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Autore: IroccoPerSempre    13/07/2022    2 recensioni
L'evoluzione di Rocco (e Irene) prima della nascita di Diego
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Allora me lo vuoi ripetere o no questo Giolitti?!” insistette Irene, mentre la sua mano, intrecciata a quella di Rocco, si dondolava in mezzo a loro e, con passo tutt’altro che svelto, percorrevano insieme il tragitto verso la scuola dove di lì a poco si sarebbe tenuto il fatidico esame di terza media. 

Con la pazienza che NON la contraddistingueva, Irene stava onorando comunque la sua richiesta di farlo ripetere, pur avendo cercato di dissuaderlo in tutti i modi da quell’azione a cinque minuti prima del patibolo, dato che, a detta sua, aveva il solo effetto di confondere le idee e aumentare l’ansia. 

Dopo un leggero spintone per svegliarlo da quella trance – che pareva stesse recitando le litanie del Rosario nel mezzo della processione per un funerale – finalmente Rocco si ridestò: 

Eh... sì!” esclamò, volendo puntualizzare che era presente a sé stesso, “Aspe’, di chi hai chiesto?” e fece poi ricadere gli occhi sul libro che teneva a mezz’aria nell’altra mano. 

Non fare finta di non aver capito, signorino, solo per prendere tempo e sbirciare” disse Irene stringendo le labbra tra loro per evitare di ridere. 

Ma che fare finta... no, Giolitti lo so, mi è simpatico” e le lasciò la mano per picchiettare il libro mentre si avvicinavano al muretto dell’istituto “ha fatto un sacco di cose belle per il Meridione” spiegò inorgoglito. 

Irene ridacchiò “Rocco, ma puoi parlare di una figura storica iniziando col dire ‘mi è simpatico’? Ma che modo di ripetere è? 

Picchì? Che c’è di male, se io dico ‘mi è simpatico’ o ‘mi è antipatico’, il professore capisce che l’ho studiato per bene” disse gesticolando a modo suo e poi fece una pausa per rifletterci su “e quindi secondo me mi premia di più!” concluse tronfio, come se avesse localizzato Atlantide. 

Irene strizzò gli occhi pensandoci un po’ e poi disse “In effetti sbagliata come teoria non è”. 

Ma...?” chiese Rocco fingendosi scocciato, come ogni volta che premoniva un’obiezione di Irene. 

Nessun ‘ma’...” lo graziò lei “semplicemente prega che ti capiti uno di larghe vedute, perché se è dello stampo di quelli che ho avuto io a scuola...” disse Irene lasciando volutamente la frase in sospeso e strabuzzando gli occhi. 

Troppo tradizionalista?” chiese Rocco curioso, suscitando lo stupore di Irene. 

Era sconcertata positivamente dal fatto che Rocco non si sentisse più rappresentato da quella categoria di persone. 

Sì! Per non parlare di quelli che ha avuto Roberta all’università prima della Barone...” sorrise Irene prima di cambiare repentinamente volto. 

Roberta!” si diede un colpetto sulla fronte, “la devo chiamare per confermarle che stasera deve portarsi via Stefania con una scusa, mentre tu porti in casa il ‘carico pesante’” disse Irene riferendosi al regalo congiunto per Stefania, ovvero da parte sua e di Roberta, con il contributo (per niente obbligato, no) dei rispettivi fidanzati. 

Grazie, piccio’!” proruppe Rocco fintamente irritato, “meno male che oggi è la ‘mia giornata’... che tra l’altro non so neanche come va a finire” ci tenne a specificare Rocco alzando un dito “e invece di farmi riposare mi fai travagghiari?” 

Irene sorrise roteando gli occhi “Allora, innanzitutto” elencò con le dita “non fare il melodrammatico che hai dato pure la disponibilità al magazzino per lavorare oggi dopo l’esame” e Rocco rispose inarcando le labbra come a dire ‘meno male che ci credi tu’, “seconda cosa, chi ti dice che per te non ci sia un regalo stipato ancora più bello?! E, terza cosa, di QUEL regalo per Stefania” rimarcò “lo sai già, ne usufruirete tutti...” concluse con una smorfia maliziosa. 

“Mmh” annuì Rocco poco convinto, mentre le prendeva i mignolini “vabbè va, fammi entrare” ma ci ripensò, provocandola scherzosamente, “tanto se non passo l’esame do la colpa a te che mi hai fatto piangere per quattro giorni interi, mentre nel frattempo potevo studiare di più” 

“Se ti fossi comportato meglio” ribatté Irene senza esitare, stando al gioco, “credimi, che non avresti pianto neanche un minuto” 

Poi lo fece girare su sé stesso e gli diede un colpetto sul didietro per spingerlo in direzione del portone d’ingresso. 

IRE-NE!!!” fu il rimprovero soffocato di Rocco, misto all’imbarazzo che qualcuno potesse aver visto il gesto. 

IN BOCCA AL LUPO!” scandì lei con altrettanta veemenza, mentre gli sorrideva già da una certa distanza. 

Rocco scosse la testa con una punta di delusione per il luogo in cui si trovava, inadatto a restituirle un dispetto pressoché equivalente. 

Niente, non si aggiusta ‘sta pazza, commentò teneramente fra sé, senza però riuscire a distogliere subito lo sguardo da lei nonostante fosse ormai di spalle. 

Cappottino rosa, guanti di lana bianchi, andatura raffinata che mai scadeva nell’appariscente, gonna appena sopra il ginocchio - perché, a distanza di poco più di un anno dallo scandalo che aveva fatto vociare Milano, quella che prima era una gonna vergognosa era diventata cosa quasi normale. 

Era bella da togliere il fiato... quella mattina, aggiunse Rocco fra sé in uno sforzo, del tutto vano, di minimizzare la cosa. 

In realtà quello non era il primo giorno che la vedeva con quegli abiti o notava in lei quello stile peculiare; non era certo la ‘novità’ a fargli saltare un battito. 

È che ogni giorno la vedeva più bella. 

E pur non essendo particolarmente bravo a tradurre a parole il vero motivo di quella sensazione, sapeva per certo che non era la solita banalità animalesca e vuota che accomunava tutti i maschi. 

In un certo senso la vedeva così perché la sentiva più... sua. 

Era ben cosciente che, detta così, non suonasse affatto bene; già rideva se immaginava la reazione omicida di Irene nell’eventualità che potesse sentirsi assimilata a un oggetto di proprietà. 

E infatti non era così; perché la sentiva sua tanto quanto lui stesso sentiva di appartenerle. 

In quel senso che gli permetteva di chiudere gli occhi e allungare la mano con la certezza che l’avrebbe trovata lì, anzi che forse c’era sempre stata; in quel senso che, pur vedendola ancora obiettivamente fuori dalla propria portata, la sua reazione non era più quella di abbassare lo sguardo o di sentirsi inadeguato. 

Semplicemente ora sentiva che si appartenevano, come persone alla pari. 

Sbatté le palpebre e si rese conto solo in quel momento della velocità con cui aveva formulato quei pensieri, visto che Irene non si era allontanata tanto di più. 

Ire’!” gli venne quindi spontaneo gridarle. 

Al ché lei si voltò subito verso di lui, sorridendogli senza parlare. 

Rocco alzò l’indice per aria e inclinò la testa come un bimbo triste, giocandosi l’unico gettone di ‘fidanzato appiccicoso’ che gli era concesso di riscattare nell’arco di una giornata: 

Manco un bacio m’hai dato le disse solo muovendo le labbra, nella speranza che Irene riuscisse a leggergliele anche da lontano. 

Irene rispose prontamente sciorinando il suo più bel sorriso, quindi soffiandogli un bacio. 

A stridere con l’armonia di quella piccola interazione fu il fischio di due compari in età matura, che si rimirarono Irene da capo a piedi con bramosia. 

Rocco corrugò la fronte in un moto immediato di rabbia e alzò istintivamente un piede in direzione della piazza, per poi bloccarsi subito dopo. Sapeva infatti che a Irene seccava essere difesa da altre persone, persino da lui, quando era perfettamente in grado di sbrigarsela da sola. 

Perché non ce lo dai anche a noi un bacio? Uno vero, però” bofonchiò sgradevolmente uno dei due, seguito da una risata sguaiata dell’altro. 

Ma guarda stu...” borbottò Rocco tra i denti, pieno di livore. Di quel passo avrebbe fatto tardi per l’esame, ma figuriamoci se in quel momento gli importava. 

Ah sì?!” civettò Irene per tutta risposta, sorridendo a quell’uomo da parte a parte – di sicuro la cosa che fece infuriare Rocco di più perché non riusciva a spiegarsela. 

Ma ben presto quell’atteggiamento apparentemente sciocco si rivelò essere una sua precisa strategia. 

Spiacente, l’unica cosa che posso darvi è un bastone per la vecchiaia, pervertiti!” proruppe Irene senza la benché minima esitazione, lasciando di stucco quei due e tutti gli astanti, Rocco compreso, prima di proseguire per la propria strada, fiera. 

Pareva quasi che quella scena se la fosse preparata a tavolino per quanto bene era stata recitata. 

Rocco scoppiò a ridere sommessamente, quindi annuì fra sé, tutto orgoglioso, in segno di tacita approvazione per quel gesto. 

Eccola, la chiattidda mia” sussurrò tra sé girando i tacchi per fare il suo ingresso nell’edificio, solleticato da una nuova energia. 

  

*** 

Irene era appena tornata alla propria postazione, dopo essersi allontanata per chiamare Roberta in gran segreto nello spogliatoio; poco importava se l’altra sua migliore amica le aveva specificato ripetutamente che non poteva essere disturbata in cantiere per questioni che non fossero della massima urgenza. 

E comunque, nell’ordine di priorità di Irene Cipriani, quella lo era eccome, soprattutto se volevano sorprendere Stefania facendole trovare già in casa il regalo di Natale da parte loro al suo ritorno. 

Il piano era quindi quello: Roberta sarebbe venuta a prendere Stefania per portarla al cinema e nel frattempo Rocco avrebbe portato dentro casa il regalo. 

Ora a Irene restava solo da dire alla sua coinquilina che non avrebbe partecipato alla serata ragazze, e per quello non aveva bisogno di giustificarsi dato che era più che legittimo voler festeggiare con Rocco la buona riuscita dell’esame. 

Solo non voleva mandare in fumo tutti gli sforzi che aveva fatto in quei mesi per non far sentire Stefania a disagio in casa propria ed era esattamente quello il rischio, visto che, per mandarla via di casa quella sera, avrebbe dovuto usare la scusa di voler rimanere sola con Rocco. 

‘Mamma mia, devi fingere solo fino a sera, che sarà mai!’ si rimproverò, seccata con sé stessa.  

Guardò d’istinto in direzione dell’amica mentre ripiegava una camicetta, mordendosi il labbro superiore, nervosa circa il da farsi, e nel giro di pochissimo Stefania si accorse con la coda dell’occhio che Irene la stava fissando. 

Stefania strabuzzò gli occhi e alzò la spalla come sentendosi attaccata da quello sguardo. “Irene, se ti sembravo così mostruosa stamattina potevi dirmelo prima di uscire di casa!” la provocò ridendo. 

Eh?” esclamò Irene sbattendo le palpebre “Ma figurati, stai benissimo, scusa, ero solo un po’ sovrappensiero” facendole così intendere che era più che altro uno sguardo nel vuoto, il suo. 

Stefania le si avvicinò, comprensiva “Sei in ansia per l’esame di Rocco? Lo capisco...” domandò a Irene retoricamente. 

Eh sì, moltissimo!” esclamò Irene, facendo appello a tutte le proprie doti recitative, in un’esclamazione sproporzionata persino per lei. 

Se Stefania credeva fosse quello il motivo della sua tensione – e non lo era, sicura com’era che Rocco avrebbe superato la prova – tanto valeva cavalcare l’onda, poteva sfruttarla a proprio favore. 

Stefania si mise di fianco a lei senza dire nulla e le accarezzò dolcemente la schiena. 

E poi, si è impegnato in questa cosa...” proseguì Irene “e il regalo che gli ho fatto mi sembra davvero poco”. 

Stefania si voltò di scatto e la guardò perplessa, facendole intendere che il presente acquistato da parte sua per Rocco, tutto le sembrava, fuorché da due soldi. 

“Ma no, no, certo, lo so che è un ‘buon’ regalo... intendevo più che altro che vorrei ricevesse anche qualcosa di speciale, magari qualcosa che faccio con le mie mani” gesticolò Irene deglutendo il miele stucchevole di un modo di parlare che non sentiva come il proprio. 

Stefania la fissò di nuovo, stavolta con il preciso intento di stuzzicarla sfruttando il doppio senso, “Irene, pensavo fossimo ormai d’accordo, niente iniziative sconce con Rocco! 

Irene le lanciò la camicetta, trattenendosi dal ridere “E io tutto pensavo meno di dover sentire qui dentro qualcuno oltre a me parlare per doppi sensi 

Stefania afferrò la camicetta al volo “Chiamasi ‘arma a doppio taglio’... quando l’allieva supera la maestra!” rise. Poi si sforzò di tornare seria, non era mai facile per lei: “Dai, seriamente, che intendi?” chiese a Irene mettendole una mano sulla spalla. 

Non so, pensavo ad esempio di... cucinare per lui?” suggerì Irene insinuandole l’idea di un’attività per cui avrebbe avuto bisogno della casa. 

... mi pare che avessi proposto un regalo, non una gita all’ospedale” stuzzicò Stefania ancora in vena di scherzare. 

Certo che oggi proprio non ce la fai a rimanere seria, eh?!” la spintonò Irene con uno sospiro di frustrazione mentre per poco non le scappava l’aspra osservazione che il suo merito di ricevere regali, per quello e gli anni a venire, era in rapido tracollo.  

A me sembra che non ti lamenti quando cucino io” si limitò a commentare per non sbottonarsi. 

Eh certo, siamo tutte più brave dopo aver fatto scuola da Maria” osservò Stefania con un sospiro drammatico. 

Cretina” Irene la fulminò con lo sguardo. “Non farò una ricetta siciliana oggi” promise. 

“E quale invece?” chiese Stefania incuriosita. 

“Un bel piatto di casoncelli alla bergamasca...” sussurrò Irene con voce suadente passandole davanti una mano, che Stefania seguì come si fa dietro ai movimenti di un incantatore di serpenti, “delizioso... e poi, una torta al cioccolato per dessert!” disse Irene impennando la voce e Stefania esclamò un ‘oh’ a bocca aperta. 

Che dire...” scattò Irene con un sospiro vanesio, rompendo l’incantesimo, e Stefania inciampò leggermente per l’ubriacatura provocata dall’acquolina in bocca, “tutte cose di cui non avrai neanche un assaggio” concluse Irene con un risolino di vendetta sulle labbra. 

Stefania fece un finto muso duro per due secondi contati, mentre reggeva ancora scherzosamente il gioco, ma poi abbassò lo sguardo, “stai tranquilla, comunque non sarei rimasta a cena con voi... 

Davvero?!” proruppe Irene impulsivamente, in quella che sembrava un’esclamazione alquanto entusiasta. ‘Missione compiuta’ pensò. Ah, no... 

Stefania strabuzzò gli occhi, sorpresa. 

Volevo dire... davvero?” si corresse Irene assumendo ora un tono mogio, mogio. ‘Ecco, sei pietosa’, si maledisse. Era un vero fastidio quel senso di colpa che le contaminava la credibilità dell’interpretazione. “... cioè, effettivamente so che Roberta ci teneva a portarti al cinema, per esempio... 

Stefania si piantò il pugno sul fianco e inclinò la testa per fissare Irene, in un primo momento senza parlare. 

Ah, ‘per esempio’?” poi intonò verso l’amica trattenendosi dal ridere “cos’è che fai ora, chiami i rinforzi per badarmi? Così mi sento ancora più zitella!” quindi alzò  la mano per gesticolare nel tipico gesto di dubbio “Poi che significa ‘Roberta TI PORTA al cinema’? Che sono un cagnolino?” 

Irene ridacchiò, a voler commentare la puntigliosità “No, che sei la più piccola e noi AMICHE” sottolineò “ci prendiamo cura di te” e le diede un buffetto sulla guancia “non è che devono assalirti le crisi esistenziali ogni volta che ti invitiamo!”. 

Stefania gettò la testa all’indietro - mentre Irene la spingeva per le spalle di nuovo alla sua postazione e lei si lasciava spingere a peso morto – borbottando, quasi fra sé e sé, “Questa cosa che sono più piccola mi perseguiterà fino agli 80 anni!”.  

Certo, saremo più grandi di te a vita, non mi risulta sia una cosa che cambi col tempo” rispose subito Irene, che invece aveva sentito tutto. 

Stefania se la riguardò di sottecchi col suo broncio da bimba ribelle.  

E comunque quante volte te l’ho detto che se vuoi rimanere sola con Rocco a casa, basta chiedere, non servono tutti questi giri di parole...” puntualizzò poi una volta tornata al suo bancone. 

Irene aprì bocca, in un primo istinto di dissuaderla, ma per fortuna non si tradì.  

Se continuava con quella morbidezza d’animo, sarebbe stata la fine.  

Va bene, la prossima volta ti dirò direttamente di levarti di torno senza mezzi termini. Vedi come sto imparando?” le disse ancora sforzandosi di atteggiarsi in una smorfia noncurante.  

Niente, non le veniva proprio più naturale dire una cosa che poteva causare anche solo un momento di imbarazzo a un’amica. ‘Che brutta fine che ha fatto la megera che era in te!’ sbuffò, irritata da sé stessa. 

Per me va bene, basta che mi lasci la torta al cioccolato” le disse facendole un occhiolino che sembrava più un ordine che una richiesta gentile. 

Ah, praticamente posso comprarti con queste tangenti?” inarcò le labbra Irene, valutando. 

Ovvio! Chi non si venderebbe per un pezzo di torta al cioccolato? Tu saresti la prima...” risposte Stefania con sicurezza. 

Per tutta risposta, Irene le fece una linguaccia, a cui Stefania rispose prontamente. 

*** 

Mmh, mmh” fu il colpetto di tosse che interruppe quello scambio goliardico. “Non sapevo che a una Venere fosse concesso fare linguacce...”.  

Per il semplice capriccio che una cliente le negasse, pur a ragione, un briciolo di leggerezza, il primo pensiero di Irene prima ancora di voltarsi fu ‘E ora che vuole questa pesante?’; poi guardò finalmente la cliente in viso e fugò ogni dubbio. 

Buongiorno, Brigitta” salutò Irene, accennando a un sorriso intriso del minimo sindacale di cortesia che ci si aspetterebbe da una Venere. “Scusaci per la scenetta...” ‘neanche per niente’ pensò fra sé “dimmi, avevi bisogno di qualcosa di specifico o vuoi dare prima uno sguardo? 

A quel punto anche Stefania si voltò allarmata, non perché indirettamente era stata ripresa anche lei, bensì perché sapeva cosa significasse la presenza della compagna di Tommaso Cipriani per Irene lì al Paradiso. 

Volevo proprio qualcosa di specifico...” rispose terminando la frase con un sorrisetto malizioso. 

Ecco, Stefania non poteva esserne sicura, ma comunque un sentore di guai ce l’aveva. 

Non l’aveva mai vista di persona - la conosceva solo per nome appunto - ma già stando a quel modo di fare e a quel richiamo che raramente partirebbe da una giovane donna che, a occhio e croce, aveva poco più di Irene, Stefania aveva già intuito che corrispondeva alla descrizione impietosa che l’amica faceva sempre di lei: ovvero un’oca giuliva. 

Non aveva ancora capito se quell’atteggiamento da ‘nuova ricca’ fosse da attribuirsi all’attrito evidente con la figlia del suo compagno oppure semplicemente - e tristemente - alla sua personalità. Sperava per quella donna che fosse la prima. 

Irene, hai bisogno di una mano...?” le chiese quasi in un sussurro e, anche se la domanda poteva essere interpretata come un’offerta di aiuto fra colleghe, le due amiche sapevano che Stefania si riferiva a ben altro. 

Irene le rispose con un sorriso pieno zeppo d’affetto, facendo per aprire bocca, ma giunse Dora tutta trafelata... 

Stefania, ti vogliono al telefono” disse Dora rimanendo sul vago, ma Irene sapeva già che non poteva che essere Roberta. 

Vai, ci penso io qui” le disse Irene rassicurante “sarà sicuramente la signorina Pellegrino che vuole darti conferma su quella questione”. 

Stefania si congedò con un cenno cortese della testa, non seppe neanche lei il perché, e si voltò per recarsi in spogliatoio. 

Atteggiamento indecoroso, telefonate personali... che altro devo aspettarmi da questo posto?” disse Brigitta con fare provocatorio quando lo sguardo di Irene tornò su di lei. 

Irene strinse nel pugno il foulard che si trovava a mo’ di adorno sul suo bancone senza farsi vedere. Meno male che sia lei che Dora avevano avuto l’accortezza di rimanere sul vago perché non si capisse che Stefania aveva ricevuto una chiamata personale sul lavoro, ma evidentemente non era stato sufficiente a sopperire allo sfrenato desiderio di quella... brava ragazza di sfruttare qualsiasi scusa possibile per lanciare frecciatine. 

‘Adesso l’ammazzo’ pensò fra sé, premendosi le labbra tra loro per paura che quelle parole le uscissero davvero. 

Mi dicevi, qualcosa di specifico di che tipo? Una camicetta, una maglia?” chiese dopo essersi convinta che la soluzione migliore era ignorare del tutto il commento. 

No no” rispose con un acuto, alzando il dito come una maestrina. “Cercavo una gonna... 

Irene annuì inarcando le labbra nel solito sorriso prefabbricato e alzando un braccio per mostrarle la strada “Seguimi, ti mostro quello che abbiamo... 

Brigitta la seguì e arrivarono al reparto delle gonne, dove Irene cominciò a mostrargliene di ogni, in diversi modelli e colori. Il suo occhio competente aveva già concluso che quella di Brigitta doveva essere una taglia 48, essendo lei di stazza molto più corpulenta di Irene. 

La ragazza gliene sfilò delicatamente una dalle mani e se la riguardò in lungo e in largo. 

Mmh” fu l’elegante mugolio che emise mentre valutava. “Credo che questo sia proprio il colore adatto”. 

Ottima scelta, un colore abbinabile più o meno su tutto” commentò Irene la camicia color panna scelta da Brigitta. 

“... o mi avevi detto che era da abbinare su qualcosa in particolare?” chiese Irene retoricamente. 

NON TI AVEVO detto” puntualizzò Brigitta con la solita faccia da schiaffi, a voler usare una percossa gentile. 

Sì, era per dire...” disse Irene fra i denti, con un sorriso forzato e il volto paonazzo per l’orticaria di non poterle assestare un manrovescio. Si maledisse per tutte le volte che in passato aveva avuto un atteggiamento bellicoso come quello, specialmente se in maniera del tutto gratuita. Evidentemente Dio l’aveva messa di proposito in quella situazione per farle espiare la sua lunga serie di peccati, non trovava altra spiegazione. 

Comunque sì, è una cappa color vinaccia che tu dovresti conoscere molto bene” aggiunse poi Brigitta a scoppio ritardato, per rispondere alla domanda di Irene. 

Irene aggrottò le sopracciglia, “Mmh, non mi sovviene scusami, non credo di averti mai vista con indosso un capo di questo tipo”. 

Infatti non avresti potuto, me l’ha appena regalata tuo padre... era di tua madre” ribatté Brigitta, come dandole una semplice comunicazione, mentre intanto continuava a rimirarsi la gonna. 

Sul viso di Irene affiorarono rapidamente tutte le tonalità possibili di viola e il suo respiro si fece più accelerato. 

... prego?” chiese poi, in un mormorio confuso. 

Sì, hai capito bene, me l’ha data lui, ha detto...” poi proseguì alzando sempre la solita mano per spiegare. ‘Giuro su qualsiasi cosa che ora gliela stacco’ pensò Irene. “...‘Brigi, prendila, tanto non è il genere di Irene; se l’ha lasciata qui, è perché non le interessa’... 

Irene fumava da tutti i pori; non sapeva se odiare di più la meschinità e mancanza di amor proprio di Brigitta per aver accettato in regalo un capo d’abbigliamento della defunta moglie del suo compagno, e andarne pure fiera, oppure di più il padre per aver fatto quel genere di regalo alla sua compagna senza aver prima consultato la legittima erede.  

In realtà no. Nessuna di queste cose, anche se combinate, era sufficiente a equiparare il disgusto che sentiva al sol pensiero di una donnetta qualunque con indosso un oggetto che era appartenuto alla persona che Irene aveva amato di più al mondo. Il contrasto tra la bassezza dell’una e la superiorità dell’altra cosa era a dir poco stomachevole. 

Se l’ho lasciata lì è perché non ho avuto lo spazio per portarmi tutti i vestiti di mia madre nella nuova casa e non perché...” scandì Irene a denti stretti mentre il suo graduale innalzamento del tono di voce iniziava seriamente a richiamare l’attenzione di chi gli stava intorno. 

Dovette ringraziare l’intenzionale colpetto di tosse del Dottor Conti dall’alto del ballatoio se quella frase era rimasta in sospeso e soprattutto se era stata catapultata di nuovo alla realtà da cui si era momentaneamente estraniata. Più tempo avrebbe passato in quello stato di trance, infatti, maggiori sarebbero state le possibilità che quella donna non uscisse dal Paradiso sulle proprie gambe.  

Irene avrebbe voluto massacrarla con le proprie mani. 

Sono mortificata” intonò Brigitta con una voce più falsa di una banconota da 15.000 lire “Non sapevo che ti avrebbe dato fastidio, altrimenti...”  

“Ah no?” disse Irene ignorando l’ultima parte con uno sguardo gelido come una statua. “Come se sventolarmi in faccia questa notizia non fosse esattamente il motivo per cui sei venuta fin qui...” mentre i suoi occhi si gonfiavano di lacrime d’ira, quello fu l’unico commento caustico che si lasciò scappare. 

E per fortuna anche l’ultimo... 

L’interazione catastrofica sfumò per via del borbottio in avvicinamento di Dora e della Moreau, mentre si consultavano palesemente sul da farsi per cavare Irene da quella brutta situazione. 

Lo sguardo della Moreau si riconfermava quello materno di sempre, non quello inquisitivo e risentito di chi le sta macchiando il buon nome del Paradiso quanto al trattamento delle clienti. 

Buongiorno, signorina” fu il cortese saluto che porse a Brigitta la signorina Moreau, con il suo consueto fare esperto, mentre Dora le andava dietro come un’ancella. Irene amò profondamente anche quest’ultima, che cercava insistentemente i suoi occhi e nel frattempo rimaneva lì in attesa, a disposizione per qualsiasi cosa servisse alla capocommessa per reggere il gioco.  

Bellissima quella gonna, uno dei capi più in voga quest’anno, farà un figurone indossandola” quindi aggiunse andando direttamente al sodo, e sperando in tutti i modi che la tappa successiva fosse direttamente la cassa. “Prende solo questa o voleva vedere qualcos’altro?” dovette però chiederle per senso del dovere. 

Solo questo, grazie” rispose Brigitta distrattamente, in qualche modo delusa dal fatto che a trattare con lei non fosse più Irene. 

Benissimo! La nostra Venere La accompagnerà alla cassa. Buona giornata.” rispose la Moreau, evitando accuratamente di aggiungere il consueto ‘torni a trovarci’ e congedandola con un sorriso – di sollievo – mentre porgeva delicatamente il capo a Dora.  

Brigitta si allontanò allora finalmente da Irene per avviarsi in cassa, fissandola per un’ultima volta con sguardo indecifrabile, mentre Irene la penetrava da parte a parte con gli occhi vitrei di una statua di sale.  

Ora che almeno Brigitta era sparita dalla sua vista – a differenza di tutti i presenti – lo scatto di rabbia che aveva nascosto sapientemente (o quasi) fino a quel momento minacciava di venir fuori. Mentre quindi con il dorso delle dita si copriva la bocca, Irene si allontanò più rapidamente che poteva dalla galleria per rifugiarsi in spogliatoio, captando a malapena il gesto tenero della signorina Moreau che le carezzava il braccio.  

Irene...” la chiamò senza successo Stefania, che invece stava uscendo dallo spogliatoio dopo aver riagganciato con Roberta. 

Appena entrata in spogliatoio, Irene sprofondò sgraziatamente su uno dei divanetti e, mentre stringeva i pugni tanto forte che le unghie quasi le trafiggevano i palmi delle mani, si concesse un unico, sommesso grido di rabbia, ancora una volta soffocando per buona parte il proprio impeto per paura che la sentissero fin dietro le porte.  

Poi decise che, se non poteva punire Brigitta per quella provocazione come avrebbe voluto, almeno voleva vomitare addosso al padre la propria rabbia. Almeno quello le era concesso?  

Così, si alzò di scattò dal divanetto e sganciò bruscamente la cornetta per telefonargli.  

***  

Una chiamata breve, da cui aveva sperato di ottenere una giustificazione decente per quel gesto ai suoi occhi assurdo, che la rassicurasse almeno in parte sul rispetto che il padre nutriva per il ricordo della defunta moglie.  

E l’aveva persino ottenuta... teoricamente... ma non le bastava affatto.  

Quello che le restava era solo ed esclusivamente un grande senso di vuoto.  

Il punto è che, prima con i suoi pernottamenti autoimposti in magazzino, ora con questa sua reazione forse spropositata, si rendeva conto che non faceva altro che ricadere nello stesso errore: pretendere che il padre sperimentasse l’assenza di Diana Cipriani come la viveva lei, sua figlia. Doveva smetterla di fare la capricciosa, perché era palesemente chiedere troppo.  

Il risultato era che però si sentiva sola, solo tanto tanto sola, a vivere in maniera così vivida e piena la mancanza di una persona che ormai non mancava più a nessuno.  

 

Che poi non le pesava mica, normalmente - anzi, custodiva ogni giorno la nostalgia della madre come un tesoro che non necessariamente sentiva il bisogno di condividere con qualcuno - ma come poteva rimanere indifferente alle provocazioni di una sciocca che strumentalizzava il ricordo di sua madre per ottenere... cosa poi esattamente?  

Ah perché, in tutto ciò, non era proprio riuscita a capirlo. 

 

Irene...” la chiamò di nuovo Stefania, stavolta affacciandosi alla porta dello spogliatoio. 

Arrivo subito...” le rispose sbrigativamente lei, certa che la stessero richiamando all’ordine. Era un miracolo se non si beccava un ammonimento del Dottor Conti per lo spettacolo che aveva dato.  

Il Dottor Conti sarà furioso, mannaggia...” disse quasi in un sussurro mentre si strofinava il volto.  

Stefania le prese dolcemente entrambi gli avambracci senza lasciarla finire “Nessuno ce l’ha con te. Hanno capito...” specificò Stefania con grande tatto.  

Anche il Dott. Conti, pur essendo lontano, aveva captato le due paroline magiche (‘mia madre’) nonché le uniche che avrebbero potuto innescare nella stoica Signorina Cipriani un atteggiamento così fuori luogo per il contesto e per la caratteristica professionalità della venere sul luogo di lavoro.  

Andiamo bene...” commentò Irene per nulla sorpresa... devo aver proprio gridato, pensò mortificata. 

... e saresti potuta rimanere qui tutto il tempo di cui hai bisogno...” specificò Stefania rispondendo al suo dubbio di poco prima “... ma è tornato Rocco e pensavo ti facesse piacere...”  

Dov’è?” chiese Irene senza nemmeno lasciarla finire mentre gettava uno sguardo fuori dalla porta con la testolina di un passerotto curioso. Si era illuminata in volto all’istante. 

Stefania abbassò la testa ridendo sommessamente perché già avvezza a notare meccanismi del genere nella sua amica. 

Irene non era bipolare, né si sentiva tale, e men che meno aveva dimenticato il recentissimo episodio che l’aveva spinta a rifugiarsi in spogliatoio, ma quello era il giorno di Rocco, e festeggiarlo non solo la aiutava a non pensare a quel forte dispiacere ancora fresco, ma viveva anche la cosa come un successo di entrambi, un successo anche suo. 

Stefania si voltò per puntare il dito in direzione del bancone di Dora “Ti aspetta lì”. 

Ma è scemo, perché non è entrato dal magazzino, deve pure attaccare al lavoro” mormorò mentre si sporgeva per guardarlo mentre chiacchierava con Dora. 

Perché il suo primo pensiero ancora prima di cambiarsi è stato venire a salutarti, magari?? Sai com’è...” le disse Stefania sarcasticamente menando una mano per l’aria.  

Irene le sorrise mentre arrossiva evitando di ammettere anche l’evidenza.  

Si vede qualcosa?” poi chiese all'amica protendendo il viso verso di lei per mostrarle gli occhi. 

Stefania iniziò a passarle delicatamente i pollici sotto entrambi gli occhi per toglierle le sbavature, “Che facciamo, iniziamo il dramma dei segreti e dei sotterfugi?” 

“Quanto la fai tragica, mamma mia” reclamò Irene allargando le braccia “Domani glielo dico, adesso ha appena fatto l’esame...! Certo...” poi rivalutò, “sempre che non gliel’abbia già detto quella lingualunga di Dora”, commentò con affetto nonché la faccia tosta del bue che chiama cornuto l’asino. 

Quindi entrambe si sporsero come due civette e potettero constatare che Rocco era praticamente un fiume in piena per quanto era felice. Era palese che Dora non avesse smorzato la sua foga raccontandogli quello che era successo alla sua fidanzata. 

Poi Irene si mise in punta di piedi per farle segno di far girare Rocco. 

Vabbè vi lascio soli” disse Stefania con un faccino malizioso, “fai la brava” si allontanò facendole l’occhiolino. 

Irene scosse la testa e si mise a ridere per quell’insolenza, aspettando fino all’ultimo per girare la vista e incrociare lo sguardo del suo fidanzato. 

Le sembrava abbastanza patetico che, dopo mesi, la smuovessero ancora così quegli occhi marroni di cui avrebbe saputo distinguere anche le sfumature, tanto bene li conosceva, eppure era come se inconsciamente si prendesse sempre una frazione di secondo per prepararsi a incontrarli, soprattutto quando vederlo aveva un nonsoché di inatteso, quando attirarlo a sé aveva un nonsoché di proibito. 

Mentre sorridendo le si avvicinava, Rocco si morse il labbro guardandosi attorno, in tensione per paura che i capi potessero vederlo entrare nello spogliatoio delle ragazze. 

Per l’appunto. 

Irene arricciò il naso col cuore in gola, godendosi il rossore sulle sue guance.  

Quando finalmente entrò, Irene gli si gettò al collo facendolo sbilanciare. 

Va’, stamattina te ne sei andata così, invece mo rischio che mi fai pure cadere, mica sei normale tu!” rise Rocco di quella foga mentre la teneva stretta a sé, sollevata dal pavimento. 

Mmh” cantilenò mentre posava di nuovo i piedi a terra “quanto ti lamenti! Lo sai che sono una persona che dimostra tantissimo affetto...” - gesticolò vistosamente Rocco per prenderla in giro - “... a porte chiuse” specificò Irene. 

Rocco roteò gli occhi rivalutando “Ah, ora sì”. 

Poi, in un rinnovato slancio di amorevolezza gli si avvicinò ancora, stavolta per torturarlo di baci intercalati ai ‘bravo’, ‘bravo’, ‘bravissimo’ del caso, con la precisa intenzione di farlo dimenare senza posa. 

Tu si na foddelamentandosi solo darle contro, ma in realtà beandosi di quelle effusioni “tutte ste feste e non sai neanche se ho passato l’esame, ah?” le disse protendendo il viso per provocarla. 

Ma per favore” gli disse estendendo una mano per deriderlo “che già di spalle si vedeva che eri al settimo cielo, non che avessi dubbi stamattina...” 

“Vero è?” chiese lui e Irene annuì mentre gli passava una mano sugli occhi e il viso stanco. “Stasera mi racconti tutto, però ora non posso trattenermi ancora...” poi gli disse. 

Rocco intrecciò le mani con le sue e si girò attorno come se solo allora stesse realizzando dove si trovava “Ma perché, tu che ci facevi qua piccio’, ti si è strappata una calza? 

Irene annuì vigorosamente, stando immediatamente al gioco per non lasciarsi tradire “Sì sì, neanche a metà giornata, tu vedi che scocciatura” disse esagerando. 

“Eh, e da quello che vedo pure il trucco...” le disse lui mentre strizzava gli occhi per guardarla meglio e gli toglieva con i polpastrelli un po’ di polvere di rimmel che evidentemente Stefania non era riuscita a scorgere. “Ma hai gli occhi rossi chiatti’, che è successo?” chiese Rocco sgranando lievemente gli occhi. 

Irene scostò il viso da lui delicatamente, forzando un sorriso, mentre si passava il dorso delle dita sulla guancia “Ohh, quante storie per un po’ di raffreddore di stagione...” esclamò per dissimulare “su, al lavoro, ché non ti sei preso neanche tutta la giornata... te l’ho mai detto che sei il cocco di Armando?” 

“A finiscila, che so’ tornato qua per te...” disse lui nel suo tipico atteggiamento suscettibile misto a timidezza, che però, da quando facevano coppia fissa, lasciava sempre increspare gli occhi in un sorriso velatamente appassionato e provocatorio. 

L’emozione che le dava sempre quel suo fare la sentì fin dentro allo stomaco e non importava se era una sensazione meravigliosa, l’avrebbe fatta frignare lo stesso come una disperata, visto il recente episodio che le aveva scoperto il nervo e fatto venire la lacrima facile. 

Deglutì per impedirsi di cedere e si avvicinò a lui, poi si mise in punta di piedi mentre gli posava un braccio sul petto e con l’altra mano gli prendeva dolcemente la nuca per attirarlo a sé in un bacio a fior di labbra. Rocco chiuse gli occhi all’istante, perdendosi come niente in quel contatto. 

Non mi aspettare a fine turno, ci vediamo direttamente a casa” poi gli sussurrò ancora vicinissima alle sue labbra. 

Pure?!” si lamentò Rocco, pur ricalcando la voce delicata di Irene. “E perché? 

Sorpresa... visto che ne avevo in mente una anche per te?” gli rispose sorridendogli e si premette le labbra fra loro, tesa, in un principio di sudorazione improvvisa. 

D’altronde solo Irene Cipriani poteva annunciare una sorpresa al proprio fidanzato contando sul fatto che la sua capocommessa le avrebbe dato un permesso che non aveva ANCORA chiesto. E che soprattutto gliel’avrebbe concesso dopo il teatrino di cui era stata artefice in galleria. 

Ma, d’altronde, ci voleva fegato a essere Irene Cipriani. 

 

*** 

Nonostante fossero a ridosso del Natale e già col personale al completo ci fosse il sentore costante di una venere in meno – figurarsi quando ne mancava una all’appello – la Moreau non se la sentì di negare il permesso alla Cipriani, che solitamente non gliene chiedeva uno neanche in fin di vita. 

Irene sorrise ripensando al volto titubante e in difficoltà della capocommessa mentre tirava fuori dal forno il suo dolce al cioccolato e si pentiva amaramente di essersi messa ai fornelli. La cucina non era il suo punto forte, anche se solitamente – pensò con una punta d’orgoglio – a una presentazione non proprio bellissima, si accompagnava perlomeno un sapore più che decente. 

Si rimirava il dolce mentre lo teneva a mezz’aria con le presine pensando che si era sgonfiato troppo; in ogni caso, nulla che non si potesse correggere visivamente con un po’ di zucchero a velo e, in termini di gusto, con un po’ di farcitura di crema, che nel frattempo si era già preparata a parte. 

Uscendo prima dal lavoro aveva avuto il tempo di fare quasi tutto, dove per ‘quasi’ si intendeva che un impeccabile angelo del focolare, nelle stesse ore, sarebbe stata forse in grado di preparare anche secondo e contorno, rimanendo al contempo fresca come una rosa, mentre lei al contrario si sentiva di aver sudato già sette camicie a fare un po’ di pasta in casa e il dessert e, per di più, fumava fino alla punta dei capelli per l’apprensione di non riuscire a mettere pronto per l’arrivo di Rocco. 

Era ben cosciente che il suo fidanzato non stesse con lei per le sue capacità culinarie, e l’avrebbe offesa il sol pensiero che lui potesse aspettarsi una sua trasformazione nel modello di donna comunemente considerata perfetta, ma proprio perché il suo passo avanti era stato quello di andare controcorrente rispetto ai suoi retaggi passati non scegliendo una donna per quelle caratteristiche, era lei stessa che voleva provare ad accontentarlo di più su quello che adorava: il cibo. 

Non prometteva nulla – soprattutto ad alta voce e davanti a lui, per evitare di creare ed eventualmente deludere delle aspettative – ma a sé stessa ripeteva spesso di volersi impegnare per migliorare foss’anche solo in quell’ambito.  

Se sospettava infatti che a Rocco non avrebbe fatto molta differenza collaborare in casa passando una saponata per terra per esempio, era assolutamente certa che gli sarebbe pesato dover imparare a prepararsi da mangiare dopo una lunga giornata di lavoro e che magari il risultato fosse, nonostante gli sforzi, quello di un pasto a malapena passabile. D’altronde non significava esattamente questo pianificare una vita assieme? Organizzarsi per apportare ognuno il proprio contributo? 

Certo, se Rocco avesse osato vanificare i suoi sforzi commentando una sua ricetta con ‘Mia zia l’avrebbe fatta così...’ o ‘da noi si fa così...’, sarebbe rimasto vittima di un ceffone automatico, ma quello non c’era bisogno di specificarlo.  

Perché innamorata sì, scema no. 

Prese il coltello dal cassetto per dividere il pan di Spagna in due dischi mentre realizzava le scemenze che le passavano per la testa; ‘collaborare in casa’? ‘una vita assieme’? Non era nemmeno sicura di ricordare se avessero già affrontato l’argomento in passato, e invece eccola lì, la sua fantasia correva già all’impazzata.  

Cosa andate a vedere?” chiese per pensare ad altro, ad alta voce perché Stefania potesse sentirla attraverso la porta socchiusa del bagno, mentre quest’ultima si rinfrescava dopo la giornata di lavoro e si ritoccava il trucco. 

Qualsiasi cosa che mi faccia dimenticare per un attimo che sono così disperata da suscitare la pietà di un’amica e del suo santo ragazzo che mi presta la fidanzata per una sera” disse, con una nota di amaro sarcasmo, alludendo a Roberta, che doveva star quasi per arrivare. 

Irene roteò gli occhi “Siamo alle solite... sembri un disco rotto” le disse distrattamente soffiandosi sul ciuffo che le era scappato dal cerchietto. 

Stefania uscì dalla stanza e si avvicinò a Irene studiando il dolce con occhio analitico e da varie angolazioni “E quel dolce SEMBRA tutt’altro che commestibile” disse rimarcando la stessa parola. 

Irene si voltò per guardarla con occhi impassibili “Meno male che preferivi le ‘torte imperfette’” le fece il verso, per alludere all’occasione in cui Stefania le aveva confessato quanto le mancasse una madre mai conosciuta, che secondo lei, fosse stata viva, le avrebbe fatto personalmente tutte le torte di compleanno, invece di comprarle in pasticceria, “continua pure a offendere la mia creazione, mi sarà solo più facile venir meno alla promessa di lasciartene un pezzo...” disse mentre continuava ad armeggiare con la torta senza accorgersi che Stefania, nel frattempo, stava prendendo silenziosamente un cucchiaino dal cassetto per rubarle un boccone di crema. 

Ho cambiato idea, mi accontento solo di questa” disse estasiata, assaporando la crema a occhi chiusi. 

Irene aprì la bocca nella tipica ‘O’ di sorpresa e le diede un sonoro schiaffo sulla mano dove reggeva il cucchiaino, “giù le mani da questa crema, ché poi non basta per il ripieno!”  

E nel frattempo suonò il citofono. 

Aja!” esclamò Stefania massaggiandosi le nocche, per poi affrettarsi a rispondere. “Sali, Robi!!!” gridò al citofono più del dovuto. 

A Roberta servono ancora i timpani... li hai spaccati a me!” si lamentò Irene, chinata sulla torta. 

Roberta si presentò tutta trafelata, con il caschetto deliziosamente spettinato e le gote rosse per la foga di aver fatto tutto di fretta, così come era la sua vita da quando aveva lasciato il Paradiso.  

Si avvicinò con un abbraccio e un bacio per entrambe, tipico saluto quasi distratto dato dall’enorme confidenza che c’è solo con determinate persone di elezione.  

E ciò che per Stefania e Irene la distingueva dall’essere coinquilina era solo ed esclusivamente il fatto di non dormire lì, perché costretta dalle distanze a star più vicina al suo lavoro, ora assiduo, all’università e in cantiere. Ultimamente si chiedeva però che senso avesse vivere così lontano visto che, a giorni alterni, bazzicava in quel condominio per via di Marcello e passava quindi comunque a scambiare sempre una chiacchiera e una confidenza con le ragazze. La risposta era che i futuri sposi si ripromettevano di limitare quel sacrificio al breve tempo indefinito che li separava dal loro matrimonio – ‘indefinito’ perché prediligevano un periodo ma non avevano ancora fissato una data – momento in cui si sarebbero trovati un nido d’amore che fosse indicativamente equidistante dal lavoro dell’uno e dell’altra. Fino a quel momento, quindi, erano e sarebbero stati all’ordine del giorno gli spostamenti alterni in macchina per raggiungersi dall’altra parte della città.  

Sì, in macchina, perché Roberta Pellegrino era stata la prima donna della combriccola a prendere la patente di guida, in barba alle lamentazioni bibliche di Marcello contro il concetto di ‘ragazza in giro di notte con la macchina’. Inutile precisare che Roberta aveva vinto quel diverbio in men che non si dica ricordandogli che, se aveva avuto il coraggio di far da esca perché la polizia cogliesse il Mantovano in flagrante, così liberando il proprio fidanzato dal giogo dell’anzidetto, era perfettamente in grado di guidare in orari poco consoni. E lui ribatteva che neanche in quel caso era stato affatto concorde, bensì si era trovato costretto ad accettare solo perché le minacce di Roberta gli avevano fatto più paura del muso duro del suo ricattatore e, a quel punto, la conversazione cadeva lì, con un Marcello ammutolito e sconfitto.  

Detto ciò, il ragazzo era ormai rassegnato a perdere quel tipo di battaglie verbali con la sua fidanzata dato che, all’opposto di una natura pressoché umile e non particolarmente interessata a primeggiare, Roberta si ritrovava a essere involontariamente apripista in più di un ambito. 

Scusate ragazze, sono stravolta” disse porgendo a Stefania una busta.  

Stravolta ma sempre fastidiosamente bellissima” disse Irene con quella finta sufficienza mista a sana invidia e profondo affetto che nutriva per le sue amiche più care. 

Stefania gettò un urlo vedendo il contenuto della busta; era un vassoio con le brioche rimaste della caffetteria dalla mattina. 

Sì, Marcello le rimanda a voi e Rocco” scoppiò a ridere Roberta per tanto fervore. 

Queste vuote le possiamo riempire con questa crema!” propose Stefania con l’allegria di una bimba. 

NON CI PROVARE, TI HO DETTO!” disse Irene categorica, trattenendo però stancamente un sorriso. 

Ma che ti prende?” sorrise Roberta con il suo tipico sguardo affettuoso ma inquisitorio “di solito per le brioche esulti pure tu... 

C’è che ho da fare e mi state intralciando in cucina” mentì Irene in maniera poco convincente.  

Stefania allargò le braccia, esausta dalla riservatezza della coinquilina “Dai... 

Dai che...?!” chiese Irene guardandola, mentre Roberta se le guardava entrambe senza capire. 

Stefania allargò solo di nuovo le braccia, senza rispondere, e Roberta capì che c’era un problema nell’aria. 

Chi dobbiamo mandare in galera oggi?” chiese poi quest’ultima mettendosi a braccia conserte. 

La fidanzata del padre” disse Stefania in un lampo, prima che Irene insistesse nuovamente con quel fare misterioso. 

Irene lanciò un’occhiataccia a Stefania e una frazione di secondo dopo si mise a ridere, mettendo a fuoco solo in quel momento l’intervento di Roberta “Mi sa che tu ci stai prendendo un po’ troppo gusto ad assecondare il tuo lato oscuro” osservò ironicamente. 

Hai voglia” disse Roberta con una punta di orgoglio, alzando il sopracciglio, “Che ha fatto questa qui, sentiamo?” poi chiese, andando subito al dunque. 

È venuta in negozio a sbandierarle in faccia che il padre le ha regalato una cosa della madre” vomitò Stefania tutta d’un fiato, per paura di essere interrotta.  

Ma tu vuoi due sberle... la finisci?!” si rivoltò Irene contro Stefania (“Ehhh, tu ti fai tirar fuori le cose con le tenaglie, sei sfiancante!” le ribatté Stefania sotto voce). 

E quindi cosa dovrebbe importare a Irene se il padre di Brigitta le ha regalato una cosa della madre?” chiese Roberta confusa. 

Ma quale padre di Brigitta...!” roteò gli occhi Stefania, spazientendosi con Roberta. 

Hai detto ‘il padre’” rimarcò Roberta. 

IL PADRE DI IRENE!” esclamò Stefania come se fosse una cosa che Roberta, secondo lei, avrebbe dovuto dare per scontata. 

Ahhhhhhhhhhhhhhh, ma sii più specifica” ribatté Roberta senza però scomporsi. 

Irene si chiedeva cosa avesse fatto di così brutto nella vita per meritarsi quelle due comari delle sue amiche adorate che parlottavano delle sue disgrazie come se lei non fosse presente, mentre andava pure di fretta, tra l’altro. Sotto sotto però ringraziava Stefania per averle risparmiato l’esposizione di un racconto così insulso, così da lasciare a lei la parte in cui avrebbe dovuto ammettere come quella faccenda avesse inciso su di lei.  

Peccato che non fosse particolarmente propensa a fare neanche quello. Ci mancava solo che si innervosisse di nuovo e si rovinasse quella serata che si era ritagliata per lei e Rocco.  

Sospirò rassegnata e tornò ad affaccendarsi con la farcitura, come a voler dire chiaramente: ‘io sto qui nel frattempo; avvisatemi quando avete finito’. 

Quindi, praticamente, il padre di Irene ha regalato una cosa della madre di Irene a Brigitta e Brigitta è venuta a vantarsene con Irene” ricapitolò Roberta gesticolando di qua e di là con le dita come quando faceva lezione per i suoi ragazzi all’università. 

Stefania annuì energicamente. 

Poi l’espressione di Roberta si tramutò in quel broncio che la caratterizzava quando era turbata, un’ira focosa ma in un certo qual modo anche pacata e controllata. 

Ma questa qui è da rinchiudere!” disse poi alzando le mani come faceva lei. 

Mmmh” assentì Irene mentre girava il piatto e spalmava la crema “e su questo non ci piove”. 

“Ma poi io voglio capire il perché!” si chiese Roberta in uno dei suoi consueti scatti di razionalità. 

Che carina che te lo chiedi, io invece voglio solo rinchiuderla” replicò Irene distratta dalla sua attività. 

(Stefania scoppiò a ridere e commentò: “Anche io, devo ammettere”) 

No, seriamente, l’hai provocata in qualche modo?” chiese Roberta. Non perché non avesse fiducia nel fatto che la sua amica avesse ormai imparato a contare fino a dieci prima di avere una reazione scattosa, ma perché Roberta era così; le cose, per quanto assurde, dovevano per forza avere una spiegazione, altrimenti non stava in pace. E allora faceva l’interrogatorio. 

(Stefania fece di no con la testa “Non stamattina. Si vedeva che si era presentata già sul piede di guerra”.) 

Oltre al MODO in cui la detesto, dici? Non credo... era da quella famosa cena che non la vedevo; e stavo benissimo così, francamente”. 

Irene si riferiva al fatto che, qualche settimana prima, lei e Rocco erano stati malauguratamente invitati a cena - dal padre(?), da Brigitta(?) Chi aveva avuto l’iniziativa? Queste domande non avevano avuto risposta nemmeno a loro tempo.  

La cena non era neanche andata poi così male considerando che, uno: Rocco era un santo; due: Rocco, con il padre, ci andava d’accordo più di lei e quindi il padre lo adorava; tre: la raccomandazione di Rocco prima della cena era stata ‘Comportati bene!’ così come si fa con i bambini piccoli, e quindi lei, quattro: per tutta risposta, aveva cercato di portare all’ennesima potenza le sue doti diplomatiche con Brigitta e, peggio, con la combinazione esplosiva di lei e del padre insieme. Il risultato era che il suo viso nel corso di tutta la serata era stato un misto di ipocrisia e cortesia, condito da un’impossibile contrattura dei muscoli facciali. 

Si chiedeva come le fosse anche solo venuto in mente di desiderare per sé stessa una vita aristocratica, se la sua natura era perdere le staffe come niente. Di certo a quella categoria di persone sembrava che venisse così naturale mantenere un contegno, anche se provocate. Ringraziava Dio di avere Rocco al suo fianco che la placava, perché l’alternativa con persone come Brigitta sarebbe stata commettere un omicidio pressoché giornaliero. 

E poi, scusami, ma io non capisco prima di tutto tuo padre, sinceramente” disse Roberta riscuotendo Irene dai suoi pensieri, “regalare una cosa di tua madre senza interpellarti? Su di lei sorvoliamo, perché non è nessuno per te, ma tuo padre è LUI!” disse Roberta con il suo caratteristico senso di giustizia. E Stefania dovette annuire, mortificata. 

Lo so...” disse Irene con il volto velato di una tristezza quasi ineluttabile, il primo sguardo sconfitto che si era concessa da quando era iniziata quella conversazione. Roberta diceva bene; suo padre era lui, e forse Irene si concentrava sull’odio che nutriva nei confronti di Brigitta solo per ignorare il fatto che l’atteggiamento di suo padre era quello che le faceva più male. Ed era così proprio perché era anche l’unico padre che aveva.  

Poi si riscosse e con il dorso della mano si spazzò dalla gota della polvere di farina inesistente. “Comunque adesso basta, o farete tardi” disse Irene con fermezza lasciando intendere che, avessero continuato per quella strada, si sarebbe messa a piangere e sarebbe stato un disastro con Rocco in arrivo e loro che, effettivamente, sarebbero rimaste a digiuno per non saltare lo spettacolo al cinema. “Anche perché non c’è niente qui per voi” rise per sdrammatizzare, con una lacrima che minacciava di rovinarle lo sforzo “se vi offro qualcosa Rocco poi mi rimane affamato”. 

Ma non ce n’era bisogno, le sue amiche la conoscevano fin troppo bene per capire che era solo un tentativo vano di rassicurarle. A turno se la abbracciarono e, mentre Stefania correva in camera per recuperare qualcosa che stava per dimenticare, Roberta rimase più a lungo stretta a Irene, circondandole il collo con un braccio in segno di protezione, mentre le sussurrava: “Se vuoi domani ne parliamo ancora, con tutta calma”.  

Sentiva di voler compensare per la sua assenza in casa, per la pecca di non poter consolare (ed eventualmente farsi consolare da) le sue amiche ogni volta che voleva, come invece loro due avevano la fortuna di fare ogni volta che fosse necessario. 

Che confidenze vi state scambiando voi due?” ironizzò Stefania tornando in cucina, con un finto broncio di bimba viziata. 

Irene si scostò da Roberta per ribattere “Niente, mi stava dicendo che al suo matrimonio la testimone col vestito più bello sarò io” e protruse la labbra nel suo caratteristico sguardo vanesio. 

Roberta roteò gli occhi prima di sorridere e non rispose niente.  

Sì, sì”, le fece il verso mentre con gli occhi bassi sistemava frettolosamente la sua borsetta “si sa qual è la preferita di Roberta ed è difficile per te da accettare”.  

Ogni volta che si riunivano tutte e tre, Irene e Stefania battibeccavano scherzosamente su chi fosse la più meritevole del suo affetto. Ma d’altronde è risaputo che, alla base di ogni scherzo c’è sempre un fondo di verità e, se Roberta era ‘contesa’, era perché tra tutte e tre era tacitamente considerata la migliore, anche se lei, dal canto suo, non si sentiva affatto così. La più affidabile, la più realizzata, quella in grado di dispensare i consigli più saggi, la più equilibrata; inoltre, per completare un quadretto che, detta così, poteva sembrare quello di una ragazza ‘tutta d’un pezzo’, la presenza di Marcello le conferiva quel pizzico di leggerezza e umorismo in più, che, prima di lui, Roberta raramente si concedeva.  

La ragazza sgranò gli occhi e taglio corto “Va beeeeene, buona serata a voi e... fai la brava con Rocco”, prese sotto braccio Stefania e se la trascinò via – mentre questa faceva una linguaccia a Irene per poi soffiarle un bacio, da brava bipolare qual era. 

Irene aprì la bocca col volto scioccato su quell’ultima raccomandazione “Eccone un’altra! Guarda che alla fine io sono più santa di tutte voi messe assieme, anche più di Maria Puglisi!!” gridò mentre le ragazze si stavano ormai allontanando.  

La signorina Pellegrino, futura signora Barbieri, si stava approfittando un po’ troppo del fatto che Irene fosse l’unica a sapere QUEL segreto e ‘marciava’ ancora convenientemente sulla sua facciata da santarellina. Il pensiero fece sorridere Irene tra sé e sé. 

+++ 

E dal nulla apparve Rocco. “Seh, santa tu... che io qua stavo secondo te...” commentò ironicamente rifacendosi alle parole pronunciate un attimo prima da Irene.  

Era entrato dopo le ragazze - dopo essersi scambiato con loro un saluto veloce e un occhiolino con Roberta di nascosto da Stefania - già docciato e con indosso la sua polo a maniche lunghe color vinaccia, quella che evocava un così caro ricordo per i due fidanzati e che si intravvedeva sotto la giacca di lana.  

I suoi riccioli neri rilucevano, stavolta non per la brillantina che doveva usare inevitabilmente per disciplinarli al lavoro, ma perché per correre da lei aveva rinunciato ad asciugarli.  

Irene sobbalzò chiudendo all’istante il frigo dietro di sé, con dentro la torta che voleva rimanesse una sorpresa. Almeno quella. 

E tu che ci fai qui? Sei in anticipo!” esclamò Irene presa in contropiede.  

Piccio’, se sapevo che mangiavamo qua, portavo una bottiglia di vino...” le disse ignorando la sua domanda, mentre le si avvicinava con la sua voce più morbida e le dava un buffetto tenero sulla guancia. 

Lascia stare il vino che è già sul tavolo, stappato a prendere aria” disse porgendogli impercettibilmente il viso per lasciargli fare quella carezza e poi, illuminandosi in volto, gli chiese trepidante: “Se ne sono andate?”. 

Rocco sgattaiolò rapidamente fuori dalla porta ancora aperta per raggiungere le scale, da dove si sporse per verificare che i passi concitati e il vociare allegro delle ragazze fossero ormai lontani, prima di morire definitivamente con il tonfo sonoro del vecchio portone d’ingresso. 

Torno a casa a prendere il regalo, chiatti’, se ne so’ andate” sussurrò con atteggiamento complice. 

Se ‘se ne so’ andate’” gli rifece il verso sussurrando allo stesso modo e trattenendosi dal ridere “allora perché bisbigli?! 

Ma che ne so?!” ribatté Rocco con la stessa veemenza della sua domanda, curvando le spalle e inarcando le labbra in un’espressione dubbiosa prima di scomparire dietro la porta. E Irene scoppiò in una risata fragorosa ringraziando il Cielo che esisteva lui. 

 

*** 

Quanto pisa stu cosu, matri mia” grugnì Rocco per lo sforzo mentre Irene nel frattempo aveva sbloccato anche l’altro lato della porta, in via necessaria perché Rocco potesse passarci senza problemi, lui e il suo carico ingombrante. 

Ire’, ma dove lo poso?!” si guardò Rocco intorno. 

Oddio è vero, non ho preparato il tavolino!” esclamò Irene dandosi un colpetto sulla fronte mentre si precipitava in camera sua. 

Tornata in cucina si mise a fare le prove su quale potesse essere l’angolazione migliore del tavolino che aveva designato per quel proposito e se lo rigirava da un lato all’altro, valutando in tutta calma così come avrebbe fatto con un appendiabiti in galleria. 

.... e intanto il tempo passava. 

No ma vai tranquilla, tanto mica muoio schiacciato nel frattempo” disse Rocco ancora sotto sforzo. 

Oddio scusa!” Irene realizzò per poi scoppiare a ridere di gusto, “poggia, poggia”. 

Rocco scosse la testa, divertito, e poi tirò un sospiro di sollievo quando finalmente posizionò il televisore, (quasi) ultimo modello, acquistato come regalo per Stefania.  

Era già da tempo che la televisione era arrivata in Italia e, per natura, a Irene non piaceva rimanere indietro, perciò si convinse che la sua scelta era comunque in un certo modo pionieristica perché quell’acquisto non si collocava poi tanto più in là rispetto all’inaugurazione del Secondo Canale, risalente a poco più di un anno prima. 

Già immaginava i gridolini di giubilo della sua amica una volta tornata a casa e prevedeva anche che il loro appartamento, da quel momento in poi, sarebbe stato un porto di mare, visto che per assistere a programmi importanti, come ad esempio il Festival di Sanremo, il loro gruppo di amici si riuniva generalmente in caffetteria.  

Però quella prospettiva a lei non dispiaceva; la sua personalità era incline alla buona compagnia. Agnese poi aveva già abbastanza motivi per considerarla una con cui qualunque uomo avrebbe perso inesorabilmente la retta via; che importava se da quel momento in poi la sua casa sarebbe stata bollata come luogo di perdizione? Era pertinente con quella descrizione. 

Ma non rivolto verso il divano, Rocco” lo esortò pacatamente Irene mentre nel frattempo era già di nuovo vicina ai fornelli. Voleva che Stefania lo scorgesse subito e inequivocabilmente nel rientrare a casa. Inoltre, direzionato verso la tavola, avrebbe anche fatto loro compagnia la sera mentre preparavano e consumavano la cena. 

Aspe’ che lo devo provare, anzi, lo DOBBIAMO provare” e incontrò il suo sguardo con occhi complici come a voler intendere che avrebbero passato buona parte della serata accoccolati sul divano con la scusa, appunto, di provare quanto bene si vedesse la televisione.  

Irene gli sorrise di rimando arrossendo in volto, poi si girò verso la pentola per verificare se l’acqua per i casoncelli bolliva. 

Allora dobbiamo comprare un divano più grande” proseguì Irene senza guardare nella sua direzione, con la precisa intenzione di stuzzicarlo con quello che sarebbe stato volutamente un doppio senso. 

Mentre si affaccendava per cercare la presa più vicina, Rocco alzò immediatamente lo sguardo dopo quella provocazione. 

Ah sì?” chiese deglutendo, con un fil di voce. “Perché...? 

Intendevo... per ospitare tutti voi che verrete a disturbare la quiete delle nostre serate e ad approfittarvi della nostra televisione” precisò poi lei, accennando a malapena a un sorriso furbo e così ‘scaricando’ su Rocco la responsabilità di aver pensato con malizia. 

Da un po’ di settimane era così tra loro, per la precisione da quel grande chiarimento, al termine del quale erano giunti alla tacita conclusione che avrebbero mantenuto ognuno la propria opinione. 

Irene, da quel momento in avanti, era sempre stata la prima a interrompere i baci che si scambiavano ogni volta che erano soli (non che capitasse spessissimo).  

Lo faceva per lasciarlo desideroso di volere di più? Lo faceva per ricordargli ‘cosa ci si perdeva’ a bloccarsi quando invece avrebbero potuto semplicemente lasciarsi andare? Avrebbe mentito se avesse negato che c’era anche una piccola componente di venalità in quell’istinto. D’altronde, chiedere a Irene di non provocare avrebbe significato chiederle di non essere Irene. Tuttavia, la sua intenzione era stata prima di tutto quella di dimostrare a Rocco che prendeva sul serio il suo modo di pensare e che era pronta a rispettare fattivamente la sua decisione, anche se a ogni occasione le costava più di quanto credesse staccarsi fisicamente da lui.  

In ogni caso, qualsiasi fosse il proposito alla base, era evidente che stesse smuovendo in lui qualcosa di... nuovo. 

Non che all’inizio della loro relazione non succedesse, ma ora sembrava che anche piccoli dettagli di lei, oltre alle cose che già li univano, lo distraessero nei momenti più sconvenienti della giornata. Spesse volte si trattava di cose apparentemente banali, come la ruga che le veniva tra le sopracciglia quando era concentrata, i riccioli che le ricadevano sulla nuca, le sue mani che si muovevano nel terreno conosciuto della sua quotidianità lavorativa, l’orgoglio che gli provocava vedere addosso alla sua pelle chiara quei sobri pendenti di perla che le aveva regalato a maggio per il suo primo compleanno da fidanzati, e che indossava proprio quella sera.  

Insomma, particolari totalmente privi di nota agli occhi di chiunque non avesse perso del tutto la testa, come invece era capitato a lui.  

Si soffermò a osservare la sua figura mentre si sporgeva in avanti sui fornelli. Per una volta, aveva lasciato liberi da lacca i suoi boccoli, fermati invece per l’occasione da un cerchietto da cui ogni tanto sfuggiva testarda una ciocca. Ai tacchi, che già portava per più di otto ore al giorno, aveva preferito un paio di ballerine blu.  

Non sia mai cucinare con pantofole e un grembiule da ottantenne. A preservare un minimo di raffinatezza ci teneva anche se non avevano in programma di uscire. Dal canto suo, Rocco non avrebbe saputo chiedere di meglio: lei era un connubio (im)perfetto di due mondi opposti. 

Nel frattempo nella sua testa prendeva sempre più forma la realizzazione che erano soli in casa e che, in ognuna delle poche volte in cui era capitato, aveva fatto finta che dalla porta non sarebbe rientrato nessuno e che quella fosse semplicemente ‘casa loro’. Quella sera non faceva eccezione e, a giudicare dall’aria rilassata e a suo agio di Irene, anche lei si sentiva così.  

Una volta chiuso il mondo fuori, l’ansia di Irene che quella sera potesse andare storto qualcosa era sparita, e non era di certo perché era convinta che sarebbe andato tutto bene... 

Hai fatto? Funziona?” si girò poi lei, distogliendolo da quei pensieri.  

Sì, Ire’, qua non è che c’è molto da fare, ddu canali sono” disse Rocco con ovvietà, poi si illuminò in volto e le fece segno con la mano di avvicinarsi “vieni, vieni, la mia preferita!”. 

Irene si asciugò frettolosamente le mani con un canovaccio per raggiungerlo. 

A quell’ora trasmettevano Carosello che, sebbene fosse un programma prevalentemente amato dai più piccoli, suscitava l’interesse anche dei grandi, che lo guardavano nell’attesa di godersi le pellicole o i programmi in prima serata e finivano per imparare a memoria le canzoncine di quelle sequenze pubblicitarie. 

Irene ridacchiò roteando gli occhi quando vide sullo schermo l’incipit della pubblicità del caffè Paulista. “Peggio di un bambino...!” scosse la testa girandosi verso di lui. 

Dalle insidiose foreste del Brasile, il Caballero misterioso torna dalla bellissima donna che gli ha incendiato il cuore...” recitava solennemente la voce narrante. 

Aspetta, aspetta...” disse lui per poi sparire in camera di Irene. 

Uscì dalla stanza con indosso il cappello estivo che Irene usava per le gite al lago, appena in tempo per la battuta che, per ovvi motivi, attirava di più la sua attenzione:  

Dov’è, dov’è, dov’è la bionda?” si mise a cantare, inscenando la famosa scena del Caballero in groppa al suo cavallo, in cerca dell’amata Carmencita.  

Irene dapprima scoppiò a ridere e poi, in men che non si dica, stette subito al gioco iniziando a interpretare a turno, con voci e movenze diverse, tutti i personaggi a cui Caballero chiedeva notizie della ragazza. 

Ma la ragazza in realtà non si trovava perché era rimasta prigioniera nella dimora di un tale Paranà e, per immedesimarsi nel ruolo di questo Paranà, Rocco si tolse il cappello e cambiò voce.  

Chi non bacia Paranà, non esce più di qua!” e iniziò a rincorrere Irene per tutta la stanza, la quale, imitando il tono acuto e tipicamente concitato di Carmencita, si mise a gridare: “Aiuto, ma che fa?! Mi rincorre tra i sofà?!”. Proprio nel cercare di sfuggirgli, poi, Irene gettò un grido di sorpresa, stavolta autentico, nel momento in cui Rocco l’afferrò per buttare entrambi sul divano. 

Seguì una fragorosa risata di entrambi, avvinghiati e l’uno sull’altra, che li lasciò senza respiro. Irene, tra un risata e l’altra, a fatica disse: “Insomma, hai lasciato la povera Carmencita prigioniera dell’antagonista! ... Non siamo nemmeno arrivati alla parte in cui Caballero arriva in suo soccorso!”. 

Rocco col fiatone rispose prontamente “Ma dopo quelli parlavano di caffè... che mi importa a me? Stu Caballero proprio nu babbo, trova la donna che ama e si mette a parlare di caffè?!”. E Irene scoppiò di nuovo a ridere dinanzi a un’argomentazione così lineare quale poteva essere quella di un bambino – con la differenza che un bimbo avrebbe ignorato in maniera del tutto genuina che l’epilogo di quella breve trama era tale perché finalizzato a pubblicizzare un prodotto – poi commentò con fare categorico: “Be’, mi dispiace deluderti ma io, la mattina al risveglio, ti amo sicuramente meno di un caffè”. 

Rocco schioccò la lingua in modo canzonatorio prima di proseguire con le sue teorie bizzarre:  

... che poi...” affondando una mano nel divano per pesare il meno possibile sul corpo di Irene, “non ho capito perché la canzonetta dice ‘Dov’è la bionda?’ e chidda c’ha le trecce nere! Mah, tutta da rifare proprio...” decretò con l’espressione inclemente di un giudice disgustato. 

Irene si coprì il viso, di nuovo incapace di proferire parola per il troppo ridere. 

Ma infatti dice ‘Dov’è la DONNA?’! Non ‘la bionda’!!!” rettificò poi.   

.... dopo alcuni secondi di evidente crollo mentale, Rocco esclamò:  

Ma veramente?!”, con il viso attonito di chi osserva impotente schiantarsi al suolo tutte le certezze della vita. 

Eh. Ti volevo correggere prima ma eri troppo, come dire, calato nella parte” specificò lei gesticolando. 

Vabbè, a me non m’interessa” disse poi lui smorzando i toni scherzosi e avvicinandosi impercettibilmente al suo viso “io continuo a dire ‘la bionda’, mi piace di più...” ed entrambi sapevano anche il perché. 

Irene sorrise teneramente cambiando anche lei espressione. Lasciò avvicinare Rocco finché il naso di lui non sfiorò il suo e... oh, se non ci rialziamo adesso da qui, non lo faremo mai più, come quella sera in caffetteria, pensò Irene. 

Gli stampò un bacio sbrigativo e sorridente sulle labbra e poi lo riprese: “NON SI DICE ‘A ME MI’; ora ti tolgo pure la licenza elementare! Forza, che l’acqua bolle!” 

Rocco non riuscì a trattenere un lamento soffocato di disappunto nella piega del collo di Irene; tuttavia, si alzò rapidamente e la afferrò da entrambe le mani per aiutarla a riemergere dal divano. 

Dai, aiutami ad apparecchiare, che per la pasta non ci vuole molto!” lo esortò affrettandosi poi nuovamente verso la cucina per immergere i casoncelli in acqua. 

Nel frattempo sentiva Rocco che apriva il primo cassetto della credenza alla ricerca, senza successo, della tovaglia.  

Irene tenne le labbra strette per celare un’espressione impaziente. 

‘Lo sai dove teniamo la tovaglia, Rocco, dai, sembra che tu non sia mai venuto qui!’ sentì poi recitare Rocco ad alta voce.  

Si girò di scatto verso Irene. “Vadda a chista...!” fu il commento di Rocco a quell’inattesa iniziativa della fidanzata di lasciare nel cassetto della credenza un bigliettino, forse il primo di altri (?), in pieno stile ‘caccia al tesoro’... 

Eh, ti sbagli sempre!” osservò semplicemente lei, sempre più ansiosa che Rocco andasse avanti. 

Non è neanche qui, scemo’ lesse Rocco quello che era un secondo bigliettino nel secondo cassetto che Rocco aprì. Al ché, stavolta si mise sulla difensiva: “Noooo, questa non vale perché la tovaglia è proprio qua di solito! 

Va bene, lo ammetto” alzò lei le mani non riuscendosi a trattenere dal ridere “l’ho fatto solo perché la caccia al tesoro altrimenti sarebbe durata poco! 

Al ‘tesoro’?” chiese Rocco aggrottando le sopracciglia interdetto, mentre apriva il terzo e ultimo cassetto. E lui che pensava che fosse solo un gioco dei suoi per burlarsi di lui - che effettivamente dimenticava puntualmente l’associazione tra i cassetti di quella credenza e quello che contenevano - ma non si aspettava che fosse previsto un regalo. 

Se sei arrivato fin qui, oltre alla tovaglia, hai trovato anche il tuo tesoro!’ recitò il contenuto dell’ultimo bigliettino e poi spostò la vista su una custodia nera di velluto, oblunga; tutte caratteristiche che lasciavano presupporre un solo contenuto... 

Con tutta la delicatezza del mondo, Rocco aprì la scatola, già preventivamente commosso, e vi trovò adagiato un bracciale d’oro, di maglia sottile, elegante ma non vistoso, con una placchetta centrale su cui Irene aveva fatto incidere in corsivo il nome di lui. 

Irene, che nel frattempo gli si era avvicinata, si era inconsapevolmente portata le mani giunte al viso. Non sapeva nemmeno lei perché fosse così agitata; in genere, non era così ansiosa di scoprire la reazione a un regalo che faceva, data la sua sicurezza di sé.  

Ma quella situazione era diversa: a parte il tremendo errore della birra pre-allenamento in bici, un cono gelato all’inaugurazione del carretto dei gelati davanti alla caffetteria, e i pasti e spuntini che gli offriva a occasioni alterne, si poteva ben dire che non aveva mai regalato a Rocco molto altro o comunque niente di particolarmente significativo. Quello era il primo regalo di un certo peso che gli faceva, anche perché, quando si erano messi insieme, il compleanno di Rocco era già passato. 

Lui, dal canto suo, non riusciva a proferire parola; si morse il labbro evitando di cedere, ma una lacrima gli scivolò comunque lungo la guancia. 

Dio, vederlo commuoversi con niente faceva sciogliere anche lei come una cretina; un gigante dal cuore di burro, proprio come quello che una volta fu lui ad attribuirle. 

Irene approfittò di quel silenzio per spiegarsi, anche lei irrequieta: “Forse questo regalo è più per me che per te, perché hai delle mani bellissime e immaginavo che sarebbero ancora più belle con un bracciale, e niente...” si rendeva conto del suo parlare sconnesso, ma non riusciva a stare zitta, “poi volevo anche far incidere una bicicletta affianco al nome” specificò indicando con l’indice la placchetta “però poi ho pensato che magari ti avrebbe condizionato troppo; chissà, magari un giorno non vorrai nemmeno più andarci. Poi, ecco, lo so che fai un lavoro manuale, perciò se mentre lavori te lo vuoi togliere, non sentirti in dovere di...” e quel farneticare sconclusionato fu interrotto da un bacio di Rocco, che le cinse completamente le spalle con un braccio mentre nell’altra mano ancora teneva la custodia con il bracciale. 

È troppo bello, Ire’...” mormorò qualche secondo dopo quando finalmente si staccò da lei. Poi scosse la testa, “ma che togliere...” sussurrò, ancora profondamente commosso, “non me lo voglio togliere proprio mai, anzi... mi aiuti?” le chiese sfilandolo dai fermi della scatola di velluto per appoggiarselo attorno al polso.  

E Irene fece appena in tempo ad allacciargli la chiusura del bracciale che dovette correre verso i fornelli. 

La pasta!” gridò mentre l’acqua stava quasi per fuoriuscire dalla pentola. Mentre abbassava la fiamma e girava i casoncelli, sentì le braccia di lui circondarla da dietro e abbassò per un attimo lo sguardo sulle sue mani intrecciate attorno alla propria vita, inorgogliendosi immediatamente alla vista del bracciale. 

Grazie...” le sussurrò poi lui nell’orecchio “ma sicuramente hai speso troppo, chiatti’...” 

“Infatti tra questo e il televisore mi sono praticamente svenata; dovrai fartelo bastare anche come regalo di Natale, mi spiace!” ribatté lei sorridente girandosi verso le labbra di lui. 

Tipico di lei: ogni volta che si commuoveva o si abbandonava a uno sprazzo di romanticismo, doveva ristabilire gli equilibri perduti con la sua caratteristica lucidità. 

Ma comunque, in parte, sono i soldi che avevo messo da parte da restituirti per la pensione e che non hai accettato...” puntualizzò Irene nell’inconscio tentativo di continuare a far passare quel regalo come nulla di particolarmente straordinario. 

Seh seh, te l’ho già detto una volta che sei fatta di burro” le sussurrò ancora, facendola rabbrividire, “è inutile che minimizzi”. 

Irene, più scioccata dal termine forbito usato da Rocco che colta nel vivo per il commento in sé, esclamò: “Ma senti, senti, che paroloniii!”  

Annuì lui tutto orgoglioso mentre già si era staccato da lei per apparecchiare: “Me l’ha detto pure il professore oggi infatti” aggiunse pavoneggiandosi. 

Irene sorrise sommessamente mentre metteva la pasta in tavola e insieme si sedevano, poi proseguì: “Alla fine, avevi ragione tu o io? 

Di che?” chiese Rocco. 

Era un professore di ‘larghe vedute’?” specificò Irene alludendo a quello che aveva suggerito quella mattina “ché già ti vedo rispondere alle domande sulle figure storiche come se stessi recitando una pièce teatrale e, insomma, non tutti apprezzano” commentò come se lei non avrebbe fatto esattamente la stessa cosa, messa nella stessa situazione. 

Esagggerata commentò Rocco sorridendo mentre addentava il primo boccone di pasta “no, è stato gentile dai, alla fine mi ha pure chiesto che voglio fare dopo...” e, ancora a bocca piena, cambiò immediatamente espressione e interruppe quello che stava dicendo “oddio Ire’, ‘sta pasta è buonissima” cantilenò a occhi chiusi, in estasi, con il viso appoggiato sul dorso della mano che reggeva la forchetta. 

Grazie” rispose Irene presa alla sprovvista “l’ho fatta con le mie mani” aggiunse semplicemente. 

Vero è?!” chiese Rocco sconcertato. In quei mesi insieme, Irene aveva dimostrato di non essere poi così male in cucina, come a tutti piaceva invece raccontare, ma fino a quel momento Rocco non pensava fosse in grado di cimentarsi anche con la pasta di casa, o meglio, non credeva che avesse conservato la pratica acquisita durante le lezioni di economia domestica fatte a scuola. 

Irene fece sbrigativamente di sì con la testa prima di tornare all’argomento precedente.  

Quindi, dicevi, ti ha chiesto che vuoi fare ora...” proseguì ingoiando un boccone anche lei “Ansiogeno, però... va bene che te lo voglio chiedere anch’io, però un attimo di respiro almeno oggi che hai fatto l’esame, te lo puoi pure concedere...!” ironizzò lei allargando le braccia. 

Eh lo so, Ire’, però quello mica mi vedrà tutti i giorni come te...” scherzò lui di rimando e sorrisero assieme, poi ci tenne a precisare: “ma guarda che ne possiamo parlare, mica mi fanno venire l’ansia ‘sti cosi”. 

E va bene, se è così...” replicò Irene dopo essersi pulita la bocca col tovagliolo, raddrizzandosi sulla sedia, con un’aria ironicamente ossequiosa: “Cosa pensa di fare adesso della Sua vita, Signor Amato? 

Ma che ne so Ire’, oggi è troppo presto per dirlo...!” esclamò prontamente Rocco prendendola in contropiede. 

Irene, cascataci come una pera cotta, gli lanciò il tovagliolo ridendo: “Ma lo vedi che sei un cretino?! 

Eh, ma serio sono” ribatté prontamente ridendo e raccogliendo al volo il tovagliolo, “il progetto più immediato, adesso, adesso, in questo momento preciso” picchiettò sul tavolo con i polpastrelli “è di finirmi questa pasta buonissima, poi si vedrà...” e continuò a masticare di gusto, tutto contento. 

Irene sospirò rassegnata, ancora col sorriso, e tornò alla sua pasta: “Mmh, e scommetto che hai risposto la stessa cosa al professore quando te l’ha domandato lui: ‘Professore, i piani per la mia vita futura si fermano alla cena di stasera, dove mi rimpinzerò di cibo!’”. 

No” la smentì Rocco senza esitazione “a lui ho risposto che volevo solo tornare subito al lavoro per vedere la mia fidanzata...”  

Irene lo guardò negli occhi per una frazione di secondo per poi abbassare lo sguardo mentre gli sussurrava: “Scemo...”, ma non poté celare un’espressione più che soddisfatta. 

Poi Rocco tornò serio per un attimo, mentre versava un goccio di vino a entrambi: “Non lo so, penso che con l’esame di oggi mi sono solo, diciamo, messo in pari con tutti gli altri... più o meno, si può dire...” fece ondeggiare la mano, mentre cercava senza successo una definizione più efficace. 

Irene annuì in attesa che proseguisse. 

... ma continuare a studiare mi piacerebbe; certo, non è che ora mi devo prendere la laurea, ah” puntualizzò lui mettendo subito le mani avanti. 

Infatti, non sia mai... potrebbe esploderti il cervello” lo prese in giro Irene come soleva fare lei. 

Eh, Ire’, mo, va bene tutto, però...” ribatté lui raccogliendo la provocazione, sopraffatto al sol pensiero, “fare quello che fa....” e menò la mano per aria quando le venne in mente il nome di “Roberta, per esempio, mica è da tutti...”. 

Ma guarda...” ridimensionò Irene con una punta di orgoglio “Roberta è la mia amica, e non nego che sia una delle persone più brillanti che io conosca, ma la differenza tra te e lei non è mica una questione di capacità, è solo questione di motivazione... e poi neanche quella, perché anche tu eri motivato a prenderti la licenza elementare e ci sei riuscito, conciliando studio e lavoro, esattamente come ha fatto lei” e Rocco stava ad ascoltarla riflettendo...  

... poi hai fatto lo stesso con la licenza media... quindi vedi? La differenza tra te e Roberta è che lei sta prendendo un titolo superiore al tuo, ma solo perché quelli precedenti li aveva già presi da piccola” concluse sottolineando l’ovvietà per scivolare su una nota più leggera e Rocco fece finta di accigliarsi. 

Questo per dire che” e tornò di nuovo seria, “se trovi una cosa che ami fare, riesci a farla, pur con tutti i sacrifici; basta trovarla...”. 

Rocco continuava a masticare in silenzio, valutando: “vabbene” concesse poi “allora, diciamo che non sono motivato ad avere la capacità di studiare tutti quegli ANNI....” rimarcò con la voce soprattutto quel punto “qualsiasi cosa sia...” fece poi un cerchio con la mano, inequivocabile e onnicomprensivo. 

Irene scoppiò a ridere per quell’accozzaglia di parole e si coprì gli occhi con una mano, “Sei tremendo...” commentò scuotendo la testa.  

Tutto quel tempo sui libri no dai, Ire’” esclamò in propria difesa “‘na cosa moderata...” e Irene alzò le sopracciglia e sorrise. 

Nonostante il tono scherzoso, sapeva che in fondo Rocco stava facendo una sana autocritica. E forse era in grado di scherzarci su perché, col tempo, aveva essenzialmente imparato a individuare i propri limiti e a conviverci in maniera sana, a differenza di lei che manteneva un atteggiamento ancora piuttosto competitivo.  

Ed era esattamente quello che spesse volte incrinava la sua serenità.  

Inutile dire che, per la propria salute mentale, Irene sentiva di avere tanto da imparare da lui anche in quell’ambito.  

Rocco la sorprese così, ancora col sorriso stampato sulle labbra, mentre con la mano si sosteneva il viso pensierosa. 

Oh, chiatti’, che è? Ti sei incantata?” chiese Rocco corrugando la fronte. 

Mmh? Niente, pensavo che una cosa che farebbe al caso tuo ci sarebbe...” replicò lei storcendo la bocca, con aria riflessiva, poi ridacchiò nel ricordare “visto che sei capace di riparare, così, A SENTIMENTO, cose come juke-box e .... altri marchingegni simili...” esitò rimanendo sul vago. Figurarsi se era così patetica da confessargli la visione avuta quando lui la raccolse dall’albero di Natale nel lontano gennaio ‘61, nonché proprio quella su cui si era involontariamente ‘incantata’ (come diceva lui) un attimo prima: Rocco con un loro ipotetico figlio sulle proprie gambe, di circa sei o sette anni, a cui insegnava ad aggiustare una radiolina. 

Forzare su di lui, in maniera anche solo subliminale, un’immagine futura di loro due con prole al seguito era una cosa che Irene non avrebbe mai accolto nella propria natura ed era, pertanto, l’unico punto su cui ancora conservava un sano maschilismo e si riprometteva di lasciare che fosse lui a proporle... iniziative di quel peso.  

... la Scuola Radio Elettra di Torino” fu il suggerimento. 

Ma sai che l’ho sentita?” mormorò Rocco dopo un po’ riflettendo. 

“E certo che l’hai sentita, Rocco” sorrise lei roteando gli occhi mentre si alzavano per sparecchiare (“Sparecchiamo che poi il dolce lo mangiamo sul divano” gli aveva fatto segno lei, mentre lui si illuminava all’istante in volto al sentir nominare quella semplice parolina). “La conoscono tutti.” 

“Ma è a Torino però, anche per questa mi dovrei spostare...” rivalutò poi lui un po’ deluso. 

Ma no” ridacchiò Irene “si iscrivono in moltissimi proprio perché è una scuola che si fa per corrispondenza”. 

“Vero?!” domandò lui entusiasta (“Asciugo con questo?” le chiese poi nel frattempo, alzandole a mezz’aria lo strofinaccio lì in uso. “No, prendine uno pulito nella credenza; il cassetto giusto, mi raccomando” gli rispose lei scherzosamente). 

“Certo, figurati che uno dei messaggi promozionali è proprio ‘Impara a casa tua una professione vincente’!” recitò Irene. “Non so bene come funzioni, ma credo che oltre al materiale teorico da studiare ti spediscano a casa anche quello per realizzare impianti...” gesticolava, a corto di parole più specifiche “insomma, poi dipende dalla specializzazione che prendi”. 

“Ma tu mi ci vedi?” chiese Rocco dopo aver fissato per un tempo imprecisato un punto a caso nel vuoto, in meditazione, mentre con lo strofinaccio disegnava movimenti circolari infiniti sul piatto che stava asciugando. 

Se ti ci vedo, Rocco” fece spallucce  “se non è per te quella scuola, non so per chi sia; è estremamente orientata alla pratica e tu hai un talento innato per queste cose...” e sorrise preventivamente, anticipando una vendetta per quello che stava per dire “certo, basta che non si tratti di costruire arnie... quelle non sono proprio il tuo forte” lo stuzzicò, alludendo all’iniziativa a tema del Dottor Conti sulle api, risalente a circa un anno prima, dove Rocco e Pietro avevano costruito la proposta di arnia forse più orrenda della storia. 

“Ma!” sbottò lui e afferrò prontamente l’altra estremità dello strofinaccio con l’altra mano per ingabbiarla e stringerla a sé per le spalle (“Era decente quell’arnia alla fine” le sussurrò Rocco fingendosi offeso. “Certo, solo perché poi è intervenuto il Dottor Conti per la disperazione” ribatté lei). 

Poi il pensiero di Irene tornò su una cosa menzionata da Rocco poco prima, e su cui aveva inizialmente sorvolato, “Scusa, perché prima hai detto ‘ANCHE PER QUESTA mi dovrei spostare’? 

Rocco sospirò aspettando una manciata di secondi prima di rispondere, come se gli costasse valutare quella possibilità, “Niente, che il si’or Armando è da un po’ che mi dice che potrei pure buttarmi sul ciclismo agonistico, che c’ho la stoffa, e tutte chidde scemenze là” disse Rocco con sufficienza. 

Ah” fu il commento dapprima neutro di Irene, che aveva ricollegato la cosa con la frase precedente “e dovresti spostarti... 

Rocco annuì. “... a Roma” rispose poi a quella tacita domanda. “ché lì c’è un tizio che mi osserva da un po’ e vorrebbe lavorare con me”. 

Be’, ma a te piacerebbe?” indagò Irene, tentando – forse senza successo – di celare l’ansia che le stava salendo inconsciamente.  

Rocco alzò le spalle, esitando, “A me la bicicletta piace, e mi piace pure gareggiare, così per gioco” spiegò gesticolando “sfidare quel babbo di Pietro” si mise a ridere senza rendersi conto che anche lui sentiva inconsapevolmente il bisogno di tagliare quella tensione quasi palpabile “ma non so se... farlo proprio come lavoro” rimarcò storcendo la bocca “sarebbe la stessa cosa”. 

“Non lo sai, appunto” disse poi Irene risoluta tentando di reprimere il magone che aveva nello stomaco “quindi devi provarci per capirlo... devi andarci perché potresti rimpiangere di non averlo fatto e...” senza rendersene conto la sua voce si stava gradualmente alzando e fu solo quando Rocco la interruppe con quel suo fare genuino e diretto che realizzò. 

Ehhh, Ire’, piano... un attimo” esclamò Rocco mimando il suo innalzamento di voce. “La fai facile tu...” disse poi con il faccino mogio. 

La faccio facile perché È facile” rispose lei senza esitare. Come no, soprattutto per noi, una meraviglia, pensò amaramente fra sé nello stesso momento in cui pronunciava a Rocco quelle parole diametralmente opposte a quanto aveva dentro. 

Se è facile per te, per me no” disse lui convinto e Irene non seppe rispondere, interdetta. A volte lo invidiava perché non aveva paura di mettersi a nudo, era totalmente privo di filtri; quello che sentiva lo diceva, “a parte per il lavoro... cioè, metti caso non fa per me questa cosa, perdo il lavoro qui senza motivo... ma poi NOI?... Se a te però non importa...” suggerì lui visibilmente deluso e si rimise a sedere, dato che avevano anche finito di rassettare. 

E Irene, svuotato di ogni senso l’atteggiamento precostruito di poco prima, si ammorbidì anche lei, “È questo che pensi? Credi davvero che non mi cambi niente se rimani qui o parti?” gli chiese, sinceramente sconcertata da quanto riuscisse a sembrare dura quando se lo proponeva, al punto che lui finiva per credere un’assurdità simile. 

“A volte così sembra...” ribatté lui incrociando le braccia sul petto, come tutte le volte che era offeso o faceva finta di esserlo, e Irene alzò gli occhi al cielo mentre lui non la vedeva, intenerita da quel candore. Si trovò senza alcuna altra scelta tra le mani se non quella di essere semplicemente sé stessa e lasciarsi andare precisamente a quello che voleva fare in quel momento, senza pensare a quello che implicava oppure chi o cosa accidenti avrebbe condizionato abbandonandosi a quell’istinto.  

Spense semplicemente il cervello, e non era mai facile per lei se si trattava dei propri sentimenti. 

Rimanendo in piedi dietro la sedia di lui, si chinò e gli circondò il collo con entrambe le braccia, appoggiando la propria tempia sulla sua e inspirando per una frazione di secondo il suo profumo a occhi chiusi. “Ma tu hai idea di quanto mi costi spingerti ad andartene per inseguire quello che potrebbe essere il tuo sogno? 

Lui non le rispose subito; dapprima espirò, come allentando la tensione, poi avvicinò la propria guancia a quella di lei e fece risalire un braccio per stringere il suo tra le mani. “Forse sì, ma allora perché non me lo dici? Perché devi fare sempre la dura... pure quando non serve...” protestò in un sussurro accorato. 

E Irene scoppiò a ridere per il ‘quando non serve’; perché se Rocco non fosse stato troppo coinvolto, si sarebbe reso conto da solo che quello era invece uno dei rari casi in cui ‘serviva’ per davvero essere risoluti, considerando la facilità con cui due innamorati avrebbero fatto l’errore di scegliere la via comoda. 

Vuoi la verità?” gli chiese, allora, in maniera retorica. 

Lui annuì e lei si sentì graffiare piacevolmente la guancia da quel suo accenno di barba. Poi Irene fece il giro della sedia, gli si mise a sedere davanti e gli prese le mani tra le sue. “Perché sento che, se mi raddolcisco, cado più facilmente nella tentazione di pregarti di restare, e lo sai anche tu che non sarebbe giusto farlo, né per me né per te”. 

E perché no...?” rispose volutamente con una domanda nonché con il sorrisetto tipico di un bimbo capriccioso. Sapevano entrambi che quello era il suo modo di evitare di ammettere che Irene aveva ragione da vendere. 

Irene roteò gli occhi e gli sorrise in modo canzonatorio “Non fare lo scemo per non andare in guerra, che non attacca... come pensi che potrei accettare l’idea di tenerti qui vicino a me, mentre nel frattempo potresti aver trovato la tua strada?” insistette. 

Ire’” tornò serio e le strinse a sua volta le mani, “ma non è che mi TIENI TU vicino a te, a me piace la mia vita qui, non è solo perché ci siamo io e te, te lo giuro – che poi Gesù dice che non si giura però, vabbè, era per dire (era adorabile quando mormorava quelle cose più a sé stesso, che a lei) – mi piace la famiglia che siamo al Paradiso, come sono stato trattato qui, da tutti...” disse poi guardandosi attorno, quasi commosso, “... se andassi a fare questa cosa, ci andrei soltanto per togliermi il dubbio, va’...” balbettò interrompendosi per la frustrazione di non sapersi spiegare meglio. 

Irene iniziò a chiedersi seriamente se per caso non stesse assumendo un atteggiamento ipercorrettivo con lui, ovvero quello di fare la fidanzata esageratamente solidale per il timore di non esserlo affatto.  

Rocco sembrava davvero poco determinato dinanzi alla prospettiva di abbandonare tutto alla volta di quella nuova esperienza. Che non lo stesse spingendo in quella direzione solo perché era lei a volersi ripulire la coscienza immolandosi in quel sacrificio d’amore disinteressato? 

Poi però provò a fare un esercizio all’inverso e, una volta trovata la risposta, si dileguò dal suo cuore ogni perplessità sul da farsi e si mise l’anima in pace. 

Si interrogò sull’alternativa. E l’alternativa era, appunto, quella di spingerlo a rimanere col dubbio.  

Ecco, quella sì che era un’opzione totalmente priva di logica e buon senso. 

E va benissimo così” intervenne allora lei, con fare molto più mansueto stavolta, “è proprio per quel dubbio che devi a te stesso una possibilità... perché le cose vanno provate prima di capire se vanno bene e, se vale per i vestiti,” gli sorrise per buttarla sullo scherzo “tanto più vale per le scelte di vita”. 

Rocco si lasciò scivolare sulla sedia e sbuffò perché Irene era, purtroppo, incontrovertibile.  

O forse ancora no... 

Vabbè” tagliò cortomo, dopo che hai fatto la parte della fidanzata saggia... bello tutto quantoera vero, la considerava ed ERA saggia in quegli ambiti, ma in quel momento quelle verità tutte assieme gli facevano male e quindi la stuzzicava,non abbiamo comunque risolto i problemi che ti ho detto all’inizio...”.  

Meno male che Irene era avvezza a quei meccanismi di autodifesa e invece di dargli un ceffone, rideva rassegnata, nell’attesa che terminasse di dire le sue scemenze; ma non c’era fretta, il buon umore che lui le metteva anche nel bel mezzo di discorsi così grevi era spesso la sua salvezza; e così in quel momento, dove, per quanto odiasse quella seppur doverosa conversazione, il suo magone iniziale era comunque parzialmente (e di sicuro solo temporaneamente) più tollerabile. 

Intanto però si trattenne dal ricordargli che, neanche mezz’ora prima, le aveva specificato come quei discorsi ASSOLUTAMENTE non gli mettessero ansia. Si vede, pensò ridendo sommessamente. 

Il lavoro al magazzino dici?” chiese poi. 

Eh... punto primo” precisò lui alzando il pollice, perché figurarsi se poi non doveva passare anche al punto che gli stava più a cuore, “cioè, mi licenzio qua e dopo? Se voglio tornare, il Dottor Conti giustamente mi dice ‘tanti saluti’ e c’ha pure ragione”. 

E Irene sbuffò, mentre si alzava per prendere i piattini e le forchettine per il dolce nella credenza, prima di rispondergli: “Ma figurati se Vittorio Conti, colui che vede opportunità pubblicitarie per la sua azienda dove nemmeno esistono, non riprenderebbe a lavorare un... ciclista pentito” definizione appena coniata da lei in quel momento, che proferì come se fosse l’ultima genialata del secolo. 

Un ciclista-come?!” stavolta era il turno di Rocco di ridere a crepapelle per un’improprietà di linguaggio di Irene cosa che, per ovvi motivi, succedeva meno di frequente. 

Un ciclista pentito, sì...” ribadì sicura di sé “credo che per l’occasione assolderebbe persino il giornale locale con un titolo del tipo:” e mimò la comparsa di un titolo immaginario per aria con la mano in cui teneva la paletta del dolce “‘Ciclista promettente rinuncia alla carriera su due ruote per tornare al Paradiso....” 

Seh, ‘...alla Casa del Padre’!” la interruppe poi lui sfruttando un palese doppio senso. “Tanto se sarò ‘pentito’ come dici tu, ci torno pulito, pulito, da Nostro Signore”. 

Irene schioccò le labbra e rise mentre tirava fuori la torta.  

Matri mia, la torta al cioccolatoooo” esclamò Rocco a quella vista e in segno di tacito ringraziamento si avvicinò a Irene per stringersela da dietro, mentre lei posava la torta sul tavolo. “E noi? Se poi scopro che quel lavoro mi piace, che fine facciamo noi?” le sussurrò poi, incapace di lasciarla andare.  

E Irene sospirò: “Certo che se mi dici ‘fine’, penso che...” e si girò intorno, alla ricerca visiva di una punizione efficace, “ecco, penso che non ti do neanche un pezzo di torta”.  

Sentiva che tutte le energie spese a convincere il fidanzato contro il proprio interesse meritavano una ricompensa a vita in dosi massicce di cioccolato, altro che la piccola tortina che aveva fatto. Comunque, anche solo quella era un buon inizio. 

Rocco le prese la paletta dalle mani per assicurarsi che non attuasse quella vendetta e iniziò a fare lui le porzioni. “Dai, facevo il cretino...” 

Irene piantò le braccia sul tavolo riflettendo, affianco a lui che armeggiava, “Ma non esistono squadre ciclistiche anche qui al Nord?” poi chiese agitando la mano in aria “Che so io, qui vicino, ad esempio... in Lombardia... oppure proprio... a Milano, per dire?”  

Rocco sghignazzò, colta l’ironia delle sue domande, e fu lui a terminare la frase rimanendo sulla stessa nota “Ma sì, pure qua dietro casa, perché no...”; poi se la abbracciò per la tenerezza che gli ispirava quando esprimeva ciò che sentiva senza rimuginarci troppo e le strizzò la faccia con la mano (“mi fai male” borbottò lei, fingendosi impassibile davanti a quello slancio d’amore, con il viso tutto arricciato dalla sua presa).Giniusa, sei” e le diede un bacio sonoro sulla guancia. 

Cioè?” impennò lei con voce acuta. 

Bella... ma in tanti sensi” mormorò con uno sguardo misto tra il sognante e il riflessivo... 

Penso di sì comunque” le rispose poi “... ma poi stando sul posto inizio a conoscere l’ambiente e vedo pure di trovare un modo per riavvicinarmi a te” ipotizzò, speranzoso, “magari non devo starci sempre, basta che mi alleno e faccio le gare...” e alzò la mano per puntualizzare “questo SEMPRE SE mi piacerà la carriera, ché noi qua parliamo, parliamo...” 

Mentre prendeva dalle mani di Rocco il piatto che le aveva preparato con il dolce, come dopo un’illuminazione, Irene si aprì a un’altra prospettiva mai considerata fino a quel momento: “Ma poi ci pensi? Se invece fossi io a trasferirmi da te a Roma, potrei candidarmi per un posto in qualche prestigioso negozio di Via Condotti o Via del Corso e mi prenderebbero subito con le mie capacità e le referenze che avrei in mano... certo, però, qui ho già l’anzianità e arriverei più velocemente a essere capocommessa” storse la bocca valutando, come se quelle due opzioni le si fossero già materializzate davanti e il suo unico compito fosse quello di sceglierne una. 

Rocco rimase a fissarla per due secondi contati, con la forchettina ancora in bocca, incerto se essere più sbalordito dall’ennesima dimostrazione di straordinaria ‘modestia’ di quell’invasata della sua fidanzata o più felice per il fatto che la stessa aveva preso in considerazione la possibilità di essere lei a raggiungerlo.  

Nel dubbio si illuminò in viso, mentre la sua mente correva veloce: se quell’alternativa si fosse concretizzata, avrebbe avuto la ‘scusa’ perfetta per proporle matrimonio, cosa che normalmente se la faceva sotto a chiederle per timore che fosse esageratamente presto per lei. 

Rocco fece un passo verso Irene con gli occhi che gli brillavano: “Chiatti’, ma ci verresti davvero?” e avrebbe voluto aggiungere che non gliel’aveva chiesto lui solo perché gli era mancato il coraggio per farlo, ma forse quell’idea già si leggeva chiaramente nello stupore del suo viso. 

Irene resse il suo sguardo per una frazione di secondo, felice e stupita come lui di quello che aveva appena proposto, come se ne fosse stata solo testimone e non artefice.... poi però la buttò sullo scherzo e l’atmosfera si ruppe. 

Visto? Adesso non hai proprio più scuse; hai tutte le soluzioni servite su un piatto d’argento” e nel frattempo si sedettero sul divano.  

Solo dopo aver spento la luce del soggiorno/cucina, realizzarono di aver ignorato la televisione per tutta la durata della cena. L’avrebbero lasciata accesa solo perché potessero sfruttarne la luce fioca.  

Ora se non vai, inizierò a pensare che è perché sei pigro e non vuoi farti tutto da solo, visto che lì a Roma non ci sarà mammà” rimarcò volutamente. 

“‘Mammà’?” rise e poi puntualizzò mentre gustava la torta “Mia zia, casomai”. 

Dettagli, nel tuo caso è la stessa cosa...” rispose lei facendo spallucce.  

Perché, quando saremo sposati” incredibile come il suo inconscio fosse già partito per la tangente, tanto che da quel momento in poi avrebbe probabilmente insinuato quell’argomento in ogni discorso, “non farai tutto tu in casa?” e premette le labbra tra loro per contenere una risata, mentre anticipava le tante reazioni letali che Irene avrebbe potuto avere. 

Irene si girò nella sua direzione in maniera robotica, con gli occhi piccoli e assassini, al ché Rocco non ce la fece più a trattenersi.  

Ripeti un’altra volta una frase del genere e ti recido tutte le appendici del corpo” lo minacciò.  

Ajaaaa” gridò lui piegandosi istintivamente in una posizione fetale, come se già immaginasse il dolore, “tanto, guarda, che non ci crederei manco se lo vedessi, ah”. 

E faresti bene” replicò lei secca. 

Anzi” poi aggiunse lui, provocandola, “secondo me, disordinata come sei, è a me che toccherà fare tutto” paventò sgranando gli occhi. 

Irene schioccò le labbra, “cretino... ma esigere che solo la donna faccia tutto in casa non solo è maschilista, è anche totalmente privo di senso pratico” disse lei ingoiando un boccone perché figurarsi se rinunciava al suo cioccolato per portare a termine le sue arringhe “si fa in due e si fa prima, così poi INSIEME ci si dedica al tempo libero e a tutto il resto... non credi?” si girò lei di scatto per chiedere conferma, non che le sue parole lasciassero molto spazio per controbattere. 

E infatti... 

Se ‘credo’?!” chiese Rocco, allibito dal fatto che Irene avesse pure la faccia tosta di chiedergli un’opinione. Neanche Rocco avesse voglia di morire. Piccio’, ci devo credere per forza, sennò mi arriva ‘na masciddata! 

Irene si girò di nuovo verso di lui, stavolta con un’espressione confusa in volto, “Una che?” 

“‘no schiaffo, Ire’” spiegò lui con la bocca piena. 

Io ero ferma a timpulata...puntualizzò Irene, psicologicamente provata, e Rocco alzò gli occhi, riflettendo e spostando la testa di qua e di là, “Anche...” poi si mise a ridere quando vide l’espressione sofferente di Irene. 

Irene si lasciò andare a un sospiro di frustrazione e gettò all’indietro la testa contro lo schienale.  

TU” poi si riscosse, colta dal ricordo di una vecchia promessa, e puntò la forchettina nella sua direzione “avevi promesso di insegnarmi il siciliano dopo l’esame. Ecco, ADESSO è dopo l’esame”.  

Rocco ci pensò un po’ “ca cettu” e poi chiese per sondare il terreno: “perché prima o poi non la vuoi conoscere tua s..” si interruppe per timidezza e poi si corresse “mia madre?” 

Irene si voltò verso di lui e sul suo volto comparve un sorriso caldo, segno che si era accorta di quell’autocorrezione, “Solo LEI voglio conoscere...” e abbassò lo sguardo. – Tutto quello che Rocco le aveva raccontato di sua madre le era piaciuto, le era stata descritta come una donna premurosa e dolce (‘poi, chissà, magari quando mi conoscerà, subirà lo stesso effetto che faccio ad Agnese Amato; si farà il segno della croce e reciterà una preghiera di liberazione dagli spiriti cattivi’, pensò Irene tra sé); inoltre, grazie alla lunga conversazione avuta con Armando qualche settimana prima, in cui avevano sollevato l’argomento, Rocco stava pian piano riabilitando anche la sua immagine, che negli anni era stata macchiata dalle dicerie e malelingue che lo avevano accompagnato per tutta la sua vita. E scoprire se quelle avessero o meno un fondamento non aveva nemmeno più importanza. Sua madre era stata una buona madre e solo quello doveva bastare a lui come figlio. Anche Irene l’aveva aiutato in quel senso: ‘i figli sono di chi li cresce’ era un concetto che ribadiva spesso ‘tuo padre non ha quindi nessuna scusante per il comportamento che ha avuto nei tuoi riguardi; se non se la sentiva di riconoscerti come figlio, poteva tirarsi indietro fin da subito, e non trattarti da essere inferiore; come se poi un bambino potesse avere qualche tipo di colpa...’ – “... ma ho il sospetto che dovrò conoscere anche ‘altre persone’ che invece non faranno altro che insultarmi, quindi devo capire bene quello che dicono per difendermi” disse lei con voce neutrale, senza patetici vittimismi di sorta. 

Ehhhhh, esaggerata” disse lui girando la forchettina in aria “comunque” e si alzò dal divano per andare a prendere la torta non tagliata che era rimasta sul tavolo “possiamo fare così: io ti dico una cosa e tu la me la ripeti; se me la ripeti bene, ti do un boccone, sennò, picciò” disse allargando le braccia “se sbagli, il boccone è mio”. 

E figuriamoci se Irene si lasciava intimorire da una sfida. Alzò il sopracciglio e gli tese la mano perché lui la stringesse in un patto.  

Che poi ‘se lo ripeti bene’” rivalutò lei “chi lo determina? Tu? Per quanto ne so, potresti dire che sbaglio tutto per rubarmi la torta”. 

Ehhh, picciò, mo, quante ne vuoi, ti devi fidare... sennò, se vuoi, chiamo mia zia e ci viene ad aiutare...” aggiunse con nonchalance, ben cosciente di quanto le due si detestassero, e rise quando Irene esclamò: “Nooooo, mi fido mi fido”. 

Poi Rocco si picchiettò il petto e le fece segno di adagiarsi con la schiena contro di lui. Meno male che Irene aveva tenuto da parte un po’ di crema perché Stefania la usasse per farcire i suoi amati cornetti; con la sfida appena lanciata, era sicura che di quella piccola tortina non sarebbe rimasto nulla. 

Irene si appoggiò come le aveva indicato lui e il piatto di torta, nonché trofeo, se lo mise in grembo. Da quell’angolazione il viso di Rocco era appena dietro il suo e poteva sussurrarle nell’orecchio senza alzare la voce. Era il tipo di vicinanza che Irene preferiva e, se Rocco non lo sapeva direttamente, quantomeno lo sospettava, dato che negli ultimi tempi era proprio lui a cercarla più di frequente e, ogni volta che lo faceva, Irene era sicura di riuscire a scorgere nei suoi occhi una venatura a malapena percettibile di malizia.  

Certo però che, se continuava a pensare a quanto quel contatto seppur casto le rizzasse i peli, non avrebbe imbeccato neanche una frase in siciliano, e lei non poteva accettare di perdere.  

Prima per orgoglio poi ‘per cioccolato’. 

Cominciamo con” scandì Rocco con aria riflessiva e poi, illuminatosi, fece una premessa “ecco, chiatti’, una frase che ti descrive alla perfezione proprio: ‘Ti patti arraggiata come nu scimmiuni”. 

Irene corrugò la fronte spremendosi le meningi e iniziando a emettere dei mugoli sconnessi per l’impazienza di dare una risposta “mi suona ‘come una scimmia’ ma non sono sicura della parte iniziale...” e Rocco, inclemente, affondò la forchettina nella torta per poi portarsene teatralmente un boccone alle labbra, ma Irene lo fermò con la mano: 

Aspetta! ‘Arraggiata’ deve significare ‘arrabbiata’ di sicuro, perché hai detto che è riferito a me! Sì!!! ‘Sono arrabbiata... cioè, mi arrabbio come uno scimmione!’” disse tutta entusiasta. Rocco trovò buffissimo che non le importasse nemmeno del contenuto della frase; poteva essere anche un insulto, a lei durante una gara importava solo di vincere. Poi lui strizzò gli occhi inclinando la testa e infine dovette ammettere a malincuore:  

Non è proprio preciso preciso così, ma te la lascio passare, va’’” disse tutto impettito e poi le comandò “Adesso ripetila!”. Era comico da osservare come se la stava spassando a vendicarsi di tutte le volte in cui era stata Irene a fargli da ‘maestrina’. Lei allora ripeté la frase proferita e scoppiò a ridere per autoironia, così trascinandosi dietro anche lui. Superfluo aggiungere che non perse tempo per prenderla in giro per via di quella pronuncia ancora troppo ‘rigida’, e tuttavia adorabile, alle sue orecchie.  

Allora le mise una mano sotto il mento per non far cadere le briciole mentre lei addentava il suo primo boccone.  

Ben presto però, Irene propose un approccio meno rigoroso alle regole del gioco, visto che ci teneva tanto anche a evitare un’indigestione, e, da quel momento in poi, condivisero ogni morso che era in palio.  

Su quella falsa riga - fatta di punzecchiamenti e rimbeccarsi continui, di ‘dai, questa era quasi giusta!’, ‘no, fa’ la persona obiettiva, non hai azzeccato proprio niente invece’ - proseguirono fino all’ultima briciola, momento in cui si ripromisero che quella lezione sarebbe stata solo la prima di una lunga serie. 

A gara finita, quando non c’erano più piattini e forchettine che li separassero - e che difatti erano stati impietosamente relegati sul pavimento, di fianco al piede del tavolino - scivolarono in un gioco di mani intrecciate, carezze apparentemente involontarie, baci furtivi misti a sussurri... 

Intanto la televisione continuava a guardarli e, mentre se ne stavano finalmente un po’ in silenzio, Irene si soffermò sull’alzarsi e abbassarsi del torace di Rocco proprio sotto di lei. Tese il collo all’indietro per guardarlo in volto; era sereno come suggeriva il suo respiro. Irene, invece, avrebbe mentito se avesse detto che era esattamente lo stesso per lei. 

In quel silenzio, infatti, le riaffiorò fastidiosamente il dispiacere di quella mattina e, anche se le sembrava un sacrilegio turbare la pace di Rocco, sapeva che quei momenti in cui potevano starsene per conto loro come una piccola famiglia erano, purtroppo, molto rari. 

Di solito erano costretti ad accontentarsi del breve tragitto condiviso la mattina, di quella mezz’ora in pausa pranzo in cui scambiavano una chiacchiera con la bocca piena e del freddo marmo delle scale a fine serata. Perciò, contrariamente alle intenzioni iniziali cui aveva mantenuto fede fino a quel momento, si arrese al proprio bisogno di confidarsi con lui. 

Non perché Rocco fosse un maestro di dialettica, non perché le dicesse sempre quello che lei voleva sentirsi dire, non perché non sapesse anche essere brutale...   

Ma perché, anzi, aveva quel dono adorabilmente maldestro di dirle senza mezzi termini quello che davvero le faceva bene.  

Lui era lui. Era come se Irene sentisse inconsciamente di non aver affrontato del tutto qualcosa che la affliggeva finché lo taceva a lui.  

Oggi è passata Brigitta al Paradiso” sussurrò quindi Irene seguendo con lo sguardo un’immagine a caso sullo schermo.  

Ah.” rispose Rocco dopo un attimo “prima o dopo che sono tornato io?”.  

Irene sospirò. “Prima...” rispose, ben consapevole del perché Rocco aveva posto quella domanda.  

Rocco le prese il mento per attirare il suo viso a sé e cercare i suoi occhi “Che è successo?le chiese con voce sospettosa. 

C’è che se oggi non hai visto il mio nome sui giornali di cronaca nera è perché al lavoro mi hanno impedito di staccarle la testa” ribatté lei, con voce gelida e cupa. 

Addirittura Ire’… ma perché?” le domandò con voce esasperata, sperando in cuor suo che quello della fidanzata fosse solo il suo consueto vizio di amplificare le cose. Anche a lui tornò in mente l’occasione in cui erano stati invitati a mangiare a casa Cipriani, e non era andata poi così male. Certo, ricordava anche la sua fidanzata ribollire durante la cena, ma spesso la scarsa tolleranza di Irene non faceva testo; non era molto elevata in ogni caso. 

Mio padre le ha regalato una cappa di mia madre disse Irene senza approfondire - grazie a lei e al suo lavoro, Rocco ormai aveva una conoscenza di terminologia dell’abbigliamento che faceva invidia a uno stilista - e lei, ovviamente, ha pensato bene di venire a spiattellarmelo in faccia”. 

Rocco corrugò non solo la fronte, ma tutta la faccia. Anche se Irene era sempre stata una figlia ribelle, cosa non particolarmente gradita agli occhi di un padre vecchio stampo come il signor Cipriani, quella sembrò a Rocco una carognata puramente insensata e gratuita. In stile avvicinabile al suo, di padre. 

Ma scusa, ‘sta cosa si può fare? Quella non dovrebbe essere roba vostra… tua?” chiese interrogandosi inaspettatamente su quanto fosse ‘lecito’ quel gesto. 

Appunto, roba nostra, e finché è in casa sua, evidentemente ne fa ciò che vuole…” poi si ammorbidì e assunse una vocina mesta, cercando inconsciamente un appiglio per odiarlo di meno “L’ho chiamato poco dopo e mi ha detto che non l’ha fatto in mala fede... semplicemente ha pensato che non fossi interessata, dato che è una cosa che normalmente non indosso e non ho portato con me qui in casa nuova”. 

A quelle parole, Rocco ricordò il particolare del trucco sbavato “ecco perché eri in spogliatoio quando sono arrivato, non era per la calza smagliata…”.  

E lei fece spallucce senza rispondere niente. 

Ma tu quando me le dici ‘ste cose, Ire’?” indagò lui, accorato. 

Irene rispose senza esitare “Avevi fatto l’esame, eri così contento... che potevo fare? Mi pento persino di non aver aspettato almeno fino a domani 

Rocco schioccò le labbra in segno di apprezzamento per quell’accortezza e le strinse ancora di più le braccia attorno al ventre. “Mah, comunque, secondo me” alzò lui un braccio come quando esprimeva la sua opinione in maniera convinta “doveva chiedere prima a te se volevi darla via… 

Appunto… mi ha anche detto che, se voglio, possono ‘restituirmela’” storpiò la voce su quell’ultima parola per scimmiottare la voce del padre “ma figurati se mi abbasso a quel livello… mi fa anche pena, è l’unica cosa che potrebbe indossare di mia madre quella...” fece una pausa con il groppone in gola per il nervoso per poi esclamare “… mucca! 

Rocco ridacchiò sommessamente - le reazioni colorite di Irene quando si inalberava erano, ogni giorno di più, motivo di intrattenimento per lui, anche se la sua missione implicita nella vita era sedarle - “Ire’, eddai” le mormorò teneramente, con atteggiamento quasi paterno. 

Che c’è?” ringhiò. 

Eh... lo sai che c’è” rispose lui con la stessa calma di prima. 

No. Non lo so.” rispose, secca. “Per caso adesso neanche con te posso sfogarmi?”  

Ma assolutamente non sto dicendo questo, chiatti’ precisò Rocco “ma forse, ‘sta poveretta va solo compatita...” suggerì, cercando di farla ragionare. 

Irene strabuzzò gli occhi allontanandosi all’istante da lui, come colta da orticaria improvvisa: “Poveretta, LEI? Lei viene a provocarmi su una questione delicata come mia madre ed è pure da compatire?!” proruppe, al culmine dello sdegno. 

Ire’, ma ragiona un attimo” disse lui, ancora una volta con la compostezza di chi sapeva prenderla, controbilanciando la sua aggressività. “Chi è la più povera tra voi due?”  

Irene aggrottò le sopracciglia “Vuoi scherzare?! Ovviamente io... replicò, tagliente pago la pigione e lei vive, mantenuta, in una casa di proprietà”. 

Rocco roteò gli occhi. Era chiaro che Irene perdesse buona parte della propria obiettività nel discutere un argomento che le stava così a cuore, a tal punto che era Rocco, fra tutti, a doverle ricordare il significato di una metafora. “Ma non in quel senso, Ire’... più povera di testa!” disse picchiettandosi la tempia con l’indice. Poi si spiegò senza lasciarla controbattere: “questa qua stamattina ha preso,” elencò spiegandosi con entrambe le braccia “è uscita da casa sua, ha attraversato tutta la città per venire in questo negozio dove, guarda caso, ci sta la figlia del suo compagno a lavorare, e ci è venuta apposta per provocarla sapendo che non poteva rispondere male... 

... eh... e quindi? Abbiamo fatto una grande scoperta: commentò Irene sarcastica, non capendo bene dove volesse andare a parare. che ci gode nel vedermi soffrire, una cosa che prima non sapevamo per niente”. 

Eh, ma perché, Ire’?... Secondo me perché questa si sente attaccata... si sente attaccata da ‘stu fantasma di una donna bellissima, con una figlia che è uguale spiccicata a lei, e che la odia pure” disse puntando il dito verso il pavimento “perché, scusami, però la sera della cena a casa loro, si è visto pari, pari” precisò lui risoluto “e magari non si sente all’altezza e caccia gli artigli così” fece spallucce. 

Ironico che anche Rocco, come Roberta a inizio serata, tendesse a psicanalizzare le intenzioni di Brigitta, mentre lei se ne infischiava altamente di scovare i motivi reconditi di quel comportamento; al contrario, voleva solo essere lasciata in pace. Anche perché non c’era nessuna regola implicita che le imponesse di imparare ad amare quella persona, pensò.  

Era letteralmente rinata da quando si era trasferita dalle amiche svariati mesi prima, proprio perché evitava di respirare l’ambiente soffocante che c’era in casa con quei due. 

Che bisogno aveva dunque Brigitta di tornare a cercare quel contatto anche dopo che i loro destini si erano comodamente separati? Ci ravvisava del masochismo, persino. 

Certo, perché io, quando faccio l’acida, sono cattiva e basta, mentre lei invece ha una giustificazione per comportarsi male, eh?!” chiese Irene retoricamente, ancora indignata. 

Ma io non la sto giustificando, Ire’, però la vogliamo risolvere ‘sta situazione infinita o no?” disse unendo le dita della mano tra loro, sfiancato anche lui dal fatto che quell’astio durasse ormai da troppo tempo, “Quella, proprio che ti arrabbi e piangi va cercando”. 

Irene scosse la testa, sfinita. “Ora ti dico la stessa cosa che mi hai detto tu prima... ‘la fai facile tu’, vorrei vedere come reagiresti se una persona che già detesti ti prendesse in contropiede in quel modo” disse lei visibilmente corrucciata.  

Sapeva bene che era odiosa e che aggrovigliava il filo della conversazione mentre Rocco cercava pazientemente di sbrogliarlo solo per il suo bene, ma quel fattaccio le aveva tolto il senno per tutto il giorno e purtroppo non riusciva a partorire risposte più intelligenti di quella.  

Rocco ignorò la provocazione ma si girò all’istante, pronto a rettificare, “Non dico che sarà facile, Ire’, ma non posso neanche dirti che sopra a quella ci devi passare con un carro armato solo per farti contenta...” e le sfiorò la guancia con le nocche, mentre condividevano un risolino abbozzato per quella battuta. Lei chiuse brevemente gli occhi e inclinò impercettibilmente la testa verso quel contatto. 

Rocco proseguì “Sei tanto brava a fare la superiore tu!” e cercò i suoi occhi mentre la sua bocca si inarcava in un sorriso complice. “Da adesso in poi, con lei, questo devi fare, così lei si smonta e non c’ha più niente da dire disse con quella sua fermezza caratteristica di certe occasioni “... tanto non sono queste scemenze le cose che ti legano a tua madre. 

Proprio quell’ultima breve frase detta da Rocco non era passata inosservata e le rievocò una scena ricorrente della sua infanzia. 

Dopo un attimo trascorso a trovare le parole, sussurrò “Sai, la pasta che ti ho fatto stasera non l’ho imparata a scuola...” mentre distrattamente giocherellava con le sue dita. 

E Rocco inclinò la testa, incuriosito. 

Me la insegnò mia madre che ero molto piccola” poi le sue labbra si aprirono in un sorriso sognante che trasportò anche Rocco nel vivo di quei ricordi. “Mi ricordo che neanche arrivavo al tavolo tanto ero piccina e lei mi metteva un rialzo sotto i piedi perché almeno potessi poggiarci i gomiti”. Poi alzò lo sguardo davanti a sé e guardò fuori dalla finestra per associazione “Quando piove penso sempre a quei momenti...” 

“Perché quando piove?” chiese Rocco con il viso appoggiato sulla mano, e il gomito appoggiato sul ginocchio, mentre non staccava gli occhi da lei. 

Perché quando pioveva mamma non sapeva come intrattenermi... – di solito invece il pomeriggio uscivamo per delle lunghe passeggiate – e allora facevamo le ‘cose manuali’, così come le chiamava lei” poi guardò Rocco e sorrisero assieme. 

Rocco rifletté in silenzio, capendo finalmente perché Irene aveva bruscamente fatto cadere la conversazione durante la cena, dopo aver ricevuto i complimenti per il piatto.  

Già una volta gli era capitato di sentire un forte senso di vuoto, che era certamente improprio chiamare nostalgia, verso quella donna mai conosciuta; ovvero quando aveva scorto per la prima volta la foto che Irene teneva sul comodino, di lei bimba in braccio alla madre. Questo era uno di quei momenti... Raramente Irene si lasciava andare a quello sguardo trasognato quando gli parlava di sua madre ma, quando accadeva, era questa la sensazione che evocava in lui. Grazie a quelle parole, Rocco, era come se se la vedesse davanti, ma, alla fine del racconto, lo scontro con la dura realtà in cui la suocera non c’era più era ancora più brusco. E pensare che a entrambi avrebbe fatto così ‘comodo’ – a voler usare un’espressione degradante – avere una figura materna vicino, sebbene nessuno dei due fosse in grado di ammetterlo ad alta voce. Sua madre - doveva ammettere - era stata l’unica persona nella sua vita prima di Milano a dargli amore, ma sfortunatamente era lontana, troppo lontana per avere un ruolo determinante nella loro vita di coppia. Agnese invece, neanche a dirlo; su di lei non si poteva contare affatto, dato che si rifiutava testardamente di approvare quella relazione. 

Lo vedi...” quindi le mormorò “QUESTE sono le cose che ti legano a lei... i ricordi... e quelli non te li può togliere né Brigitta né nessun altro”.  

Irene strinse le labbra tra loro e annuì, ora decisamente più serena rispetto a prima.  

Poi, con il preciso intento di farle allentare tutta la tensione accumulata, aggiunse: “Però, sai che c’è” e alzò le spalle con fare divertito “se te lo vuoi andare a prendere in casa quello che è rimasto di tua madre, male non fai”.  

Irene lo spintonò lievemente con la spalla e scoppiarono a ridere insieme: “Che scemo... e io che ti do ancora retta” così, Rocco, in una crisi di astinenza da lei, approfittò di quel gesto per attirarla nuovamente a sé.  

Comunque ti odio...” sospirò Irene, in un rinnovato moto di lamentazioni, mentre poggiava la testa sul suo petto. 

Rocco alzò gli occhi al cielo per quella frase drammatica che Irene si dilettava a ripetergli con cadenza periodica “Perché, stavolta? 

“Perché non assecondi mai i miei istinti omicidi. Mai una volta che fosse una...” disse alzando l’indice in aria “mi fai sempre la paternale 

La risposta provocatoria di Rocco non si fece attendere “Ma perché io per natura ti devo contraddire, Ire’... 

Alzò la testa per guardarlo nuovamente negli occhi “Se è così facile, la prossima volta ti dirò che voglio bene a Brigitta come a una sorella, vediamo che dici...” replicò fingendosi accigliata. 

Ehhh, mo, va bene che sei una brava attrice, ma fino a quel punto no...” ironizzò lui. 

Mmmh” commentò lei poco convinta, mentre tornava ad accoccolarsi e il sonno iniziava ad avere la meglio su di lei. “Conosco solo un modo con cui puoi farti perdonare; cantarmi quella canzone siciliana...” propose poi scrocchiando stancamente le dita della mano per aiutarsi a ricordare “di cui scordo sempre il titolo”.  

In genere non era il tipo di ragazza da fare richieste così svenevoli, ma quella giornata le aveva regalato emozioni tanto contrastanti da sfibrarla in ogni senso possibile e, in quel momento, aveva solo voglia di addormentarsi con la voce di Rocco nelle orecchie. 

Lui aggrottò le sopracciglia sforzandosi di ricordare, mentre le carezzava la fronte e i capelli ormai liberi dal cerchietto. “Quella dei fiori?” le suggerì alla fine, sapendo che, se fosse stata del tutto vigile, era così che l’avrebbe chiamata.  

Non solo Irene ma anche tutti quelli che lavoravano o che capitavano in magazzino avevano ormai imparato a conoscere Ciuri ciuri, che Rocco aveva l’abitudine di canticchiare distrattamente mentre lavorava.  

Era forse una descrizione esageratamente romantica, ma la sua voce così calda e quella melodia così languida sembrava davvero che donassero un’anima a quel freddo stanzone del Paradiso. 

Irene ebbe solo la forza di fare di sì con la testa mentre con il braccio gli si abbarbicava sempre più attorno alla vita. Nel frattempo si era sfilata le ballerine sfregando i piedi tra loro per potersi rannicchiare sul divano, un gesto ordinario che secondo lui solo Irene era capace di rendere sensuale.  

‘Non me ne voglio andare, non me ne voglio andare, non me ne voglio andare’ fu il primissimo pensiero, incontrollabile e capriccioso, che la sua mente riuscì a formulare mentre intonava quella canzone per lei. Fosse stato ancora un bambino avrebbe sbattuto in piedi in terra. Se pensava che di lì a poco avrebbe dovuto staccarsi dal calore del suo corpo per andare a coricarsi, da solo, tra le fredde lenzuola della sua camera, gli si fermava il respiro in gola.  

Nel momento in cui riprese fiato tra una strofa e l’altra, lo colse all’istante il profumo dei capelli di lei, che subito gli riportò alla mente il ricordo di una scena simile avvenuta circa un anno prima in quel corridoio di magazzino, in cui era rimasto a consolarla a lungo per il litigio con il padre. Come a voler recuperare il tempo perduto, ne inspirò l’odore buonissimo e la strinse ancora di più a sé, sgualcendo il suo golfino di lana tra le dita... 

Ciuri ciuri, Ciuri ciuridi tuttu l’annu, l’amuri ca mi rasti ti lu tornu. 

... quel ritornello gli rievocò invece il loro primo, maldestro bacio, o per meglio dire quel bacio che Irene gli aveva rubato in maniera troppo audace per quello che si addiceva a una ragazza perbene, o almeno fu quello il pensiero da lui grettamente partorito allora.  

Si era innamorata di lui in un momento in cui il sé stesso di allora, tutto faceva, meno che meritare quell’amore. Anche all’indomani di quell’episodio, Irene si era mostrata allegra, spigliata come sempre, ma, se pur avesse conosciuto la sua sensibilità anche solo la metà di quanto la conosceva ora, avrebbe potuto facilmente dedurre che celare i segni di quell’umiliazione doveva esserle costato uno sforzo sovrumano.  

L’amore che mi hai dato te lo rendo, era la traduzione del ritornello, ma non sapeva o non ricordava se la sua fosse la corretta interpretazione da dargli.  

Ma che importava in fondo? A lui piaceva pensare che indicasse la possibilità che aveva ora, nel momento presente, di restituirle tutto l’amore che lei gli aveva dato, e lui le aveva rifiutato, all’inizio.  

Ire’” la scosse lievemente con il preciso intento di svegliarla.  

Mmmh” rispose assonnata.  

Ti ricordi quando mi hai baciato in magazzino, mentre facevamo le prove per il fotoromanzo?” le chiese retoricamente. 

Assolutamente no, il ricordo è stato rimosso da te che scappi come una lepre” gli rispose lei poco dopo, pungente anche tra le braccia di Morfeo. 

Rocco ridacchiò sommessamente con le labbra fra i suoi capelli. Era costretto ad alzare le mani dinanzi a quel risentimento. Era sicuro di esserselo ampiamente meritato. 

Poi aggiunse “Ti volevo dire ‘scusami’” con la voce più solenne, e al contempo tenera, di cui era capace. 

Sei un cretino… andavi dietro a quell’insipida di Marina” bofonchiò, ancora a occhi chiusi. 

‘Chi?’ pensò Rocco per una frazione di secondo, prima che finalmente gli tornasse in mente di chi si stava parlando. 

Assurdo come quel nome non gli dicesse più nulla e avesse ormai rimosso persino i motivi per cui aveva mai significato qualcosa. 

Solo tu ti puoi arrabbiare ancora per una cosa che è successa due anni fa, comunque eh” la prese in giro, ma solo per esorcizzare quanto a lungo aveva ruminato lui stesso sulla cosa fino a un attimo prima. 

Solo io? Pfff, tu di donne continui a non capirci niente” commentò Irene tra uno sbadiglio e l’altro. 

Rocco non l’avrebbe amata così tanto se avesse risposto qualcosa di diverso. 

Avevo addosso questo golfino” commentò poi, dopo essersi raddolcita. 

Rocco rabbrividì perché la sua mente era tornata a quella sera anche accarezzandola attraverso il golfino. 

... io però adesso non me ne andrei” le sussurrò dopo aver preso coraggio. 

Nella nebbia del dormiveglia, Irene continuava a non capire perché il fidanzato avesse tirato in ballo quell’argomento e, men che meno, perché si sentisse in obbligo di precisare cose ormai ampiamente accertate.  

“Siamo messi male se dopo mesi c’è ancora bisogno di chiarire questi dubbi” ironizzò lei. 

Sono serio, Ire’, se ricapitasse adesso non me ne andrei proprio da quel magazzino e magari potremmo dormire là e...” deglutì “vorrei baciarti per tutta la notte… 

Solo dopo quelle parole Irene si svegliò completamente e alzò la testa verso di lui per studiarlo. Rocco, come lei poco prima, si era messo a seguire con lo sguardo le immagini della TV solo per evitare di incrociare i suoi occhi.  

E, dopo parole del genere, normalmente lei gli avrebbe rifilato un suo tipico ‘Siamo in vena di romanticherie stasera’, ma si bloccò quando scorse quel viso indecifrabile. Rocco era bizzarramente teso, combattuto, come se le avesse appena confessato qualcosa di proibito. 

Allora gli rispose in un sussurro la cosa più ovvia, che poi era anche la verità. 

Lo sai che lo vorrei anch’io... e tanto” e gli prese il viso per costringerlo a guardarla negli occhi “ma... mi dici che ti prende?” gli chiese con dolcezza. 

Rocco si allontanò delicatamente dalla sua mano e abbassò lo sguardo... “Te lo dico solo se mi prometti che non ridi”. 

E va bene” sorrise lei, dopo aver alzato gli occhi al cielo per la drammaticità. 

Dopo essersi schiarito la gola, Rocco prese parola “Qualche giorno fa ho parlato con Don Saverio... di questa... mmhh... cosa che mi succede, cioè che voglio stare con te... anche io...”  

.... e Irene, nel frattempo, attraversò in un nanosecondo ogni fase possibile ed esistente di incredulità, fino al punto da trascendere da sé stessa e guardare la situazione dal di fuori tanto era lo shock di quanto stava succedendo e la velocità con cui stava succedendo.  

‘Voglio stare con te, anche io’... ma in che senso? Perché non poteva essere ... quello. No?  

E, se era quello, non riusciva a credere che Rocco non glielo stesse comunicando come l’informazione centrale della frase, bensì piuttosto come un’informazione di passaggio, già assodata. 

“Aspetta...” scosse la testa lei e poi alzò una mano “tu hai parlato a Don Saverio di noi?”  

“Ire’, prima che mi rimproveri che ho parlato di me e te a un prete, ti dico subito che non ho parlato di noi, ma di me... di me e basta... va bene?” la rassicurò Rocco in modo fermo, e anche un po’ scocciato, perché già avvezzo a quella che poteva essere l’obiezione più ovvia della sua fidanzata. 

No, ma non ti stavo rimproverando...” specificò subito Irene. “Era per chiederti se...” Fantastico, ora si era incartata da sola. “cioè che... che cosa gli hai detto, scusa?” e impennò la voce sul finale. 

Che voglio stare con te...” ripeté lui con naturalezza “... in quel senso, insomma 

Ah. Aveva capito bene al primo giro allora. 

Capisco...” commentò con la prima parola che le venne in mente, mentre nel frattempo le si seccava la lingua. “perché A ME non l’avevi detto... per esempio”. 

Rocco assunse un’espressione più che perplessa “ma come ‘non te l’avevo detto’? Ma stai babbiannu, Ire’? 

Veramente no” replicò Irene titubante. 

Ire’, ma tu che pensi? Che l’impedimento di tutta ‘sta storia” fece un cerchio con entrambi gli indici “era che NON TI VOGLIO?” le chiese sconcertato. “va bene che sembro nu scimunito, ma fino a ‘sto punto...” e allargò le braccia, con una punta di orgoglio. 

Irene si morse il labbro per trattenere una risata, poi si schiarì la gola e gli concesse “no no, ci mancherebbe...”. 

Assurdo come quella conversazione stesse assumendo dei toni quasi comici. Era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata dopo la serietà con cui avevano affrontato la questione qualche settimana prima. E forse anche Rocco, vista la sua tensione iniziale. 

Quindi... dicevi... com’è iniziata la conversazione?” riprese poi Irene continuando a torturarsi quel labbro. 

E com’è iniziata...” esordì, per temporeggiare “è iniziata che gli ho detto che avevo ‘sto dubbio, che nemmeno io capisco perché questa cosa non si può fare prima del matrimonio e lui mi ha risposto che è così e basta, che prima del matrimonio è considerata forni... mmh...” si interruppe e scrocchiò le dita 

“... fornicazione” completò Irene, oltremodo intenerita. 

Eh, brava... mentre dopo il matrimonio” e alzò l’indice per puntualizzare “è una cosa sacra, anzi”  

Poi si ricordò di aggiungere una premessa importante: 

Ah, tutto questo dopo che mi ha fatto una paternale di tre ore, che ‘pecco solo a pensarci a ‘sti cosi’, che ‘non mi riconosce più’, che ‘ho preso la cattiva strada’, eccetera eccetera’” cantilenò Rocco roteando gli occhi. 

A quel punto, Irene si portò una mano alla bocca non riuscendo più a nascondersi. 

Ti avevo chiesto di non ridere però, Irene” si lamentò Rocco pronunciando il suo nome per intero, come ogni volta che faceva l’offeso. 

Irene scosse la testa e gli infilò una mano nel polsino della polo per rassicurarlo “No, non sto ridendo di te...” - e forse in un certo senso invece sì, ma come faceva a dirgli che lui era l’unica persona al mondo per cui nutriva un’attrazione fisica spropositata, ma al contempo quel suo candore la faceva spesso sorridere di tenerezza? Non poteva... le due cose suonavano totalmente incompatibili tra loro - “è che, insomma, me l’aspettavo già che ti avrebbe dato una risposta del genere, quindi, niente... vorrei che ti fossi risparmiato questa... lavata di capo, ecco”. 

Rocco alzò impercettibilmente le spalle “Sì, però per me era importante almeno andarci e cercare di capire...” disse a occhi bassi. 

Irene annuì continuando a carezzargli il polso. Quindi, con tutto lo sforzo di immedesimazione di cui era capace, nonostante non capisse appieno quel bisogno di cercare una riconciliazione con la sua fede, gli chiese: “e dopo aver parlato con lui ci capisci qualcosa in più ora? 

Lui alzò di nuovo le spalle e fece un lungo sospiro “No...” mormorò scuotendo la testa “cioè, io lo capisco e sono d’accordo che il matrimonio è un sacramento e quindi rende tutto sacro, eccetera... però io già lo so che voglio sposare te” e a quel punto gli venne un groppo in gola, subito consapevole di quanto si fosse sbottonato, e si girò verso di lei; quello scambio di sguardi durò una buona manciata di secondi, che poteva tranquillamente essere un’eternità dalla loro prospettiva, “cioè insomma non adesso se non vuoi, so che magari forse è presto per te” si affrettò a specificare per evitare di spaventare Irene.  

Lei, dal canto suo, sentì il viso infiammarsi all’istante, come quella volta in cui l’aveva raggiunta in spogliatoio con un fiore di carta fatto con le proprie mani e aveva usato parole tanto giuste da farle capire che c’era sempre stato solo e soltanto... lui. 

... quindi che differenza fa se prima o dopo?” concluse, con sguardo interrogativo. 

A quella domanda retorica Irene assunse un volto rassegnato, ma sereno. Scrollò le spalle ed espirò: “A questo, mi dispiace, ma non so risponderti... sai bene che il dubbio di cui parli io l’ho sempre avuto... 

Gradualmente iniziava a metabolizzare il pieno significato di tutto quanto le aveva confessato Rocco e, tutt’a un tratto, la colse la realizzazione che la felicità che sentiva in quel momento non le veniva solo dalla banale trepidazione al pensiero che avrebbero potuto unirsi fisicamente, bensì dallo scoprire che a Rocco stava ormai stretta un’osservanza cieca di regole che non comprendeva o non avevano molto senso per lui.  

Mai avrebbe desiderato che il suo fidanzato perdesse quella sua componente spirituale o religiosa, che lei invece, almeno fino a quel momento della sua vita, non era mai riuscita a fare del tutto propria; tuttavia, non poteva che sentirsi sempre più vicina a lui man mano che l’approccio di Rocco alle cose si faceva più ragionato, più critico.  

Non ci capiva molto di teologia, ma le veniva naturale fare un paragone con il concetto espresso proprio da Rocco quella mattina prima dell’esame. ‘Se io spiego i motivi per cui un personaggio storico mi piace o non mi piace, faccio capire che l’ho studiato per bene, mi ci sono impegnato a capirlo’.  

Quindi, cosa preferiva Dio? Un’obbedienza totale, ma sterile e schiava, oppure un’obbedienza possibilmente anche imperfetta, ma pensata, umana, intrisa di un vero dialogo con Lui?  

Personalmente, lei voleva credere in un Dio che preferisse la seconda, e ora forse anche Rocco. 

 ‘Sì, vabbè, bello tutto quanto’ - pensò Irene a quell’espressione spesso usata dal fidanzato - ma ora, quelle belle e nobili considerazioni lasciavano spazio a un desiderio più primitivo e del tutto comprensibile: voleva saltargli addosso senza troppe cerimonie.  

Quindi arrossì... 

Che c’è?” le fece lui, ma già credeva di aver capito la natura dei cricetini che giravano veloci nella testa della fidanzata. 

Lei scosse la testa “... lo so che avrei potuto intuire quello che sentivi, però, se posso fare un appunto, certe cose è bello anche sentirsele dire per bene...” sorrise e incontrò lo sguardo complice di Rocco. 

E mo te le ho dette...” si difese lui, alzando un sopracciglio in modo provocatorio. 

Come no... se mi avessi comunicato che uscivi a fare la spesa, ci avresti messo più sentimento...” ribatté Irene, senza timore di esagerare. 

Rocco non raccolse la provocazione, al contrario, abbozzò un sorriso silenzioso, forse perché già emozionato da quello che stava per dirle. “... è come quella cosa che hai detto tu l’ultima volta... ho capito che anche per me è sempre stato così, ma mi sforzavo di non pensarci per i motivi che sai...” si grattò distrattamente il sopracciglio con un dito in un gesto di riflessione. 

Irene annuì, incoraggiandolo a spiegarsi meglio. “Cioè? 

... cioè che certe volte non ce la faccio a darti semplicemente la buonanotte... vorrei di più, molto di più...” disse tutto rosso in volto senza guardarla “questa sera per esempio, come tante altre volte...”. 

Quel suo modo di confessarle qualcosa di davvero poco innocente per i suoi standard preservando comunque il suo candore la mandava completamente su di giri.  

‘Ti sforzavi’ hai detto.... e ora?” indagò allora Irene, ancora in ansia. 

E adesso forse non mi voglio sforzare più... perché ogni volta che mi viene da pensarci, quello che sento mi sembra tutto, tranne che sbagliato...” suggerì con un piglio, forse ancora acerbo, di autodeterminazione. 

Al ché, la mente di Irene tornò ai pensieri di poco prima.  

Voleva. Ufficialmente. Saltargli. Addosso. 

.... ma purtroppo nel tempo aveva sviluppato una coscienza. E i tentennamenti e i “forse” di Rocco, peraltro più che legittimi data la sua educazione, la spaventavano ancora tanto. 

Va bene.” ipotizzò lei “Allora ammettiamo che lo facessimo...” 

Eh...” commentò Rocco cercando di sembrare naturale. 

... se poi ti penti – e lo sai anche tu che potrebbe succedere – che facciamo se poi dai la colpa a me...?” chiese Irene allarmata. 

Ma!...” sbottò Rocco all’istante. “Ire’, ma come ti vengono in mente ‘sti cosi? Cioè allora veramente credi ancora che non riesco a pensare solo con la mia testa?” chiese alzando leggermente il tono di voce. 

NO, non mi fraintendere” rispose Irene categoricamente “lo vedo bene che è una decisione che stai prendendo tu ma... 

‘Ma’ che, allora?” ripeté lui, interrompendola. “Perché ti dovrei incolpare a te, sintemu? 

Dai, Rocco... lo sai perché” allargò il braccio evidenziando l’ovvietà della cosa. “Secondo te, se non ti avessi mai detto come mi sentivo, quello che volevo, se non avessimo mai affrontato l’argomento allora, pensi davvero che saresti arrivato alle stesse conclusioni?... Se avessi avuto al fianco, che ne so, una Maria, che è una persona devota, per dire...” disse in un moto di irragionevolezza. E forse in quello che stava dicendo c’era davvero pochissimo di ragionevole in ogni caso. 

Ora pure Maria era andata a ripescare? Avrebbe mai smesso di fare quei paragoni sminuenti verso sé stessa? Forse un giorno chissà, ma dinanzi a quella dinamica purtroppo era più forte di lei: vedeva Rocco prendere in un certo senso le distanze dal suo Dio, o più che altro da quello che aveva sempre professato, e non poteva fare a meno di sentirsi responsabile.  

Rocco quasi sobbalzò, ora più che spazientito. “Ancora co sta Maria, Ire’? Basta. Che c’entra adesso Maria? Non sei Maria, non sarai mai Maria e ti dico sempre ‘meno male’. Quante volte ancora te lo devo ripetere? 

Irene deglutì, delusa e persino appesantita da sé stessa; sentiva che le sue dannate paure in qualche modo rovinavano sempre tutti i bei momenti, al punto da colmare la misura della pazienza persino a lui, che l’aveva sempre saputa prendere con un alto grado di mansuetudine.  

A quel punto Irene inspirò per aprire di nuovo bocca, ma... 

... che poi dico no? Allora quelle cose che me le hai dette a fare? L’ultima volta abbiamo litigato proprio pe’ ‘sta cosa o sbaglio?” proseguì lui con una domanda retorica mentre lei se ne stava lì, interdetta. “Tu a dirmi che era giusto avermi detto quello che senti, che ‘in una coppia si fa così’, che ‘ci si dicono le cose’... e mo che fai? Ti rimangi tutto?” insisté lui oltremodo confuso. 

Touché, pensò lei. E chiuse brevemente gli occhi, a dir poco trapassata da quelle parole.  

Sapevano entrambi com’era andato il loro diverbio: Rocco le aveva fatto una colpa di aver anche solo pensato a certi argomenti proibiti e lei, proprio per quel motivo, era andata su tutte le furie. Ricordava ancora lo sfogo con Stefania nella sua stanza, a denti e pugni stretti, in uno slancio femminista che condannava i moralismi bigotti di cui erano vittime le donne:  

Se non sono libera di dire al mio fidanzato quello che sento, allora non vedo a cosa serva stare assieme!’  

Ora che invece Rocco si stava addirittura aprendo al suo pensiero, proprio come sotto sotto aveva sempre sperato lei, invece di essere semplicemente felice, faceva la preziosa perché non voleva essere ‘responsabile’ di averlo allontanato dalle sue convinzioni?  

Ed era assodato che non lo fosse, come aveva ben detto Rocco. Perché chiunque sulla faccia della terra avesse un principio fermo non poteva cambiare idea così facilmente, soprattutto non a distanza di poche settimane. 

Ma ammesso e non concesso che la sua si potesse definire una ‘responsabilità’, di cosa si lamentava ora? Voleva la botte piena e la moglie ubriaca; voleva essere libera di confessargli i propri desideri più reconditi e viziosi e poi pretendeva che su di lui avessero lo stesso effetto che gli avrebbe fatto la recita del Santo Rosario? 

Era un concetto perbenista bello e buono. 

Quel flusso di pensieri fu interrotto da Rocco: “Vabbè va’ tagliò corto, ormai stanco di tanto parlare, vado a dormire e piantò entrambi i pugni sul divano per alzarsi e avviarsi a recuperare la giacca “domani dobbiamo lavorare ed è già tardi... 

In un primo momento, Irene alzò lo sguardo verso di lui come se stesse guardando la scena a rallentatore e non potesse fare niente per fermarla. 

Poi l’istinto la spinse a raggiungerlo e, prima che riuscisse a rendersene conto, si ritrovò con le braccia attorno al collo di lui.  

Che ironia. Quando prima aveva sognato di saltargli addosso non pensava che avrebbe finito per farlo con l’obiettivo di chiedergli perdono. 

Rocco, preso totalmente in contropiede, si sbilanciò per la foga con cui Irene l’aveva assalito. 

Hai ragione... scusami!” gli mormorò lei con la mortificazione in volto. 

Rocco espirò e scosse impercettibilmente la testa, dapprima a corto di parole. 

Mi perdoni?” insisté lei, sincera. “A volte penso troppo e mi faccio problemi anche dove non esistono”  

Eh” confermò lui “e pure perché ‘larga ‘un te veni e stritta ‘un te trasi’” (‘non te ne va mai bene una’, n.d.a.) e si godette quei due secondi di gloria, ma nel frattempo le sue mani non riuscivano a non cedere alla tentazione di rispondere a quell’abbraccio e risalivano lentamente la schiena di lei. 

Esatto, quella cosa lì...” assentì Irene. E Rocco trattenne una risata perché Irene conosceva il significato della frase, tante erano le volte che la usava su di lei per descriverla, ma non aveva ancora imparato a ripeterla. 

Era adorabile quando faceva così... gli provocava almeno sette mal di testa al giorno ma, dinanzi a gesti come quello, lui capitolava di lì a poco: se c’era una cosa che Irene sapeva fare era appunto chiedere scusa e, ogni volta che lo faceva, sentiva per davvero ogni parola.  

Che poi, lui senza mal di testa ormai non ci sapeva più stare... 

Però lo sai che ti amo...” proseguì lei, inclinando la testa in un sorriso languido, caldissimo. 

Rocco deglutì; gli faceva sempre effetto sentirglielo dire e, mannaggia a lei, troppo raramente glielo diceva solo per la voglia di dirglielo; in genere lo faceva appositamente per ‘cercare di passarla liscia’, proprio come ora. 

E pensa se non mi amavi...” le rispose lui, ancora sarcastico, sfruttando spudoratamente la propria altezza per dominarla con lo sguardo. 

Ma non era credibile. Agli occhi di Irene era già più che evidente quanto si stesse ammorbidendo.  

Ma tu non sei stanco di tutto questo parlare?” cambiò poi discorso, dopo essersi scambiata con lui una velata espressione di complicità, e abbassò volutamente il capo per insinuarglisi nell’incavo della gola. 

Il collo no..., implorò Rocco tra sé e sé, ma era troppo tardi.  

Stanchissimo... infatti non per niente me ne stavo andando a dormire...” iniziò a balbettare, mentre alzava istintivamente il mento per lasciarle spazio e le sue palpebre già non reggevano più. 

E ci andrai... non vorrai mica passare la notte qui” lo provocò Irene e nel frattempo la sua bocca si schiudeva sempre più e i suoi baci si facevano ogni istante più umidi, generosi. 

Certo che lo voglio, mannaggia a te, Ire’, ripeté tra sé e sé con un tono di supplica che sentì fin dentro la propria testa, mentre intanto le gambe lo tradivano al contatto delicatissimo dei polpastrelli di Irene sulla sua nuca. 

Ma era superfluo risponderle su quel punto, tanto era ovvia la tortura che sarebbe stata per entrambi quella di separarsi in vista del rientro di Stefania. 

Stefania! realizzò subito Rocco...  

Ire’, non possiamo stare qui, torna la picciridda tra poco” disse pronunciando quell’affettuoso soprannome che aveva appioppato di recente alla ragazza – con grande gioia di quest’ultima - da fastidioso ‘fratello maggiore’, e si staccò da Irene quel tanto che bastava per indicarle con lo sguardo dov’erano, ovvero proprio vicino alla porta e quindi visibili dalla finestra... 

Dopo quell’osservazione per poco Irene non sobbalzò, tanto era stata brusca la realizzazione di dove si trovava. La terrorizzava spesso la misura della sua noncuranza nei confronti del mondo quando era in intimità con Rocco, al punto che finiva per dimenticare cose che normalmente sarebbe stata la prima a puntualizzare, come appunto la riservatezza. 

Sperava vivamente che quell’oblio fosse dovuto alla penombra regnante nella stanza, ora più fitta con il vuoto televisivo comparso sullo schermo al termine dei programmi, la quale li circondava entrambi come una specie di bolla. 

Poi si guardò attorno innervosita, mordendosi il labbro alla ricerca di una soluzione.  

C’è la tua camera, stupida, te lo ricordi che hai una camera?, si riscosse mentalmente. 

Di certo una soluzione a cui sarebbe arrivata molto prima, se solo fosse stata più lucida in quel momento.  

Gli prese allora la mano, in uno scatto quasi frenetico, per trascinarlo con sé verso la propria stanza.  

Fermatasi lungo il percorso per spegnere il televisore, Rocco la sorprese da dietro tanta era l’impazienza di tornare a ristabilire il contatto interrotto poco prima; così, mentre lei appunto armeggiava al buio con la manopola dell’apparecchio, le scoppiò un risolino sommesso quando le labbra di lui le solleticarono la guancia e le sue mani grandi la presero fermamente per i fianchi mentre entrambi incespicavano. 

E poi, una volta dentro, ancora penombra.  

Rocco aveva dato un piccolo calcio alla porta quantomeno per socchiuderla, gesto che causò una risata fragorosa di entrambi.  

Erano storditi da quella vicinanza. Dal fatto di essere confinati in uno spazio ora più ristretto in cui potevano sentire distintamente ed esclusivamente la dolce cadenza sensuale dei loro respiri accelerati. 

Non che la cosa non fosse anche un po’ comica. Con autoironia non mancarono di commentare la loro goffa posizione, scomodi com’erano in quel letto così minuscolo, dove per la tanta foga si erano letteralmente ‘schiantati’ in modo sgraziato.  

Mai più” commentò Irene dopo un po’, come se stessero lì già da ore. 

Che?” disse Rocco corrugando la fronte. 

Mai più in questa trappola per topi di letto” rispose lei trattenendosi dal ridere. 

Rocco assentì energicamente “Prossima volta per terra, direttamente sul pavimento” rispose prontamente lui e scoppiarono a ridere di nuovo.  

Ma se non riuscivano a smettere di prendersi gioco di quelle gambe buffamente avvinghiate tra loro, e di un letto troppo angusto anche per una persona sola, era anche per un lieve e più che comprensibile imbarazzo.  

Erano consapevoli di non essersi mai spinti così in là prima di allora e, anche se la loro benedizione da sempre era quella di essere completamente sé stessi l’una con l’altro, erano pur sempre una coppia inesperta sul fronte in cui stavano per addentrarsi.  

Veniva quindi da sé che la situazione creasse impacciataggine e rossore. 

Mentre si baciavano, per esempio, Irene non sapeva se la mano di Rocco indugiasse ancora sulla sua spalla per pudore, rispetto, timidezza, ansia da prestazione (?) o tutto il subbuglio completo, chissà.  

Ma le sembrò comunque la cosa più dolce del mondo che, nonostante tutto quello di cui avevano parlato, lui stesse ancora aspettando tacitamente il permesso di andare oltre.  

Lo amò più che mai.  

A quel punto allora, si allontanò inaspettatamente dalle sue labbra, ma solo per sostituirle con la sua mano.  

Se la portò infatti alla bocca e ne baciò il palmo - la mandava fuori di testa il fatto che fosse così grande da avvilupparle praticamente tutto il viso - poi lo guardò intensamente negli occhi e osò farla scivolare sul proprio seno.  

Era un terreno nuovo, dei gesti fino ad allora inesplorati, e Irene aveva per questo il costante timore di offenderlo se mai si fosse spinta troppo oltre.  

Trattenne quindi il respiro paventando la benché minima reazione di fastidio nei suoi occhi. 

Non ne trovò... anche il cuore di lui aveva saltato un battito, ma quella di Rocco era solo emozione.  

Le sorrise trepidante e, in un nuovo slancio, raggiunse con più ardore le sue labbra. 

Si erano capiti.  

Prese poi coraggio e le sbottonò pian piano la camicetta, quel tanto che bastava a scoprirle lo sterno, la spalla e finalmente la curva del seno.  

Per la prima volta nella sua vita si stava abbandonando intenzionalmente al desiderio di seguire una sensazione e, anche se c’era e ci sarebbe stato di sicuro anche in futuro un latente senso di colpa lì a graffiargli la coscienza, quello gli sembrava comunque il peccato più giusto che potesse commettere, se a farlo era con lei. 

Così, chiuse gli occhi per... 

 

IRENEEEE...?” interruppe l’idillio la vocina acuta di Stefania fuori dalla porta, con un tono tra l’incredulo, l’entusiasta e il titubante. 

Quasi certamente i primi due stati d’animo erano dovuti al fatto di essersi ritrovata un oggetto non identificato - ma molto gradito! - in casa dopo aver acceso la luce principale; per il ‘titubante’ invece bisognava ringraziare la porta solo ‘socchiusa’ da Rocco. Se fosse stata infatti completamente chiusa, la ragazza avrebbe creduto Irene già addormentata e avrebbe contenuto a fatica la propria curiosità fino all’indomani (ma, conoscendola, forse anche no). 

Intanto, i due consorti erano scattati all’impiedi neanche avessero ricevuto un richiamo alle armi. A voler essere più precisi, a Rocco sembrava piuttosto che avessero assestato un pugno in pieno viso. 

Ehiii, arrivo, aspettami lì” gridò Irene tirandosi giù la gonna in fretta e furia, ancora intontita per essere stata buttata giù dal letto. Letteralmente.  

Mannaggia a me e a quando non ho chiuso la porta” le sussurrò Rocco, che ancora non si perdonava quella svista.  

Irene gli mise una mano sulla bocca dopo essersi riabbottonata la camicetta, “shhhh”. 

Rocco storse il viso per divincolarsi, mentre si passava le mani sul capo a mo’ di pettine, “ma che ‘shhh’ Ire’? Di qua devo uscire comunque!”. 

Irene si mise a ridere per autoironia perché effettivamente il discorso non faceva una piega. 

... certo, forse non subito” precisò poi. 

Ma come ‘non subito’? Esci dopo con quale scusa? Che eri svenuto?” sussurrò Irene con gli occhi sgranati.  

Che, vista dal di fuori, la cosa era anche abbastanza ridicola.  

Per amor del cielo, si stava parlando di Stefania ed erano lì a sudare. Se li avesse sorpresi un Dottor Conti o un Armando, come avrebbero soffocato la vergogna? Praticando un suicidio romantico a due? 

Non lo so, Ire’, mi invento qualcosa, ma mo non posso uscire. Rassegnati.” e le fece quell’ultima singolare esortazione con la fermezza farsesca di quell’‘Immagina, puoi’ che le aveva risposto in un’occasione di tanti mesi prima mentre lei lo stava spudoratamente prendendo in giro.  

Al ché, Irene si portò subito le mani alla bocca per attutire la risata che seguì.  

Poi le cadde lo sguardo sul corpo del fidanzato e capì senza ombra di dubbio che la sua necessità di ‘sbollire’ era assolutamente imperativa. “Ah. Scusa, scusa” gli disse allora. 

Ecco, vattinn’ va” le fece segno lui di uscire, con la stessa faccia impertinente di prima, e Irene sgattaiolò fuori con aria ancora divertita.  

*** 

Stefania cambiò faccia appena se la vide uscire. Si vedeva che era partita col volerle porre tutt’altra domanda. 

Scusa, ma ti sei rivestita di tutto punto solo per ME?” le chiese incuriosita. 

Rivestita? Non mi sono mai spogliata”. Perché sei tornata in tempo, altrimenti..., pensò Irene tra sé e sé, ma quello non poteva dirlo ad alta voce, per ovvi motivi.  

E il bello era che ora l’imbarazzo di essere stata quasi colta in flagrante aveva lasciato spazio a una totale noncuranza. Di quella noncuranza che poteva anche cascare il mondo in quel momento, ma lei era così ‘stupidamente felice’ che si sarebbe spostata di lato.  

Dal punto di vista di Stefania, Irene sembrava quasi ubriaca, si teneva il labbro superiore tra i denti come se stesse costantemente sul punto di ridere.  

Stefania inarcò le labbra, confusa: “Boh, ci hai messo una vita a venire fuori”. 

Poi puntando finalmente il dito verso il televisore, tornò probabilmente a quella che voleva essere la prima domanda: “Non per sapere eh, ma che cosa ci fa un televisore in casa nostra?”  

“‘Cosa ci fa un televisore’” ripeté Irene per prenderla in giro “chiedi come se un macigno del genere potesse capitare qui per sbaglio!”  

Poi si avvicinò platealmente all’oggetto come una valletta che sta per fare un annuncio commerciale.  

Questo, signorina,” e vi posò una mano sopra “è il nostro regalo di Natale per te! 

A quel punto, il viso di Stefania si illuminò di tante lucine e la ragazza si coprì immediatamente la bocca con le mani per soffocare un gridolino di giubilo.  

Cosaaaaaaa?” impennò la voce e si avvicinò per rimirarsi il televisore da tutte le angolazioni possibili, con gli occhi sgranati di una bimba con la prima bambola della sua vita.  

Ma come ‘regalo di Natale’, da chi, come, perché? chiese subito dopo in modo sconnesso, ancora col cuore in gola.  

Irene inspirò per rispondere, ma poi la bocca di Stefania si aprì in una O di stupore e realizzò praticamente da sola... “Ecco perché oggi vi siete messe d’accordo, voi due pazze!” e storse la bocca a voler indicare scherzosamente il disappunto per essere cascata nel tranello di lei e Roberta.  

Quindi si gettò al collo di Irene per ringraziarla e si tennero strette per un attimo. 

Da quella prospettiva, rivolta verso le camere da letto, Stefania vide Rocco uscire dalla stanza di Irene.  

Nello specifico, vide il suo volto subito prima che i loro occhi si incrociassero, e poté scorgerlo nel momento preciso in cui faceva appello a tutti i poteri divini conosciuti per riuscire a sembrare naturale. 

Ehiiii, picciri’, buonasera, piaciuto il regalo? esclamò poi lui con la voce incrinata di chi si sforza di far finta di niente. 

Era uno spasso da osservare, impacciato com’era, e ora stava a Stefania cercare di non ridere.  

Oppure no... 

“Ragazzi...? Scusate...” cantilenò dopo essersi staccata da Irene e facendo penzolare le braccia per la costernazione, mentre il suo sguardo mortificato passava dall’uno all’altra.  

Vi ho... disturbati” aggiunse a occhi bassi. 

Al ché, tra i due interpellati ci fu un cortocircuito di sguardi al termine del quale apparvero entrambi, se possibile, più imbarazzati di prima. 

Stefa’, ma ti pare che ti devi scusare di rientrare a casa tua?” intervenne quindi Rocco per rassicurarla. 

Che poi tecnicamente Irene era in camera sua, nonché spazio riservato esclusivamente a lei, ma, insomma, in quel momento Rocco non era in grado neanche di mettere due parole in fila; era già tantissimo che gli fosse uscita una frase di senso compiuto.  

Ecco, infatti” enfatizzò Irene per dare manforte al fidanzato. Buffo come la sua loquacità fosse bellamente andata a farsi benedire e quelle fossero le uniche, misere parole che le uscirono. 

Poi, per una manciata di secondi che sembrarono secoli, calò un silenzio tombale, del tutto inconsueto per le personalità singole dei coinvolti nonché per lo spirito brioso che li caratterizzava solitamente nelle loro innumerevoli interazioni a tre.  

Allora Irene, visto che apparentemente era l’unica ad aver preso l’imbarazzo a risarella, per evitare di sembrare di nuovo come sotto l’effetto di qualche sostanza, si rivolse a Rocco con forzata disinvoltura: 

Allora poi ci ved...” gli suggerì gesticolando in maniera esplicativa. 

SÌ, ci vediamo domani!” rispose lui risolutamente, senza neanche farla finire, come se all’udire quelle parole avesse realizzato quanto fosse ridicolo star lì impalato ad aspettare non si sa bene cosa. 

Si avvicinò allora prima a Stefania: “Allora, Buon Natale picciri’ e le stampò un bacio affettuoso sulla tempia. (‘Buon Natale’... perché?, si chiese Stefania. Ah, per il regalo forse... perché giustamente, per interpretare quella scenetta, bisognava andare a tentativi). 

Poi fu il turno di Irene. I due si guardarono intensamente per un nanosecondo, ma Rocco finì per farle solo una dolce ma breve carezza sulla guancia, e le mormorò sbrigativamente:  

Ti amo, ciao.” per poi svignarsela come un ladro.  

(‘Ti amo, ciao’?! Ma sei veramente un deficiente!, si maledisse poi, una volta chiusa dietro di sé la porta di casa ragazze). 

Intanto, anche Irene si interrogava su quel saluto insieme goffissimo e tenerissimo (era stato forse il suo tentativo inconscio di compensare per non averla potuta salutare in modo degno di quanto avevano condiviso quella sera? Chi poteva dirlo ormai). Allora si portò di nuovo la mano alla bocca, ma stavolta non bastò a contenere la sua risata.  

Ebbene sì, ‘stupidamente felice’ si riconfermava come la definizione perfetta di sé stessa in quel momento. 

Al vederla di nuovo così ‘scomposta’, Stefania aggrottò le sopracciglia (probabilmente era già alla centesima volta nell’arco dei soli cinque minuti trascorsi dal suo rientro a casa): 

Ma si può sapere che hai bevuto stasera?” indagò. 

Irene scosse la testa e alzò immediatamente le mani per mettersi sulla difensiva “Non guardare me perché io, stavolta,....” e fece una giravolta in direzione di camera sua “non sono responsabile...” ne fece un’altra mentre spalancava teatralmente la porta “... di niente e di nessuno!”. 

Stefania intanto assisteva a quelle movenze con occhi piccolissimi, spostandosi di qua e di là con passo ovattato come osservando un fenomeno alieno “mmh, neanche di te stessa...?” chiese ironicamente. 

MOLTO MENO di me stessa” rimarcò quelle parole per poi lasciarsi sprofondare scenograficamente all’indietro su quel letto ormai impunemente disfatto. 

Intanto, Stefania si era avvicinata allo stipite della sua porta, dove si appoggiò con la mano, mentre si piantava l’altra sul fianco come una saggia matrona.  

... è per caso successo... quello che penso?” chiese dopo un attimo di riflessione per tentare di chiarire il dubbio atroce che nel frattempo si stava insinuando nella sua mente. 

Irene staccò i suoi occhi sognanti dal soffitto e la guardò emozionata “Non proprio, cioè non ancora, però... Sì...? Succederà...”  

Stefania strabuzzò gli occhi a rallentatore ed emise un grido: “Tentatrice svergognata!” prima di buttarsi sgraziatamente sul corpo di Irene. 

L’urlo che seguì, stavolta da parte di entrambe, riempì la stanza e di sicuro la oltrepassò.  

Irene indignata, prese immediatamente il suo cuscino e iniziò a torturarla cadenzando i colpi con le parole “Ti. Ho. Detto. Che. Non. È. Colpa. Mia. Stavolta.”  

Dopo essere riemersa da una posizione fetale, assunta poco prima per difendersi dalla rappresaglia dell’amica, Stefania gridò: “È SEMPRE colpa tua!” e via giù di nuovo a torturarsi l’un l’altra con cuscini e solletico a non finire, mentre perdevano qualche costola per il tanto ridere. 

Una cosa era certa: se i vicini non avessero chiamato i carabinieri per disturbo della quiete pubblica dopo quegli schiamazzi, non l’avrebbero più fatto. 

Una volta esaurita tutta quell’energia, c’era da dire davvero notevole al termine di una giornata così estenuante, rimasero a spettegolare come due quindicenni fino a notte fonda, noncuranti del fatto che l’indomani fosse un giorno lavorativo.  

Si raccontarono di tutto senza tralasciare alcun dettaglio: dalla serata che Stefania aveva trascorso con Roberta, e i loro rispettivi progetti e sogni, per poi passare a quella di Irene, palesemente la più movimentata tra le due, stavolta trattando l’argomento in maniera decisamente più seria. 

Irene avrebbe saputo spiegarlo solo molto dopo, ma la ragione per cui lottò contro il sonno per scambiare qualche confidenza in più con la sua coinquilina/sorella era uno strano presagio, forse perché il peso delle decisioni prese quella sera su più fronti avrebbe inevitabilmente portato con sé dei cambiamenti radicali per il futuro. 

Il futuro, pensò Irene languidamente. 

Non poteva sapere ancora in che modo, ma già sentiva che da quella sera in poi, in un senso o in un altro, la sua vita non sarebbe stata più la stessa.  

Nota 1: L'affermazione denigrante che Irene fa di Brigitta nella conversazione con Rocco non è un pensiero di me autrice, ovviamente, bensì una cosa che ritengo sia molto in carattere per Irene soprattutto se offesa e attaccata da una persona che detesta. Non vorrei che offendesse nessuno. Nota 2: Rocco che fa riferimento a un evento precedente in cui ha scoperto una foto che Irene tiene di lei da piccola con la madre sul comodino è stato descritto nella mia fic "Passato. Presente. Futuro" Nota 3: La visione a cui pensa Irene in questo capitolo di lei e Rocco con due figli farà parte di una confessione che gli farà nella mia fic "L'albero e la scala" Nota 4: la scenetta del Carosello mi è venuta in mente grazie a mia madre che mi insegnava i jingle del Carosello sin da piccola. Vi lascio il video da cui è tratta la scenetta tra Irene e Rocco https://www.youtube.com/watch?v=4pERdxOvA5Y&list=PL73DVtZK6LzRVzhGuGuEPMr_Ru9HwLmjw&index=64
   
 
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