Faceva
così caldo che, in moto,
era come puntarsi un phon in faccia.
Il calore saliva
dall’asfalto della strada che
scendeva verso il centro di Highwood; il riverbero rendeva tutto un
po’
irreale, tanto da fargli credere di vedere qualcuno che, a piedi,
camminava
lungo il bordo della strada. Heath strizzò gli occhi.
Qualcuno
c’era veramente: le ginocchia
ossute e gli short pieni di niente erano inconfondibili.
Heath
si affiancò ad Anna con
la moto e la ragazzina continuò a camminare guardandosi i
piedi.
–
Cosa ci fai qui? È pericoloso
camminare a bordo strada.
–
Vado in paese.
Ancora
quella voce leggera che
si dileguava nell’aria come fumo. Heath si
vergognò ricordando come le aveva
risposto quella stessa mattina, molto presto.
–
Sono quattro chilometri, come
minimo. Se avevi bisogno di qualcosa bastava dirlo, qualcuno ti avrebbe
accompagnata.
–
Non volevo disturbare nessuno
ma devo imbucare la lettera per Cheryl.
–
Chi è Cheryl?
–
Una mia compagna di scuola.
–
Non ha un telefono, Cheryl?
–
Le piacciono un sacco le
lettere.
Cristo,
io ci provo a essere gentile.
–
Se vuoi puoi dare la lettera
a me, te la imbuco io. Così puoi tornare a casa.
–
Mi piace camminare. Davvero.
Scusami.
E
accelerò il passo.
–
Come preferisci.
Heath
diede gas e si lasciò
alle spalle tutto quell’imbarazzo.
L’edificio
della Forestale si
trovava nella zona nuova di Highwood, ma si sforzava di imitare, nei
materiali
e nello stile, un vecchio cottage di montagna. Sul retro
c’erano i recinti
degli animali; Isaias ce lo portava da bambino, una volta aveva visto
perfino
un orsacchiotto. In mezzo alle guardie forestali, Heath si sentiva a
casa sua.
La
segretaria del signor
Delaney, il responsabile amministrativo della sezione locale, non lo
fece
aspettare troppo.
–
Non dirmi che sei dei nostri,
giovanotto?
–
Non lo so, Rita. Mi
piacerebbe tanto. Mi sto informando.
–
Tuo padre ha detto che saresti
andato al college.
–
Ehm. Non lo so. Ora vediamo.
Anche
lo studio di Delaney
tentava di imitare un cottage e forse ci riusciva un po’
meglio. Era rivestito
di legno fino a metà altezza delle pareti e due teste
impagliate, un cervo e un
orso, da anni fissavano con i loro occhi di vetro i visitatori che si
fermavano
sulla soglia.
Heath
si sentì osservato. La
porta era aperta, ma il ragazzo bussò lo stesso.
–
Signor Delaney? Posso?
– Oh,
Heath. Dimmi
tutto, ti serve qualcosa?
–
Voglio diventare una guardia
forestale.
–
Tuo padre lo sa che sei qui?
–
Cosa c’entra mio padre?
Delaney
si alzò e chiuse la
porta. Il cervo e l’orso non perdevano d’occhio
Heath così, quando Delaney
tornò alla scrivania e inforcò gli occhiali, al
ragazzo sembrò che fossero in
tre a studiarlo con molta attenzione.
–
Come sarebbe a dire serve un
titolo di studio? Io ce l’ho, un titolo di studio.
–
Il diploma non basta. Non
vedo il problema, comunque. I tuoi vogliono che tu vada al college, tu
vai al
college e poi torni da me. Ne riparliamo.
–
Mio padre non è andato al
college.
–
Tuo padre è entrato nella
forestale trentacinque anni fa. Non funziona più
così: prendiamo stagionali per
i lavori pesanti, ma le guardie in forza al dipartimento hanno tutte un
titolo
di studio superiore. Tutte le facoltà scientifiche vanno
bene, praticamente,
anche se biologia va per la maggiore.
–
Allora farò lo stagionale.
–
Un sacco di padri di famiglia
ne hanno più diritto di te.
–
Gliel’ha detto mio padre di
raccontarmi queste cose?
Delaney
si alzò e piantò le
mani sulla scrivania.
–
Sentimi bene, Heath. So delle
tue beghe con i tuoi e sono d’accordo con loro: se tu fossi
mio figlio vorrei
esattamente la stessa cosa. Ma faccio seriamente il mio lavoro e le
cose stanno
così: se vuoi fare il ranger ti serve un titolo di studio.
Questo è un lavoro:
niente favole, niente romanticherie, niente spiriti dei boschi
eccetera. È un
lavoro come un altro e ti serve un titolo di studio. Punto.
Si
alzò anche Heath, ma rimase
a testa bassa.
–
Non volevo essere…
maleducato. Le chiedo scusa. Ok, un titolo di studio.
–
Scusa, non per farmi gli
affari tuoi. Non vuoi lasciare quel lupo, vero? È questo il
motivo?
–
È un cane. Perché pensate
tutti solo a quello?
–
Non puoi farti condizionare
da lui. Tutti vanno via da qui, prima o poi. Che futuro avresti, qui?
–
Buck non c’entra niente.
Grazie, signor Delaney.
Fuori
dall’ufficio Heath salutò
Rita e si allontanò, le mani in tasca. Lo sguardo
compassionevole della vecchia
segretaria gli bucava la schiena.
Ma
una cazzo di buona notizia ogni tanto, no?
Il
sellino della moto scottava
e un po’ anche le manopole, ma fu un sollievo lanciare
l’Harley sulla strada in
salita.
E
al secondo tornante la
rivide, ancora di spalle; anche lei tornava a casa.
Accostò,
i giri del motore
bassi come fusa di gatto, ma Anna continuò a camminare.
Posava meticolosamente
i piedi sulla striscia bianca della corsia di destra.
–
Hai spedito la tua lettera?
Nessuna
risposta. La ragazzina
teneva gli occhi bassi, il mento sul petto. I piccoli passi veloci e
dritti si
fecero più frequenti.
–
Ehi! Ce l’hai con me? Non
volevo essere scortese, stamattina. Ti chiedo scusa.
Sacco
d’Ossa non si fermò.
–
Ehi, stavo vomitando!
La
ragazzina si fermò e gli
piantò gli occhi in faccia. Aveva occhi azzurri
sproporzionati al resto del
viso; Heath non ci aveva mai fatto caso prima.
–
Non voglio darti fastidio. Mi
va di camminare.
Il
ragazzo sospirò. Ok, era
stato davvero insopportabile. Non era colpa di Sacco d’Ossa
se il mondo
ultimamente girava al contrario.
–
Non mi dai fastidio. Senti,
se tu adesso ti fai dare un passaggio, un giorno di questi ti faccio
conoscere
Buck.
–
Lo conosco già.
–
Voglio dire, ti porto a fare
una passeggiata. Visto che la gita con mio cugino è saltata,
andiamo noi a fare
un giro, una cosa facile facile, e Buck viene con noi.
Gli
occhi azzurri si
illuminarono nel visetto magro e sì, era un solletico alla
base dello stomaco
che Heath sentiva. Una specie di tenerezza, simile a quella che provava
quando
Buck era piccolo e faceva una cosa stupida e buffa. Tipo, cadere faccia
in
avanti nella ciotola del suo latte.
–
Allora va bene. Cosa…
–
Devi salire sulla moto.
Anna
rimase impalata, ferma
dov’era. Bene, non era mai salita su una moto.
–
Metti un piede lì e poi lì e
attaccati alla maniglia dietro. Giuro che vado piano.
La
ragazzina si decise. Un
piede e poi l’altro, e poi le mani sulla maglietta, tiepide.
–
Devi stringerti, se no voli
per terra.
Le
prese le mani e se le
appoggiò sul ventre, belle strette, e ci batté
sopra come a dirle ferma così.
La
moto si mosse leggera, come
non avesse portato niente in più, solo delle piume o
qualcosa d’inconsistente.
Beh,
almeno Neena sarebbe stata
contenta. Era stato gentile, no? E senza secondi fini: Sacco
d’Ossa non era il
suo tipo. Non era il tipo di nessuno che lui conoscesse, garantito.
Partirono
e il vento caldo li
investì, ombre tremolanti come miraggi nella vampata
dell’asfalto liquefatto.
Neena
sedeva al suo PC, gli
occhiali sul naso, il browser aperto sulle notizie locali.
–
Sei andato all’ufficio dei
ranger, oggi.
Non
era una domanda. Sua madre
sapeva sempre quello che succedeva in giro e, soprattutto, quello che
faceva
lui. In effetti, cambiare aria poteva essere una buona idea.
–
Ci sono andato.
–
E?
–
E niente, non mi va di
parlarne.
In
accappatoio, i capelli grondanti
e i piedi bagnati, Heath aprì il frigo. D’accordo
che adesso dormiva in
rimessa, ma quella era ancora casa sua, no?
Non
c’era niente di
interessante, in quel frigo.
–
Ho visto che hai riportato a
casa Anna. Fai bene a essere carino con lei, non ha molti amici.
–
Non è vero. Scrive tutti i
giorni delle lettere a questa Cheryl e oggi è andata a
imbucarne una. È una sua
compagna di scuola.
Neena
si tolse gli occhiali e
li posò vicino alla tastiera del PC. Con un gesto,
invitò Heath a sedersi e il
ragazzo obbedì, con il barattolo dei biscotti in mano.
–
Sei abbastanza grande e
intelligente da tenere per te le cose che sto per dirti?
–
No. Buck le verrà a sapere.
Neena
gli lanciò una penna, ma
non era arrabbiata. Non in quel momento. Le piaceva, in fondo, quando
faceva lo
scemo così.
Poi
si fece seria.
–
Anna non va a scuola da anni.
Heath
arrossì, manco fosse
stato lui quello che raccontava delle bugie. Oddio, se c’era
qualche storia
strana e tragica dietro a Sacco d’Ossa lui non voleva saperne
niente, non era
tagliato per quelle cose. Se lo sentiva che era troppo strana e che
c’era
dietro una storia patetica, accidenti a lui che le aveva dato
confidenza.
–
Come sarebbe, non è mai
andata a scuola?
–
Sua madre non ce la voleva
mandare. Le ha insegnato lei, in casa. Non la faceva mai uscire.
L’accompagnava
ovunque, mai in autobus da sola, mai una festa dai vicini se non poteva
accompagnarla lei stessa. È per questo che Donald
l’ha lasciata: quando Anna
sta con lui, ha una vita quasi normale. Quasi.
No,
grazie, vado da sola. Devo imbucare la lettera per Cheryl.
–
Non mi piacciono le storie
patetiche.
–
Il mondo è pieno di storie…
patetiche, come dici tu.
Era
quasi sera; il sole era
abbastanza alto per ricordare a Heath che era ancora estate. E che
quella avrebbe
potuto – avrebbe dovuto – essere una splendida
estate.
Gli
vennero in mente Rivkah e
Delaney e la cazzo di lettera di Pasadena; era ancora in tempo per
rispondere.
Avrebbe voluto che fosse già troppo tardi.
–
Vado a sistemarmi per la
cena.
E magari avrebbe anche trovato qualcosa da fare coi ragazzi, e quella sera a cena non ci sarebbe nemmeno andato.
Buonasera a tutti. Grazie a chi legge, ancora di più a chi recensisce ^^. Alla prossima! J.