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Autore: Marti Lestrange    11/06/2022    3 recensioni
L’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Haydon Hall non è un bel posto, e basta una sola occhiata per dirlo, ma James Sirius Potter è costretto a trascorrervi un intero anno, per scontare una punizione che in fondo sa di meritare. Quando mette piede nella Scuola non si aspetta, però, che l’atmosfera da incubo lo trascinerà in un incubo vero, con radici profonde in parti della storia magica che nessuno vuole più ricordare, segreti di famiglia e purezza di sangue, lacrime e morte. Una storia in cui la giovane Emma Nott, studentessa ribelle appena arrivata alla Scuola, non può non rimanere invischiata, il richiamo del suo stesso sangue troppo forte per opporsi.
[ dal testo: Nessuno sa quando tutto è cominciato, qui alla grande casa. C’è chi dice che l’inverno del 1981 sia stato uno dei più duri, sia per coloro che vivevano al villaggio, sia per chi abitava tra queste mura fredde e spoglie; c’è chi asserisce che non ci sia stata primavera più bella di quella che ne è seguita, quando cespugli di rose sono cresciuti, a maggio, nei giardini e tra le siepi, e si sono arrampicati sulla facciata ovest, per poi morire ai primi freddi successivi. ]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Michael Corner, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Nelle puntate precedenti…

A Heydon Hall, Emma e James portano avanti la loro indagine sulla misteriosa E., il fantasma che infesta le stanze dell’antica dimora. James ha un incontro ravvicinato con la Dama durante un incidente in cui uno studente rischia la vita, mentre Emma trova la lapide sotto la quale sono sepolti Eliza e il suo bambino, nel giardino sul retro della scuola. I due ragazzi risolvono i loro problemi personali (si erano baciati in biblioteca e James si era comportato da perfetto idiota) ed Emma gli chiede di accompagnarla a Rosier Hall, l’antica dimora di famiglia che sua madre ha ereditato ma che ha chiuso ben prima che Emma nascesse. In questo capitolo, ecco cosa scopriranno i nostri eroi. 

[ DISCLAIMER: tutto l’headcanon riguardante la famiglia Rosier - a parte ciò che già sapevamo, ovviamente - è stato inventato da me ]



THE HAUNTING OF HEYDON HALL

 

CAPITOLO DODICI

 

 

“Mi sentii 
sull’ultimo margine
del mondo,
a scrutare nelle viscere
di un caos insondabile
di notte eterna.”
H. P. Lovecraft, Dagon

 

 

Rosier Hall, Norfolk, 23 settembre 2023

Emma si sentì scostare piano, e il suo nome sommessamente sussurrato da James la riscosse. «È ora», e poi qualche vestito infilato di fretta, James che le avvolgeva le spalle con uno dei suoi giubbotti, e il suo bacio lieve sulle labbra che non era un voler prendere, ma solo un voler dare, una rassicurazione sussurrata a fior di pelle. «Ne sei sicura?» Ad Emma era bastato annuire, un sospiro ed erano fuori da Heydon Hall senza che nessuno li vedesse, testimone solo la notte. La Materializzazione congiunta praticata da James fuori dai cancelli della scuola fu velocissima, un battito di ciglia ed eccoli dall’altra parte. 

Pioveva, in quella zona del Norfolk. L’acqua veniva giù a ondate da un cielo nero senza stelle e ben presto furono zuppi. Emma si guardò intorno, la mano ancora saldamente stretta in quella di James. Non volevano perdersi nell’oscurità di un luogo che nessuno dei due conosceva e, per Emma, quel tocco voleva dire stabilità. “Dove pensi che sia l’ingresso?” James urlò sopra il frastuono della pioggia. Aveva ficcato il mantello dell’invisibilità in uno zaino insieme ad altre cose che avrebbero potuto essere loro utili e aveva restituito ad Emma la bacchetta che, sorprendentemente, era riuscito a recuperare dallo studio di Corner prima di andare. Il preside dormiva nell’ala del personale e non nel suo studio, per fortuna, quindi aveva avuto via libera. E conoscere il modo di disincantare il baule dove venivano conservate le bacchette degli studenti era un vantaggio non da poco. 

 

[ROSIER HALL]

 

Emma sapeva che la tenuta era immensa, con un parco vastissimo a circondare la casa vera e propria che però assomigliava quasi più ad un castello che ad una semplice villa signorile nel cuore della campagna inglese. La ragazza si guardò intorno mentre la pioggia le scorreva addosso, annebbiandole la vista. Si scostò una ciocca bagnata di capelli da davanti agli occhi. E poi lo vide, fu come un bagliore in mezzo alla notte: un cancello alto. Lo indicò a James. «Laggiù.» 

«Andiamo,» rispose James tirandola per la mano, e lei lo seguì. La pioggia aveva già creato rivoli di fango ai loro piedi ed Emma sentiva le scarpe impregnarsi d’acqua e le punte dei piedi bagnati. Non vedeva l’ora di essere al coperto, per quanto entrare a Rosier Hall1 la spaventasse, oltre che eccitarla e incuriosirla. Era tutto lì, di fronte a lei: l’ignoto e la verità insieme. Non aveva mai fatto un salto nel vuoto di tale portata, infrangendo non sapeva quante regole tutte insieme, e probabilmente deludendo sua madre per sempre, quando la donna sarebbe venuta a saperlo - e lo avrebbe saputo di certo, era fuor di dubbio. Ma la verità che avrebbe potuto scoprire, ciò che si celava dietro quelle mura, le risposte che avrebbe trovato al di là, tutto era come un richiamo, per lei, qualcosa che la chiamava da tempo, l’attirava a sé e la reclamava: quel sangue che non era acqua e che le scorreva dentro come un’eredità, che le piacesse o meno. 

Tirò un bel sospiro quando lei e James si fermarono davanti al cancello. 

 

[IL CANCELLO È CHIUSO]

 

«È chiuso a chiave. Per Godric!» James imprecò, lasciandole per un attimo la mano per spingere con entrambe contro il ferro solido, che però non si mosse neanche di un solo millimetro. «Avremmo dovuto prevederlo.» 

«Prova con un Alohomora,» gli suggerì lei. 

James sfoderò la bacchetta, ma probabilmente un semplice incantesimo come quello non bastava per aprire un cancello di quel tipo, che doveva custodire una dimora così importante e antica da ogni possibile attacco esterno. 

«Cosa facciamo ora? Ce ne torniamo a Heydon Hall e pensiamo ad un altro modo per entrare?” 

Emma guardò James, ne cercò i bei lineamenti sotto la pioggia e la luce pressoché inesistente. Lui sembrò leggerle nel pensiero, perché sussurrò «Lumos» e il suo volto prese vita, e sembrava quasi grottesco sotto quella luce e quella pioggia, ma era pur sempre James, e sembrava davvero deluso che la loro avventura si sarebbe dovuta concludere ancora prima di iniziare. 

 

[IL SANGUE DI EMMA]

 

Emma rivolse un’altra occhiata al cancello e vi poggiò una mano sopra, proprio sopra al cuore della grossa e vecchia serratura, dove le due ali del cancello si congiungevano. Un “clang” li riscosse, un cigolio pervase l’aria elettrica di pioggia e umidità e un calore sconosciuto inondò il palmo di Emma, propagandosi fino al braccio e al petto. Lei ritrasse la mano di scatto, ma ormai era fatta: il cancello si stava aprendo. 

«Emma, hai appena aperto…»

Lei annuì velocemente. «Lo so. Lo so.»

«Hei,» James le si avvicinò, la prese per le spalle, ne cercò gli occhi che lei dapprima rifuggì, ma che poi non potè fare a meno di incontrare. «Andrà tutto bene, d’accordo? Ci sono io con te.»

Lei annuì di nuovo e accennò un sorriso. «Andiamo.»

 

[ROSIER HALL LI ACCOGLIE]

 

Percorsero il lungo viale che conduceva all’ingresso del castello correndo e tenendosi per mano, i piedi che sguazzavano nelle pozze di acqua e fango lungo il percorso. Sentirono il cancello richiudersi con un altro cigolio dietro le loro spalle, ma non si voltarono. Ora erano dentro. Rosier Hall li aveva accolti tra i suoi segreti, parte integrante dei suoi fantasmi così come delle sue leggende, pronte a dischiudersi davanti a loro come rose in boccio.

 

🥀

 

Emma riuscì ad aprire la grande porta a due battenti così come aveva aperto il cancello poco prima, semplicemente sfiorando il batacchio a forma di serpente. Intorno vi era intrecciata una rosa rampicante. 

L’interno era ovviamente polveroso, ma almeno il rumore della pioggia arrivava attutito e loro potevano stare all’asciutto. Lasciarono impronte scure sul pavimento a scacchi bianco e nero ricoperto di polvere del grande ingresso, il naso all’insù per captare quanti più dettagli possibili. Ora anche Emma aveva acceso la bacchetta e la teneva stesa davanti a sé come una spada, luce e protezione contro l’oscurità che premeva dagli angoli. 

 

[DENTRO ROSIER HALL]

 

Rosier Hall era proprio come Emma l’aveva tante volte immaginata: grande, immensa, antica. I soffitti alti erano affrescati; le pareti ricoperte di carta da parati a fiori e tappezzate di quadri di paesaggi; le scale elaborate che conducevano al piano di sopra si perdevano nel buio. I loro passi risuonavano in mezzo al silenzio immoto che, da anni, non era mai stato turbato. Emma rabbrividì al pensiero che nessuno, da tempo, ne solcava i pavimenti o ne sfiorava le pareti; che nessuno, da tempo, si sedeva su quei divani od occupava la poltrona accanto al fuoco; che nessuno, da tempo, dormiva in quei letti e, semplicemente, viveva quella casa. 

«Emma,» James la riscosse. Lei si voltò per guardarlo: era a poca distanza e la guardava con le sopracciglia aggrottate. «Tutto bene? Ti ho chiamata due volte…»

«Sì, sì, sto bene. Ero pensierosa…»

«Andiamo, di là c’è il salotto, così ci asciughiamo e accendo il fuoco.»

 

[IN SALOTTO]

 

Emma lo seguì nella sala adiacente che, come aveva accennato James, era proprio il salotto. I divani e le poltrone erano stati ricoperti da teli e vecchie lenzuola e i tappeti erano stati arrotolati e messi in un angolo. Cinque alte finestre si potevano aprire sul giardino ed Emma poteva vedere la pioggia imperversare sulle foglie e i cespugli incolti là fuori. Rabbrividì.

James lo notò, perché si affrettò a chinarsi davanti al vecchio camino con la bacchetta e ad accendere un fuoco, che scoppiettò nel silenzio, stranamente allegro. La luce improvvisa diede alla stanza nuove sfumature, un po’ meno inquietanti e più terrene. Emma osservò i lineamenti di James mentre era chino davanti al caminetto, la curva della sua mascella elegante, i capelli castani spruzzati sugli occhi, le mani agili. Stare accanto a lui la faceva stare bene, ogni paura e timore svanivano. Quando si rialzò con un sospiro, Emma ebbe modo di osservare la mensola sopra il camino con più attenzione: era uno di quei tipici luoghi da foto di famiglia incorniciate e ricordi, ma non c’era nulla che le rammentasse una famiglia, o che le infondesse calore famigliare, su quella lastra di marmo, ma solo elaborati soprammobili e vestigia di un tempo passato, serpenti qui e là e rose, rose ovunque. Emma sapeva che le rose erano care ai Rosier e questo sembrava una delle poche cose rimaste a sua madre Victoria che la collegassero in qualche modo a chi era stata e da dove proveniva.

 

[IL DIPINTO DEI SUOI AVI]

 

«James,» iniziò Emma, un passo avanti per guardare più da vicino. Sopra il camino era appeso un quadro. Emma sollevò la bacchetta per vederlo meglio: raffigurava tre persone. Due uomini erano in piedi dietro una sedia, sulla quale era seduta una donna. L’uomo più vecchio era vestito elegante, di un’eleganza composta e vecchio stampo. Ad Emma ricordava un po’ le vecchie foto di suo nonno che le mostrava suo padre, di un uomo tutto capelli (in quel caso biondi) impomatati e cravatte perfettamente stirate. Quest’uomo aveva i capelli scuri tagliati corti e aperti ai lati da una riga severa, un ciuffo lucido a ricadergli di lato. Ogni curva del suo viso severo ne era esaltata e i suoi occhi… i suoi occhi scuri mandavano bagliori. Teneva le mani sulla sedia di quella che era sicuramente la moglie, bionda, pallida, ma dall’espressione vacua come di chi sta occupando uno spazio nel mondo quasi per caso o per sbaglio, vestita di verde, elegante, i capelli appena acconciati e le unghie colorate di rosa sulle mani poggiate in grembo, composte. Fu l’altro uomo più giovane ad attirare l’attenzione di Emma, però. C’era qualcosa, in lui, qualcosa che l’attirava, qualcosa che gli brillava al fondo dello sguardo, una luce o una scintilla che Emma riconobbe, un barlume che aveva già visto, in altri occhi, ma più scuri, scuri quasi quanto questi erano verdi, due polle nelle quali era facile perdersi, verdi come quelli della donna che gli sedeva di fronte e sulle cui spalla poggiava una mano. 

Emma non riusciva a distogliere gli occhi dal quadro. Non era un quadro magico, i soggetti non potevano muoversi, ma erano fissi, per sempre prigionieri di quella tela, immobili e sinistri, per sempre giovani. 

«Emma,» iniziò James. La tirò per la manica e lei si scosse, guardandolo. «C’è scritto qualcosa, alla base del quadro.»

 

[I ROSIER]

 

Lei si rigirò ed effettivamente intravide delle parole, ma la polvere ricopriva la superficie della piccola targhetta posta alla base della cornice, così si alzò in punta di piedi e, con un lembo della manica ancora bagnata, la ripulì.

 

Damien Rosier e Medea Rosier2
E il di loro amato figlio Evan

Rosier Hall, agosto 1980

 

“Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso.”
Famiglia Rosier

 

«Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso», rilesse James con voce incerta. «Sembra—»

«Il loro motto,» lo interruppe Emma, inghiottendo il groppo che le si era formato in gola. «Il motto della famiglia Rosier, lo conosco. Quand’ero piccola ho trovato per caso alcuni documenti sulla scrivania di mia madre, nel suo studio, ero andata lì a giocare ai miei giochi immaginari. Si era arrabbiata molto quando mi aveva trovata lì. Non ero ancora a Hogwarts ma ovviamente sapevo già leggere, mamma aveva insegnato a me e ai miei fratelli molto presto. Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso. È tratta dal Paradiso Perduto di Milton.»

«Emma…»

 

[EVAN ROSIER]

 

Ma lei continuò. «È mio nonno. Evan Rosier.» Sospirò, e sentì la mano di James insinuarsi nella sua. Cercò di trattenere un po’ del suo calore. «Uno dei più pericolosi e spietati Mangiamorte della storia. Lo sapevo, ovviamente, ma leggerlo nero su bianco è tutta un’altra storia.» 

«Stai bene?»

«Non lo so. Credo di sì. In fondo, me lo aspettavo che avremmo trovato conferme scomode, qui, non certo verità edificanti.» 

«Tutti noi ci portiamo dietro eredità importanti.»

«Chi in un senso e chi nell’altro,» commentò lei amaramente, stringendo le labbra, arresa. 

«Mi assomiglia, credo,» disse ancora osservando Evan. «Di certo assomiglia molto alla mamma.»

«Vuoi sederti un minuto?»

«No, è meglio che continuiamo la ricerca.»

«Prima è meglio asciugarci, però, vieni.»

James la condusse via dal camino ed Emma distolse gli occhi da quelli di Evan Rosier. Suo nonno. 

 

🥀

 

Dalla bacchetta di James uscì un fiotto di aria calda e furono asciutti in pochissimo tempo. Emma gli permise di sistemarle i capelli mentre lei lo guardava in viso, così vicino, il suo tocco rassicurante dietro la nuca e le orecchie. 

 

[JAMES RASSICURA EMMA]

 

«Meglio?» le chiese sorridendo. 

Lei annuì. «Grazie.»

«Figurati, è una sciocchezza.»

«Grazie per tutto,» rettificò. «Per avermi seguita fin nella tana del drago. Immagino che trovarsi a casa di ex Mangiamorte non debba essere facile, per te…»

«Be’,» iniziò James scrollando le spalle. «Come non è facile per te. Come non sarebbe facile per nessuno.»

«Già… Ma comunque grazie.»

James cercò la sua mano ed Emma glielo lasciò fare. Aveva bisogno del suo tocco, di sentirlo ancora più vicino. Sentiva che gli ultimi brandelli di quel muro che tanto ostinatamente si era erta intorno stavano crollando, e forse era lei stessa che li stava abbattendo, era lei stessa che voleva vederli distrutti. 

Chiuse gli occhi mentre trovava rifugio tra le braccia di James, mentre gli cingeva la vita e affondava il viso nell’incavo del suo collo e quel profumo le ricordava casa, qualcosa di bello e rassicurante che l’avrebbe sempre accolta e protetta. Le braccia di James si chiusero teneramente attorno a lei, una mano al centro esatto della sua schiena, l’altra tra i suoi capelli, ancora tra i suoi capelli. 

«Andrà tutto bene,» le sussurrò, le labbra a sfiorarle la testa. «Andrà tutto bene.»

Emma si era ormai convinta che sarebbe andata proprio così. 

 

🥀

 

Una volta lasciato il salone, sempre con le bacchette spianate di fronte a loro a illuminare la notte, procedettero in avanti, decisi ad esplorare ciò che rimaneva del primo piano. 

 

[IN ESPLORAZIONE NELL’OSCURITÀ]

 

Rosier Hall però era immensa e nessuno dei due se la sentiva di avventurarsi troppo all’interno per timore di perdersi in quei meandri e in quell’oscurità pulsante popolata da demoni e fantasmi, e di non ritrovare più la strada del ritorno, di non ritrovare più la luce. Le pareti si stringevano loro addosso come se avessero le ruote e potessero avanzare e schiacciarli. Da ogni parte, macabri souvenir della tradizione oscura della famiglia affollavano le nicchie nei muri e nei corridoi di collegamento tra una sala e l’altra, come piccoli animali imbalsamati o sotto formaldeide contenuti in piccole teche di vetro polverose, Mani della Gloria di varie misure e dimensioni, fotografie in bianco e nero di avi accigliati vestiti di scuro, ceri neri consumati. Davanti ad un’ampia collezione di teschi, grandi e piccoli, Emma afferrò la manica di James e tirò. «Basta così,» sussurrò. «Non troveremo niente di utile qui, a parte questa robaccia.»

«Vediamo cosa c’è oltre l’ingresso?» propose James voltando la schiena ai teschi. 

Emma annuì e lasciò la stanza, con James che la seguiva da vicino. 

«Non che mi aspettassi niente di diverso,» commentò lei. 

«È raccapricciante, ma non badarci. Tutte le case come questa erano piene zeppe di artefatti oscuri.»

«Lo so, sicuramente anche quella di mio padre. Non dev’essere stato facile, affrancarsi da tutto questo.»

«Sicuramente no,» convenne James. Sbucarono nuovamente nell’ampio ingresso e tirarono un sospiro di sollievo: nonostante tutto, era sempre meglio di ciò che avevano trovato più in là. «Ora i Nott sono una famiglia rispettabile, però. Tuo padre ha fatto tanto per voi.»

Emma gli sorrise. Sapeva sempre come farle vedere il bicchiere mezzo pieno. 

 

[NELLA GALLERIA]

 

«Cosa pensi che troveremo?» chiese quindi lui facendo qualche passo avanti ed entrando in quella che, ad una prima occhiata, sembrava una sala più lunga e stretta delle altre viste sino a quel momento: non era una semplice sala, ma una galleria. «Sembra una galleria d’arte,» disse Emma, senza fiato di fronte alle statue disseminate qui e là e ai quadri appesi in abbondanza alle pareti. 

«Penso che fosse una specie di collezione privata di famiglia,» buttò lì James alzando la bacchetta ad illuminare cose qui e là. 

Si divisero, vagando per tutta l’ampiezza della lunga stanza. Emma posò lo sguardo su talmente tanti visi, e incontrò talmente tanti occhi, che si sentiva confusa e spersa. Ogni viso le rammentava qualcosa, ogni sorriso e ogni ghigno, ogni bagliore nascosto al fondo di quelle iridi. Nessun dipinto era stato stregato, e tutti i soggetti la guardavano immobili al di là. 

 

[DAMIEN E LE SUE SORELLE]

 

Si fermò di fronte ad un particolare quadro, però. Il suo bisnonno, quel Damien che era stato il padre di suo nonno, l’uomo serio e dallo sguardo pericoloso del dipinto appeso in salotto, era ritratto insieme a due donne, ora. Lui sembrava più giovane, e anche gli altri due soggetti lo erano, come se tutti e tre fossero stati catturati nella loro piena giovinezza, belli e scanzonati nonostante gli abiti eleganti e costosi che indossavano. 

Damien era seduto al centro. Tutti e tre si assomigliavano in modo sconcertante. La ragazza alla sua destra portava i capelli sciolti sulle spalle, ben acconciati e in ordine, e indossava un abito di velluto blu notte, e le sue belle labbra piene erano piegate in un sorriso enigmatico, lo stesso sorriso di Damien. Sembravano quasi gemelli, ma Emma non poteva esserne sicura. L’altra ragazza sembrava più giovane di loro, ancora una ragazzina rispetto ai fratelli più grandi. Portava i capelli, neri e lisci e lunghissimi, sciolti dietro la schiena, e indossava un vestito bianco con il colletto decorato che la faceva assomigliare ad un angelo. La carnagione nivea, i suoi occhi sembravano guardare oltre, sembravano vedere qualcosa che nessun altro intorno a lei poteva cogliere3

«Chi sono?» chiese James ad alta voce. Doveva averla raggiunta mentre lei era incantata ad osservare il dipinto.

Emma cercò una targhetta, ed eccola lì, alla base della cornice come in quella del salotto. Lo indicò a James. Questa volta non c’erano motti o citazioni celebri. 

 

Damien, la sua gemella Daphne3, e Druella3
Rosier Hall, 1944

 

Allora Emma aveva visto giusto: la ragazza in velluto blu doveva essere la gemella di Damien. Ripensò ai suoi fratelli, i gemelli Caleb ed Elizabeth. Erano così diversi, più luminosi. Damien e Daphne le trasmettevano solo qualcosa di viscerale, e torbido, e oscuro, come una maledizione che ti striscia addosso anche quando fuori è estate e tutto è dorato. Druella invece le sembrava solo tristissima, una vittima sacrificale pronta per essere messa in discussione. Pronta per essere venduta. 

«Mi piacerebbe saperne di più,» disse Emma, piegando la testa, persa per un momento negli occhi di Druella. 

«Emma, guarda qui,» James disse invece di rispondere alla sua riflessione. 

 

[LA STATUA]

 

Lei si girò e lo raggiunse, fermo di fronte ad una statua di marmo a pochi passi da lei. 

«Penso sia Evan,» spiegò lui indicandole la statua, che raffigurava, quasi sicuramente a grandezza naturale, un uomo alto e dalle spalle larghe, il profilo affilato ma bello, il corpo snello e muscoloso. 

«È lui,» convenne Emma, riconoscendo lo stesso uomo del quadro in salotto.

«Penso sia stata fatta dopo la sua morte, però, a giudicare dall’incisione alla base.»

«È latino, vero? Che dice?» chiese Emma, incerta. Non era mai stata granché, in latino, anzi, si considerava una vera e propria schiappa. 

«Quem di diligunt adulescens moritur4,» recitò James a voce bassa. «Muore giovane chi è caro agli dei.»

Le luci delle loro bacchette tremolarono per un momento, come fiamme di candele nel vento, e fuori un lampo esplose, illuminando il cielo e i loro visi e il bel profilo di Evan Rosier per sempre scolpito nel marmo. 

 

[LA MORTE DI EVAN]

 

Emma strinse la mano libera di James, rabbrividendo. «È morto giovane, questo lo so. In guerra. L’ho letto in un libro in biblioteca. Per mano di Alastor Moody.»

«Me l’ha raccontato papà, lo avevo dimenticato. Moody è stato un grande mago. Solo lui avrebbe potuto uccidere un Mangiamorte potente come Evan Rosier. Papà mi ha raccontato che però tuo nonno gli aveva portato via un pezzo di naso, al vecchio Malocchio,» aggiunse.

Emma scosse la testa. «È tutto così dannatamente assurdo. Siamo qui a parlare di maghi oscuri e Auror come niente fosse. Nella casa dei miei avi.»

«Inquietante, sì.»

«Proseguiamo,» Emma lo tirò via, distogliendo lo sguardo da Evan ancora una volta.

Non prestarono attenzione al resto della galleria, tornarono solo indietro, ripercorrendo la distanza che li separava dall’ingresso tenendosi per mano. Emma intravide gli occhi di Druella Rosier che sembravano seguirla passo passo, ma ovviamente era solo la sua immaginazione. 

 

🥀

 

[AL PIANO DI SOPRA]

 

Il piano di sopra era decisamente più inquietante di quello di sotto. Si snodavano diversi corridoi dalla balconata dalla quale, affacciandosi, si poteva guardare l’ingresso. «Quale?» chiese James guardandosi intorno. «Uno a caso, presumo, sono tutti uguali, visti così…»

Ma Emma non lo ascoltava. Un bagliore al fondo di uno dei corridoi richiamò la sua attenzione. E l’aprirsi cigolante di una porta pose fine alle loro elucubrazioni.

Si guardarono, e James deglutì. «Ne sei sicura? È tutto molto inquietante…»

 

[DI NUOVO EMMA E JAMES]

 

«Hai paura, eh?» chiese lei ridacchiando, e per un attimo tornarono ad essere i soliti Emma e James, che si prendevano in giro a vicenda e non perdevano occasione per ridere l’uno dell’altra. 

James alzò gli occhi al cielo. «Non ho paura per me. Ho paura di ciò che potresti scoprire, non voglio che tu soffra.» 

Emma sentì il viso aprirsi in un sorriso. Gli si avvicinò e lo baciò lievemente sulle labbra. «Ho la scorza dura, non preoccuparti.» 

«So che ce l’hai, ma certe verità hanno il potere di distruggere.»

«Devo sapere. Se in questa casa c’è anche solo una virgola che può aiutarmi a scoprire qualcosa in più, allora è qui che dobbiamo stare.»

«E io starò qui con te,» concluse James annuendo. Poi indicò il corridoio con un cenno del capo. 

 

[LA CAMERA PADRONALE]

 

In silenzio, procedettero in avanti. La porta rimaneva aperta, così entrarono, circospetti, le bacchette pronte. La stanza era deserta, a parte i mobili ricoperti di polvere. Il letto non era stato coperto dalle lenzuola come i divani e le poltrone e uno strato quasi solido di polvere e vecchiume ne imbrattava le coperte e i cuscini. Oltre al letto a baldacchino, intravidero un comò a cassetti e uno scrittoio. Una poltrona stava accanto ad una delle finestre. 

«Sembra la camera padronale,» mormorò Emma. 

«Perché questa stanza?» chiese James, dando voce ai suoi dubbi. «Perché proprio questa

Emma scrollò le spalle. «Non ci resta che scoprirlo.» 

Frugarono qua e là, James chino nel comò, aprendo con cautela i cassetti e trovando solo della vecchia biancheria, quasi sicuramente appartenuta a Damien e Medea Rosier. 

«È strano, frugare in mezzo alle mutande di gente morta da anni,» disse James, ed Emma non poté fare a meno di ridere. 

«Stai parlando dei miei bisnonni, attento a cosa dici.»

«Sì, non vorrei che mi succedesse qualcosa. Questa casa sembra riflettere i loro umori, anche se non abitano più qui da tempo.»

«Vecchie dimore magiche,» disse solo Emma a mo’ di spiegazione. «Un po’ come Heydon Hall riflette le intemperanze di Eliza.»

Se l’era dimenticata per un attimo, Eliza. Si ripromise che avrebbe scoperto anche quella verità, una volta archiviata quell’avventura notturna - sempre se non avesse innescato gravi conseguenze, come una sua possibile esclusione da Heydon Hall e chissà che severi provvedimenti ai danni di James. In quel momento non poteva permettersi di pensare alle conseguenze della loro bravata, però. E all’ennesima delusione che avrebbe dato ai suoi genitori. 

Nello scrittoio non trovò nulla di interessante. Sul suo ripiano c’erano ancora i vecchi trucchi di Medea, e boccette di profumo ormai stantio. I suoi gioielli erano stati riposti nelle loro scatole nel primo cassetto, ma Emma non li toccò. Molto spesso, i gioielli erano usati come veicolo di maledizioni e veleni nelle Arti Oscure e non voleva attirarsi altri guai addosso. 

«Emma!» la voce di James suonò allarmata sul finale e lei alzò lo sguardo dal cassetto aperto per puntarlo su di lui. 

 

[JAMES TROVA QUALCOSA]

 

Si trovava davanti ad uno dei comodini, e teneva in mano un foglio. Si girò a guardarla. Emma non seppe interpretarne lo sguardo: voleva dirle tante cose, ma allo stesso tempo non riusciva, come se la voce gli si fosse strozzata al fondo della gola. 

La ragazza fece qualche passo in avanti, il cuore aveva preso a batterle impazzito nel petto. «Cosa c’è?» chiese. 

James le tese il foglio ed Emma notò che era una lettera. Lo guardò, nuovamente incuriosita e sorpresa. «James?»

«Leggila e basta, okay?» rispose infine, passandosi una mano dietro la nuca ed espirando piano. 

«Dove l’hai trovata?»

«Era sul comodino. Aperta. Sembrava quasi che volesse essere trovata da noi…»

Emma dispiegò il foglio che ora stringeva tra le dita, e la cui superficie era ruvida per via della polvere che, a quanto pare, si era accumulata sulla carta per anni e anni. Deglutì e si apprestò a leggere. 

 

[LA LETTERA]

 

Newby Hall, Yorkshire5, 17 novembre 1980

Mio caro,

non ho saputo aspettare. Non appena ricevuta la tua lettera, ho pensato di doverti una risposta e di spedirtela quanto prima in modo che tu potessi trovarla a Rosier Hall al tuo ritorno dalla missione, stanco ma vittorioso, sempre vittorioso. Il bambino e io stiamo bene. Tua zia Druella mi ha detto che sarà una bambina, l’ultima volta che l’ho vista a casa dei tuoi genitori. Sai che non credo molto alla storia della Vista3 ma questa volta ho intravisto una strana luce nei suoi occhi, quando me l’ha detto. Penso di crederle. Una bambina. Cosa prenderà da me? E da te? Magari i miei capelli scuri? Spero i tuoi occhi, almeno, i più begli occhi del mondo. E il tuo coraggio, quel fuoco che ti accende dentro e che solo con me si acquieta in una calma d’amore e affetto. 

Sono preoccupata per te, non posso negarlo, ma tua cugina Cassandra5 cerca di distrarmi. Non possiamo goderci il parco della tenuta per via della pioggia, ma dentro si sta caldi e leggiamo poesie (io leggo poesie, Cassandra perde subito la pazienza), mangiamo biscotti e giochiamo con la piccola Alhena5. È dolcissima e ha gli stessi occhi di suo padre.

Concludo questa lettera lunghissima. Sono fiera di te, amore, fiera dell’uomo che sei diventato e del padre che sarai e del marito che non vedo l’ora di riabbracciare e tenere accanto a me per sempre. Mano nella mano, costruiremo il nostro futuro. Accudiremo il nostro amore.

Sempre tua, 

Tua moglie 

 

La lettera le scivolò dalle mani. 

Cadde a terra con una lentezza esasperante, ma Emma non ci badava già più. Eccola, la lettera mancante. Ecco il tassello che credevano di aver perso, l’altra faccia della medaglia di quell’ultima lettera letta a Heydon Hall, la lettera che credevano non sarebbero mai riusciti a spiegarsi. 

 

[LA LETTERA MANCANTE]

 

Sentiva le mani tremarle, ogni singolo osso del suo corpo urlava, ogni terminazione nervosa vibrava di sgomento e paura e dolore. Dolore. Lo stesso dolore che doveva aver provato Eliza, sola in quella casa troppo grande, a morire dando alla luce un figlio - una figlia - che aveva creduto di aver perso per sempre. 

 

[IL CERCHIO SI CHIUDE]

 

Eliza era sua nonna. La dama di Heydon Hall era sua nonna. E sua madre… Sua madre era figlia di Eliza, quella figlia tanto desiderata che Eliza aveva amato ancora prima di conoscerla, sulla quale Eliza si chiedeva da chi avrebbe preso gli occhi, e i capelli, e quel fuoco che ardeva dentro entrambi. 

Sua madre era tutto quello, ma gli occhi erano scuri. Gli occhi di Eliza, gli occhi che Emma aveva visto in quello specchio, i suoi stessi occhi. 

Si protese in avanti, si appoggiò ad una delle colonnine del letto a baldacchino. Non poteva essere, non poteva essere vero, il bambino di Eliza era morto, lei stessa aveva visto la sua lapide, fredda e dura.  

«Emma…» sentì James chiamarla, ma la sua voce le arrivò attutita. «Emma, stai bene?»

Lei fece qualche passo incerto, doveva uscire da lì, da quella stanza che l’aveva chiamata a sé, da quella lettera che sembrava troppo letta, stropicciata, come se qualcuno non avesse fatto altro che sondarne le profondità, alla ricerca di non sapeva bene cosa. Forse un perdono, le sussurrò una voce. Un’ammenda. O un ricordo. 

 

[UNA VISIONE]

 

Come in un flash, vide la vecchia Medea stesa in quello stesso letto, stanca e bianca, la lettera adagiata sul suo petto immobile. Qualcuno gliel’aveva sfilata via e l’aveva appoggiata sul comodino, un uomo senza volto vestito di scuro. Le dava la schiena, Emma non poteva vederlo in viso. L’immagine sbiadì ed Emma si ritrovò in corridoio. Era tutto illuminato, ora. Era giorno. La pioggia si era diradata e un sole invernale brillava dietro i vetri. 

Altre porte erano aperte, e lei entrò. Quella nuova stanza era più piccola della precedente e conteneva una culla, una culla bianca accanto alla finestra, nuova, che attendeva solo di essere riempita. Carta da parati allegra, un tappeto soffice, una poltrona accogliente. Una donna alta dai capelli scuri stava alla finestra e le dava le spalle. Emma sapeva chi era. Lo sapeva

«Eliza…»

Quando Eliza si voltò, Emma ne intravide il ventre rigonfio. La donna le sorrise. 

«Emma!»

 

[RISVEGLIO]

 

Emma chiuse gli occhi e si accasciò a terra e un paio di mani forti la presero per le spalle, scuotendola dolcemente ma con decisione.

«Emma, per favore, apri gli occhi…»

Emma aprì gli occhi. La stanza intorno a lei era buia, a parte per la luce che entrava dalla luna là fuori. Le nubi avevano lasciato il posto ad una notte serena. La bacchetta di James era poggiata a terra e faceva luce. Il suo volto era contorto dalla paura. 

«Emma, stai bene?»

Lei annuì. La stanza piena di sole era sparita. Eliza era sparita. La culla c’era ancora, però, accanto alla finestra, grigia di polvere. Non era mai stata riempita.

 

🥀

 

Emma riuscì a calmarsi. James l’aiutò ad alzarsi dal pavimento impolverato e le posò i palmi delle mani sulle guance. Il suo tocco era fresco ed Emma si sentì subito meglio.

«Sicura di stare bene? Possiamo fare dietro front quando vuoi.»

«Sto bene, davvero.»

James annuì, sospirando. «Okay.»

«Vorrei esplorare ancora la stanza qui di fianco…»

James lanciò un’occhiata alla porta che collegava la nursery - o almeno, quella che avrebbe dovuto essere una nursery - con la stanza attigua. 

«Emma…» cominciò lui, ma lei gli afferrò una delle mani che ancora erano poggiate sul suo viso. 

«James, per favore.»

«Cos’è successo poco fa? Hai visto qualcosa, vero?»

Emma sospirò. James abbassò le mani, ma tenne comunque stretta la sua, le dita intrecciate in mezzo ai loro corpi vicini. 

 

[SPIEGAZIONI]

 

«Penso di aver visto qualcosa, sì. Ho visto Medea Rosier, morta nel suo letto,» e indicò con la spalla la stanza dall’altro lato del corridoio. «Ha letto la lettera di Eliza fino alla fine dei suoi giorni, James, ecco perché la carta era così stropicciata. C’era un uomo, ai piedi del suo letto, quando se n’è andata… Penso di conoscerlo, ma non ne sono sicura…»

«Hai visto…» cominciò James deglutendo. «Hai visto una donna morta nel suo letto.»

Emma annuì. «Lo so che è assurdo, ma non più di tanto, dopo tutto ciò che abbiamo vissuto in queste settimane, non pensi?»

«Hai ragione. Ovviamente hai ragione.»

Gli raccontò anche del corridoio illuminato a giorno, della nursery soleggiata e che profumava di nuovo e di Eliza davanti alla finestra, incinta e vestita di bianco, che le sorrideva con amore e tristezza.

«Per Godric,» borbottò James. 

«Già. Ma non avevo paura, Jamie,» aggiunse lei in fretta. «Non avevo paura perché finalmente sapevo chi era Eliza. Mia nonna

«È incredibile. Se ci pensi, è incredibile.»

«Be’, non più di tanto. I segnali di un possibile collegamento con me c’erano tutti, ci sono sempre stati, e forse eravamo tutti e due talmente ciechi da non volerli vedere. Forse ci spaventava anche solo ipotizzare che fosse vero.»

«Ma tu hai visto la lapide, Emma. Me l’hai detto tu stessa. Su quella lapide c’era la data di morte non solo di Eliza, ma anche del suo bambino…»

«Potrebbero averla messa per depistare, magari. Forse i miei nonni materni sono scappati con mia madre in America, per quello lei è cresciuta là e solo successivamente è tornata in Inghilterra.»

«Sì, è plausibile, penso.»

«Magari ne sapremo di più, magari troveremo qualche altro indizio in quella stanza,» suggerì Emma. 

«Okay,» James annuì. «Andiamo, allora.»

 

[LA STANZA DI EVAN ED ELIZA]

 

Cautamente, aprirono la porta di collegamento. La stanza dall’altra parte era una camera da letto ma, nonostante la polvere e l’evidente stato di abbandono (nel quale versava tutta quanta Rosier Hall, d’altronde), questa stanza era molto diversa da quella padronale. Era meno cupa e inquietante. Sul letto c’era un’allegra coperta a fiori e le tende erano di pizzo bianco, non quei tendoni macabri di prima. C’erano un sacco di libri disseminati qui e là, chiaro segno che chi aveva occupato quella stanza amava leggere. Emma si soffermò sullo scrittoio e quindi si avvicinò. James la seguiva da vicino.

Sul piano di legno che una volta doveva essere stato di lucido mogano c’erano ancora alcune bottiglie di profumo e alcune scatole, oltre che un paio di orecchini di madreperla poggiati su un piattino. Un rossetto era stato lasciato aperto. 

«Nessuno è più entrato qui dentro da non so quanti anni,» convenne James. «Nella poltrona nell’angolo ci sono ancora appoggiati dei vestiti…»

«Penso fosse la camera da letto di Eliza ed Evan qui a Rosier Hall,» sussurrò Emma sfiorando gli orecchini. Sapeva che non le avrebbero arrecato alcun male. Si sentì un po’ più vicina ad Eliza, così, un po’ più parte di quello che era stato tutto il suo mondo. 

Su una scatolina erano state incise delle iniziali, così Emma la sollevò per pulirla dalla polvere e poterle leggere meglio: E. M. R. 

Di nuovo quelle iniziali. E. M. R. Ora, una parte di quel rebus le era più chiaro: E. come Eliza, R. come Rosier. Solo la M. le rimaneva ignota. La ricalcò con la punta dell’indice. 

«Chi eri, Eliza?» mormorò a se stessa. 

«Penso di aver trovato qualcosa di interessante.» La voce di James la riscosse dai suoi pensieri, così si girò a guardarlo: era in piedi vicino allo scrittoio accanto alla finestra e in mano teneva quello che sembrava un volume rilegato in pelle. «Il diario di tuo nonno.»

Emma si alzò e lo raggiunse, affiancandoglisi. James le passò il volume, che era di pelle marrone ed era marchiato con le iniziali di suo nonno, E. R. Emma lo aprì, sfogliandolo velocemente. Le pagine erano piene zeppe, scritte in una calligrafia piccola e stretta, la stessa delle lettere rinvenute a Heydon Hall, ma qui era molto più confusionaria, come se Evan non si fosse preoccupato di dover essere compreso e letto da qualcuno a parte se stesso. 

«Ci sono anche delle foto e dei disegni,» aggiunse James frugando nel cassetto. «Che ne dici se portiamo tutto di sotto e ci diamo un’occhiata? Qui si muore di freddo…»

Emma annuì. «Sì, andiamo.»

Uscendo dalla stanza, si rese conto di avere ancora in mano la scatolina con le iniziali di Eliza. Se la mise in tasca e seguì James al piano di sotto. 

 

🥀

 

[DI NUOVO DI SOTTO]

 

Sparpagliarono tutto sul tavolino del salotto. Seduti su un divano, uno al fianco dell’altra, scandagliarono ogni singolo reperto, pezzo per pezzo. Lì davanti a loro c’era quasi tutta la giovinezza di Evan Rosier - suo nonno. Ad Emma girava la testa, ma si abituò ben presto a questa nuova consapevolezza. Era comunque quasi paralizzante, trovarsi a Rosier Hall, laddove aveva desiderato trovarsi per tanto tempo, laddove il passato premeva forte contro i vetri ed esigeva di uscire, di sbucare fuori da ogni anfratto, colare fuori da ogni quadro come colore sciolto, strisciare con lentezza dal buio, e insinuarsi sotto pelle come un morbo. Era paralizzante guardarsi intorno e vedere solo desolazione, vecchi ricordi ormai sbiaditi di un passato lugubre che doveva essere stato pensato come grandioso e leggendario, qualcosa che sarebbe stato trasmesso non solo negli anni ma nei secoli, ciò che aveva reso grande e nobile la famiglia Rosier. Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso, in fondo.  

 

[RICERCHE]

 

Emma lesse i diari, che coprivano un lasso di tempo che andava dal 1965 al 1980, a spizzichi e bocconi. Leggerli tutti con attenzione avrebbe richiesto ben più di una notte. Ritrovò nomi che aveva già conosciuto, come Eliza, finalmente scritto per intero, e Rabastan e Rodolphus Lestrange, nomi che non erano nuovi e che le evocarono i suoi compagni di dormitorio a Hogwarts, come Malfoy, Zabini, Greengrass, e altri che invece leggeva per la prima volta, come Cassandra Dolohov6 e Andromeda Black6, Andrew Travers7 e Thomas Mulciber7 e Charles Avery7

In mezzo trovarono un albero genealogico che Evan doveva solo aver abbozzato, scritto a matita, pieno di cancellature e ramificazioni. 

 

[L’ALBERO GENEALOGICO DEI ROSIER]

 

«Tuo cugino Morgan8 discende quindi dal ramo sfigato della famiglia,» convenne James studiando gli appunti di Evan, chino addosso a lei sul tavolino. 

Emma ridacchiò. «Questo lo sapevamo già, no? Non servivano le note di mio nonno.»

«Già.» E risero insieme, stemperando la tensione che si era accumulata loro addosso nelle ultime ore, alimentata dal clima sepolcrale che si respirava in tutta Rosier Hall. Emma si rese conto che senza James non sarebbe riuscita a resistere alla magia che la circondava, a quell’aura di oscurità che voleva inghiottirla, come se la casa la stesse un po’ aspettando, e stesse solo meditando di trascinarla nei suoi abissi neri e blasfemi per non lasciarla andare più. 

«Il mio bisnonno Damien era l’unico figlio maschio, ma aveva dei cugini, e Morgan discenderà da lì.» Emma tracciò con un dito la linea che congiungeva Damien Rosier a Vinda8 e Belial8 Rosier. «Questa Vinda è morta senza sposarsi, mentre questo Belial penso abbia dato origine al ramo della famiglia dal quale discende Morgan, non c’è nessun altro oltre lui…»

«La moglie di Belial, Lucille8, era francese, a giudicare dal cognome, Dubois,» notò James ricalcando il nome della donna sul foglio con l’indice. «Hanno avuto tre figli, Marc, Luc e Pucine8. Da uno dei due maschi potrebbe benissimo discendere Morgan. E questo spiega le vostre origini francesi…»

«Sì, lo penso anche io.» Lo sguardo di Emma cadde per la prima volta sul nome di Medea, scarabocchiato accanto a quello di Damien. «Medea era una Greengrass,» disse quindi, sorpresa. «Medea Greengrass2.» Pensò a Rosalie con un sorriso. «Tutto torna.»

«Ancora non abbiamo scoperto il cognome da nubile di tua nonna, però,» le fece notare James. 

Emma scosse la testa, mordendosi un labbro. Il nome di Eliza non compariva, segno che Evan doveva averlo compilato prima di sposarla o anche solo pensare di sposarla. 

 

[CASSANDRA LESTRANGE]

 

«Però abbiamo scoperto come si chiamava la famosa cugina di Evan, quella da cui andava molto spesso quand’era un ragazzino o dove a quanto ci risulta ha trovato rifugio anche Eliza,» disse James, e il suo dito si fermò sul nome di Cassandra Dolohov. I suoi genitori erano Daphne Rosier, sorella gemella di Damien, e Antonin Dolohov, Mangiamorte tristemente noto per essere stato uno dei più spietati accoliti di Voldemort - e anche uno dei più fedeli. Gli occhi di Emma si posarono sul nome di Druella Rosier, che aveva quindi sposato Cygnus Black e messo al mondo le sorelle Bellatrix, Andromeda e Narcissa. Era proprio vero che le Sacre Ventotto, le storiche e più antiche famiglie del mondo magico, erano tutte imparentate tra loro.

«Cassandra Lestrange, vuoi dire,» aggiunse quindi lei sospirando. «Ha sposato un Lestrange e ha lasciato l’Irlanda per lo Yorkshire. La conosco, anche se non l’ho mai incontrata.»

Sentì James voltarsi a guardarla, sempre seduto accanto a lei. Le loro ginocchia si toccavano e quel contatto le dava conforto. E calore. 

«Cassandra Lestrange è la nonna di Cassandra Zabini,» spiegò infine Emma voltandosi verso James. 

«La fidanzata di Albus?» esclamò quindi lui sgranando gli occhi. 

Emma annuì con un sorriso. «Proprio lei. Sua madre di cognome fa Lestrange, ha sposato uno Zabini.»

«Per Godric!» James si passò una mano dietro la nuca. «Non la sapevo, questa.»

«Allora ci sono cose che non sai della genealogia magica,» rise lei. «Mi stupisci, signor Potter.»

James scosse la testa, ridendo a sua volta. «Ebbene sì. Mi hai beccato.»

«Be’, immagino che uno non vada in giro a sbandierare un cognome come Lestrange ai quattro venti, no?»

«No, neanche in tempi di pace come questi.»

«Già. Io lo so perché Cassandra me l’ha raccontato, tutto qui. Essendo un misto tra Nott e Rosier, si sarà sentita compresa.»

«Assolutamente, posso immaginare.»

«Tu hai un cognome celebre, ma rimane il cognome di un eroe, Jamie,» rifletté lei scrollando le spalle. «È un altro tipo di sussurro quello che ti segue nei corridoi e ovunque tu vada. Non tutti i pregiudizi sono stati estirpati, sai?»

James le prese la mano. «Mi dispiace.»

Lei scosse la testa. «È tutto okay. Ci sono abituata, ormai. Ed è per persone come tuo padre che noi continuiamo a stare in Inghilterra, altrimenti saremmo stati costretti all’esilio.»

«Le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli.»

«Teoricamente.» Emma si alzò in piedi ma non lasciò andare la mano di James. 

«Vai da qualche parte?» le chiese lui, sorpreso. 

«Voglio andare a parlare con Cassandra Lestrange,» rispose, risoluta. «Sono sicura che ha le risposte che ancora cerchiamo su Eliza ed Heydon Hall.»

«Emma, sono letteralmente le quattro e trenta del mattino,» le fece notare James. «Non mi sembra il caso di andare a suonare il campanello di casa Lestrange a quest’ora, che ne dici?»

Emma alzò gli occhi al cielo. «Per Salazar, sono solo le quattro e trenta?»

«Dài, abbiamo ancora quelle fotografie da guardare. Possiamo stare qui e aspettare almeno che faccia chiaro.»

«Sei sicuro che sia una buona idea?» si morse il labbro.

«Tanto ormai l’abbiamo fatta grossa, cosa importa qualche ora in più in giro?»

«Hei, chi sei tu e che ne hai fatto di James Sirius Potter?»

 

[L’ANNO SCORSO]

 

James scoppiò a ridere, tirando Emma per la mano che ancora stringeva e facendola risedere sul divano, praticamente addosso a lui. 

«Pensavo che avessi ormai capito che tipo ero…»

«Mh, no.»

«Dopo ciò che è successo l’anno scorso, intendo.»

Emma si accigliò. «Non ci penso mai, a quello che è successo l’anno scorso.»

«Io ci penso sempre, invece.»

Emma allungò una mano ad accarezzargli una guancia. «Non ti ho mai chiesto come ti senti a riguardo, ma non perché non mi importi, ma perché non volevo sembrare curiosa o inopportuna. È chiaro che mi importa. Mi importa un sacco.»

«Lo so. Apprezzo il fatto che tu non mi abbia mai chiesto nulla, ma voglio solo dirti che avresti potuto. Puoi ancora, Emma. Puoi chiedermi tutto quello che vuoi.»

Emma gli sorrise. «E tu puoi parlarmi di tutto quello che vuoi. Sempre. Ogni volta che ne senti il bisogno.»

James l’attirò a sé, l’accolse nel suo abbraccio caldo e morbido. Ed Emma vi trovò rifugio, sospirando, afferrandogli un lembo della camicia per timore che potesse sparire. Rimasero lì così per un momento, poi James si chinò in avanti per afferrare il mucchio di fotografie. 

 

[LE FOTOGRAFIE]

 

Queste, a differenza dei quadri disseminati a Rosier Hall, erano magiche, quindi i soggetti si muovevano. Quasi tutte recavano una data scarabocchiata sul retro, anche se in alcuni casi l’inchiostro era sbiadito e neanche si leggeva più. 

Scorsero parecchie fotografie, anche se in alcune non conoscevano che un paio di visi. Evan era ricorrente, insieme ad altri volti che immaginarono essere parte del suo gruppo di amici, e che poi erano diventati quasi tutti Mangiamorte, impiegati accanto a lui nella causa di Voldemort. 

«Guarda, questa dev’essere Cassandra,» disse James soffermandosi su una fotografia in particolare che ritraeva Evan accanto ad una ragazza dai capelli castani e gli occhi verdi. Ridevano entrambi ed Evan le cingeva le spalle con un braccio. Erano giovani e felici. James le indicò la scritta dietro la foto: Mount Stewart, casa di Cass, luglio 1969.

«Penso sia l’estate di cui Evan scrisse in una delle lettere trovate ad Heydon Hall,» disse Emma riflettendo ad alta voce. 

«Ne sei sicura?» 

«Quelle lettere le ho lette e rilette, le so praticamente a memoria.»

«Erano belli, però.»

Emma annuì. «Già.»

«Tuo nonno ti somiglia, e a vederlo in movimento ancora di più.»

«Tu dici?»

«Ah-ah.»

Passarono avanti e trovarono una vecchia foto in bianco e nero dei fratelli Rosier: Damien, Daphne e Druella. Druella era vestita da sposa, la foto doveva essere stata scattata il giorno del suo matrimonio. La donna non sorrideva, però. Il suo viso non tradiva una singola emozione, neanche per sbaglio. Era piatto, statico, come se fosse in trance. Damien e Daphne le stavano accanto, in piedi ai due lati della poltrona sulla quale sedeva, entrambi con una mano sulle spalle della sorella minore. Era come se fosse in atto una guerra, una guerra silenziosa per chi avrebbe predominato su di lei, chi sarebbe riuscito a vincere, in quel gioco perverso quanto pericoloso e subdolo, la lealtà della bella e triste Druella - che era appena diventata Druella Black. Damien e Daphne recavano la stessa espressione sui bei visi molto simili eppure così diversi: possesso, sicurezza di sé, malizia. Al fondo dei loro occhi ardeva un fuoco talmente impetuoso che Emma riuscì a percepirlo comunque, nonostante il non-colore della vecchia fotografia. 

«Questi due non mi dicono niente di buono,» constatò James. 

«Tutta la famiglia era così. Non mi sorprendo che mia madre sia cresciuta lontana da loro, insieme ai miei nonni materni. Chissà cosa ne sarebbe stato di lei, qui…»

 

[FIGLI DEI DANNATI]

 

Dal mucchio di foto scivolò fuori qualcosa, e James la prese al volo. Era una pagina di un libro, che però era stata strappata, si poteva vederne il bordo frastagliato. 

«Figli dei dannati9,» recitò lui a bassa voce, quasi con timore. 

Il fuoco nel camino tremò e per poco non si spense. Un corvo nel buio urlò. Emma si fece più vicina a James, guardandosi intorno nel salotto con rinnovata circospezione. Era come se la casa intera li stesse non solo guardando, ma anche ascoltando, ora. Bramava di sapere - li voleva reclamare. 

«Sembra il titolo del libro dal quale la pagina è stata strappata,» continuò James con un sospiro. Sotto c’erano degli appunti vergati in inchiostro nero, mezzi pasticciati, come se fossero stati messi giù frettolosamente. «Ti dice niente?»

Emma scosse la testa. «No, un titolo così me lo ricorderei… È inquietante.»

In quella che ormai Emma sapeva riconoscere come la calligrafia di suo nonno Evan, erano appuntate parole, con riferimenti biblici e dal “Paradiso Perduto” di Milton, tra i quali il famoso motto di famiglia che ormai era ricorrente. 

«I Rosier hanno qualcosa a che fare con un angelo caduto,» James ruppe il silenzio che si era venuto a creare intorno a loro. «Qui c’è scritto, almeno da quanto si riesce a decifrare, è un po’ confuso, che Rosier è il demone che regola le passioni, l’amore come irrazionalità e possesso10. Be’. Cazzo.»

Emma si portò una mano alla bocca a trattenere una risata. «Pensavo che a questo punto avessi capito che famiglia disfunzionale era, la mia.»

«Be’, sì, ma questo… Si capiscono tante cose riguardo le arti oscure.»

«Già. E questi appunti presi proprio sulla prima pagina di questo volume… Figli dei dannati. Mi chiedo quali mostruosità possa contenere.»

«Meglio non saperlo, fidati.»

James girò il foglio, quasi più per sfizio che per altro, e sul retro trovarono un’ultima annotazione, quasi al fondo della pagina. 

«Figli dei dannati è l’unico volume sulla famiglia Rosier,» lesse Emma lentamente. Alzò gli occhi su James, che la guardò interdetto. E anche un po’ spaventato. «Stampato in tre copie, questa è l’unica che mi è pervenuta. Sarà mio dovere recuperare le altre tre e restituirle alla mia famiglia. Firmato, Damien Rosier.»

Il fuoco nel caminetto si spense del tutto, ora. 

Il buio calò tutt’intorno. 

 

[CALA IL BUIO]

 

Emma afferrò la mano di James e il foglio cadde a terra. 

«Ora lo riaccendiamo,» lo sentì dire. 

Un alito gelido le accarezzò i capelli, fugace ma solido. Emma scattò in piedi. 

«Sei stato tu?»

«A fare cosa?» James suonò stupito.

«Ho sentito qualcosa.»

«Che cosa?»

«Un tocco freddo sui capelli.»

«Emma…» iniziò James.

«Non sono pazza, okay?»

«Stavo per dire che era tutta suggestione, non che fossi pazza.»

«Per favore, riaccendi il fuoco.»

«Mi lasci andare la mano, per favore? Mi serve…»

Emma sospirò e lasciò la presa. Sentì James muoversi accanto a lei e allontanarsi. Non le era mai sembrato così remoto. E distante. 

Si risedette sul divano, raccogliendo le gambe e stringendosele al petto. Affondò il viso tra le ginocchia e sentì il rombo del suo cuore pulsarle nel petto. James aveva ragione: era tutta suggestione. 

«Emma!»

 

[DI NUOVO ASSENTE]

 

Si riscosse. Aprì gli occhi. Il salotto era nuovamente illuminato dal fuoco che ardeva nel camino. James era in piedi accanto a lei, e lei… lei era sdraiata a terra, sul pavimento, e da lì poteva vedere bene il soffitto affrescato. 

«Cosa?» esclamò mettendosi a sedere. 

La testa le pulsava e sentiva tutto il corpo tirarle, come se avesse corso a perdifiato fino a svenire. 

«Quando mi sono girato eri a terra ed era come se…» James era spaventato, Emma poté leggere la paura su tutto il suo bel viso. Le si sedette accanto e le accarezzò una guancia. «È successo quello che è successo al piano di sopra. Per un momento ti ho persa. Eri distante, lontana… Mormoravi cose in latino, ma non sono riuscito a capirci niente…»

Emma scosse la testa. «No…» rispose debolmente. «Odio il latino, lo sai.»

«Lo so. È per questo che mi sono spaventato da morire.» La mano di lui scese sul suo collo, tenera e morbida e delicata. 

«Sto bene.»

«Che è successo? Ti sei resa conto di qualcosa?»

«No. Un momento prima ero sul divano, ho solo appoggiato la testa sulle ginocchia e chiuso gli occhi, ed era tutto buio, e il momento dopo ho sentito la tua voce che mi chiamava e mi sono ritrovata stesa a terra,» scrollò le spalle. «Non so cosa sia successo.»

James si passò una mano sul viso. «Penso che dovremo andarcene di qui. Non mi piace l’influenza che questo posto ha su di te.»

«Sto bene,» insisté lei. Fece per rialzarsi e James la prese per un gomito per aiutarla. Si sedettero nuovamente sul divano. «Sto bene,» ripeté guardando il ragazzo negli occhi. Capiva che aveva bisogno di rassicurazioni. E lei davvero stava bene, nonostante i primi minuti di estraniamento e confusione.

James sospirò e annuì. «Okay. Okay.»

Emma gli sorrise. «Sei adorabile quando ti preoccupi per me. Potrei abituarmici…» 

«Io sono sempre adorabile, Nott. Tu non hai bisogno di un uomo che si preoccupi per te, però, giusto?»

«Be’, sì, giusto, però fa piacere avere James Sirius Potter che si preoccupa per me, ogni tanto.»

«Ah,» commentò lui ridendo. «Le cose stanno così, eh?»

Emma non rispose, si limitò a chinarsi in avanti e a cercare le sue labbra. James l’accolse, le sue labbra si schiusero per lei, pronte e calde. Emma lo baciò senza fretta, ora completamente immune a ciò che la circondava: esisteva solo James, e le sue mani sulla sua vita, il suo tocco gentile e ardente insieme. 

 

[INSIEME]

 

Fu un bacio diverso da quelli che si erano scambiati finora, anche se non erano tantissimi. Qualcosa li accendeva da dentro, li spingeva l’uno verso l’altra come due magneti incapaci di resistersi, le mani che divennero svelte sui loro corpi, lui reclinato sul divano, ora, e lei seduta sulla sua vita, le gambe strette intorno ai suoi fianchi, uno addosso all’altra, a voler annullare ogni distanza. 

Le mani di Emma si insinuarono sotto la camicia di James, sul suo petto snello ma scolpito, e lo sentì tremare sotto il suo tocco. Quando le sue dita scesero e cominciarono a sbottonargli i pantaloni, lo sentì gemere dentro la sua bocca, le loro lingue a esplorarsi. 

«Emma… Cosa fai?»

«Secondo te?»

James reclinò per un momento la testa a cercare i suoi occhi. Emma ne sostenne lo sguardo. 

«Sei scossa.»

«No che non lo sono. Voglio stare con te.»

«Sei con me.»

«Sai cosa intendo. Voglio te. Adesso. Ne ho bisogno.» Si chinò sul suo collo, ne tastò la pelle morbida, sentì la sua carotide pulsare sotto la sua lingua. 

«Qui?» chiese ancora lui, incerto. «In questa casa? Ne sei sicura?»

«Ha bisogno di essere esorcizzata,» sussurrò lei, la sua lingua a marcare i confini delle sue labbra. James gemette. Sotto di lei poteva sentire la sua erezione premerle addosso. «E io ho bisogno di te.»

«Emma…» 

La mano di lei scivolò dentro i suoi pantaloni e il gemito che scappò dalla bocca di James era un chiaro segno di quanto lo stesse portando al limite. 

 

[“MI PIACI DA MORIRE”]

 

«Mi piaci da morire, Jamie…» mormorò lei contro il suo orecchio. 

Ora le mani di James le stringevano le cosce ancora strette attorno ai suoi fianchi. «Anche tu mi piaci da morire.»

La mano di Emma non lo lasciò andare, accarezzandolo lentamente. James reclinò la testa contro la spalliera del divano. «Cazzo,» esclamò. 

«James, per favore…»

Allora lui la sollevò, la fece stendere sul divano, il viso nascosto nel suo collo e la sua erezione in mezzo alle gambe. Emma gli cinse la schiena, avvicinandolo ancora di più a sé mentre le loro bocche non riuscivano a smettere di cercarsi e, per un po’, rimasero lì, le membra allacciate e i corpi stretti, incastrati insieme, l’uno dentro l’altra, a riempirsi e colmarsi, schiavi dei loro respiri e dei tocchi in sincrono e dei baci a fior di pelle, in un compenetrarsi che era come trovare finalmente respiro, era come sentirsi completi dopo tanto tempo, un essere animato e pulsante che si muove all’unisono, un tutt’uno tremante e nudo, inerme nella luce del fuoco che getta ombre e fiamme, per poi ricadere sfinito da una vetta altissima, sudato e febbricitante di baci bagnati e un amplesso che sa di liberazione.

 

[UNA STANZA COME UN’ALTRA]

 

Nel mentre, Rosier Hall era insieme testimone e complice. I suoi muri avrebbero custodito ciò che avevano guardato, depositari di tutto ciò che avevano visto scorrere loro davanti. Il divano sotto di loro era come un’isola, le loro braccia la culla perfetta per quella notte che ancora non era finita. La stanza intorno a loro tornò ad essere soltanto una stanza.

 



Note

1. Ecco come mi immagino Rosier Hall.
2. Damien e Medea Rosier sono personaggi di mia invenzione. Potete ritrovare Damien nella mia raccolta sui Black, “In the name of the Black”. Medea è nata Greengrass. 
3. Daphne Rosier è un personaggio di mia invenzione, sorella gemella di Damien; la ritroveremo citata più avanti. Per quanto riguarda Druella, era stata davvero una Rosier, prima di sposare Cygnus Black, ma ovviamente tutto il suo personale headcanon è stato inventato da me, compreso il dono della Vista. Se volete potete leggere della mia Druella nella raccolta sui Black citata prima, qui.
4. Plauto, Bacchides, a. IV
5, Cassandra Dolohov è un personaggio di mia invenzione: cugina di Evan in quanto figlia di Daphne Rosier e di Antonin Dolohov. Alhena è la figlia che Cassandra ha avuto con Rabastan Lestrange, suo marito. Newby Hall nello Yorkshire è come mi immagino casa Lestrange.
6. Ho pensato che Eliza, Cassandra e Andromeda potessero essere state nello stesso anno a Hogwarts, e tutte in Serpeverde.
7. I nomi di battesimo di Travers, Mulciber e Avery sono di mia invenzione, non vengono mai citati dalla Rowling.
8. Morgan Rosier è un personaggio di mia invenzione. Chi ha letto “Death in the Night” lo ha conosciuto lì. Vinda Rosier è un personaggio introdotto in “Animali Fantastici”. Belial, Lucille, Marc, Luc e Pucine li ho invece inventati io.
9. Mi sono rifatta al titolo di una canzone degli Iron Maiden, “Children of the Damned”.
10. Tutte le (anche se poche) informazioni sul demone Rosier le ho reperite qui
 

Dopo più di un anno di attesa, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Assistiamo a tante rivelazioni, Emma scopre qualcosa in più sulla sua famiglia, compresa la rivelazione più grande di tutte: il fantasma di Heydon Hall, Eliza, è sua nonna. Nel prossimo capitolo, i nostri eroi faranno visita a Cassandra Lestrange, e il puzzle si arricchirà di altri tasselli importanti. Ovviamente il capitolo non è pronto, quindi dovrete aspettare, ma non temete, mi sono prefissata l’obiettivo di terminare questa storia, e di darle una conclusione a breve. 

Fatemi sapere i vostri pensieri e le vostre teorie in merito a questo capitolo e alla storia in generale 🔮 

A presto, Marti 🐍

   
 
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