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Autore: wolfymozart    25/08/2022    0 recensioni
La rivoluzione incombe su Parigi, restituendo dignità agli oppressi e presentando un conto amaro agli oppressori. Ma nei suoi giudizi perentori e tranchant, di condanna e assoluzione, non tiene conto delle sfumature, mai nette, tra innocenti e colpevoli, non tiene conto di sentimenti, paure, speranze di quanti, pur nella schiera degli oppressori, sono stati anch'essi vittime del sistema.
Un rivoluzionario integerrimo ma tormentato, una nobildonna infelice ma determinata, un amore impossibile, una condanna eterna.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Marianne fece il suo ingresso nella stanza, si guardò attorno nella penombra scorgendo i fogli sparsi sulla grezza scrivania all’angolo vicino alla finestra. Si soffermò su di essi per qualche istante, incuriosita, poi, voltandosi con la grazia che da sempre le apparteneva, posò gli occhi su Clermont, ancora fermo, la candela in mano, davanti alla porta.
-Volevo ringraziarvi per quello che state facendo per noi: so bene quanto vi costi, so bene quello che c’è in gioco, i rischi a cui state andando incontro per noi. Non posso che esprimermi tutta la mia gratitudine, dal profondo del mio cuore. – gli disse con voce ferma ma dolce, portandosi le mani al petto e fissandolo negli occhi in modo aperto, sincero, accorato.
Lui sospirò profondamente, augurandosi in cuor suo che la semioscurità riuscisse almeno in parte a nascondere il suo profondo turbamento. Voleva che se ne andasse, che uscisse da quella porta per non farsi vedere mai più, che la smettesse di tormentarlo in quel modo. Non si accorgeva di quanto male gli stesse facendo con quei suoi modi aggraziati e cortesi? Eppure, allo stesso tempo, desiderava che restasse lì per sempre, che quegli attimi si cristallizzassero in un eterno presente.
Dopo qualche istante, riuscì a dominarsi e a risponderle:
-Vi ho già detto che non dovete ringraziarmi, madame. Ho solo fatto quello che era giusto, chiunque al mio posto avrebbe agito allo stesso modo. – spiegò con il tono più neutro possibile.
- Sapete bene che non è così, ben pochi altri, se non nessuno, si sarebbero assunti un tale rischio. – ribatté lei. Lui inspirò profondamente e stette in silenzio, aveva già oltrepassato il limite della sua sopportazione, non era più in grado di controbattere alcunché: sperava soltanto che quel supplizio durasse ancora per poco. – Non conosco le ragioni che vi hanno spinto a fare questo: so che siete un uomo giusto, onesto, lo siete sempre stato, ma credo che ci sia forse una motivazione più profonda e, se fosse così, di questo vi vorrei parlare. – aggiunse poi con la voce che iniziava ad incrinarsi per l’emozione e gli occhi lucidi. Giocherellava con le frange del suo scialle, anche lei incominciava visibilmente a sentirsi a disagio in quel momento.
- Di che cosa vorreste parlare, sentiamo? Della mia vita negli ultimi dieci anni? Di quello che ho dovuto passare per diventare infine quello che sono? Delle umiliazioni che ho dovuto subire? – sbottò a questo punto Clermont, appoggiando con un gesto rabbioso la candela sulla scrivania e facendo così sobbalzare le carte. Anche Marianne sobbalzò: da che lo ricordava, non l’aveva mai visto così, lui al solito mite, pacato. Si pentì di essere andata da lui, di aver insistito per parlagli. Forse alcuni capitoli della nostra vita dovrebbero restare chiusi per sempre.
- Io della vostra vita non so nulla se non quello che sanno tutti: la vostra brillante carriera professionale, i vostri successi di deputato, la stima che vi circonda. Ma del resto non so nulla, non so se abbiate una moglie, per esempio, dei figli, non so se siate o meno felice. Mi pare di non conoscervi più. – rispose, infine, a mezza voce, lo sguardo basso, stringendosi nello scialle.
- No, è vero, non mi riconoscete più. O forse non mi avete mai davvero conosciuto. – ribatté lui, sarcastico, quasi con cinismo, mentre scompaginava i fogli che aveva per le mani, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di lei: non sarebbe in nessun modo riuscito a sopportare l’amarezza nei suoi occhi, men che meno le sue lacrime.
- Un tempo io pensavo di conoscervi, ma…- abbozzò lei, dopo alcuni istanti di silenzio che parvero eterni.
- Di conoscermi? Non mi conoscevi affatto se hai potuto pensare che io mi sia potuto rifare una vita dopo quello che c’è stato fra noi, se hai pensato che io abbia potuto avere un’altra donna, sposarmi, avere dei figli con lei. Come hai potuto anche solo immaginarlo, Marianne? – la interruppe bruscamente e le rinfacciò tutto d’un fiato, incollerito, dominando a stento il tono di voce per non rischiare di svegliare tutta la casa, ma trattenendo a fatica lo sdegno, la rabbia, il dolore a lungo repressi. Lampi d’indignazione e di sofferenza gli balenavano negli occhi.
- Io non volevo insinuare nulla, non si trattava di un’accusa. - tentò di difendersi lei, impaurita ma al contempo fortemente attratta dalla piega che stava prendendo quel discorso.
- Non c’è posto per le accuse, qui, Marianne. Quel che mi rende folle è il solo fatto che tu abbia pensato che potessi averti dimenticata. Come avrei potuto? Dimmelo tu. Come avrei potuto svegliarmi ogni mattina con accanto un’altra donna che non fossi tu? – domandò in un crescendo di tensione rabbiosa che lo condusse sull’orlo delle lacrime, mentre con sguardo accorato la fissava negli occhi, ormai privo di ogni inutile difesa davanti a lei.
Stavolta fu Marianne a rimare muta, impietrita, gli occhi sbarrati. Quella confessione la turbò fin nel profondo del cuore: a tanto arrivava l’amore di quell’uomo? Non si era dunque ben presto scordato di lei? Non l’aveva abbandonata e consegnata fra le braccia di Beaufort non rispondendo alle sue lettere? Quello che aveva sempre pensato, le sue convinzioni su di lui, l’amarezza e la delusione nei suoi confronti che l’avevano accompagnata per anni, parvero dissolversi all’istante. Ma non riuscì a parlare, non riuscì ad esprimere quei pensieri che in quel momento le affollavano prepotentemente la mente.
Pertanto continuò lui: - E se di accuse vogliamo parlare, l’unico in diritto di accusare qualcuno sono io. – Marianne alzò lo sguardo: - Sono io che ho pieno diritto di accusare tuo padre per quello che mi ha fatto. – concluse guardandola fisso negli occhi con aria di sfida.
-Mio padre? Che c’entra ora mio padre? Che Iddio lo protegga. – rispose stizzita lei, facendosi un segno di croce, mentre una lacrima le scendeva sul volto all’accenno al padre.
Clermont, pur avvertendo una fitta al cuore a quelle lacrime, non si volle fermare: era giunto il momento di sfogare tutta la sua frustrazione per i torti subiti e mai vendicati.
-Vedi questa? – le domandò scostandosi i capelli e mostrando il segno di una cicatrice sopra la tempia sinistra. Marianne guardava senza capire. – E questa? – chiese ancora, sbottonandosi la camicia con foga e mostrando un segno sulla spalla destra.
- Io non capisco. – si schermì lei, senza davvero comprendere dove volesse arrivare.
- Sono i segni delle bastonate che mi ha fatto infliggere tuo padre! Già, non ero degno di te, non ero che il figlio bastardo di una sarta! – concluse amaramente lui, riabbottonandosi la camicia e scuotendo la testa: al ricordo dell’ingiustizia subita, la cicatrice dell’anima ritornava a bruciare.
- Non ci posso credere, non è vero, non può essere vero. – mormorava Marianne, sconvolta, turbata, mentre una collera postuma nei confronti del padre saliva dentro di lei, contrastata al tempo stesso dal conseguente senso di colpa.
- Domanda allora alla tua amica Elenoire de Roussignac. Lei ti confermerà le mie parole, ti saprà dire come mi avessero conciato, quei bastardi.– controbatté Clermont, lasciandosi cadere seduto sulla sedia e prendendosi la testa fra le mani: quel dialogo ne stava mettendo a dura prova la resistenza.
- Elenoire? – chiese Marianne sempre più stupefatta, sempre più irritata dal fatto che tutte le persone attorno a lei sapessero cose di cui lei era stata per anni tenuta allo scuro. Ora anche l’amica più cara veniva coinvolta, anche Elenoire le aveva dunque nascosto la verità? Anche lei l’aveva tradita?
- Sì, lei. La notte in cui tuo padre ordinò ai suoi scagnozzi di malmenarmi, mi rivelò che ti saresti sposata da lì a poco, mi disse che tu non volevi più aver niente a che fare con me, che mandavi a dirmi di sparire, che mi rinnegavi, rinnegavi per sempre il nostro amore. Io non gli ho creduto e ho pensato di rivolgermi ad Elenoire: lei, di certo, conosceva la verità. Mi amavi, Marianne? O mi avevi svenduto per i quattrini e il titolo di Pari di Francia di quel bellimbusto di Beaufort? –
- Perché non hai risposto alle mie lettere? – domandò lei con un filo di voce, dopo aver lasciato spegnersi l’eco di quelle parole. Se ne stava in piedi, lo sguardo basso, torturandosi nervosamente le mani. 
- Le tue lettere? Quali lettere? – chiese e le si avvicinò con aria interrogativa.
- Quelle in cui ti pregavo di salvarmi da quel matrimonio a cui la mia famiglia mi aveva destinata per risanare i debiti di gioco di Roland e quelli di mio padre; quelle in cui ti supplicavo di portami con te a Parigi, fosse anche in una stamberga umida e fredda; in cui ti imploravo di non abbandonarmi fra le braccia di quell’uomo cinico e spietato di Guillame de Beaufort, un uomo che non avrei mai potuto amare, poiché non amavo altri che te. Perché non mi hai risposto?-  spiegò lei, con la voce ormai rotta dal pianto a lungo trattenuto.
- Io non ho ricevuto mai alcuna lettera. Questo è troppo! Questo è veramente troppo! – proruppe Clermont, fuori di sé: l’irreprensibile, compassato deputato della Convenzione era in quel frangente totalmente incapace di controllarsi. Con un gesto di stizza rovesciò la sedia, buttò a terra le carte e tutti gli oggetti che trovava sulla scrivania. Quel moccolo di candela che ancora ardeva si spense bruscamente, precipitando la stanza nella più completa oscurità. Marianne assistette immobile, incapace di qualsiasi gesto, mentre lui spalancava con foga la porta e, borbottando fra sé invettive di ogni genere, si avviava a passi rapidi, nervosi verso il portone d’uscita. Con rabbia sollevò il saliscendi poi, con una violenta spallata, rischiò di divellere la porta dai cardini. Uscì fuori nel buio della notte, respirando a pieni polmoni l’aria satura di pioggia: l’aria di quella stanza era diventata per lui pesante, opprimente.
Sentendo quel trambusto, Marianne si precipitò ad inseguirlo lungo il corridoio: - Dove stai andando? Torna qui, per favore! – varcò la porta ed uscì nel cortile: - Jacques! – lo chiamò allora a voce alta. – Jacques, torna qui! – ripeté cercando di raggiungerlo nel buio, mentre i suoi abiti e i suoi capelli si inzuppavano di pioggia.
   
 
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