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Autore: NPC_Stories    15/11/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: slice of life, introspettivo
Note: questa è la storia che Dira_ mi ha scritto per il mio compleanno 2022 *.* (sono sciolta per la commozione)




Un sole d'argilla splende comunque



Una locanda vicino a Secomber, Anno 1359
15 di Uktar.


I giorni peggiori per i bambini ospiti della Locanda dell’Orso erano i giorni di pioggia.
Almeno con la neve si poteva uscire fuori a giocare e, quando smetteva di cadere, c’era sempre qualcuno dei figli di Krystel che si prendeva l’onere e l’onore di accompagnarli a pattinare sul ghiaccio.
Ma la pioggia… la pioggia confinava tutti all’interno della locanda che era sì grande e spaziosa, ma pur sempre un posto confinato.
Krystel, la locandiera, non era una donna stupida; era consapevole che tanti bambini e pre-adolescenti annoiati potevano esplodere se vivevano tutti assieme senza un’autorità genitoriale a far loro da timone.
In quei giorni quindi organizzava delle attività che si potevano fare al chiuso; che fossero giochi o momenti in cui si poteva imparare qualche nuovo mestiere… con l’aiuto della quieta creatività di Tek’ryn o di qualche idea trascinante di Amber i piccoli ospiti non venivano mai lasciati al pericoloso tedio.
…Certo, diventava via via più difficile se i giorni di pioggia si protraevano.
Era una settimana che pioveva e l’insofferenza era palpabile.
Per questo Krystel aveva tirato un sospiro di sollievo quando Ricry, un piccolo halfling linguacciuto ma dal cervello svelto, si era proposto di insegnare a tutti a lavorare l’argilla, attività di famiglia da ben cento generazioni - la drow dubitava fosse vero, ma non era poi così importante.
L’idea era comunque buona.
Aveva quindi fatto prendere dai ragazzi più grandi del terriccio argilloso dai campi vicini e con la magia l’aveva lavorato, per poi dividerlo in piccoli blocchi che aveva assegnato a ciascun bambino.
Non era stato difficile ottenere un’ondata di comune assenso: sporcarsi le mani e dare forma alle proprie idee era un istinto ancestrale per gli umani, e la maggior parte dei suoi giovani ospiti apparteneva a quella razza… e per quanto riguardava gli halfling come Ricry, semplicemente amavano le attività rumorose, divertenti e sporchevoli - come le aveva definite il bambino.

“Potremo usare il forno per cuocere l’argilla,” ponderò Tek’ryn osservando l’alacre lavoro dei bambini, anche se a distanza di sicurezza per evitare che qualche artista troppo vivace gli sporcasse i vestiti.
Krystel sorrise. “Perchè no? Sono piccoli oggetti, potremo fare un’unica infornata.”
“Forse si sporcherà troppo?”
“Nulla che un po’ di magia non possa rimediare. E almeno anche questa giornata l’avremo fatta passare.”
“Non puoi fare nulla per far migliorare il tempo mamma? È una tale palla…” si lamentò Amber infilandosi tra di loro e crollando teatrale sulla spalla del fratello.
“Potrei,” ammise fingendo di pensarci davvero, “…ma non manderò all’aria il ciclo di piogge stagionale perché stare chiusi in casa è una palla.” “Noi siamo fortunati. Pensa a chi non ha un tetto sopra la testa,” la rimbrottò severo Tek’ryn.
Amber non parve granché colpita da quella riflessione perché scrollò le spalle. “Dovete vedere com’è bravo il piccoletto halfling!” cambiò discorso. “Ha tirato fuori una statuina di Yondalla che pare proprio uguale uguale a quelle che vendono a Secomber.”
“Probabile sia come quelle che vendono a Secomber perché le produce la sua famiglia,” osservò Tek divertito. “Però questo mi fa pensare… potremo fare un piccolo concorso e premiare i lavori più belli?”
Krystel esitò. “Non mi piace l’idea di metterli in competizione caro… alcuni potrebbero vederlo come uno stimolo, ma altri come una vera e propria guerra.”
I drow si girarono istintivamente verso tre teste bionde e una castana; i fratelli Honeycomb stavano lavorando l’argilla… a modo loro.
Randall e Rupert si stavano contendendo una mostruosità fatta da due blocchi semi-lavorati spiaccicati assieme mentre Stedd se ne stava a distanza a sghignazzare, lanciando occasionali palline di argilla sulla testa del più piccolo. In mezzo come sempre c’era l’unica femmina del gruppo, Dora, che tentava di separare i contendenti a strilli impotenti.
Ricry e il resto dei bambini gli stavano ovviamente alla larga.
“Vado a separarli?” si offrì Amber con l’aria di chi lo chiedeva più che altro per dovere.
“Randall l’ultima volta ha provato a mordermi e Rupert, che probabilmente voleva difendermi, mi ha tirato un pugno nei testicoli…” Tek aggrottò le sopracciglia. “Io eviterei. Prima o poi si calmano.”
“Beh io le palle non le ho, ma posso prendere a calci le lor…”
“Tranquilli,” si intromise Krystel con un lungo sospiro. “Ci penso io.”

La drow aveva ospitato tanti bambini nella sua locanda nel corso degli anni, a volte persino tre generazioni di fila e quindi era avvezza all’esuberanza dei giovani umani… tuttavia gli Honeycomb erano un caso a parte.
Erano volatili come farina. Bastava un innesco da nulla, una parola, un’occhiata, per farli incendiare.
Fortunatamente quegli scoppi erano per la maggior parte rivolti all’interno della loro piccola e serrata cerchia familiare e non verso gli altri ragazzini, cosa che rendeva quasi innocua la loro presenza alla locanda.
Era comunque poco piacevole averci a che fare quando, come in quei giorni, erano nervosi come gatti bagnati.
“Che sta succedendo?” domandò rendendo nota la sua presenza proprio mentre Randall afferrava Rupert per la collottola cercando di spingergli la faccia contro il blocco d’argilla.
Il bulletto si congelò sul posto. “Uh, niente Krystel, scherzavamo!”
“Mollami brutto troll!” ringhiò il minore, divincolandosi impotente.
“Smettiamo subito, scusaci!” esclamò Dora, infilandosi tra i due a forza. “Randall, lascialo, gli fai male!”
“Levati di mezzo Dora!”
“Randall? Fa’ un passo indietro per favore.”
Il ragazzino fissò Krystel con rabbia, come se gli avesse tolto un gioco di mano, ma obbedì.
La drow lo guardò paziente. “Perché sei così arrabbiato? C’è abbastanza materiale per tutti. Se hai bisogno di altra argilla basta chiedere.”
“No… cioè…” il ragazzino tentennò. “Quella che mi avete dato basta,” ammise.
“È che è così scemo che non ha idea di cosa farci!” cinguettò Rupert.
“Sta zitto, sfigato! Perché, a te è venuto in mente qualcosa?”
“Sicuro! Una bellissima effige di me stesso medesimo!”
“Ah! E chi la vorrebbe? Mamma la butterebbe di sicuro nel camino!”
“Non è vero!” esclamò Dora con convinzione un po’ troppo enfatica. “Mamma non butterebbe mai qualcosa di Rupert nel camino!”
“Allora papà! Lo odia perché è un debole sfigato!”
“Smettila, non è vero!”
“Non me importa niente! Siete voi i deboli sfigati!”
“Rupert!”
“Non te sorellona eh, loro!”
"Vabbè, tanto ‘sta roba è una perdita di tempo, perché vi agitate tanto?” osservò Stedd, continuando svogliato a fare palline.
“Pensi che imparare a lavorare l’argilla per farne utensili e oggetti decorativi sia una perdita di tempo Stedd?” domandò Krystel premurandosi di suonare un po’ severa.
Stedd arrossì. “No, non dico questo… solo che noi ‘sta roba mica la sappiamo fare, verrà uno schifo e mamma perché dovrebbe mettersi degli oggetti di merda in casa?”
“Perché li avete fatti voi,” ribatté Krystel e con una punta di sorpresa e tristezza notò come tutti e quattro i fratelli le rivolsero uno sguardo perplesso.
La gratitudine di un genitore nel ricevere un regalo dal proprio figlio, per quanto imperfetto…
Per loro non ha senso.

“Potrebbe essere carino se faceste qualcosa con le vostre mani e glielo portaste in regalo quando tornerete, no?” tentò di spronarli. “Cosa potrebbe piacerle?”
Dora fu la prima a reagire. “Potremo farle… ecco, dei piatti? Sì, i piatti servono sempre.”
Krystel annuì incoraggiante. “Dei piatti decorativi?”
“No, per mangiarci dentro,” ribatté confusa la bambina. “Ne rompono tanti, mamma si lamenta sempre.” Esitò. “È… è un’idea stupida? È che sono più semplici da fare che sculture o brocche o cose simili.”
“No, è un’ottima idea,” la rassicurò Krystel, pensando che in quella famiglia c’era un evidente problema di pragmaticità congenita. “Che ne dite ragazzi? Sono sicura che i vostri genitori li gradirebbero molto.”
I tre maschi Honeycomb si strinsero le spalle ma non si ribellarono all’idea; era evidente che nessuno dei tre fosse entusiasta, ma ora che Dora aveva un piano si piegarono alle sue direttive e al conseguente, equo, porzionamento dell’argilla.
In una manciata di minuti furono tutti e quattro con le teste chine sui propri lavori.
Krystel sfilò di fianco alla bambina, che le scoccò uno sguardo così denso di gratitudine e sollievo che fu inevitabile farle una carezza sui capelli, in un moto d’affetto che di norma non usava con i ragazzini dell’inverno; le erano cari, ma non voleva dar loro troppa confidenza. Passando tanti mesi alla locanda sotto le sue cure non voleva rischiare di sostituirsi ai genitori.
Aveva però sempre avuto un debole per i passerotti con un’ala ferita… e quella povera bambina in quella figura retorica ci cascava con tutte le scarpe.

Il giorno dopo i lavoretti erano pronti, tutti in fila su una delle lunghe panche della sala. Ciascun bambino controllò il proprio operato, ma dato che era spuntato un timido sole, molti preferirono rimandare le decorazioni ed uscirono fuori nell’aia a giocare.
I fratelli Honeycomb non fecero eccezione, anche considerando che i loro piatti sarebbero rimasti disadorni. Solo Dora rimase e chiese il necessario per dipingere.
Tek’ryn, che si era assunto il compito di sorvegliare l’attività, notò che la bambina era tutta rattrappita sul proprio lavoro, come se tentasse di nasconderlo agli altri. Quando incuriosito tentò di capire cosa stesse decorando - non era il piatto su cui aveva lavorato il giorno prima - gli venne lanciata un’occhiata impanicata.
Il ragazzo, intuendo che era qualcosa che Dora non voleva mostrare al mondo, decise di lasciarle la sua privacy e si spostò verso il bambino successivo.

Non era difficile accorgersi quando un piccolo umano ti pedinava.
Specialmente se eri una strega e il piccolo umano in questione era uno degli Honeycomb, mediamente rumorosi come una batteria di coperchi.
Anche se Dora la tallonava a distanza, più che pedinarla, dato che non si stava preoccupando di occultare la propria presenza.
Krystel entrò in cucina - perché comunque era lì che si stava dirigendo - e aspettò che la bambina la raggiungesse.
“Hai bisogno di me tesoro?” le domandò quando questa sgattaiolò dentro.
“Uhm, sì… volevo darti una cosa.”
Dora tirò fuori dalla tasca del vestito di lana un involucro di stoffa e glielo porse. Krystel lo prese incuriosita e lo svolse: dentro c’era un piccolo sole dipinto di giallo ocra fatto di argilla.
“E questo quando lo hai fatto?” domandò stupita: l'aveva vista lavorare ad un piatto come gli altri fratelli…
Però in effetti il suo era più piccolo di quello degli altri.
Aveva sospettato che la bambina avesse donato parte della sua argilla a Randall, ma evidentemente si era sbagliata.
“Assieme al piatto! Poi l’ho dipinto il giorno dopo. Però non è venuto tanto bene, è la prima volta che lavoro l’argilla… comunque è .. è un regalo per te. Per ringraziarti.”
“Di cosa tesoro?”
“Beh… di essere paziente con i miei fratelli e di ospitarci.”
“Non abbiamo già fatto questo discorso?” le ricordò con un sorriso rassegnato. “I vostri genitori mi pagano in miele e formaggio per tenervi qui. Non è carità.”
“Però è buon cuore,” osservò la bambina, arrossendo fino alla punta dei capelli, dato che non era abituata a contestare le parole degli adulti. “Facciamo un sacco di casino e lo so che papà ti dà poca roba
sono io che la preparo.”
Krystel sospirò, scuotendo la testa. Meglio cambiare strategia. “Ma quindi è un pagamento?” la stuzzicò.
Dora aggrottò le sopracciglia. “No!” stabilì. “L’ho fatto pensando a te! Quindi è un regalo!”
“Oh, allora sì, se è così posso accettarlo. È molto bello,” la lodò. Poi se lo rigirò tra le mani, analizzandolo. “Un sole dai colori brillanti… e vedo che hai lavorato con molta cura i raggi, quindi è un sole che scalda. Ce n’è proprio bisogno con questo tempaccio. Molto azzeccato.”
Dora si illuminò. “Ti piace davvero?”
Krystel esitò: con bambine affamate di approvazione e tenerezza materna come Dora bisognava sempre selezionare con cura le parole. Il rischio che la sovrapponessero alla madre era molto più concreto che con altri bambini, che avevano genitori che non li facevano sentire costantemente in debito.
…però Krystel in fin dei conti non era un’educatrice. Era una locandiera, una strega… ma soprattutto era una mamma.
Quindi rispose al sorriso e le fece una carezza. “Certo… e ti dico di più. Lo appenderò con un nastro vicino alla mia finestra. Così quando torneranno i giorni di pioggia lo guarderò e mi tirerà su di morale.”
Dora annuì raggiante. “Il sole tira sempre su di morale anche me!”
“Vero? E a proposito di sole… fila a prendertene una bella scorta fuori con gli altri!”
“Vado!” la bambina corse via con un impeto allegro piuttosto inusuale per lei.
Krystel sorrise. Decisamente, prima di tutto, era una mamma.
   
 
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