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Autore: holls    23/12/2021    7 recensioni
Alan ha solo venticinque anni quando la vita decide di giocargli un brutto tiro; il dolore e lo sconforto appiattiscono la sua esistenza, rendendola grigia e monotona, tanto da domandarsi se sia degna di essere vissuta.
Diviso tra casa e lavoro, osserva le sue giornate scorrere come un encefalogramma piatto, finché, una mattina, una rapina nel cuore di Manhattan lo costringerà a interrogare Nathan, uno dei testimoni.
Alan non tarderà a definirlo un ragazzino irritante per la sua vitalità e spregiudicatezza verso il mondo, per non parlare della malizia che sembra trasudare da ogni occhiata. Sembrerebbe l'occasione per riportare un po' di colore nella sua vita... ma, come in ogni storia che si rispetti, niente è come sembra.
Per nessuno dei due.
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Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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15. Guscio di noce

 

 

Quando uscii fuori dal parcheggio, lo vidi, ma non mi turbò più di tanto. Proprio come aveva detto Ash, Ryan sputò fuori due piccole palline, che consegnò a due ragazzi di fronte a lui. In cambio, ricevette dei soldi.

Quando si voltò e mi vide, nemmeno lui rimase sorpreso. Si infilò i soldi in tasca e venne verso di me.

Era molto diverso dal ragazzo che ricordavo. Il suo viso era scavato, come quello di Harvey, e gli zigomi risaltavano in maniera innaturale. Aveva occhi grossi e sporgenti, la pelle stanca, che gli buttava sulle spalle almeno dieci anni di più. E il naso così arrossato e screpolato. Non c’era più molto del ragazzo che conoscevo.

Nel momento in cui lo vidi, capii che quello era un addio. Lui non sarebbe più tornato in sé, così come io non sarei più tornato a essere il suo compagno di studi.

«Sapevo che prima o poi ti avrei trovato qui, Nathan.»

Mi ero preparato un sacco di frasi, di risposte e anche di ramanzine, ma in quel momento ero pietrificato. Davanti a me c’era uno sconosciuto e io non sapevo come iniziare una conversazione con lui. Non ci sarebbero più stati pomeriggi dietro alla chimica, né chiacchierate sul concerto della settimana prima. Queste cose, senz’altro, non lo interessavano più. Per un attimo mi sentii il bambino che ero la prima volta che avevo fumato.

«Che ti è successo, Ryan?»

Potevano essere anche le nostre ultime parole, la nostra ultima conversazione. Dovevo essere pronto a dare un altro addio. L’ennesimo.

«Non sono affari che ti riguardano, te l’ho già detto.»

Non sarebbe stato l’unico addio. C’erano delle cose che non sapevo con assoluta certezza, ma le avevo capite. Avevo sperato fino all’ultimo che non fossero vere, ma lo erano.

«È stato Harvey, vero?»

Un’altra persona che usciva dalla mia vita. Un’altra persona che avevo voluto credere diversa. L’ennesima delusione, l’ennesima comparsa della commedia che era la mia esistenza. Ero da solo, sul palco. C’era solo il pubblico pronto ad applaudirmi e ad andare via una volta finito lo spettacolo; e chi decideva di restare e unirsi alla compagnia, lo faceva solo per il tempo di un atto, per poi volarsene subito dopo. Non c’erano repliche con lo stesso gruppo, mai.

«Nathan, non è né il tempo né il momento.»

Ryan si guardava intorno, ma a me non importava di non essere sentito. Non mi importava niente. Volevo solo capire dove avevo sbagliato, anche quella volta.

«Io lo so, Ryan. Lo so.»

Lui che diventa strano dopo l’estate, Harvey che ricompare e tira su strisce di coca come se non ci fosse un domani, per poi scoprire che i due si sono conosciuti durante le vacanze. Non era stato difficile fare due più due. No, la parte più difficile non era proprio stata quella.

Lui mi guardava, ma non rispondeva. Avevo ragione e lo sapevo.

«Dimmi solo una cosa: perché ti sei infilato in questa merda?»

Il viso di Ryan si rabbuiò. Le ombre sul suo viso divennero più scure e incavate.

«Non hai il diritto di saperlo, Nathan. Proprio non ne hai il diritto.»

«Che significa?»

Fece due passi verso di me, fino a sovrastarmi.

«Significa che non puoi venirmelo a chiedere adesso, dopo anni in cui te ne sei letteralmente fregato di me.»

«Ma che stai dicendo?»

Avanzò ancora e mi costrinse a indietreggiare.

«Credi che non me ne sia accorto? Ho visto che avevi dei problemi, sai? Ma mi hai sempre tenuto fuori da tutto ciò che ti riguardava. E la chiami amicizia? Per questo non hai il diritto di chiedermi come sto. È troppo tardi e preferisco stare in questa merda, come la chiami tu, piuttosto che contare su di te.»

Lo guardai negli occhi e mi chiesi a quanti anni prima risalisse l’immagine che avevo di lui. Avevo continuato a vivere col ricordo che avevo della sua persona, piuttosto che ammettere che la realtà era cambiata. Perché la verità era che non ci parlavamo più da un bel po’. L’ultimo concerto di cui avevamo discusso risaliva forse al 1998. Non avrei nemmeno saputo dire se avesse una fidanzata oppure no.

Io mi ero eclissato, in tutti quegli anni; e ora mi ritrovavo ad ascoltare il silenzio del teatro, a osservare i sedili vuoti, qualche pop-corn caduto a terra. Il sipario era sempre alto, ma nessuno pensava che valesse la pena di recitare al mio fianco o anche solo di guardarmi. Ero lì in mezzo, solo, divorato dal mio stesso silenzio.

Ryan aveva ragione su tutto. Lui era cambiato e nemmeno me ne ero accorto. Non potevo fare nulla per salvarlo. Forse avrei letto di lui su qualche notizia di cronaca nera, forse lo avrei rivisto con la faccia emaciata e il cervello scoppiato.

Mi diede le spalle e avanzò verso il suo gruppetto.

«Ryan?»

Si fermò, mani in tasca.

«Che c’è?»

«Chi è Waitch?»

Si girò. Con lui, lo fecero anche gli altri due uomini che erano lì. Uno di loro si scrocchiò le dita e venne verso di me. Aveva bicipiti portentosi e gli occhi iniettati di sangue. Avrebbe potuto stendermi letteralmente con un soffio.

«Segui il consiglio del tuo amico e smamma. Non vorrai mica una mano?»

Si scrocchiò le dita rimanenti e afferrai il concetto. Indietreggiai quel poco che bastava per dirgli che avevo capito il messaggio, poi tornai a guardare Ryan, attorniato da persone che non avevo mai visto, che non credevo facessero per lui; evidentemente, quelle erano persone sbagliate per il ragazzo che era fino a qualche anno prima, non per quello che era in quel momento.

Ero rimasto fermo ai miei diciott’anni, incapace di lasciarmi tutto alle spalle.

Il mondo era andato avanti e io ero rimasto indietro, forse in attesa che qualcuno mi tirasse fuori di lì.

 

Sussultai, non appena sentii una mano sulla spalla: era Alan.

«Tutto bene?»

Non avevo molta voglia di parlare e lui era fin troppo apprensivo. Mi metteva ansia.

Rimasi a fissare il prato per molto tempo, lui accanto a me. Cercavo di distinguere i fili d’erba mossi dal vento, ma non ci riuscivo.

Alan mi aveva detto spesso che ero un ragazzino. In effetti, sentivo di avere diciott’anni e non ventuno. Nel momento in cui ero stato cacciato di casa, era come se il mio tempo si fosse fermato. Rivolevo indietro tutto: la mia famiglia, la mia camera, il tacchino nel giorno del Ringraziamento. Non ne potevo più di cassonetti puzzolenti e divani rotti, del silenzio di quella catapecchia, delle incursioni furtive in quella che un tempo chiamavo casa.
          Ormai vivevo una finzione. Quand’è che ero diventato Nathan-lo-stupido, solo per avere compagnia? E quanti sarebbero rimasti, nel momento in cui avessi gettato la maschera?

Alan sarebbe rimasto?

«Ho voglia di attenzioni.»

Come mi aspettavo, ridacchiò incredulo.

«Tu? Ma se le hai di continuo?»

Ero stato stupido a sperare in una risposta diversa, e ancora più stupido era il fatto che continuavo a fidarmi di qualcuno che mi aveva raccontato un sacco di balle. Mi aveva accompagnato quella sera solo per portare avanti chissà quale indagine, ma di aiutarmi non gliene importava niente.

«Tu non hai bisogno di attenzioni, Nathan, ne hai già fin troppe. Quello che ti serve è qualcuno che sia al tuo fianco, che ami ogni tuo difetto e sia pronto a perdonare quasi tutto a quel faccino da schiaffi che ti ritrovi.»

Mi diede un buffetto e mi strappò un sorriso. Era strano essere toccato proprio da lui, con tutto quello che aveva passato, e pensai che dovesse essergli costato molto. Faceva di tutto per tirarmi su il morale. Non se n’era ancora andato, come invece avevano fatto gli altri.

«Perché non dici che vuoi scoparmi, come fanno tutti?»

Gli scappò un’altra risata incredula.

«Primo: non ho intenzione di scoparti, come dici tu; secondo: io non sono ‘tutti’.»

Alan non avrebbe mai tenuto a me nel modo in cui avrei voluto. Era premuroso nei miei confronti, ma l’impressione era che lo fosse con chiunque; dunque, non significava nulla.

«Mi abbracci?»

Sentivo gli occhi inumidirsi, mentre Alan mi guardava con l’aria di chi l’avrebbe fatto fin da subito, se solo glielo avessi permesso. Mi cinse con le sue braccia e mi tirò a sé, lasciando che il calore del suo corpo mi avvolgesse e mi cullasse. La sua stretta fece scomparire le nubi grigie dalla mia testa, donandomi la sensazione di aver trovato un sostegno su cui riposare, nel lungo cammino che era la mia vita.

Non mi fidavo di Alan, ma in quel momento mi diede tutto ciò di cui avevo bisogno: l’impressione che qualcuno tenesse a me.

 

Ormai era notte fonda, quando Ash arrivò sotto casa mia.

«Grazie del passaggio.»

Agguantai la maniglia per aprire la portiera, ma fui costretto a fermarmi.

«Scendo anch’io, se non ti dispiace.»

Alan aveva deciso di venire con me, ma perché? Non feci domande e scesi; lui mi seguì poco dopo. Ash ci salutò e rimanemmo soli.

Così come aveva fatto nel parcheggio, continuò a seguirmi senza dire niente, finché non fummo sotto casa. Infilai le chiavi nella serratura, ma mi fermò.

«Aspetta.»

Le sfilai e mi voltai verso di lui.

«Che c’è?»

«Mi dispiace per stasera. Se non sono stato onesto con te, è solo per ragioni professionali.»

Che differenza faceva, in fondo? Feci spallucce e annuii.

«Nessun problema. Ora il copione prevede che tu sparisca per sempre, come fanno tutti.»

«Quando capirai che non sono ‘tutti’?»

«E tu quando ti accorgerai che non ho amici? Non lo vedi che non ho nessuno? Forse ci sarà un motivo.»

Attesi una risposta che non arrivò; così presi nuovamente le chiavi in mano e le infilai nella serratura.

«Ti va di fare una passeggiata?»

Mi domandai perché mi parlasse quando ormai avevo già le chiavi pronte a girare, ma le sfilai ancora una volta e mi voltai verso di lui.

«Una passeggiata? Dove?»

«Non lo so. Qui nei dintorni.»

Non mi faceva differenza. Niente lo avrebbe fatto, in quel momento. Però accettai. Annuii e lui mi rispose con un sorriso abbozzato, illuminato appena dal lampione davanti a casa.

Io non dissi nulla.

Non sorrisi.

Semplicemente, lo seguii.

 

Ci fermammo in un mini-market a comprare un paio di birre e camminammo per diverso tempo senza dire niente. Mi domandai se fosse questa la sua idea di passeggiata, ma non volevo sentirmi in dovere di dire qualcosa. Alan non mi parve turbato, quindi me ne restai nel mio mutismo, più accogliente del solito.

La birra era buona. Anche Alan doveva pensare lo stesso, visto che la beveva con gusto.

Quella sera, c’era la luna piena. Il cielo era abbastanza limpido per poterla ammirare nella sua interezza e mi fermai un attimo per osservarne le poche irregolarità che era concesso vedere. La luna piena, in generale, era uno spettacolo che mi affascinava, ma quella sera mi parve solo un ammasso bucherellato nel cielo.

Riportai lo sguardo sulla strada e lo stesso fece Alan: si era fermato a guardare con me. Non fece nessun commento sulla Luna e continuammo a camminare l’uno accanto all’altro, muti, il silenzio rotto dalle boccate che prendevamo dopo aver bevuto un po’ dalla lattina.

Alla fine, mi fermai, e Alan con me.

«Cosa stiamo facendo, esattamente?»

Lui mi sorrise. Mi sorrideva sempre, quasi volesse rassicurarmi ogni volta.

«Seguo il tuo ritmo. Se in questo momento non hai voglia di parlare, va bene.»

«E allora non potresti lasciarmi solo?»

Alan ci pensò un attimo.

«Non credo che tu voglia stare solo.»

La mia mente era un groviglio di pensieri e di immagini. C’era Ryan che sputava le palline, c’eravamo io e Alan sotto al parcheggio, e, dal nulla, spuntò fuori l’immagine di Alan che mi accarezzava le gambe, seduti sul suo divano. Era stato un gesto molto intimo, forse anche più di un bacio.

Riprendemmo a camminare, col rumore dei nostri passi sull’asfalto e quello delle ruote che sfrecciavano veloci sulla strada principale. Se ci capitava di incontrare qualche coppia, questa si zittiva subito nel momento in cui ci passava accanto.

Eravamo solo io, lui, la birra e i nostri passi, che ci portarono in un viale alberato. I platani, imponenti e maestosi, sembravano accoglierci con un inchino.

«Ti posso fare una domanda?»

Mentre attendevo una risposta, ci sedemmo su una panchina che costeggiava l’ingresso a chissà quale parco. Non avevo voglia di stamparmi la mappa della città in testa. In sottofondo, sentivo il frinire dei grilli, anche se non ne ero sicuro. Mi piaceva pensare che lo fossero.

«Certo, dimmi.»

«Mi sono accorto che ogni tanto mi guardi, sai? Volevo sapere cosa pensi in quei momenti.»

L’eco delle mie parole svanì per lasciare spazio al rumore ovattato dei clacson. Tutto intorno, silenzio.

«Ti guardo?»

«Sì.»

La luce della luna si fece meno intensa. Adesso aveva contorni più definiti. Il parco era silenzioso. Forse c’era qualcuno a sballarsi, ma non lì dove eravamo noi. Forse c’era anche Ryan.

«Non ci avevo mai fatto caso. Ti chiedo scusa. Non penso cose cattive su di te, se era questo che volevi sapere.»

Be’, non proprio. In quel momento avrei voluto sentirmi dire tutt’altro. Ma Alan non lo avrebbe mai fatto, troppo preso com’era dall’aver violato una convenzione sociale: non si fissano le persone. Mi faceva sorridere che quello potesse essere uno dei suoi pensieri principali. Era un tipo così per bene.

C’era un uccello nascosto tra gli alberi. C’era la fontana, in mezzo al prato, che spruzzava acqua. Nessuna di queste cose riuscì a regalarmi un’emozione.

«Alan.»

«Dimmi.»

Un cane abbaiò. Due volte. Tre.

«Ti capita mai di sentirti vuoto?»

Lui attendeva che continuassi, così feci.

«In questo momento, mi sento come il guscio di una noce. Però, se lo schiacci, dentro non c’è niente. Ora come ora, non c’è niente dentro di me. Lo capisci?»

«Lo capisco.»

«È come se non fossi capace di provare emozioni. Come se mi si fosse spento tutto, qua dentro. Davvero lo capisci?»

«Davvero.»

«Anche adesso, ho provato a guardare la Luna, ma non provo emozioni. La natura non mi trasmette niente. A me piacciono i parchi, sai? Forse perché mi ricordano la mia infanzia. Ora, però, non mi ricordano nulla. Mi sento una specie di bambola.»

«Anche io sono stato una specie di bambola, per tanti mesi.»

Alan guardava la Luna, ma quella visione gli aprì un sorriso sulle labbra. Lui non era più una bambola.

«E come se ne esce?»

«Devi trovare una ragione, ma puoi trovarla solo dentro di te. Magari sei lì, che hai perso ogni speranza, e poi ti capita di incontrare qualcuno che ti fa mettere in discussione tutto ciò in cui credi.»

«E questo ti fa tornare a essere vivo?»

Soffiò un sorriso.

«Ti fa tornare la curiosità di esplorare il mondo.»

Io non sapevo se l’avrei mai ritrovata, quella curiosità. Avevo tante ferite, ma poche cicatrici. Tagli, in ogni zona del mio corpo, che continuavano a sanguinare, ma non abbastanza da lasciarmi morire.

«Nathan?»

«Mh.»

«Mi dispiace per Ryan.»

Feci spallucce.

«Non ti preoccupare. Lo sapevo già.»

«Sapevi già che spacciava?»

«No», e mi ricordai della lattina che tenevo in mano. Era ancora fresca. «Sapevo già che mi avrebbe deluso. In realtà so molte cose, ma faccio finta di non vederle. Nel momento in cui dai il nome a qualcosa, è come ammettere la sua esistenza, no? Allora provo a non chiamarle, ma sono loro a chiamare me. E alla fine dei conti, per forza di cose, mi scontro sempre con la realtà e spesso non è piacevole. Anzi, non lo è mai.»

Alan aveva un bel viso. Non era una bellezza in senso comune, ma aveva uno sguardo rassicurante. Come lo guardavi, ti sentivi al sicuro.

«Io so che con Harvey non funzionerà. So che mio padre non mi perdonerà mai e che non tornerò a vivere con la mia famiglia. Lo so, ma faccio finta di non saperlo. Perché se dovessi accettare tutto questo, non so se ne reggerei il peso.»

Alan appoggiò la lattina sulla panchina.

«Gli amici servono proprio a questo. Sono lì nel momento del bisogno, affinché portino un po’ del tuo peso sulle loro spalle.»

«Ma io non ho amici.»

«A me non risulta che tu stia parlando da solo, in questo momento.»

Lo osservai. Teneva le braccia conserte e si potevano ancora intravedere gli avambracci scoperti. Non si era ancora rimesso a posto, da quando avevo fatto quel ritocchino al suo abbigliamento.

«Io e te siamo amici?»

«Se vuoi.»

Mi sembrava una buona cosa. Un soffio di vento fresco mi accarezzò la pelle, ma io pensai ad Alan, all’amico che mi sedeva accanto, sempre con una risposta per tutto.

«E chi mi dice che lo saremo a lungo?»

«Nessuno. Devi fidarti e basta.»

Lo guardai ancora. Mi aveva mentito, quella sera, ma era un pretesto e io lo sapevo bene. Lo sapevo - come tante altre cose - che il suo interesse per me era sincero, che la sua apprensione niente aveva a che fare con la sua indagine. Si preoccupava se mi vedeva giù di corda, e questa era la verità, per quanto io continuassi a negarla.

Alan c’era sempre.

«Mi stai chiedendo tanto, lo sai?»

«Lo so.»

Sorseggiai un altro po’ di birra. In lontananza, mi sembrò di veder passeggiare una coppia. Mi parve anche di vedere un paio di uccellini piantare le loro zampette sul bordo della fontana, per bere un po’. Non ne ero sicuro, ma mi diede tranquillità.

Anche Alan guardava la fontana; sembrava rilassato. Non pareva spaventato all’idea di portare il peso di parte dei miei problemi, oltre ai suoi, che di certo non erano indifferenti.

In quel momento, però, capii che Alan aveva ragione: lui non era ‘tutti’.

Lui era Alan.

 

Stemmo in silenzio anche durante il tragitto di ritorno, ma era un silenzio diverso. Il mio guscio cominciava a tornare pieno. Non sarei diventato una noce matura in poco tempo, ma non ero nemmeno un involucro vuoto. Ero una bambola che riusciva a sbattere le palpebre - un bel passo avanti.

Dovevo infilare di nuovo le chiavi nella serratura, ma non ne avevo voglia. Per quella sera, non avrei mai voluto lasciare quel ragazzo con le maniche risvoltate e la camicia fuori dai pantaloni.

«Buonanotte, Nathan, e chiama se hai bisogno. Io ci sono sempre, capito?»

«Sempre? Quindi mi assicuri che non sei uno di quelli che se si fidanza poi sparisce?»

Lui rise e fece ridere anche me.

«Non penso di essere in vena di fidanzamenti, ma non si sa mai. Comunque no, non sono uno che sparisce, tranquillo.»

«Grazie.»

Mi diede un altro buffetto.

«Figurati. Quando vuoi, mi raccomando.»

Ci salutammo, rischiarati dalla luce del lampione. Solo quando il portone mi si chiuse alle spalle, mi chiesi come sarebbe tornato a casa. Forse avrei potuto invitarlo da me, ma né il mio letto né il divano sembravano invitanti. In effetti, era stato meglio così.

Salii le scale ed entrai nel mio appartamento. Gettai le chiavi nel posacenere sul comodino all’ingresso, poi mi frugai ancora in tasca e le mie dita sfiorarono un pezzo di carta stretto e lungo. Lo tirai fuori e mi bastò leggere “California” per ricordarmi dell’annuncio di lavoro che avevo visto.

Cominciai a pensare che forse non ci ero incappato per caso, che quella fosse realmente l’occasione di ricominciare che la vita mi stava riservando. Mi ritrovai di nuovo a immaginarmi sulla costa occidentale, con un po’ di abbronzatura e quel pizzico di maturità in più che mi sarebbe bastata per tagliare tutti i ponti.

Avrei abbandonato tutto… e tutti.

Ma poi ripensai a Ryan, a quello che gli era successo e a ciò che ci eravamo detti.

Chi è che lo aveva ridotto così?

Chi è che aveva ridotto così anche Harvey?

Posai l’annuncio di lavoro sul comodino, perché non potevo arrendermi in quel modo; non potevo lasciare che qualche ora di sballo si portasse via due persone a cui tenevo e che avevano fatto parte della mia vita.

Volevo scoprire chi ci fosse dietro a tutto quel giro. Non avrei potuto fare niente, certo, ma almeno potevo dare un nome allo stronzo che li riforniva. E poi, chissà, avrei potuto anche sporgere denuncia alla polizia.

Dopo una bella doccia calda me ne andai a letto, carico e determinato.

Sarei andato fino in fondo.

 

 

 

Angolo autrice

Ed eccoci già arrivati al capitolo 15. Come vola il tempo, mi sembra di aver cominciato a pubblicare solo ieri! Questo significa che devo spicciarmi a scrivere quello che mi manca, ahahah XD Ieri sera ho buttato giù una quindicina di righe del capitolo 29 che va revisionato per metà, non sono molte ma di sicuro sono meglio di zero :D

Comunque ho scritto questo capitolo quando ero nel mio “periodo Murakami” e infatti lo trovo molto “giapponese” (con questo non mi sto paragonando a Murakami, ci mancherebbe ahahahah). La stesura originale di questo capitolo risale più o meno a metà 2015, un periodo dove purtroppo non sono stata bene (ero in una sorta di leggera depressione) e penso che questo inevitabilmente si sia riversato anche nella scrittura. Da qui in poi infatti la storia prende, a mio parere, una piega molto più “angst” o in ogni caso diciamo che alcuni nodi vengono al pettine e, date le premesse con alcune situazioni o personaggi, va da sé che non porteranno troppe cose positive. La buona notizia è che ora sto molto meglio, con qualche alto e basso, ma nel complesso non mi posso lamentare, quindi… chissà, magari i personaggi potrebbero avere qualche gioia – ma non troppe, perché le storie senza conflitti non ci piacciono :P

C’è anche da dire che più o meno da questo punto in poi ho avuto una scrittura molto discontinua, sempre per via della situazione che si è venuta a creare dal 2015. Non ho scritto per mesi, in alcuni casi potrei dire anche anni, ed è stato abbastanza difficile tenere tutta la trama sotto controllo. Per fortuna avevo già una scaletta molto dettagliata! Rileggendo i capitoli, comunque, non si nota molto e questa è la cosa più importante :D

Bene, anche oggi sto scrivendo commenti più lunghi del capitolo, chiedo venia…

 

Alla prossima e grazie a tutte le persone che seguono questa storia <3

holls

   
 
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