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Autore: Nitrotori    22/09/2022    0 recensioni
Annualmente due regni un tempo in perenne guerra, si radunano per ingaggiare in uno scambio culturale per mantenere la ormai duratura pace. Nove talentuosi rappresentanti scelti da entrambi i regni salpano a bordo della nave Fraternity, tuttavia durante il viaggio le loro vite vengono messe in pericolo da un misterioso incidente.
ATTO 1 - Terminato
ATTO 2 - In corso...
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Le più atroci delle verità si nascondono in un’altrettanta atroce oscurità.

Ma l’unico modo che l’uomo ha per vedere attraverso le tenebre è tramite la luce.

In quell’unico barlume di speranza, inghiottito quasi completamente da una prospettiva di morte e desolazione, si può raggiungere la risoluzione.

… O magari è solo una fugace illusione, un’effimera speranza, un’ingenua preghiera che tutto possa andare per il verso giusto.


10 anni prima…

 

Non tutti avevano accettato alla leggera l’alleanza tra Alabathia e Baal’Thasia. Le tensioni politiche tra le due nazioni si erano alleggerite, ma l’odio causato dal conflitto non era facile da lenire.

Baal’Thasia era la nazione che aveva subito più perdite e la pace era desiderata da molti. C’era però chi non aveva dimenticato, chi aveva sofferto inimmaginabile sofferenza nella guerra e non aveva nessuna intenzione di riporre le armi.

Le ribellioni interne a Baal’Thasia erano di fatto la ciliegina sulla torta di sangue. L’odio aveva creato odio nuovo, non solo verso Alabathia, ma verso il popolo di Baal’Thasia che aveva riposto le armi e desiderava la pace, mancando quindi di rispetto alle innumerevoli vite perse.

Il villaggio in cui viveva Anglia era stato raso al suolo dalla resistenza di Baal’Thasia, uomini che avevano deciso di continuare a combattere e di schierarsi non solo contro Alabathia, ma contro la nuova politica di pace instaurata dal regno sconfitto.

La giovane ragazza vagò per giorni con una spada in mano, senza mangiare e senza bere, finché non crollò al suolo durante una tempesta di pioggia, mentre cercava di attraversare il confine.

Anglia non aveva idea di quanto tempo fosse passato, non sapeva neppure se era ancora viva o meno, ma sentì a distanza il nitrito di un cavallo e gli zoccoli fermarsi a poca distanza da lei.

Un uomo alto, dai lunghissimi capelli biondi, dalla folta barba e lo sguardo più gelido delle nevi d’inverno, scese dal cavallo e si fermò davanti a l'esile corpo della ragazzina, ormai ridotta a pelle e ossa.

“Cosa abbiamo qui? Un randagio?” Disse chinandosi. Anglia però, nonostante ormai non avesse più forze, si alzò in piedi con la sua sola forza di volontà e fissò negli occhi l’uomo dinanzi a sé, stringendo l’elsa della spada, pronta a difendersi.

Era accompagnato da un plotone di cavalieri in armatura d’argento, con il vessillo sventolante del regno di Alabathia. Uno degli ultimi si allarmò, ma l’uomo biondo fece cenno con la mano, bloccandolo.

“Hai fegato ragazzina, come ti chiami?” Le chiese.

“Anglia” Rispose lei senza mostrare cenno di paura.

L’uomo biondo tirò fuori la spada dalla sua faretra e la puntò sulla sua gola..

“Le tue mani sono sporche di sangue Anglia” Disse duro l’uomo “Per cosa hai ucciso? Qual’è la tua ragione di esistere?”

La ragazza, che tremava stremata, lasciò cadere la spada dalle mani e strinse saldamente la lama della spada dell’uomo. Si tagliò e il sangue caldo scese dalla sua mano, macchiando gli stracci che indossava, già sporchi dei resti dei suoi nemici.

“Capisco…” Disse l’uomo “E’ questo ciò che hai visto in quell’inferno vero Anglia?”

Uno dei generali scese dal cavallo e si affiancò a lui.

“Mio Re, cosa ne facciamo di questa ragazzina?” Chiese chinando il capo in sua presenza.

“Viene con noi. La sua vita mi appartiene adesso…” Rispose.

Anglia aveva tentato di proteggere il suo popolo, fallendo miseramente. Era rimasta sola e aveva lasciato ai suoi piedi solo i cadaveri di chi aveva minacciato i suoi cari.

Ma l’illusione di aver salvato le persone alla quale voleva bene restò, marchiando in modo indelebile la sua anima, ora forgiata come un’affilata lama pronta a fendere i suoi nemici.

Da quel giorno Anglia diventò un cavaliere e si addestrò giorno e notte, senza riposo, diventando la migliore combattente e fedele servitrice del Re Eckor Haiken Our Stator, prestando il massimo giuramento e rituale sacro, che la nominò come Cavaliere Reale del Vessillo Dorato.

Sei anni dopo il suo rigido e implacabile addestramento, la donna fu chiamata al cospetto del Re ancora una volta.

“Anglia, ho una missione per te…” Disse l’uomo, mentre era seduto sul suo immenso e opulente trono.

Anglia che non era più una bambina, ma una donna, era ora vestita con le vesti da cavaliere di massimo rango, inginocchiata in modo elegante a capo chino, con estrema riverenza.

“Di che si tratta, mio Re?” Chiese lei.

Ektor si alzò in piedi e fece cenno al suo sovrintendente “Portalo qui…”.

Qualche minuto dopo, un giovane ragazzo suo coetaneo entrò nel grande salone. Aveva gli occhi di suo padre, con l’unica differenza che il gelo riflesso nelle sue iridi, mostravano una calda gentilezza.

“Harris, lei è Anglia” Disse suo padre, senza mai abbandonare la severità nel suo tono di voce “Da oggi in poi, lei sarà al tuo fianco in ogni momento e ti proteggerà”.

Harris senza parole, si voltò verso l’ elegante donna in armatura a capo chino, che non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione.

“Hai qualche obiezione Anglia?” Ektor sorrise appena verso il cavaliere.

“No Mio Re. Ogni suo desiderio è il mio…” Rispose prontamente.

Harris si avvicinò a lei, ma Anglia non osò alzare in capo, non aveva alcun diritto di guardarlo.

“Piacere di conoscerti Anglia” Disse lui cortese, allungando la sua mano.

Anglia non ebbe altra scelta che tirare su il suo volto e guardarlo per la prima volta. Il principe e figlio primogenito del Re di Alabathia era di fronte a lei, con la sua mano tesa e un sorriso sincero, radioso come il sole che lo illuminava dai vetri a mosaico sparsi ovunque nel salone reale.

Il cavaliere non abituato ad un gesto tanto amichevole, restò ipnotizzata davanti a lui e il suo corpo si mosse senza volontà. Poggiò la sua mano in armatura sulla sua e nuovamente chinò il capo.

“L’onore è tutto mio, Sua Altezza”.

Deliziato, Ektor fece un sorriso soddisfatto “Anglia, sarai tu ad insegnare l’arte del combattimento a mio figlio. Sei la migliore guerriera di questo regno, ti do dunque la responsabilità di salvaguardare la vita dell’unico erede al mio trono e di insegnargli tutto ciò che sai”.

Anglia, seguì il galateo dei Cavalieri Reali e si staccò la spada dalla faretra poggiandola al suolo, mentre con l’altra mano si coprì il cuore dove c’era il simbolo del regno di Alabathia.

“Sarà fatto, Mio Re”.

Harris prese dunque la spada di Anglia ora al suolo e la estrasse dalla faretra, puntando la lama verso di lei.

La donna alzò il capo e si tolse via il guanto d’arme. C’era ancora la cicatrice del suo giuramento sul palmo della sua mano e allo stesso modo di come era avvenuto dieci anni prima, strinse la lama lasciando scorrere il suo sangue su di esso.

In quel preciso istante, Anglia divenne tutt’uno con quella spada, con quel giuramento, diventando a tutti gli effetti l’estensione fisica del Principe Harris.

 

Presente

 

Grazie alle tracce lasciate da Aoki, Alic riuscì a restare sul percorso e a non perdersi lungo la fitta vegetazione che si estendeva da ogni lato. Soltanto vedere quei segni sulle cortecce lo tranquillizzava, poiché senza di loro era come camminare in un corridoio di specchi.

Mentre avanzava però, calpestò qualcosa di duro sul terreno.

“Ma che diavolo…?”.

Alic si chinò e prese tra le mani quello che sembrava una boccetta di vetro dall’aria sospetta.

“E questo cos’è?” Si chiese esaminandolo da vicino.

C’era un’etichetta attorno alla boccetta, Alic pulì via il terriccio da esso e quello che vide scritto su di esso lo perplesse. 

“Curie? Dove ho già sentito questo nome?” Si chiese.

La boccetta era piena di un denso liquido arancione dall’aria sospetta. Fu in quel momento che Alic ricordò.

“Ora ricordo, questa è la medicina di cui parlavano, ma cosa ci fa qui per terra? Non erano state rubate?”.

Come al solito però, Alic realizzò in ritardo cosa ciò volesse dire. La persona che era sospettata di aver rubato le fiale di Curie dalla Fraternity, era la stessa che era responsabile del naufragio. Questo voleva dire una sola cosa…

Pallido in volto, Alic deglutì “Non può essere, allora… questa boccetta appartiene all’assassino? Ma cosa ci fa qui?”.

Poi un passo…due passi…tre passi. Una mano sbucò dalle ombre e Alic si voltò urlando dalla paura. Lo spavento lo fece cadere di fondoschiena sul terreno, ma mentre strisciava via terrorizzato, si rese conto di chi avesse davanti.

“TU?!” Gridò con voce stridula.

Anglia era in piedi, con la mano che si reggeva la ferita sul fianco.

Alic si rialzò prontamente e mise la boccetta nella tasca, avvicinandosi a lei.

“Mi hai SPAVENTATO A MORTE! Ti ha dato di volta il cervello?!”.

Anglia però non rispose, si guardò la mano sporca di sangue per poi poggiarla nuovamente sulla ferita.

“Non dovresti essere qui…” Disse Alic “Vuoi forse morire dissanguata?!”.

“Devo tornare alla Ziggurat” Rispose lei resistendo al dolore, pallida in volto. Aveva perso molto sangue, ma riusciva ugualmente ad avere le forze di restare in piedi. La sua forza di volontà ancora una volta non mostrò pari.

“Non essere sciocca! Non puoi muoverti in quelle condizioni!” Esclamò Alic.

Anglia però lo afferrò dalla sciarpa con veemenza “Non ho tempo per starti a sentire, devo tornare da Sua Altezza!”.

Alic sorpreso e spaventato dallo sguardo assassino della donna, si arrese immediatamente.

“Ok! Ok! Ho capito… ora lasciami però”.

Anglia mollò la presa e Alic sospirò esasperato “Forza andiamo”.

Non c’era tempo da perdere, la ferita di Anglia andava disinfettata al più presto.

Durante il tragitto, Anglia non disse una parola. Alic di tanto in tanto si voltava verso di lei e le fissava la ferita con un certo disgusto verso tutto quel sangue. Era praticamente un cadavere che camminava, ma non mostrava segni di cedimento. Il giovane menestrello si chiese come un essere umano potesse avere una tale forza di spirito.

“Stai bene?” Le chiese “Non voglio sembrare offensivo ma… mi sembri una specie di zombie”.

“Ho vissuto di peggio” Rispose lei impassibile.

Finalmente dopo un discreto tragitto a piedi, riuscirono a tornare al Relitto. Alic si guardò alle spalle e fissò il primo marchio lasciato dal kunai di Aoki. Fissò poi la foresta e si chiese cosa ne era stato di quel misterioso Vigilante.

“Non preoccuparti per lui” Disse Anglia “Ho la sensazione che sia molto simile a me. Sa cavarsela da solo”.

Alic si convinse grazie alle parole del Cavaliere e quindi imboccarono la strada opposta per tornare verso il Santuario.

Una volta nei pressi della Ziggurat però, le forze di Anglia cedettero. 

“No, no… andiamo!” Esclamò Alic predendola sotto braccio “Non cedere ora! Siamo arrivati”.

Anglia era in pessime condizioni, quando Leah la vide moribonda e sorretta da Alic, immediatamente intervenne.

“Anglia! Dea Misericordiosa…portala qui!” Esclamò la farmacista, indicando il corridoio e senza fare domande iniziò ad esaminare la ferita.

“S-Sua Altezza…” Disse lei con gli occhi lucidi. “Ho fallito di proteggervi”

“Sta bene” Le rispose Leah con un sorriso cercando di rassicurarla “E starai bene anche tu, ma devi restare immobile, mi hai sentito?”.

Anglia deglutì, ormai prossima a perdere i sensi e annuì debolmente.

Leah tornò indietro con una garza e del disinfettante e si occupò di lei.

Alic si asciugò il sudore dalla fronte e si mise seduto. Mai nella sua vita si era sentito così tanto stanco… e affamato. Ora che era seduto, si lasciò andare ad una risata amara.

“Che diavolo di senso ha tutto questo?" Disse mentre Leah avvolgeva la ferita di Anglia con una garza. “Tanto moriremo tutti qui, è tutto inutile”.

Finita la medicazione, Leah sdraiò Anglia assieme agli altri, che nel frattempo aveva perso i sensi.

La stessa stanchezza di Alic, affliggeva anche la giovane farmacista. Stava lottando senza sosta, senza mai arrendersi, ma riusciva a comprendere i sentimenti di Alic. Senza cibo, non c’era speranza alcuna di sopravvivenza.

Leah si avvicinò agli approvvigionamenti e prese gli ultimissimi viveri rimasti. Non bastava per tutti, quindi erano purtroppo giunti al limite.

“Alic, dov’è Aoki?” Gli chiese lei, poggiando sconsolata il cibo nella scatola.

“Non lo so” Rispose lui “Ha deciso di continuare a esplorare per capire dov’è andato l’aggressore”.

“La ferita di Anglia, qualcuno l’ha pugnalata…”.

Alic annuì “E’ stato lui o lei, non so di chi stiamo parlando. Ha pugnalato Anglia ed è fuggito a Nord. Aoki mi ha detto di tornare indietro per Anglia, ma lei ha deciso di venire con me”.

Alic poggiò la testa sul muro e sospirò “Ma ripeto… che senso ha cercarlo? Non abbiamo più le forze per fare nulla, il cibo è finito, moriremo qui…”. Le lacrime scesero dalle sue guancie. “Merda, non voglio morire… non adesso”.

La disperazione lo agguantò, portandolo a piangere.

Leah non sapeva cosa dire. Voleva reagire, voleva cambiare le cose, ma Alic aveva ragione… nessuno aveva più le forze di fare nulla.

La ragazza poggiò una mano sulla sua spalla. “Non sei solo” Gli disse.

Per quel che bastava, Alic riuscì a consolarsi con quelle parole.

 

In quella eterna nebbia di incertezza e confusione, Alphonse camminò senza meta e senza domande. La vegetazione attorno a lui era monotona, così come il rumore dei suoi stivali che calpestavano il terreno.

Un passo alla volta e ad ogni battito di cuore, Alphonse vagò in un loop infinito, in una strada che portava da nessuna parte. 

Ma il torpore che ovattava la sua mente fu interdetto per un breve momento, facendolo fermare. Si voltò alla sua destra e vide una confortevole luce. Per qualche strana ragione, Alphonse provò una strana nostalgia nel vedere quel barlume nell’oscurità e per la prima volta, in chissà quanto tempo, si incamminò in una direzione differente.

Ci volle poco, ma riuscì ad arrivare davanti alla fonte di quella luce: una modesta casa di legno a due piani… la sua casa.

Alphonse si guardò attorno e vide il panorama che era abituato a vedere ogni giorno. Montagne innevate nel cuore dell’inverno, un vasto terreno ondulato che scendeva fino a valle, dove venivano coltivate ogni genere di verdure.

Vide il lago dove ogni tanto andava a pesca con suo padre e suo zio, quando era più piccolo e infine, l’ingresso della miniera, ben visibile dalla via principale del villaggio.

Alphonse tornò a posare lo sguardo verso la sua dimora e si chiese se suo padre fosse a casa in quel momento.

La porta d’ingresso era socchiusa, così poggiando una mano sull’uscio di legno entrò, accolto dal familiare cigolio della porta e dalla cucina. Tutto era in ordine, ma una strana foschia grigia ovattava i colori di quelle mura. 

“Papà? Sei a casa?” Alphonse si guardò attorno, ma gli strumenti di suo padre, di solito appoggiati vicino al camino, non c’erano. Alphonse avanzò verso il corridoio al centro e poggiò lo sguardo verso le scale. C’era quella stessa tenue luce provenire dalla stanza sulla sinistra, lì dove c’era la camera da letto di suo padre.

Lentamente salì le scale e si voltò verso la porta anch’essa socchiusa, che portava alla camera da letto. Una volta aperta, Alphonse vide una sedia a dondolo, la stessa in cui sedeva sua madre durante i suoi giorni di malattia. La sedia dondolava appena, mentre le tende della camera si muovevano sinuose al vento.

La finestra completamente spalancata, mostrava il panorama di Stonefall e al fianco della sedia, c’era una lanterna ad olio poggiata sul tavolino, che illuminava l’intera stanza.

Alphonse fermò la sedia con la mano e poggiò lo sguardo verso il panorama esterno alla finestra. 

C'era qualcuno in piedi che fissava verso di lui, una donna dai lunghi capelli neri e le vesti bianche.

Il giovane minatore non credeva ai suoi occhi, quella donna… era sua madre.

“Mamma?”

Immediatamente Alphonse scattò verso il corridoio, scese le scale e uscì fuori di casa. 

Fece il giro e vide sua madre allontanarsi verso la foresta. 

“Aspetta!” Alphonse corse verso di lei, ma più correva più lei si allontanava. Nuovamente fu inghiottito dalla nebbia e i sensi del ragazzo appassirono.

Vagò in quella nebbia per un’altrettanto tempo non definito, girovagando senza sosta nel denso e oscuro bosco, quando una forte luce gli fece ottenere indietro sensi. Vide sua madre in piedi, a distanza, che lo fissava con sguardo spento, mentre i suoi capelli sottili come aghi, si muovevano eleganti e sinuosi al vento.

“Mamma! Aspetta!” Esclamò Alphonse allungando la mano, ma la donna si voltò e continuò a camminare, sparendo nella luce.

Lui corse a perdifiato e una volta varcata quella radianza, si ritrovò in una spiaggia desolata, dal cielo ovattato, l’oceano spento e piatto e alla sua sinistra…sangue.

Tantissimo sangue a fianco ad una mostruosa creatura pallida dalla pelle umida e porosa, con al centro una disgustosa fauce rossa, piena di denti aguzzi.

In piedi, voltato di spalle, con lo sguardo rivolto verso l’oceano, vide Aoki.

Alphonse scosso, con gli occhi sbarrati e il fiatone, cercò di avvicinarsi… ma il suo corpo fu trascinato via a grandissima velocità all’interno della foresta. 

Tutto si riavvolse, sbiadendo in una luce bianca.

 

Alphonse spalancò gli occhi, svegliandosi di soprassalto. Le sue iridi si strinsero e iniziò a respirare con fatica, quasi come se fosse emerso da una lunga apnea. Sentì il suo corpo pesante come un macigno, ma riuscì ugualmente a sollevarsi con i gomiti.

“Alphonse!” Esclamò Leah avvicinandosi a lui “Alphonse stai bene?!”:

Ma il ragazzo non rispose. Si guardò attorno e vide il caos totale…

Pezze sporche di sangue, Anglia ferita, Simon e Harris entrambi fuori gioco. Poi il giovane minatore posò lo sguardo ancora scosso su di lei. Leah era pallida, affaticata, ma ancora in piedi.

“Cos’è successo?” Si chiese Alphonse, ma in sua risposta arrivò un forte mal di testa.

“Alphonse, cerca di riposare…” Leah lo aiutò a sdraiarsi.

Alphonse aveva ancora le immagini del sogno vivide nella sua mente, così come le fauci di quella creatura, così simili a quelle che aveva visto negli abissi marini mentre veniva divorato.

   
 
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