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Autore: eddiefrancesco    30/01/2022    1 recensioni
Odyle Chagny aspirante artista, è costretta a lasciare la Francia per accontentarsi di fare l'istitutrice delle due figlie di Lord Moran.
Dalla sua posizione ai margini del bel mondo, la giovane si rende conto ben presto che in quell' ambiente dove tutto sembra perfetto, in realtà molti nascondono oscuri segreti.
Per esempio, Lord Tristan Brisbane, l'attraente e un po' impacciato gentiluomo la cui timida insicurezza mal si accorda con le voci inquietanti che circolano sul suo conto.
O dell'avvenenente Lady Moran, che pur circondata dal lusso conduce un esistenza triste e solitaria. Scoprendo a proprie spese che nell'Inghilterra puritana di fine Ottocento può bastare un sussurro per distruggere una vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Non-con
Capitoli:
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Odyle alzò lo sguardo sui tre bambini. «Ora capisco perché avete tanta paura! Chi vi ha dato questa roba da leggere?» Richard alzò una mano. «Ehm... sono stato io, cioè, l'ha letto mia sorella qualche mese fa e mi ha detto che era molto bello.» Qualcosa le diceva che Cecilia Montgomery aveva cercato deliberatamente di spaventare il fratellino, tuttavia Odyle non disse nulla. «Sarà anche un bel libro, ma non è adatto a dei bambini della vostra età. Infatti vi siete spaventati!» «Invece no!» intervenne Agnese con baldanza. «Il libro ci piaceva!» Si morse le labbra, come se non sapesse se proseguire o meno. «È stato il fantasma a farci paura, Miss Odyle» disse Ernestine tirando su con il naso un paio di volte, prima di infilarsi un dito in una narice. «Era brutto e cattivo.» «Be', non era tanto brutto» la corresse Richard. «Però cattivo lo sembrava davvero.» Odyle si accuccio' davanti ai tre porgendo loro la mano e invitandoli ad avvicinarsi. «Ehi, che cosa vi ho detto riguardo alle bugie?» «Che hanno le braccia corte!» esclamò Ernestine, orgogliosa di ricordare la lezione. «Hanno le gambe corte, sciocca!» la rimbrotto' Agnese. «Ma il fantasma non è una bugia, Miss Odyle. Era vero...» «In carne e ossa!» sottolineò Richard. Odyle sorrise. «Per l'appunto: se era un fantasma, avrebbe come minimo dovuto essere trasparente e fatto d'aria, non trovate?» I tre bambini si scambiarono un'occhiata dubbiosa, poi Ernestine le fece un sorriso. «Forse era solo un domestico molto arrabbiato con noi!» disse. «Perché pensate che ce l'avesse con voi?» domandò Odyle dandole un buffetto sulla guancia. «Perché quando sono uscito in corridoio per cercare qualcuno che ci portasse dell'acqua me lo sono visto venire incontro tutto arrabbiato. Allora sono corso dentro e ho chiuso la porta a chiave, e lui ha cercato di aprire.» Le due bambine annuirono enfaticamente. «Non diceva niente, ma cercava di buttare giù la porta con la forza» spiegò Agnese. «È stato per quello che abbiamo spinto il mobile davanti alla porta e ci siamo nascosti sotto il materasso.» «Perché sotto il letto c'è l'uomo nero!» chiari' Ernestine. Quella storia non le piaceva affatto, pensò Odyle chiudendo a chiave la porta della nursery. I bambini potevano anche inventarsi delle bugie, ma di rado erano in grado di raccontarle così bene... e di sembrare tanto genuinamente spaventati. Per fortuna, dalla sua stanza si poteva accedere a quella delle bimbe tramite una porta comunicante, così avrebbe potuto lasciare chiusa a chiave quella del corridoio, dopo aver insegnato a tutti e tre come si faceva a serrare e aprire il chiavistello interno delle due porte comunicanti. «Scendiamo a vedere se danno la merenda, vi va?» propose, e come immaginava la mozione fu approvata all'unanimità. Scesero in cucina, dove la cuoca li accolse con aria materna e benevola e li rifocillo' con dolci e tramezzini, mentre Mrs. Manfred serviva loro il tè. Poiché non voleva spaventare i bambini mostrando troppo interesse per la loro storia, Odyle aspetto' che avessero ingurgitato più tramezzini di quanti avrebbe potuto mangiarne lei stessa in una settimana, prima di rivolgersi ancora al maschietto. «Richard... mi domandavo... ma che aspetto aveva l'uomo che hai visto?» «Quale uomo?» domandò Mrs. Manfred. «Richard dice di aver visto qualcuno nel corridoio. Lui e le bambine si sono spaventati perché ha cercato di forzare la porta della loro camera.» La governante serro' le labbra. «Margaret? Non vi sentite bene?» le domandò Odyle. «Che aspetto aveva?» domandò ancora la donna, senza guardarla. «All'inizio ho pensato che fosse Lord Brisbane. L'ho anche salutato con la mano» disse Richard. «Era proprio come lui, solo che sembrava tanto tanto arrabbiato. E Lord Brisbane non è mai arrabbiato e cattivo!» Richard scosse la testa e soffio' sulla tazza di tè, dalla quale si levo' una nuvoletta di vapore. «Non è così?» Nonostante l'animata conversazione - specie tra le signore - sui pettegolezzi riguardanti la Stagione e le immancabili lamentele su quanto Londra fosse diventata detestabile e sporca, la cena non fu salutata con particolare entusiasmo da nessuno. Tristan aveva faticato a staccare gli occhi dal piatto anche per rispondere alle insistenti domande che Lord Montgomery gli aveva posto riguardo alla sua vettura, la nuovissima automobile che gli aveva mostrato nel pomeriggio, un altro dei prodigi della fine di quel secolo che Lord Brisbane non si era ancora deciso a trasferire in città, dove sicuramente gli sarebbe stata molto più utile. Lo stesso Paul Oswald non aveva fatto che sospirare, preoccupato, spostando lo sguardo dall'uno all'altro dei commensali e pensando che era una fortuna essere considerato un personaggio di poco conto, perché così poteva estraniarsi da quella situazione surreale senza risultare irrispettoso. Doveva restarsene a tavola come se nulla fosse, con Tristan e gli altri, quando sarebbe stato molto meglio correre di sopra a controllare quello che succedeva, pensò. Invece, dopo il racconto concitato di Mrs. Manfred, erano stati mandati nell'ala ovest due lacchè, in modo che nessuno si insospettisse. Dopo la zuppa fu servito del roast beef in crosta con contorno di patate dolci e crema di funghi, ma pochi vi fecero davvero onore per lusingare la cuoca. Un'altra che se ne stava a dir poco sulle sue era Cecilia Montgomery. Oswald, che l'aveva quasi di fronte, ebbe modo di osservarla di sottecchi: era pallida e aveva uno sguardo spaventato e assente. Teneva la sedia poco discosta da quella della sua prozia, come se avesse l'intenzione di saltarle in braccio da un momento all'altro. Finalmente, dopo il dolce, quella tortura finì, e quando le signore si furono alzate da tavola per lasciare gli uomini a fumare e bere il loro brandy, Tristan si scuso' con Michael Moran e Montgomery, dicendo che c'era una questione urgente di cui si doveva occupare insieme al dottore. Dopodiché invitò Paul a seguirlo. Odyle uscì dalla porta della nursery e indugio' qualche istante con la chiave tra le mani. Aveva faticato a fare addormentare Agnese ed Ernestine, quella sera. Aveva dovuto leggere loro tre fiabe, cercando di aggirare le domande che continuavano a porle su quanto era successo quel pomeriggio. Alla fine decise di chiudere a chiave la porta della propria stanza - le precauzioni non erano mai troppe - e lasciò accostata la porta comunicante tra le due camere. Dopodiché si infilò la chiave nella tasca del vestito e si avvicinò verso le scale, pronta a scendere per offrire un po' di compagnia a Lady Emma, semmai l'avesse voluta, prima di ritirarsi per la notte. Qualcosa, tuttavia, attirò la sua attenzione: la luce di una lampada a olio illuminava lo scalone che conduceva all'ala occidentale... lo scalone proibito. Si avvicinò furtiva, in tempo per scorgere Tristan e Paul Oswald che svoltavano la prima rampa di scale e si dileguavano al piano superiore. Possibile che Tristan dovesse controllare la struttura della sua casa a quell'ora di notte e con il dottor Oswald? Il dottor Oswald. Probabilmente, il medico teneva delle medicine nella valigetta che aveva con sé. Che si trattasse della morfina... per Tristan? Odyle non aveva dimenticato il loro incontro del pomeriggio ed era ancora in collera con lui. Non l'aveva visto per il resto della giornata e aveva cenato insieme alle bambine e a Richard, ma se ripensava al bacio cui l'aveva forzata e a ciò che aveva insinuato - ancora una volta - sull'intesa tra lei e Lord Michael... be', le saliva il sangue alla testa! Si era convinta che fosse stato lui a spaventare i bambini, forse perché era fuori di sé dalla rabbia. Probabilmente in quel momento stava cercando Oswald per farsi dare la sua medicina, e aveva perso il controllo... non poteva essere stato altri che lui in corridoio. E se le cose stavano davvero così... No, non voleva neppure pensarlo... Ma se Tristan soffriva di quei raptus improvvisi, allora poteva essere stato davvero lui a uccidere sua moglie qualche anno prima. Salì piano piano i gradini, pregando di non fare troppo rumore e cercando di camminare sul tappeto in modo da attutire il calpestio delle scarpe. Non aveva con sé la lampada e le scale erano avvolte nelle tenebre. Il lume di Tristan e Oswald era chissà dove, da qualche parte al piano superiore. Si trascino' su per i gradini, fino ad arrivare all'ammezzato. Il battito del suo cuore era l'unico suono che sentiva e temeva fosse così forte che qualcuno avrebbe potuto scoprirla. Se Tristan era fuori di sé come quel pomeriggio, quando si era presentato ai bambini, chissà se Oswald sarebbe stato in grado di fermarlo... E chissà che cosa avrebbe potuto farle! Doveva farsi coraggio, si disse. Se lo amava, doveva scoprire la verità su di lui e aiutarlo. Se lo amava... L'idea che Tristan potesse essere fuori di sé, che avesse un doppio se stesso incontrollato che poteva andarsene in giro a fare del male alle persone, la terrorizzava. Doveva anche tenere in considerazione la possibilità che quando era in quello stato potesse non riconoscere neppure chi gli era più caro... Forse era così che era arrivato a uccidere Lady Christina. Era arrivata all'imboccatura del corridoio. Non c'erano lampade neppure lì, solo una sottile striscia di luce che proveniva da sotto l'ultima porta in fondo al corridoio. E si sentivano delle voci. «Stai fermo!» stava dicendo Paul Oswald. «Non riesco a...» Più tenue, quasi soffocata, risuono' la voce di Tristan. Rumori. Mobili spostati. Forse una sedia che cadeva per terra. «Maledetto!» sibilo' all'improvviso una voce grave e feroce, alla quale fece seguito una risata agghiacciante. «Che cosa mi fai, Paul? Ancora una puntura... Una bella puntura per far star buono il pazzo, eh?» Di nuovo un rumore, come di vetri rotti. «Tristan, per l'amor di Dio!» gridò ancora Oswald. Odyle sentiva il pulsare del sangue nelle orecchie. Aveva l'impressione di non percepire più nulla al di fuori dalla lama di luce sul pavimento, delle voci, del rombo del proprio cuore che sembrava volerle esplodere nel petto. «Me la pagherai!» gridò ancora la voce cupa e feroce. «Devi soffrire come stai facendo soffrire me... da sempre! Te la farò pagare, vedrai...» La voce si ruppe in un guaito, un gemito sommesso. «Io...» aggiunse poi più debolmente, «...So tutto.» Odyle si coprì la bocca con le mani per impedirsi di urlare mentre i singhiozzi la scuotevano senza che potesse farci niente e le lacrime le inondavano le guance e la gola. Aveva riconosciuto la voce, anche se sconvolta e trasfigurata dal rancore e dalla malattia: era quella di Tristan. Non ricordava neppure come avesse fatto a scendere le scale, tanto era impaurita e sconvolta. Aveva raggiunto la porta della sua camera e si era fermata per qualche secondo, guardandosi attorno con circospezione. Poi aveva ruotato la maniglia ed era entrata. Come le sembrava strana e diversa quella stanza, ora, come se ci fosse qualcosa di ipocrita e fittizio nelle tende chiare, nella scrivania severa, nelle lenzuola ordinatamente tirate. Tutto appariva così tranquillo e normale, quando in realtà niente lo era. Ogni sua speranza poteva dirsi svanita. Chiuse la porta a chiave e si rifugiò sotto le coperte, tirandosele fin sulla testa e pregando di addormentarsi presto per non continuare a pensare. Quanto tempo era passato? Un'ora, forse due. Due ore di completa immobilità sul materasso freddo. Poi aveva percepito un rumore. Secco ma attutito. Il chiavistello della porta era scattato e un cigolio sommesso le aveva detto chiaramente che qualcuno stava entrando nella sua camera. Odyle tremo' tra le lenzuola, senza il coraggio di fare capolino da sotto le coperte per controllare che cosa stava accadendo. Sentì dei passi... e poi quella voce. «Non avresti dovuto impicciarti...» Era la stessa voce che aveva sentito poco prima, quella di Tristan. «Mi dici, ora che ne devo fare di te?» Odyle finse di dormire. Forse, si disse, così l'avrebbe lasciata in pace. Si rese conto che lui aveva posato un dito sulla coperta e che aveva preso ad accarezzarla. Lentamente. Partendo dai piedi e salendo fino alla testa. Non con la mano, capì d'un tratto. Qualcosa faceva un rumore strano contro la coperta, e non aveva la stessa consistenza di una mano. Era, piuttosto, un oggetto appuntito. Un coltello! Tristan sollevò delicatamente il lenzuolo con cui Odyle si proteggeva il volto. «Stai dormendo, amore mio?» Odyle lo guardò con gli occhi sbarrati. Era Tristan, lo sapeva, eppure non gli assomigliava affatto. I suoi lineamenti erano sfatti e le guance più pesanti e cadenti. Le spalle sembravano più scarne e deboli, e anche il suo colorito era spettrale. «Volevi prendermi in giro ancora una volta, non è così?» Odyle si rese conto di non riuscire a muoversi, di non poter quasi respirare e, soprattutto, di non essere capace di gridare per chiamare aiuto. La sua bocca si apriva, ma non ne usciva alcun suono. Lui si sedette sul letto e le ordinò di accoccolarsi in grembo. Odyle non voleva, ma era come una marionetta nelle sue mani, non poteva fare a meno di obbedirgli. Sentì la lama fredda del coltello che le scivolava lungo il corpo, come una terribile carezza, per poi fermarsi all'altezza della gola. Le venne in mente Barbablu' e le sue mogli... e poi lo sentì bisbigliare: «Barbablu'...» In quel momento le parve assolutamente plausibile che fosse capace di leggerle nel pensiero. «Dopo Lady Christina... ho sete di altro sangue... e sarà il tuo!» Stranamente, a quel punto Odyle si rilasso'. Sapeva finalmente la verità: lui era pazzo, aveva ucciso sua moglie e, adesso, pretendeva che anche lei salisse sull'altare sacrificale della sua follia. «No!» La porta si aprì di nuovo e... Tristan entrò nella stanza, trafelato. «Lasciala stare!» gridò al se stesso che brandiva il pugnale. Odyle si ritrovò a fissarlo, stupefatta. Tristan la teneva stretta a sé, puntandole un pugnale contro il collo. Ma Tristan era anche davanti a lei, con quello sguardo amorevole e che gli aveva letto tante volte nei profondi occhi blu. Occhi sinceri... «Sono sincero, Odyle... Mi devi credere! Non sono pazzo» le disse tendendole la mano, come se lei avesse potuto alzarsi e, con tutta tranquillità, andare da lui. «È una cosa terribile, è vero... ma non ti farei mai del male!» Odyle lo guardò e si sentì rassicurata. Del resto, come aveva già pensato poco prima, era alla sua mercé e anche volendo non poteva farci niente. Il Tristan dietro di lei sembrò allentare la stretta. Odyle si alzò senza degnarlo di uno sguardo e raggiunse quello che le stava di fronte e le tendeva le braccia. «Odyle...» Odyle! «Odyle! Aiutatemi...» Odyle si svegliò di soprassalto, sudata e con la camicia da notte appiccicata addosso. Non c'era Tristan nella sua stanza, non c'era nessuno. Ma qualcuno bussava alla porta e le era parso di sentire una richiesta di aiuto. «Odyle, sono Michael! Aiutatemi, ve ne prego!» Era davvero la voce di Michael Moran, fuori dalla porta. Ma cosa ci faceva davanti alla sua stanza nel cuore della notte? Riuscì a districarsi dalle pieghe della camicia da notte e delle lenzuola e corse alla porta, aggrappandosi alla maniglia e cercando di aprirla. Non vi riuscì. Solo dopo vari tentativi, ricordò di aver messo il chiavistello. Quando finalmente la porta si aprì, Moran per poco non le cadde addosso. Non riusciva quasi a reggersi in piedi e tremava.
   
 
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