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Autore: drisinil    17/08/2022    3 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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6 - Un problema enorme


6 ottobre 2012

 

«Dovevi lasciarmi offrire!» si lamenta Kuroo, mentre tiene la porta della caffetteria aperta, per far uscire Kei.

«Sono io che ti ho portato qui.»

«Ti ho praticamente costretto.»

«Nessuno può costringermi» dice Kei. 

Dev'essere vero. Sembra impermeabile alle costrizioni, pronto a opporre resistenza anche contro il proprio vantaggio, se serve a non farlo sentire messo all'angolo. 

A Tetsurou, però, l'affermazione in qualche modo fa tenerezza. Come gli fa tenerezza quello sguardo scostante che spunta dal bordo della sciarpa, con le lenti che si appannano ogni momento. Una tenerezza subdola, ai confini del desiderio.  In quel preciso momento, Kuroo Tetsurou guadagna una nuova consapevolezza su se stesso, una di quelle da adulti: non è la fragilità esibita che sollecita il suo naturale istinto di protezione, ma, al contrario, la pretesa di indipendenza. Diventare il bisogno di chi si rifiuta di aver bisogno di qualcuno.

«Dove vuoi andare?» domanda Kei.

«Forse dovrei riportarti a casa, fa un cazzo di freddo a ottobre, da queste parti» risponde Kuroo strofinandosi le mani.

Si è fatto buio. Le loro sagome affiancate appaiono e spariscono nei coni d'ombra di ogni lampione. Kei reprime un sorriso, guardando le ombre tremolare sull'asfalto.

«Tu dove vai? Non sarai così pazzo da tornare davvero a Tokyo adesso.» Il tono vorrebbe essere neutro, ma fra le sillabe si affacciano note di preoccupazione autentica.

Kuroo sorride, ma non risponde. Anche Kei tace. Al gioco del silenzio è un campione.

Passano davanti casa di Yamaguchi, Kei getta uno sguardo alla finestra illuminata al secondo piano. A quest'ora, Tadashi starà leggendo qualche manga sdolcinato. Avrà anche già chiamato un paio di volte, ma Kei ha silenziato il telefono. Superano altri due edifici e poi passano oltre la villetta di Kei, senza fermarsi.

«Non è casa tua quella?» chiede Kuroo puntando il dito dietro le spalle.

«Non mi va di rientrare subito» risponde Kei. Per una volta si prende il lusso di dire esattamente la verità.

«Non hai freddo?»

«Che c'è, hai un'altra felpa di cui liberarti?»

«La prima l'hai già consumata?» risponde Kuroo, provocatorio. In realtà, per un attimo ha pensato di dargli la sua giacca, ma sarebbe un gesto eccessivo, persino per  lui.

Kei si accorge di avere un vero sorriso stampato in faccia, nascosto dalla sciarpa.

Hanno svoltato e ora salgono per un pendio dolce, in cima al quale un ultimo lampione getta una pallida luce sul parco di quartiere, con le giostrine di metallo per  bambini. A Kuroo sembra di riconoscere l'altalena rossa della fotografia di prima.

E' proprio all'altalena che si dirige Kei. Si siede, si dà una spinta.

Che sia capace di gesti come questo, che non pretendono di difendere una posa da adulto, è un fatto che stupisce. E che innamora. Come se ce ne fosse bisogno.

Kuroo siede sull'altalena accanto, che risponde al suo peso con un cigolio infastidito.

«La prima volta che ho giocato a pallavolo, o una specie di pallavolo, è stato lì» racconta Kei, indicando un perimetro erboso delimitato da bandierine di plastica colorate. «A cinque anni.»

«Anche io me la ricordo bene, la prima volta. Con mio nonno, in cortile. Di anni ne avevo compiuti sei da poco. Ci eravamo appena trasferiti da loro e io.... beh, diciamo che non ero un bambino facile. I nonni mi avevano regalato per il compleanno una Mikasa bellissima - ce l'ho ancora - sperando che mi aiutasse a farmi degli amici. Ma finivo sempre per trovarmi da solo. E non mi dispiaceva.»

Immaginare Kuroo al di fuori di una ricca e movimentata vita sociale è difficile. Sembra fatto per essere l'anima della festa, il punto cardinale verso cui tutti finiscono per essere orientati. Come in campo, dove la sua squadra è sempre, in ogni momento, protesa verso il suo capitano:  occhi, orecchie, piedi, mani rivolti verso di lui. 

Pensarlo bambino, timido e schivo, è più che altro un esercizio di fantasia. 

«E poi? La pallavolo ti ha cambiato la vita?»

«Ovvio. Ma quello è stato dopo. La cosa importante che è successa è che ho conosciuto Kenma. E ho scoperto che stare da soli non è male, ma in compagnia quasi tutto è molto meglio.»

«Opinabile.»

«Non direi. Per me è una certezza. Con una fondamentale condizione.»

«Poter mandare tutti a fanculo?»

«Quello fa parte dei diritti umani.»

«Meno male che lo sai.»

«La vuoi sapere la fondamentale condizione?»

«Tanto me la dici lo stesso.»

«Vero. E' questa: la compagnia che ti scegli deve rispettare te e le cose che ti fanno stare bene, e anche la tua personale idea di divertimento, che poi quasi sempre cambia nel tempo. Con Kenma ha funzionato alla grande proprio perché da bambini ci siamo trovati nel voler stare soli insieme. E poi crescendo siamo cambiati tantissimo, ma senza smettere di essere vicini. Alla fin fine, tutto gira intorno al rispetto, anche lo sport, anche l'amicizia. Ha senso per te?»

Kei si dondola e non risponde. Ma il discorso ha senso. Ne ha molto.

Maledetto testa a carciofo. E' anche profondo. E adesso l'idea che fra Kuroo e Kozume abbia funzionato alla grande è una spina sottile che si infila sottopelle e crea un piccolo attrito interno, sordo e persistente. Perché vuoi davvero che Kozume non sia abbacinato dall'avere sempre accanto una fonte di luce di quella portata?

Kuroo si dà qualche spinta più forte e l'altalena vola, cigolando senza pietà. «E tu com'eri da bambino?»

Kei affonda il viso nella sciarpa: «Diverso.»

«Senza occhiali?»

«Quelli c'erano già. Li portavo anche all'asilo. Ero un bambino molto dolce.» Un'altra verità sfuggita senza controllo, di cui Kei si pente all'istante. Se ora Kuroo ridesse... 

Kuroo non ride affatto. Si è quasi fermato e il suo sguardo è piuttosto di gratitudine.

Kei avverte l'urgenza di spezzare il silenzio: «Anche a mio fratello avevano regalato una Mikasa. In prima media, quando era appena entrato nel club della scuola. Ero invidiosissimo. Così ogni tanto mi portava qui e mi faceva giocare.»

«Siete molto legati?»

E' una domanda difficile. Mentre l'altalena lo proietta verso l'alto, Kei guarda la falce di luna calante sopra i tetti delle case. Da bambino tendeva sempre la mano verso la luna e gli sembrava di poterla raggiungere, quando Akiteru lo spingeva forte. Il suono delle risate di un tempo è rimasto fra i nervi sensibili della memoria.

 «Non lo so» risponde Kei sinceramente. Non ha più voglia di mentire. «Credo di sì. In qualche modo. Ma è diverso da quando è andato a Tokyo»

«Anche a me manca mia sorella.»

Bingo. Kuroo Tetsurou ha un vero talento per leggere fra le righe tutte le parole che Kei non pronuncerebbe mai. 

«Non abita a Tokyo?» chiede Kei, cercando di non mostrarsi colpito.

Kuroo scuote il capo, con lo sguardo rivolto al panorama rassicurante del quartiere residenziale in provincia, tutto villette ordinate, muri imbiancati, giardini minuscoli. E un silenzio meraviglioso e  irreale che in città non esiste. 

«E' andata via quando si è sposata, un paio di anni fa.»

«Quanti anni di differenza ci sono fra di voi?»

«Otto. Yu-chan è più grande di otto anni.»

«E dove abita adesso?»

Se Kuroo è infastidito dal terzo grado, non lo dà a vedere. Come se rispondere a domande personali, morendo di freddo su una vecchia altalena che cigola, fosse la sua massima aspirazione. «In Francia.»

«Così lontano?»

Kuroo mugola un assenso. «E' una lunga storia, Tsukki. Sicuro di volerla sentire?» 

«Sicuro di volerla raccontare?»

«Non oggi» risponde Kuroo, sorridendo. «Ma prima o poi lo farò. Ci sono un sacco di cose che mi piacerebbe raccontarti.» 

La sincerità cristallina di Kuroo va in risonanza con le reticenze di Kei, creando una rete di crepe profonde, da cui le parole premono per uscire.

«Seriamente, dove conti di andare stanotte?» Kei ha frenato l'altalena con i piedi e sta fissando Kuroo.

«Da mia zia, a Tomiya.»

«Che ci fa a Tomiya tua zia?» domanda Kei dubbioso.

«Secondo te?»

«Che cazzo ne so?»

«E' in un giro clandestino di ballerine di lapdance.»

«Cosa?»

Kuroo ride. «Ci abita, Tsukki. Con mio zio, mio cugino e due gatti molto antipatici.»

«E tutta questa gente sa che vai lì a dormire?»

«Hai paura che mi caccino e mi ritrovi sotto un ponte?»

«Il ponte mi va benissimo. Ho paura che ti presenti qui in piena notte.»

Kuroo si sporge verso Kei, afferrando la fune della sua altalena; il tono è quello di uno scherzo, ma lo sguardo lo smentisce. «Ti dispiacerebbe?»

I suoi occhi sono di un nero profondo con punti di luce catturati chissà dove. Kei si aggrappa più forte alle funi, per contrastare la vertigine. «Fanculo.»

Kuroo ride. Kei gli assesta uno spintone che lo manda quasi gambe all'aria e lo fa ridere ancora più forte. 

Anche Kei si trova a ridere, suo malgrado. E a chiedersi quand'è stata l'ultima volta in cui si è trovato così bene con qualcuno da non avere alcuna voglia di opporre resistenza, di isolarsi, di andare via.

«Dammi la mano e chiudi gli occhi» dice Kuroo, all'improvviso.

«Cosa?» Le orecchie di Kei sono paonazze, ma il buio le occulta.

«La mano» ripete Kuroo, offrendo la propria. Aperta, distesa, invitante.

«Non se ne parla.»

«Quanto sei difficile, Tsukki.»

Sbuffando, Kuroo estrae qualcosa dalla tasca della giacca e lo spinge nella mano di Kei forzandolo ad aprirla. I tentativi di resistenza vanno a vuoto, il confronto è chiaramente impari. L'idea di essere sopraffatto fisicamente da Kuroo Tetsurou vaga per la mente di Kei come una meteora, con una scia ghiacciata di terrore e desiderio.

«Che diavolo è?» domanda Kei, contrariato, senza prendersi il disturbo di guardare.

«Esattamente quello che sembra, una chiavetta USB»

«Cosa c'è dentro?»

«Un dizionario di ugro finnico. Cosa vuoi che ci sia, Tsukki? E' una playlist. Visto che stai sempre con le cuffie nelle orecchie, mi pareva il regalo adatto.»

«Perché?»

«Perché hai compiuto gli anni? Perché ti piace la musica? Anche se qualche volta penso che tu metta le cuffie solo per isolarti e non ascolti un bel niente...»

«Perché lo fai?»

«Perché faccio cosa? Essere gentile? E' la mia natura, non posso trattenermi. Sono fantastico, no? Non te lo avevo già detto al ritiro?»

«Perché farmi un regalo di compleanno. Perché venire fin qui a consegnarmelo di persona. Perché venirci due settimane in ritardo.»

«Sono un bel po' di domande.»

«Se non ti va di rispondere...» Kei tende il braccio, tenendo la chiavetta fra pollice e indice. Kuroo, afferra la mano e la richiude, spingendola indietro. Le sue dita sono caldissime intorno a quelle gelide di Kei. Sottrarsi al conforto di quel tocco richiede un certo sforzo di volontà.

«Chi dice che non voglio rispondere? Che poi la risposta è molto semplice. Mi andava di vederti e mi andava di farti un regalo. Ecco tutto.  Riguardo alla data, beh,  il piano era di arrivare la settimana giusta, ma le circostanze mi sono andate contro. E' un'altra di quelle cose che prima o poi ti racconterò, se ti va.»

A Kei va. Gli va tantissimo. Vorrebbe trascinare Kuroo in camera sua e restare a guardarlo e ad ascoltarlo tutta la notte. Tutte le notti.

«Ti andava di vedermi?»

«Esatto.»

«Perché?»

Kuroo sorride. Un sorriso intelligente e predatorio, come se sapesse tante cose che Kei ignora, come se avesse tutte le risposte e però le tenesse per sé. Un sorriso sghembo, fascinoso e sfrontato. «Sicuro di volerlo sapere? Io non mento quasi mai, Tsukki.»

In quel sorriso, nelle parole di Kuroo, nei suoi gesti, si intravede la forma del pericolo latente che lui stesso rappresenta e che spinge Kei a mettersi subito sulla difensiva.  «Come ti pare» biascica.

Kuroo sorride ancora, e di più. «Non te ne frega niente, giusto?»

«Giusto.»

«Allora me la riprendo!» Kuroo allunga la mano verso la chiavetta nel palmo di Kei, che subito richiude le dita con forza.

«Non ci provare! E' mia!»

Il gesto di Kuroo, fermato a metà, diventa un tocco gentile, con le dita sulla mano chiusa. Una specie di carezza, così evanescente e breve da lasciare il dubbio se sia mai avvenuta. 

«Ci sarebbe anche un'altra cosa» dice Kuroo, mostrando due scatoline di cartone piatte e quadrate, pescate sempre dalla tasca della giacca. 

Kei le guarda, cercando invano di leggere le scritte e poi sporgendosi  per afferrarla. «Che roba è?»

«Sei penoso a ricevere regali. Guardaci e scoprilo da solo! E poi impegnati a fare una faccia grata e stupita.»

Kei esamina le scatole, fingendo sia di malavoglia. «Cerotto per le dita?» 

«Vedi che ci puoi arrivare? Però sulla faccia grata e stupita devi lavorarci. E' un nastro di una marca molto buona, non so se si trova da queste parti.»

«Siamo a Miyagi, mica nel deserto del Gobi» ribatte Kei, armeggiando per aprire la scatola con dita avide e gelate. E' vero che quella marca, in giro a Osaki, non l'ha mai vista.

Kuroo non lo sta ascoltando.  Nel suo campo visivo ci sono solo le sue mani.  Ha comprato il cerotto pensando che fosse un gran peccato che quelle dita così belle, lunghe, eleganti, debbano riempirsi di tagli e di lividi ogni volta. Ora che le vede così da vicino, però, è costretto ad ammettere che segnate gli piacciono persino di più. I pensieri che evocano sono di quelli da tenere strettamente privati e lo fanno sentire anche un po' in colpa.

«E che avrebbe di speciale?» chiede Kei rigirandosi il rocchetto fra le mani.

«E' il migliore sulla piazza:  resistente, traspirante, robusto, di vero cotone... »

Kei aggrotta la fronte. «Ma chi sei? Uno del marketing dei cerotti?»

«Sarei fantastico nel settore marketing, vero? Sono già piuttosto fantastico di mio,  conto sulla facoltà di economia per tutto il resto.»  Lo dice ridendo di sé, ma ci crede quel tanto che basta per fare in modo che la simpatia diventi fiducia immotivata in chi lo ascolta. 

Kei sorride. Kuroo Tetsurou è una droga: impossibile metterlo in difficoltà, smussare il suo ottimismo, offuscare la sua energia. Impossibile coglierlo impreparato, metterlo al muro. Impossibile non farsi contagiare, non restare soggiogati, non scaldarsi al suo calore, non finire per dipendere da lui. Come Kozume.

«Usalo, capito? E vedi di farlo con un po' di criterio. Di solito te le fasci a caso, le dita. Sembra tu abbia imparato su internet.»

Ovviamente, è così. La tendenza fastidiosa di Kuroo ad avere ragione va ad aggiungersi alla lista dei suoi difetti. «Vorresti insegnarmi tu, fantastico senpai?»

Kuroo ammicca, lasciandosi scivolare addosso il sarcasmo. «Ora sì che ragioniamo! Comincio subito. Lezione numero uno: se hai davanti uno potente come il vecchio gufo oppure Ushiwaka, fasciati le dita prima che te le rompano.»

«Ma...»

Kuroo afferra la mano di Kei e gliela mette sotto il naso. «Niente ma. Guarda che dita lunghe hai, e che mani sottili. Specie quando scegli di andare soltanto in tocco, e ci metti meno forza, la possibilità che ti arrivi una botta pesante a carico di un solo dito è alta. Prima o poi te lo spezzano.»

Kei si divincola, borbottando qualcosa, ma Kuroo gli tiene bloccato il polso in una morsa. «Dammi qua!»  ordina, indicando il cerotto.

«Dunque, prima gli ancoraggi» spiega Kuroo, staccando una prima striscia. «Rimetti subito qui quella mano!»

Kei obbedisce con un grugnito. Kuroo applica il cerotto con gentilezza, due strisce orizzontali alla base dell'indice e intorno all'ultima falange.

«Lo metto così anch'io» brontola Kei.

«Infatti l'errore lo fai a questo punto: metti i tiranti crociati prima delle staffe verticali.»

Kuroo applica due strisce verticali ai lati del dito.

«Sono molli» obietta Kei, scettico. 

«Non devono tirare. Devi poter piegare e distendere. Tu tiri sempre troppo e poi a servire sei fregato. Stai fermo! Ecco qui, ora puoi mettere i tiranti crociati, sempre dal basso verso l'alto e senza tirare troppo. Quanti ne metti di solito?»

«Quattro, due interni e due esterni» risponde Kei, borbottando fra le maglie della sciarpa. Il tocco di Kuroo è pratico ed efficiente, ma si sente ugualmente in imbarazzo.

«Quattro va bene, ma non devi tirare troppo e i secondi ti consiglio di farli tagliando la striscia in due nel senso della lunghezza, in modo che i pezzi siano alti la metà» risponde Kuroo senza smettere di attaccare il cerotto.  «Adesso cosa viene?»

«Ancoraggi di chiusura?»

«Bravo. Questi li devi fare alti e se il dito ti fa male, perché sei stato stupido e ti stai fasciando dopo aver preso una botta, puoi anche tirarli un po'. Non troppo, ma un po' sì.»

Kuroo applica le ultime strisce e poi gira la mano da tutte le angolazioni, per ammirare il risultato.  «Prova a flettere il dito.»

Kei esegue. Effettivamente, riesce ad arrivare in fondo al movimento, senza perdere il sostegno delle fasce.

«Se vuoi chiudere anche la nocca?» chiede Kuroo, con il tono di un'interrogazione alla cattedra.

Kei esita. «Mummia?»

Kuroo risponde con un buffetto sulla nuca. «Mummia mai! Tubolare. Tagli un pezzo lungo unico lungo tutto il dito, e lo avvolgi tipo cilindro, con un solo giro. Così. » Kuroo controlla bene che non ci siano grinze e spinge con i polpastrelli perché il nastro aderisca bene, infine piazza la mano davanti alla faccia di Kei. «Guarda che bel lavoro...»

Kei annuisce, in apparenza distratto. Sta combattendo contro il dispiacere che la lezione sia già finita. E contro il senso di colpa di provare quel dispiacere. E il disappunto per il senso di colpa. Si infila in fretta le mani in tasca, insieme al cerotto. 

Quando alza lo sguardo, trova Kuroo in piedi di fronte a sé, aggrappato alle funi della sua altalena. Il modo in cui lo guarda dall'alto è ubriacante: gli confonde i pensieri, aumenta i suoi tempi di reazione. Comprime lo stomaco. E fa venire sete.

«Non voglio essere costretto a picchiare qualcuno perché ti ha rotto la mano» sussurra Kuroo, questa volta senza fingere che sia uno scherzo, o che non abbia importanza.

«Quante cazzate!» ribatte Kei, sussurrando a sua volta. Non ha la forza di interrompere il contatto degli sguardi.

Kuroo scoppia a ridere.

Kei lo scosta con un braccio per alzarsi. «E' tardi, Nekoma. Mi hai seccato abbastanza e per Tomiya ci vuole almeno mezz'ora.» Spera che la strafottenza basti a coprire il rumore del battito del cuore.

Le strade di ritorno sembrano sempre più corte dell'andata, come se i passi mantenessero la memoria del percorso e il tempo si contraesse seguendo una mappa già nota. Nonostante si impegnino entrambi a rallentare, e Kei scelga di proposito il percorso più lungo, arrivano alla moto in un tempo troppo breve.

A quel punto, restano in silenzio a guardarsi. Mani bloccate in tasca, spalle basse, nuvole di fiato condensato che non trasportano parole, ma intenzioni.  O forse illusioni.

Kei è determinato a tacere. Avrebbe voglia di dire mille cose e nessuna è adeguata, nessuna è ragionevole. Sono tutte banali, ingenue, inverosimili, assurde. L'unica realtà riconosciuta è una nausea opprimente, che parte dallo stomaco e arriva fino in gola.

Neanche Kuroo sembra ansioso di riempire i silenzi. Cerca di cogliere la poesia del momento: la falce di luna, un ricamo di nuvole, un alito di vento. Un lampione che sfarfalla, un cane che abbaia in lontananza, la luce di una stanza che si spegne all'improvviso nella casa di fronte. E Kei, al centro di tutto. Kuroo non può fare altro che restare lì fissarlo con il casco in mano, immobile, sospeso.

«Allora, te ne vai o no?» sbuffa Kei, guardandosi le scarpe.

«Me ne vado» risponde Kuroo. Ma non accade nulla. Non si infila il casco, non sale sul sellino. «Posso portarti a casa?»

Kei allarga gli occhi e indica casa sua, alla fine dell'isolato. «Sei serio? Abito lì, saranno cento metri.»

«Non ti ho chiesto quanto è distante. Ti ho chiesto se posso accompagnarti.»

«Va bene» concede Kei. Sa che si tratta di una grandissima idiozia, ma se non cede almeno a questa, potrebbe ritrovarsi, per eccesso di pressione interna, a fare qualcosa di molto più stupido.

«Allora questo prendilo tu» dice Kuroo, consegnando il casco a Kei.

Il tragitto è una breve, rischiosa apnea, che dura insieme un attimo e un secolo. Il profumo di Kuroo, che passa attraverso i suoi vestiti e sa di aria aperta, di giornate estive e di una qualche colonia fuori moda, si imprime a fuoco nella memoria di Kei. Non può saperlo, ma il ricordo durerà per sempre.

Si fermano di fronte al cancello, la villetta è immersa nel buio.

«Tsukki, io... sono stato bene. Davvero. Non che avessi dubbi, ma... quel che cerco di dire è...»

«Shhh. Basta cazzate, Kuroo-senpai. Fai più bella figura quando taci» sussurra Kei, mentre infila il casco sulla testa di Kuroo. «E grazie per i regali.»

«E' un vero sorriso quello?» 

«Neanche per sogno. E' uno spasmo.»

«Buonanotte, Tsukki.»

«Non guidare come uno scemo. Non ti ammazzare. Non chiamarmi Tsukki.»

Kuroo mette in moto.

«Mandami un messaggio» dice Kei all'ultimo momento. Ha provato a trattenersi, ma sarebbe esploso se non lo avesse detto. «Per dirmi che sei vivo.»

Kuroo sorride, ma si vedono solo gli occhi, che sono più che abbastanza per desiderare di non vederlo partire. Invece parte rombando. In pochi secondi è sparito.

Il messaggio arriva circa un'ora dopo.

Sono vivo. In parecchi sensi.

Kei non risponde. Guarda il soffitto con gli occhi spalancati e le cuffie nelle orecchie, quasi fino al mattino. Ogni tanto piega l'indice sinistro solo per assicurarsi che le fasce siano ancora lì.

La cosa brutta di essere lucidi, intelligenti,  empatici e spietatamente onesti con se stessi è che i sentimenti li riconosci subito, anche quelli che rappresentano un problema. Essere mezzo innamorato di Kuroo Tetsurou è un grosso problema.

Immaginarsi di avere una speranza, è un problema enorme.

 
   
 
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