o avevamo stabilito niente più vallette?»
«Vanja, lei non è una valletta» la interruppe Jim. «È la figlia del signor Blake!»
L’espressione della trapezista mutò in un baleno. «Cazzo.»
«È quello che stavo cercando di spiegare» disse Alycia con voce gentile e un po’ imbarazzata. «Sono solo venuta a restituirgli una cosa.»
«Cielo, scusi miss Blake!» esclamò Vanja, rammaricata. «È tutta colpa di Jim, avrebbe anche potuto avvertirmi!»
«Ehm, puoi chiamarmi Alycia.»
«Il fatto è che con i suoi trascorsi devo stare sempre sul chi va là» stava però continuando Vanja. «L’ultima volta ha rischiato di mandare a monte lo spettacolo perché Penelope lo ha beccato insieme a due…»
«Ma tu e Wilhelm non dovevate allenarvi stamattina?» si mise in mezzo Jim, spingendola verso l’uscita. «Sarà meglio che ti sbrighi!»
«Oh, sì, giusto!» capitolò lei con una risatina. «Ehm, è stato un vero piacere, miss Blake… cioè, volevo dire Alycia. Scusa ancora!»
E finalmente uscì di scena.
«Mi dispiace» borbottò Jim, una volta soli. «Non sa proprio tenere a freno la lingua.»
«Non arrabbiarti» disse Alycia. «Cercava di essere gentile, mi ha vista sola qui fuori…è la tua ragazza?»
«Chi, Vanja? Gesù, no! Come ti viene in mente?»
«Be’, ho pensato…» Le guance di lei si colorirono. «Sa un mucchio di cose su di te e poi è così bella…»
«Sarebbe come provarci con mia sorella» replicò Jim, schifato. «Oh, e non glielo ricordare, che è bella intendo: da quando le hanno detto che somiglia a Greta Garbo se la crede un sacco.»
«Chi è Greta Garbo?»
«Un’attrice famosa.» Jim esitò, poi disse: «Comunque, quelle cose che ha detto non sono vere. Cioè, io...io non mi comporto sempre così.»
«Non occorre che ti giustifichi.»
«Non mi sto giustificando» replicò Jim, cercando affannosamente le parole adatte. «Solo...non voglio che pensi che sia tutto ciò che c’è da sapere su di me.»
«Perché è così importante quello che penso di te?»
«Non lo so» ammise lui. «Però lo è.»
La bocca di lei guizzò in un mezzo sorriso, mentre faceva un giro della piccola tenda, con sue le sedioline di legno, il palco sgangherato e la scenografia di cartone. Si avvicinò a una rastrelliera piena di costumi per lo più femminili, con piume e lustrini: vestiti da flappers, il genere di ragazze che Jim frequentava di solito.
Mentre la seguiva con lo sguardo, pensò che anche Alycia era bella, una bellezza diversa da quella di Vanja, forse, meno appariscente. Ma non era affatto il suo tipo: troppo complicata. E lui dalle situazioni complicate si era sempre tenuto alla larga. Preferiva rifugiarsi nelle cose semplici e nella compagnia di ragazze semplici, quelle che sorridevano sempre e che amavano divertirsi. Nessuna pressione, nessuna responsabilità, questo cercava…
«Si vestivano tutte così le tue assistenti?» domandò a un tratto Alycia, che aveva estratto un abitino argentato che arrivava a stento al ginocchio.
«Dipende dal numero.»
«Certo non copre molto. Non avevano freddo?»
«Ecco» fece lui, preso alla sprovvista. «Non lo so, non l’ho mai chiesto.»
Alycia adagiò il tubino d’argento al proprio corpo, premendolo sul cappotto, e si esaminò in una specchiera. Anche Jim la guardò, e la sua mente prese il volo, immaginando come sarebbe stata con indosso un vestito del genere. E, subito dopo, come sarebbe stata senza vestiti...
Scombussolato, distolse in fretta l’attenzione.
Intanto, la ragazza si era fermata di fronte agli armadi magici. «Cosa sono?»
«Li usiamo per i numeri di sparizione» spiegò Jim. «Ti faccio vedere.»
Le mostrò la leva nascosta che permetteva di aprire la botola sotto il palco. «Si passa da qui sotto e si sbuca nell’armadio accanto.»
Lei parve dubbiosa. «E la gente crede sul serio che sia magia?»
«Quando è in vena di crederci.»
«E questi?» domandò poi Alycia, indicando una scatola rovesciata a mo’ di tavolino, zeppa di fogli e taccuini.
«Oh, sono solo delle idee…»
«Posso?»
Lui scrollò le spalle e Alycia sfogliò gli appunti, su cui erano disegnati caroselli con animali semoventi e ottovolanti senza binari. «Sono progetti per delle giostre?»
«Mi sono ispirato alle attrazioni di Coney Island.»
«Coney...Island?»
«Un grande parco divertimenti a New York» disse Jim. «Mio padre mi ci portò una volta, il giorno del mio compleanno. C’è un’attrazione che si chiama “A Trip to the Moon”: sali su una navicella e ti porta nello spazio...cioé, una rappresentazione dello spazio... volevo renderlo più realistico con delle illusioni, costellazioni che si muovono, pianeti eccetera.»
«Unendo meccanica Mancante e magia» indovinò Alycia.
«Be’, sì. Ma secondo Maurice nessuno ci salirebbe.»
«I disegni in effetti non sono granché» commentò lei in tutta sincerità. «Ma l’idea mi piace. Basterebbe apportare qualche modifica.»
Senza aspettare un invito, lei si armò di gomma e matita e tracciò un paio di correzioni qua e là.
«Non è male» approvò Jim, colpito. Prese il progetto con entrambe le mani per studiarlo meglio. «Non è per niente male. Anzi è...è come se tu mi abbia letto nel pensiero.» Le scoccò un’occhiata incerta. «Aspetta... non l’hai fatto, vero?»
Un sorriso misterioso si fece strada sulle labbra di Alycia, un sorriso da strega, che diede vita a una lenta combustione dentro di lui. «Che c’è, ti preoccupa cosa potrei scoprire?»
Soddisfatta di averlo lasciato a corto di parole, lei tornò a sfogliare i suoi appunti. «Se mia madre fosse stata qui, avreste parlato per ore di questa roba: adorava le invenzioni. E di sicuro ti avrebbe incoraggiato a metterle a punto.»
«Non ne avrei comunque il tempo, lo spettacolo è domani.»
Alycia mise giù i progetti. «Giusto, Vanja me lo ha accennato. Sembrano tutti molto emozionati.»
«Potresti venire» propose Jim, senza riflettere. «Cioè, lo so che non sarà nulla di che, sarai abituata a ben altri standard…»
«Oh» fece Alycia, sorpresa. «Non lo sai?»
«Che cosa non so?»
«Domattina torno ad Arcanta. Credevo che mio padre te lo avesse detto.»
Fu come se un grosso macigno fosse sprofondato giù per lo stomaco di Jim.
«Ah» fu tutto quello che riuscì a dire. «Ok.»
La sua faccia doveva esprimere una gran delusione, perché Alycia si affrettò a spiegare: «Ho terminato di scrivere la mia tesi. Ho raccolto tutte le informazioni che mi occorrevano sull’Anthea, e poi siamo anche riusciti a farla crescere…»
«Certo. Non c’è problema.»
«Ci sarei venuta volentieri, sul serio.»
«Non c’è problema» ripeté lui. «È solo che…non me l’aspettavo.»
Rimasero lì fermi a guardarsi, poi Alycia gli allungò la valigetta con il grammofono di Arthur e schiarì la voce. «Sarà meglio che vada, di sicuro avrai da fare. In bocca al lupo per tutto.»
E lo superò, diretta all'uscita.
Prima che la varcasse, lui prese coraggio e disse: «Aspetta! Visto che è il tuo ultimo giorno, magari ti va di fare un giro del circo. È chiuso al pubblico oggi, perciò tutte le attrazioni sono a tua disposizione.»
Lei si fermò e, inaspettatamente, gli sorrise. «Perché no?»

Guidò Alycia attraverso i sentieri tra le tende, ai cui ingressi erano state ammucchiate grosse zucche intagliate; schiere di fantasmini di carta pendevano sopra le loro teste e l’odore invitante delle caldarroste si mescolava a quello del fieno e degli animali.
Le uniche persone in cui si imbatterono erano gli stessi componenti del circo, indaffarati nei preparativi.
«Quella è la tenda di Rodrigo» le indicò Jim, mentre si avvicinavano alla Cueva del Diablo. «Mi ha chiesto di apportare qualche modifica al suo costume, in modo che possa prendere fuoco senza scottarlo.»
Si fermarono ad assistere mentre il mangiafuoco provava alcuni dei suoi numeri; alla fine dell’esibizione, Rodrigo rivolse loro un inchino e fece il baciamano ad Alycia, e Jim dovette fare uno sforzo per non lasciar trapelare il suo disappunto.
Dopodiché, si affacciarono alla tenda di Margot, che stava trafficando con le sue provette e i suoi unguenti; l’indovina si presentò ad Alycia e invitò entrambi a farsi leggere il futuro.
«Ho la sensazione che le carte abbiano molto da rivelare su voi due» concluse, con un sorriso sibillino.
Un po’ imbarazzati, i ragazzi declinarono l’offerta.
«Sembra dolce» commentò Alycia, mentre si allontanavano. «Ed è una donna incantevole. Davvero è sposata con quell’odioso ometto coi capelli rossi che strilla sempre?»
«Nessuno è mai riuscito a spiegarselo» rispose Jim. «A quanto pare il vecchio Maurice ha delle doti da seduttore molto nascoste.»
Più avanti, un mimo bloccò loro il passaggio fingendo di essere rimasto chiuso in una scatola invisibile. Ma Alycia pareva soprattutto interessata alle bancarelle dei dolciumi.
«Prendili pure» la invitò Jim, fermandosi a un chiosco che esponeva calderoni pieni di mele caramellate e topolini di cioccolata.
Lei si morse il labbro. «Non dovrei, alla Corte delle Lame seguivo una dieta ferrea: ci erano proibiti i dolci.»
«Ma qui non sei alla Corte delle Lame.»
Alla fine, Alycia si convinse, e il panzuto venditore, Hector, le preparò un sacchetto pieno di cioccolatini, dicendo che li avrebbe messi in conto a Jim.
«Scherza» la rassicurò lui. «Non mi ha mai fatto pagare neanche una caramella.»
«Ti trattano tutti come se fossi uno di famiglia.»
«Perché è così: è un po’ come avere venti zii e circa una dozzina di cugini.»
«E non senti mai la mancanza dei tuoi veri genitori?»
Il suo sorriso scivolò via per un breve istante. «Sei matta? Con tutta questa gente che si sente in diritto di mettermi in punizione?»
«Lo stai facendo di nuovo.»
«Cosa?»
Alycia piluccò qualche cioccolatino dal sacchetto. «Quando si parla dei tuoi genitori cerchi sempre di fare battute. Come se non ti importasse.»
«Ah sì?» fece lui, fingendo di cascare dalle nuvole. «Non me ne ero accorto.»
«Perdere qualcosa fa sempre male. Anche se si è bravi a dissimularlo.»
«Il passato è passato» replicò Jim in tono sbrigativo. «Non ha senso piangersi addosso.
E poi, da queste parti diciamo: “Lo spettacolo deve andare avanti”.»
«Boris dice che ognuno ha i propri meccanismi di difesa.»
«Da come ne parli sembra che lo ammiri.»
Per qualche ragione, stavolta fu lei a incupirsi. «Ha fatto di me la maga che sono. E poi è l’unico tra gli Arcistregoni ad addestrare sia maschi che femmine senza distinzione alla Corte delle Lame.»
«Posticino mica male per fare baldoria.»
«Non è per tutti» disse Alycia, riprendendo a camminare. «C’è un inverno perenne e tutti gli ambienti sono in comune: Boris ha sempre criticato gli agi in cui vivono la maggior parte dei maghi, sostiene che chi può fare a meno di tutto non ha paura di perdere nulla.»
«Un po’ estremo come concetto» commentò Jim, sicuro che in un posto del genere non avrebbe resistito cinque minuti. E dire che si lamentava degli allenamenti col signor Blake!
«É un uomo molto severo» ammise lei. «Ma é anche la persona più giusta e onorevole che conosca.»
Continuarono a curiosare tra tende e bancarelle: mentre Alycia provava alcuni cappelli da strega, Jim chiese: «Perciò, in questa Corte delle Lame ci sono parecchi ragazzi?»
«Parecchi, sì.»
«E che tipi sono?»
Lei fece spallucce. «Abili con la magia e in qualsiasi forma di combattimento. Molto ligi al dovere.»
Una parte di lui si sentì rincuorata. «Sembrano noiosi.»
«Alcuni sanno essere divertenti.»
«Sì, immagino che feste da paura organizzavate a meno trenta gradi.»
«Be’, abbiamo una sauna» replicò Alycia con nonchalance. «E anche quella è in comune.»
Jim non ebbe modo di indagare sui festini nella sauna comune, perché Arthur li raggiunse di corsa.
«Ciao» gli disse Alycia. «Sei tu il ragazzo del grammofono?»
«Il...cosa?» fece Arthur.
«Sì, le ho prestato il tuo grammofono» spiegò Jim, e quando Arthur sollevò le sopracciglia chiarì in fretta: «Era per un esperimento! Comunque, Artie, lei è Alycia, la figlia del signor Blake.»
«Ah» disse Arthur. «Ehm, piacere…ehi, ti posso parlare un attimo? Da soli» aggiunse, scoccando una rapida occhiata alla ragazza. «Ci sono delle novità su cui dovrei aggiornarti. Ho scoperto una cosa...»
«Le sto facendo fare un giro» disse Jim, un po’ scocciato. «Non possiamo rimandare a stasera?»
«Quando sarai così sbronzo da non ricordarti neanche il tuo cognome?»
«Stasera andiamo in un locale» spiegò Jim, visto che Alycia non sembrava seguirli. «È in città, lo ha scoperto Rodrigo: pare lo frequentino solo Dimenticati. Ci saranno anche Vanja e suo fratello. Tu ci vieni?»
«Ecco» fece lei, incerta. «Non so…»
«Ti piacerà!» insistette Jim con un sorriso, mentre dietro di lui Arthur apriva la bocca per protestare. «Prima di tornare ad ascoltare quell’orrore di musica che suonano ad Arcanta devi assolutamente ascoltare una band dal vivo.»
«Quindi è come un teatro?»
«Da queste parti li chiamiamo speakeasy» rispose Jim, ignorando deliberatamente il sospiro di Arthur. «Avanti, è la tua ultima sera a New Orleans!»
Combattuta, Alycia guardò Arthur come in cerca di approvazione, al che il ragazzo alzò le spalle e disse: «Ma sì dai, ci farebbe piacere averti con noi.»
«D’accordo» rispose Alycia, ricambiando il sorriso. «Io…sì, ci vengo!»
  
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