Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: giuliacaesar    14/02/2022    1 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 10 - DOLCE TORTURA

Poteva decisamente sentire il sapore del drink dalle labbra di Mitsuha e, cazzo, non gli era mai piaciuto così tanto come in quel momento. E sebbene non fosse un’amante del rum, era appena diventato il suo liquore preferito. 

Giurò di aver sentito nella sua testa il rumore di un elastico che schioccava quando Mitsuha lo aveva tirato a sé sulla melodia iniziale di “Gimme! Gimme! Gimme!” degli ABBA, non aveva registrato il resto della canzone o della baraonda intorno a loro, perché il suo cervello si era spento, come se avessero pigiato l’interruttore. Gli occhi della ragazza erano un abisso infinito di desiderio quando lo avevano guardato, lui si era lasciato trascinare dentro in un vortice mentre Mitsuha lo aveva afferrato per la felpa e aveva fatto scontrare le loro labbra con ferocia. C'era impazienza in quel gesto, tant’è che sentì il suo naso schiacciarsi contro lo zigomo della ragazza e i loro denti cozzare leggermente. Vi era una fretta dettata da un desiderio spinto nella profondità della sua anima per soffocarlo e ora, come una molla che veniva rilasciata all’improvviso e che saltava in aria, sentiva di voler dare sfogo a tutta quella tensione che lo aveva tirato sempre di più verso l’altra. 

Qualcuno spintonò Touya da dietro, facendolo finire addosso a Mitsuha, il suo seno schiacciato contro il suo petto a mozzargli il respiro. Si aggrappò ai suoi fianchi altrimenti le sue gambe tremanti non avrebbero retto, sorprendendosi di affondare le dita in una pelle così morbida. Gli scappò un gemito soffuso dalle loro labbra ancora unite, che vibrò per tutto il corpo della ragazza, come scossa da un terremoto. 

Il piercing freddo e duro del central labret in contrasto così forte con le labbra morbide e calde dell’altro la faceva impazzire. Voleva sentire sulla lingua anche il sapore di un altro piercing, ma la gente continuava a spintonarli e, per quanto fosse piacevole avere quel corpo statuario contro il suo, iniziava a sentirsi in trappola. Un principio di panico le strisciò sulla nuca, dandole quel tanto di lucidità che bastava per staccarsi con violenza da quella bocca soffice. Gli occhiali di Touya erano scivolati lungo il ponte del naso, lo sguardo totalmente immerso nel piacere e le labbra ancora socchiuse e umide le avevano fatto stringere lo stomaco in una fastidiosa morsa. Era da tutta la serata che voleva quell’espressione su quel viso da finto santo che si stampava sempre. Trovò la forza per evitare di saltargli ancora addosso e per trascinarlo verso l’uscita d’emergenza più vicina. 

Lo sbalzo di temperatura svegliò Touya che, in preda all’alcool e al sapore che aveva ancora sulle labbra, aveva spinto Mitsuha contro un muro riprendendo il bacio di prima. Alla ragazza era scappata una risata, che, come le bollicine di uno champagne, lo aveva inebriato ancora di più. Sentiva il cuore rombargli nelle orecchie, mentre un doloroso calore gli si spandeva nello stomaco, facendogli bramare sempre di più. Sentiva il cranio pieno di elio, leggero come una nuvola: l'unica cosa che in quel momento gli importava erano le labbra così dolci della ragazza da fargli girare ancora di più la testa. 

Con le gambe ancora tremanti, le strinse tra le mani la vita. Le sue dita vi affondarono come burro, strappandogli un altro gemito soffocato per la sorpresa. Una sottile striscia di pelle morbida era rimasta scoperta dalla canotta, quindi vi infilò le mani sotto senza tante cerimonie guadagnandosi un versetto soddisfatto da Mitsuha, che spinse il suo corpo ancora più vicino al suo, mentre allo stesso tempo gli afferrava la nuca e se lo portava contro. Il suo nodo allo stomaco si strinse ancora di più sentendo sotto le dita calde, dopo il sottile strato di pelle morbida, la fascia dura dei muscoli addominali che si contraevano e si rilassavano in continuazione. 

Fece risalire le mani con lentezza, assaporando ogni singolo centimetro di pelle nuda con fame cieca fino ad arrivare a sfiorare il top con le unghie. Il respiro di Mitsuha si era velocizzato, facendo contrarre sempre di più i muscoli, che sentiva sotto i polpastrelli, strappandogli un mugugno. Riportò le mani in basso con la stessa estenuante lentezza, che spinse la ragazza a mordergli la bocca per l’impazienza e a stringere tra le mani ancora di più i capelli. Spostò i palmi sempre più in basso, oltre la pancia morbida, i fianchi formosi, la vita fino ad arrivare alle cosce, accarezzandole con la sola punta delle dita stuzzicandola. Mitsuha gli ringhiò contro le labbra tra un bacio umido e l’altro, poi gli avvolse la vita con una gamba stringendoselo ancora più addosso, se possibile. Touya sembrò apprezzare con un mugugno soddisfatto, mentre finalmente cedeva a darle quello che voleva, serrando le mani sul sedere dell’altra. 

Sentiva le mani di lei tra i capelli a massaggiargli lo scalpo in un gesto tenero e completamente opposto al linguaggio del suo corpo. Continuava a portarselo sempre più vicino, i loro petti erano schiacciati l’uno verso l’altro e il cavallo dei suoi pantaloni si stava facendo sempre più dolorosamente più stretto e fastidioso, man mano che lei si strusciava di tanto in tanto, in una piccola vendetta al peregrinare lento delle sue dita. Le mani di Mitsuha poi si spostarono in un lento e dolce supplizio, che gli fece tremare ancora di più le gambe e che gli fece espandere ancora di più il dolorosamente piacevole calore nello stomaco. 

Le fredde dita di Mitsuha scesero dalla nuca, seguirono coi polpastrelli la linea perfetta del collo, percorrendo con particolare attenzione la giugulare coi pollici fino al dermal, poi, leggere come piume, disegnarono la forma dolce delle clavicole. Touya sentì una vampata di caldo alla testa e si ritrovò a emettere piccoli versetti soffocati a implorare di più. Mitsuha sorrise nel loro bacio, soddisfatta di averlo reso creta tra le sue mani, anche con le spalle al muro, e si staccò quel giusto per riprendere fiato e per godersi l’espressione sfatta di Touya, con gli occhi imbevuti di nero desiderio e i capelli disordinati. Kami, quegli occhiali erano la ciliegina sulla torta, completamente storti e calati fino alla punta del naso. Fu Touya a riallacciare le loro labbra in un bacio bagnato, gemendole contro la bocca senza ritegno alcuno e stringendole il sedere tra le mani, completamente assuefatto. 

Sentiva sotto i palmi, posate ancora sul suo petto, i polmoni forti prendere grossi respiri, mentre lui, baciandola come un disperato, sembrava implorarla di toccarlo tra un gemito soffocato e l’altro. Fece scorrere le mani sulla maglietta, scendendo verso il basso oltrepassando l’ombelico e giungendo al bordo dei pantaloni. A quel punto Touya non ragionava più tra le labbra succose della ragazza e quei dolci tormenti, si spinse contro le sue mani in un chiaro invito a continuare a toccarlo. Mitsuha non lo soddisfò subito divertendosi a percorrere con il solo indice destro la striscia di pelle appena sopra il bordo dei jeans, muovendolo da un fianco all’altro con estrema e calcolata lentezza. Poi lo spostò anche dall’lato verso il basso, dall’ombelico fino all’orlo dei pantaloni, sentendo sotto il polpastrello un leggerissimo strato di peluria. 

Touya piagnucolò contro la sua bocca, aggrottando le sopracciglia in un’espressione supplichevole, mentre sentiva il suo stomaco ribollire di impaziente desiderio e i suoi pantaloni farsi sempre più scomodi. Quando si staccarono di nuovo, le labbra bagnate e i respiri corti, impaziente gli scappò un sussurro piagnucolante e carico di preghiere. 

«Ti prego, toccami.». 

Questo fece scattare qualcosa nel cervello di Mitsuha che gli afferrò immediatamente la vita tra le mani stringendola con forza. Il ragazzo sembrò sospirare dal sollievo, mugugnando contro la sua bocca, ma gli si mozzò il respiro in gola quando le mani di lei si spostarono sotto la maglietta accarezzandolo. 

Era una così deliziosa tortura. Le mani fredde della ragazza contro la sua pelle calda, che si riscaldava sempre di più gli facevano salire e scendere brividi in continuazione lungo la schiena portandolo ad arcuare il corpo verso quello dell’altra, la stretta allo stomaco era sempre più forte. Mitsuha spostò i palmi dai fianchi verso il centro della pancia, ai lati dell’ombelico che accarezzò con i pollici delicatamente. Strinse piano con le dita, assaporando la morbidezza della pelle delicata del ragazzo, prima di staccarsi di pochi millimetri, quello che bastava per sussurrargli una piccola frase. 

«Sei un bugiardo, Touya.». 

L'altro non ebbe il tempo di ribattere che Mitsuha gli afferrò il labbro inferiore tra i denti, senza neanche curarsi del piercing, strappandogli l’ennesimo gemito sconcio. Nella sua testa era calata una nebbia, non riusciva a ragionare né a parlare se non tramite gemiti e piccole suppliche. Non sentiva più la connessione con la realtà, con quello che lo circondava, ogni singola cellula e ogni fibra del suo corpo era argilla sotto quelle mani sadiche. 

Il suo gemito fu soffocato dalla lingua di Mitsuha che gli percorse il labbro inferiore con una calma estenuante, mugugnando quando passò sopra il labret. Era sul punto di supplicarla di tornare a baciarlo, ma la ragazza gli inserì la lingua in bocca, iniziando ad accarezzare la sua. Credette di star vedendo le stelle, perché gli uscì un gemito roco più forte degli altri ricambiando più che felice ed eccitato. 

Tutto intorno a loro sembrò prendere all’improvviso fuoco, quando le loro lingue si incontrarono: Touya sentiva un calore diffuso per tutto lo stomaco che scalpitava, mentre l’eccitazione di Mitsuha scese fino ad arrestarsi in un punto piacevole e fastidioso in mezzo alle gambe. Le scappò un versetto acuto quando il ragazzo le accarezzò la lingua con la propria, quasi scavandogliela con il piercing, in un contrasto così perfetto e delizioso con la morbidezza del resto del corpo e della bocca. 

La cosa sembrò infervorare ancora di più Touya che fece scivolare verso l’alto le mani calde lungo tutta la schiena, pelle contro pelle, prestando particolare attenzione alla spina dorsale, che si premurò di accarezzare con la punta delle dita. La afferrò più saldamente appena sopra il costato, portandosela vicina per assaporare ancora di più la sua bocca, che sapeva ancora dello zuccherino sapore pastoso del cocco. In risposta a questa improvvisa presa di posizione, Mitsuha sembrò sciogliersi contro di lui, rispondendo docilmente a qualsiasi gesto lui compisse. 

Le accarezzava la lingua e le labbra con minuziosa calma e precisione, le solleticava il palato quel giusto per sfarle scorrere brividi dalla nuca fino alle gambe che tremavano. Lei strinse con troppa forza le dita attorno all’addome di Touya, che le morse le labbra con un ringhio sommesso per avvertirla e lei, sorprendentemente docile, le spostò circondandogli il busto con le braccia avvicinandolo. Soddisfatto, le succhiò il labbro come se fosse una caramella, in uno strano ed eccitato modo di chiederle scusa. Lei emise un respiro tremante, gli occhi velati di desiderio ardente. 

Riprese a baciarla quasi con ferocia, continuando ad accarezzarle la lingua con la propria, staccandosi ogni tanto per leccarle la bocca o per succhiarle le labbra. Ancora sapeva di rum e lui aveva tutte le intenzioni di assaporare ogni singola deliziosa goccia di quel liquore finché ne sarebbe rimasta traccia. Mitsuha rispondeva remissiva a ogni stimolo, gemendo ogni tanto con piccoli versi acuti che gli parlavano dritto al cavallo dei pantaloni. 

Si spostò in avanti con la gamba, portandola in mezzo a quelle di Mitsuha e strusciandovisi con delicatezza, una leggera carezza per stuzzicarla. La ragazza rispose artigliandogli la schiena e sfregandosi senza ritegno contro di lui. Sentì più che chiaramente quanto fosse sul punto di crollare anche l’altro, quindi iniziò a muoversi più freneticamente. Gli succhiò il labbro inferiore prestando particolare attenzione al labret sotto gli occhi socchiusi di Touya, glielo morse, poi glielo leccò e rincominciò a baciarlo di nuovo. Rispondeva ai gemiti soffocati del ragazzo con versetti rumorosi, che rimbombavano per tutto il vicoletto. 

Touya sentì la testa girargli ancora di più in tondo, lo stomaco ribolliva in continuazione e quel piacevole dolore caldo all’altezza dell’ombelico si stava spostando verso lo sterno diventando un acido fastidio acuto. Un preoccupante nodo alla gola gli impediva di respirare bene, quindi cercò di rallentare il bacio con lunghe e lente carezze con la lingua su quella di Mitsuha, che però sembrava scalpitare per avere di più. L'acidità si spostò ancora raggiungendo la gola, che bruciava così tanto da fargli stringere gli occhi lacrimanti. La testa continuava a girare e si sentiva sempre più debole, mentre l’altra cercava di sopraffarlo di nuovo. Touya però fu avvolto dal panico, quando il nodo alla gola divenne un improvviso conato di vomito. 

Oh, no! 

Quell'improvvisa consapevolezza gli fece muovere il corpo in automatico: tolse le mani dalla schiena di Mitsuha, le posizionò sopra le sue spalle e se la staccò con un colpo secco, per poi spostarla di lato. Si chinò in avanti sfiorando con la fronte il muro e vomitò tutto quello che aveva bevuto quella sera. Odiava vomitare, ne aveva quasi la fobia. Lo stomaco spingeva verso l’alto con un dolore atroce, la gola iniziava a bruciare, lo sforzo di buttare fuori nient’altro che bile e alcool gli faceva lacrimare gli occhi. Più di tutti, lo consumava l’aver fatto l’ennesima figura dell’idiota di fronte a qualcuno. Tra la testa che aveva iniziato a pulsare, la gola che sentiva graffiata dall’acidità della bile, lo stomaco che continuava a contorcersi in una morsa straziante, sentiva la vergogna di non essere capace a reggere nemmeno tre drink bruciargli il petto. 

Dopo che ebbe tre conati dolorosi a vuoto, non si sentiva affatto bene: tremava, ma sentiva caldo allo stesso tempo, aveva le braccia deboli e le gambe molli, la testa girava lentamente insieme al resto del mondo, la gola era acida e secca. Voltò la testa nella direzione dove aveva letteralmente lanciato Mitsuha per chiedere aiuto, ma... 

La ragazza era scomparsa. 

Sbatté le palpebre un paio di volte, senza riuscire a vedere. Forse, gli occhiali gli erano scivolati giù dal naso. Sentì un piccolo primo spillo pungergli il cuore. Lo aveva lasciato solo? Una doccia fredda di sensi di colpa lo investì. Era tutta colpa sua, aveva di nuovo rovinato tutto. Una bella serata con un altrettanto bella ragazza era stata rovinata per colpa sua e del suo stomaco debole. Debole, come ogni altra parte di lui. 

Le autocommiserazioni però sarebbero arrivate dopo, stava troppo male per pensare. Appoggiò la fronte al muro di mattoni di fronte a sé piagnucolando, voleva solo tornare a casa. Si portò la mano alla tasca sul retro dei suoi pantaloni ed estrasse il telefono. Sebbene tutti i numeri fossero solo strisce sfocate e incomprensibili, la foto di loro due da ragazzini era inconfondibile. Quando parlò, gli tremò la voce. 

«Keigo, mi-mi vieni a prendere, p-per favore?». 

*** 

Nonostante i quattro drink, Mitsuha poteva dire di avere un aspetto quanto meno dignitoso, a differenza del ragazzo di fronte a lei piegato a metà a vomitare. Fu sbalzata fuori da quella bolla di piacere e sospiri con la violenza di uno schiaffo, rendendosi subito conto del casino in cui si era cacciata. Che cazzo le era saltato in testa di baciarlo? Insomma un giretto su quelle gambe longilinee se lo sarebbe fatto pure, ma non quella sera! Aveva esagerato come suo solito. Non capiva nemmeno, perché si fosse trascinata dietro l’idiota. 

L'odore rancido del vomito le arrivò subito al naso, disgustandola. Dovette iniziare a respirare con la bocca per contenersi. Sebbene il mondo continuasse a girare in tondo pigramente, era abbastanza lucida da scorgere un uomo che passava di fronte a lei, nella strada perpendicolare al vicoletto in cui aveva trascinato Touya. La pelata completamente tatuata con un pitone e gli occhiali da sole, anche se era mezzanotte passata, erano inconfondibili. Era il suo bersaglio di quella sera. 

Per un brevissimo istante fu combattuta: per una volta venire meno al lavoro in favore di un’opera caritatevole oppure portare a termine il compito che le avevano affidato? Come ogni altra volta che si trovava di fronte a un bivio, uso un’unità di misura che non l’aveva mai delusa, ovvero i soldi. Chi offre di più? Cosa tra le due le avrebbe portato il pane a tavola e un tetto sulla testa? 

Diede un paio di pacche sulla schiena di Touya, che sembrava aver smesso di rivoltarsi lo stomaco, rimanendo comunque piegato a metà in preda a conati fantasma. 

«Hai smesso, sì? Bene! Ci sentiamo, Zuccherino!». 

Corse dietro all’uomo, con ancora le gambe tremanti. Anche su di lei l’alcool aveva fatto qualche effetto, perché quando svoltò improvvisamente per immettersi nella strada principale il mondo sterzò violentemente facendola sbandare. Rimase qualche secondo stordita, poi ritornò lucida e continuò la sua rincorsa, inseguendo l’uomo che nel frattempo era arrivato alla sua macchina. Rallentò qualche metro dietro di lui e lanciò un fischio, l’altro si girò e la vide, sorpreso. Gli vide i denti marci, quando le sorrise. 

«Di solito sono io a fischiare alle belle ragazze, ma mi considero fortunato. Cosa posso fare per lei, signorina?». 

A Mitsuha girava la testa, era nervosa perché, ancora una volta, aveva dato retta all’istinto e non alla sua testa e ora si ritrovava con un’eccitazione a fior di pelle che non la faceva pensare a nient’altro che a quel bacio umido e caldo di prima. Nelle sue orecchie rimbombavano ancora le suppliche del ragazzo, insieme a tutti i suoi gemiti soffocati. In più, il modo viscido con cui lo stava guardando quel tipo le faceva venire voglia di prenderlo a pugni fino a farlo diventare una massa informe e sanguinosa sul marciapiede, ma aveva bisogno del suo aiuto, quindi si sarebbe trattenuta. Volevo allo stesso tempo tornarsene a casa per farsi un bel bagno ghiacciato e darsi una calmata. 

«Serpens qui caudam devorat.» disse tra un respiro e un altro. 

L'uomo cambiò improvvisamente atteggiamento. Si rizzò subito in piedi dalla posizione stravaccata che aveva assunto sul cofano della macchina e si abbassò addirittura gli occhiali dagli occhi arrossati, improvvisamente lucidi per uno che probabilmente aveva passato metà serata a fumarsi tutte le erbe possibili. 

«Come fai a sapere la parola d’ordine del mio clan? Solo i membri possono saperla!». 

«Diciamo che ho... conoscenze.». 

L'uomo assottigliò ancora di più gli occhi, portandosi la mano verso il retro dei pantaloni dove Mitsuha supponeva tenesse la pistola. In quello stato, con più alcool che sangue nel corpo, non sarebbe stata in grado di affrontare uno scontro. Disse la prima cosa che le venne in mente per salvarsi. 

«Conosco Hebi!». 

L'uomo fermò la mano, ma parve ancora più confuso. 

«Hebi? Il capo è in prigione da an-». 

A Mitsuha scappò un verso frustrato. Se fosse stata più lucida e con meno ossitocina in giro per il corpo avrebbe avuto più pazienza, essendo un lavoro delicato, ma era l’alcool per lo più a parlare. 

«Senti, non ho voglia di stare a discutere con te tutta la sera, avrei avuto di meglio da fare se il mio accompagnatore non avesse deciso di svotarsi lo stomaco di fronte a me. Ti ho detto la parola d’ordine e che conosco, anche fin troppo bene, il tuo capo, quindi perché non metti via quella pistola prima che ti faccia affogare con i cinque drink che ti sei sgolato?». 

L'uomo continuò a guardarlo sospettoso, però tolse la mano dalla pistola e incrociò le braccia. 

«Come fai a conoscere il capo?». 

Mitsuha sbuffò. Non aveva per niente voglia di parlare di quella questione. Anzi, non aveva voglia di avere a che fare con quel clan per nulla al mondo, ma le aveva provate tutte e nessuna aveva funzionato, erano la sua ultima opzione prima di tornare da quel bambino capriccioso di Shigaraki. Non credeva che avrebbe funzionato anche questa volta, ma tentar non nuoce. 

Sapeva che qualsiasi cosa avrebbe detto non sarebbe comunque riuscita a convincere l’uomo, quindi, anche se sarebbe stata malissimo dopo, gli avrebbe dato ciò che voleva. Chiuse gli occhi per far tornare il mondo di nuovo fermo e concentrò tutte le sue energie sull’uomo a pochi passi da lei. Prima di tutto, cercò di regolarizzare il respiro con l’altro, inspirando ed espirando allo stesso tempo, poi si concentrò sul cuore forte che pompava il sangue e l’ossigeno per tutto il corpo. Si focalizzò ancora di più andando alla ricerca di piccolissime particelle di acqua che si trovavano all’interno del sangue e degli organi. 

La sensazione era quella di utilizzare lo zoom su un’immagine: vedeva il corpo per intero, con i polmoni che si gonfiavano e il cuore che pompava, poi l’immagine si faceva sempre più grande che le permise di visualizzare il sangue che scorreva in tutto il corpo. Cercò di seguirlo nel suo percorso attraverso gli organi e le vene, fino ad arrivare a un punto preciso, infine ingrandì ancora di più l’immagine sulle piccole particelle di acqua che venivano strascinate tra i globuli rossi, bianchi e piastrine. Isolò quelle a cui era interessata e allungò la mano per agganciarle, poi diede un comando: “Solleva il braccio”. E così fece il braccio dell’uomo che si sollevò senza che lui lo volesse. 

Sentì l’altro fare un verso sorpreso, mentre lei, ancora con gli occhi chiusi, rilasciò la presa di colpo. Ritornò a respirare e boccheggiò per la fatica. Per lei usare il suo quirk era come avere un terzo braccio, ma quello che aveva fatto era una capacità estrema. Usare il suo quirk era come andare in palestra: aveva una serie di tecniche che riusciva a utilizzare e che più le usava più le era facile gestirle e fare meno fatica, ma la capacità di controllare le singole particelle d’acqua all’interno del corpo umano era come sollevare all’improvviso un peso di 300 chili senza riscaldamento. Oltre ad affaticarsi più del dovuto, rischiava anche di farsi del male. Era una abilità molto comoda, ma che doveva usare con parsimonia. E di certo, non da ubriaca. 

La testa le esplose, sentì il muscolo del braccio tirarsi dolorosamente e un nodo di nausea le salì alla bocca dello stomaco. Dissimulò il suo malessere prendendo un grande respiro e alzando gli occhi verso l’uomo che ancora lo guardava stupito massaggiandosi l’avanbraccio. 

«Ma quindi tu-». 

«Sì, sì, esatto. Ora ti fidi?». 

L'uomo annuì improvvisamente docile. Mitsuha si raddrizzò scrocchiando il collo, era stanca e voleva solo tornare a casa. 

«Sarò veloce: lavoro per la League of villains, ho bisogno che voi cerchiate di duplicare questo.». 

Tirò fuori dalla tasca anteriore dei pantaloncini un piccolo proiettile rosso, il siero anti-quirk della Shie Hassaikai. Shigaraki aveva un bambinesco piano in testa e per attuarlo aveva bisogno che quei proiettili andassero duplicati, ma né Twice né nessun altro a cui si era rivolta sembrava riuscire nella cosa. L'Uroboro era la sua ultima spiaggia, se anche loro non fossero riusciti nell’intento sarebbe dovuta tornare indietro a mani vuote, per quanto la seccasse e la divertisse allo stesso tempo. Quel piano era ridicolo e i continui piagnistei di Shigaraki erano oltremodo fastidiosi, ma aveva avuto capi peggiori e la paga era buona, quindi avrebbe ingoiato il rospo e fatto quanto gli fosse stato comandato. 

L'uomo prese con due dita il flaconcino rigirandoselo tra le dita, dubbioso, poi se lo inserì in tasca senza fare domande. 

Perché tutti non possono fare così? Ordine ed esegui senza fare storie, semplice e pulito. 

«Quanto tempo abbiamo?». 

«Una settimana, poi ci rivedremo sempre qui per ulteriori sviluppi. Se entro allora non avrete cavato un ragno dal buco, fa niente, questa è una causa persa fin dall’inizio.». 

L'uomo annuì, comprensivo. Mitsuha socchiuse gli occhi, insomma le andava bene che non facesse domande, ma passare dal puntarle una pistola contro a tutta quella remissività le faceva strano. O era scemo o aveva qualcosa in mente. 

«Nessuna domanda?». 

«Gli ordini si eseguono e basta, non si fanno domande.» rispose serio l’altro, facendo un piccolo inchino col capo. Mitsuha rimase sorpresa dalla risposta, ma non volle andare oltre, quindi si girò dopo aver parlato un’ultima volta. 

«Bene, allora alla prossima settimana.». 

L’altro sembrò tentennare per un attimo. 

«Sta bene? Vuole un passaggio?». 

Mitsuha si girò a guardarlo torturarsi nervosamente le mani. Sollevò un sopracciglio sospettosa. 

«Perché tutta questa benevolenza?». 

L'uomo deglutì, all’improvviso non tanto spavaldo come prima. 

«Insomma, se il capo scoprisse che l’ho lasciata da sola a vagare di notte, non se sarebbe AFFATTO contento.». 

Mitsuha batté le palpebre sorpresa. Un po’ capiva quella sensazione viscida di costante terrore. 

«Anche a voi fa ancora paura? Dopo tutti questi anni?». 

«No-non ha i-idea.». 

Non ebbe bisogno di ascoltare il battito del suo cuore per comprendere il semplice e genuino terrore che faceva tremare la voce dell’uomo. Mitsuha si mosse verso l’altro, in un tacito assenso. La casa che aveva preso in affitto era lontana e, conciata com’era, sarebbe stato molto difficile raggiungerla. 

L'uomo le aprì la portiera del posto del passeggero, in cui sprofondò come se fosse fatto di gomma. L'ultima cosa che ricordò fu di aver bofonchiato il suo indirizzo a mezza voce prima di cadere nel buio. 

*** 

La mattina dopo per Touya fu una delle più brutte della sua vita. Prima ancora di aprire gli occhi, aveva sentito un dolore lancinante trapassargli la testa, ma la cosa peggiore era l’improvvisa ondata di nausea che lo travolse. Si alzò di scatto e corse in bagno, cadendo in ginocchio di fronte al gabinetto e immergendoci la faccia disperato e sconvolto dai conati. Non si accorse nemmeno che qualcuno era entrato in bagno e gli si era messo affianco, accarezzandogli la schiena con ampi cerchi. Quando il suo stomaco finì di contorcersi e sollevò la testa, la persona gli mise di fronte al naso un bicchiere. 

«Prendi un sorso, sciacquati la bocca e poi sputa.». 

Fece quanto detto prendendo piccoli sorsi e sputandoli subito dopo, finché non sentì l’acidità in bocca sparire, poi si pulì con un fazzoletto che gli fu messo in mano al posto del bicchiere. Quando aprì gli occhi per uno stupido secondo sperò che quella persona fosse Mitsuha, ma la massa informe bionda che vedeva con gli occhi appannati gli suggerì che quella persona era Keigo. Forse, era meglio così, il suo migliore amico si era preso cura di lui più di una volta e sapeva cosa doveva fare. Era confortevole averlo affianco, a tirarlo in piedi per riportarlo a letto, mentre lo rimproverava bonariamente. 

«Sei un disastro! Ma cosa vai a bere il giovedì sera, se poi il giorno dopo devi ancora lavorare e, soprattutto, se sai che non reggi un cazzo di alcool?! Ma che ti è saltato in testa?». 

Sprofondò di nuovo nel letto, il mondo aveva iniziato a girare pigramente in tondo, ma sentiva che pian piano si stava fermando. Sdraiato a pancia sotto, tra le coperte, si leccò le labbra secche prima di rispondere facendo delle pause tra una frase e l’altra. 

«Mi ha mandato un messaggio Mitsuha... voleva tipo conoscermi? Abbiamo bevuto e...». 

Arrossì violentemente al ricordo infuocato della sera precedente. Era davvero successo? O era solo la sua mente ubriaca a essersi immaginata tutto? Eppure il dolce sapore dell’arancia che gli era rimasto sulla punta della lingua diceva il contrario. Dovette mordersi ll'interno della guancia per non svuotare subito il sacco, almeno non per il momento. Sentì Keigo sospirare e dirigersi verso la porta. 

«È già la seconda volta che vomiti da ieri sera e che mi dici le stesse identiche tre frasi, dormi ancora un po’. Quando avrai smesso di svuotare lo stomaco, vieni di là che facciamo colazione e mi spieghi cosa hai combinato.». 

Sollevò la testa per protestare, ma il mal di testa fu come un martello che gli calò in fronte facendolo ritornare con la faccia sul cuscino. Keigo riprese a parlare, anticipando le sue obiezioni. 

«Ho già scritto a tuo padre, ti ha ancora dato il turno del pomeriggio, tranquillo. E no, non gli ho detto che ti sei bevuto anche l’alcool per i pavimenti, sono rimasto sul vago.». 

Touya riuscì solo ad annuire e a bofonchiare un “Grazie” prima di tornare a dormire. 

Keigo rimase qualche secondo a osservare il suo amico sonnecchiare. Per una volta faceva un sonno che durasse più di 5 ore, ma avrebbe preferito che lo facesse senza vomitare ogni volta che si svegliava. Inoltre, il fatto che continuasse a tirare fuori Mitsuha non gli piaceva affatto. 

Geloso? 

Scacciò la vocina nella sua testa, distogliendo lo sguardo dall’espressione angelica sul volto di Touya e reprimendo l’impulso di accarezzargli i capelli candidi. Si chiuse la porta alle spalle e tornò in salotto, dove aveva dormito in dormiveglia per tutta la notte da quando aveva riportato il suo amico a casa. Si distese al centro del divano-letto stendendo completamente le ali per sgranchirsi. Aveva lasciato una piuma rossa sul comodino della stanza da letto del suo amico, in caso di emergenza. 

La chiamata di Touya era stato un colpo al cuore per lui. Quando poi aveva sentito la vocina sbiascicata e tremante del suo migliore amico aveva letteralmente sentito il suo cuore dolere terribilmente. Era subito scattato al locale senza neanche curarsi di essere andato in pigiama. Aveva trovato Touya che a malapena si reggeva in piedi sulle gambe tremati, aggrappato a un muretto di un vicolo. Lo aveva afferrato, aveva preso gli occhiali che gli erano caduti e aveva chiamato un taxi che li portasse a casa del suo amico, più vicina rispetto alla sua. Se si fosse messo a volare con lui in braccio, avrebbe fatto più veloce, ma non voleva rischiare di farlo vomitare ancora. 

Poi per tutta la notte non aveva mai smesso di andare da lui quando aveva i conati di vomito a reggergli la testa e a confortarlo. Aveva una grandissima rabbia addosso, che per il momento non voleva sfogare. Già Touya stava male, infierire sarebbe stato crudele da parte sua. Avrebbe aspettato che si riprendesse, poi avrebbe fatto la parte dell’amico incazzato e apprensivo. 

Lanciò uno sguardo allo schermo del telefono. 

6:33, 5 luglio 2030 

Conoscendolo si sarebbe svegliato per le 8, quindi chiuse gli occhi, nelle orecchie il respiro regolare e tranquillo del suo migliore amico

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: giuliacaesar