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Autore: Evali    15/11/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Flagello di Dio
 
 
- Dove state andando? – quella voce familiare lo riscosse. Blake si voltò verso la sua fonte, cessando di riporre dentro il sacco qualche provvista per una colazione improvvisata.
Era appena l’alba.
Padre Craig lo guardava dall’imbocco del corridoio, evidentemente appena svegliatosi, attendendo che il ragazzo rispondesse alla sua domanda.
- Alla galleria – gli rispose lapidariamente Blake, dandogli nuovamente le spalle e continuando a porre dentro la sacca qualche mela matura e un grappolo d’uva.
 - Così presto?
- Ci vado spesso verso quest’ora.
- Judith dorme ancora?
A tale domanda, Blake si voltò verso di lui, scrutandolo a distanza. – Judith se ne è andata. È tornata a vivere alla cattedrale, oramai da giorni.
- Davvero…? Non me ne sono accorto. Aveva iniziato a vivere qui e-
- Certo che non ve ne siete accorto: nell’ultima settimana siete rincasato solamente a tarda ora, trascorrendo tutta la giornata fuori casa, evitandoci in ogni modo – il tono di Blake era meno accusatorio di quanto potesse sembrare, ma per padre Craig equivalse comunque ad una pugnalata allo stomaco. – Non vi siete nemmeno reso conto che Judith non vive più qui – aggiunse il ragazzo, continuando a fare quello che stava facendo, placidamente.
- Come mai è tornata alla cattedrale? Avete discusso?
- Niente affatto. Tutt’altro: doveva parlare con i monaci, doveva affrontarli, riguardo la mia relazione con lei, per non scappare più da loro.
- Dunque è riuscita a confessare ai monaci di voi due? Come l’hanno presa? – padre Craig avanzava sempre di un passo, ad ogni domanda che gli porgeva.
- L’hanno accettato. È riuscita a convincerli a darci la loro approvazione – Blake si limitò a dire solo l’essenziale, come se non vedesse l’ora che quella conversazione giungesse al termine.
- Ne sono felice – rispose il giovane prete, arrivando ad un metro di distanza dal ragazzo.
- Ditemi – disse Blake, voltandosi ancora nella sua direzione. – Come avete passato tutte le vostre giornate, quest’ultima settimana?
Non avrebbe avuto senso mentirgli, pensò padre Craig. Tanto valeva essere sinceri, una volta tanto. - Alle cripte dissotterrate. E alla tomba provvisoria di Folker. A pregare. E a pensare – rispose, scrutando lo sguardo del ragazzo dinnanzi a sé. Blake aveva delle occhiaie scure sotto gli occhi, e attendeva che il prete continuasse a parlare. – Avevo bisogno… di allontanarmi da voi – ammise Craig, abbassando lo sguardo.
Calò un lieve silenzio tra loro.
- Ed è servito? – gli domandò infine Blake. – È servito a qualcosa, starci lontano? – il suo tono era sincero, privo di risentimento.
Anche a quella domanda, rispose sinceramente. - No – disse rialzando lo sguardo su di lui, e fu come se, quell’unica verità, avesse ripagato tutte le bugie che gli aveva detto sino a quel momento.
Blake non disse niente, ricambiando lo sguardo per un po’, poi gli si avvicinò di un passo. – Ho saputo cosa vi è accaduto la notte dei festeggiamenti, mesi fa. Con Beitris.
Padre Craig impietrì.
Blake aveva visto Beitris.
Beitris gli aveva raccontato ciò che era successo.
Come aveva potuto fargli questo, Beitris…?
Ma nel volto statuario del ragazzo non vi era traccia di compatimento, né di disgusto, né tanto meno di sdegno. – Deve essere stata dura, per voi… venire a scoprire una cosa simile, venire a scoprire di aver violato il vostro voto di castità mentre non eravate in voi – disse solamente, con un accenno di tristezza nella voce.
Blake era triste, per lui.
- L’ho accettato – gli rispose, con un accenno di voce. – L’ho accettato da tempo.
Blake annuì in risposta.
- A proposito di Beitris… - riprese il giovane prete. – Ho saputo che l’esecuzione è fissata per oggi pomeriggio.
- Esatto – rispose Blake allungando la mano per prendere il suo sacco con le provviste all’interno.
- Quanto tempo pensate di rimanere là sotto, a scavare? – gli domandò padre Craig. – Le provviste vi basteranno?
- Dovranno bastarmi solo per la mattinata. All’ora di pranzo saremo già fuori, io e gli altri scavatori. Sarò fuori, per essere presente all’esecuzione di Beitris. Io devo essere presente.
- Tuttavia, è previsto un temporale, nel pomeriggio. L’esecuzione al rogo dovrebbe essere rimandata, dato che pioverà – espose i suoi dubbi il giovane prete.
- Non verrà rimandata, in quanto non sarà un’esecuzione al rogo. Il fuoco non toccherà Beitris.
- Non capisco cosa intendete…
- Lo capirete oggi pomeriggio, quando assisterete all’esecuzione – concluse il ragazzo.
- Blake – lo richiamò, prima che si dirigesse verso l’uscita della casa. Una casa ancora silenziosa, macchiata solo delle loro due voci.
- Cosa c’è?
- Non voglio essere in lotta con voi.
- Voi non siete in lotta con me. Non lo siete mai stato.
- Non pensate che io non approvi il vostro rapporto con Judith. Tutt’altro, ne sono felice. Mi sono allontanato da voi solo perché sono accadute sin troppe cose ultimamente, eventi funesti, che hanno messo a dura prova la mia fede. Avevo bisogno di riavvicinarmi a Dio – disse, sapendo di star dicendo la verità solo in parte. – Ho pregato anche per il ritorno di Quaglia.
- Avete fatto bene. Pregate per lui, voi che potete.
Ad ogni modo, non dovete giustificarvi, né scusarvi di nulla. Io non l’ho fatto, quando mi sono rinchiuso dentro la fucina per una settimana, senza lasciare entrare nessuno.
Allontanarsi da qualcuno non è sempre sintomo di distaccamento, bensì anche del desiderio di riflettere, di far del bene, tramite una lontananza emotiva ragionata – lo disse sia al giovane prete, che a se stesso, sapendo di dover essere il primo a capirlo. E, forse, anche per Quaglia era stato così. Egli sapeva quello che stava facendo. E Blake si fidava di lui. – Non sono in lotta con voi – ripeté poi, accennando un lieve sorriso, che contagiò padre Craig.
Ora che lo vedeva vestito con abiti semplici da paesano, lì davanti a sé, gli sembrava un giovane uomo esattamente come lui.
Oramai erano settimane, forse mesi, che non indossava più la tunica monacale. Tuttavia, il suo crocefisso, quello lo indossava sempre, appeso al collo.
Blake si avviò verso la porta, per poi fermarsi davanti l’uscio. – Che cosa vi ha detto il Creatore, quando lo avete pregato? – gli domandò improvvisamente, a distanza, sorprendendo padre Craig, il quale gli fissò la schiena, non sapendo cosa rispondergli.
- Credevo faticaste a credere che un dio possa comunicare con un uomo…
Credevo faticaste a credere in un dio, in generale… - rispose il giovane prete, scorgendo lo sguardo turbolento negli occhi del ragazzo, di profilo.
- Sono io a non crederlo.
Ma voi ci credete – spiegò egli. – Allora? Vi ha dato le risposte che cercavate?
- In parte – gli rispose padre Craig, udendo già il rumore di un tuono squarciare il cielo albeggiante, trasalendo. – Siete sicuro di voler andare alla galleria, con un temporale in arrivo…? Non potrebbe essere pericoloso?
- Non lo sarà, non temete. Ci vediamo oggi pomeriggio all’esecuzione, padre – disse il ragazzo, aprendo la porta di casa e uscendo.
- A oggi pomeriggio, Blake.
 
 
“La memoria è sempre stata un mio chiodo fisso, in questi ultimi mesi.
Di te ricordo il profumo dei tuoi capelli.
Il colore della tua giovane voce.
La consistenza della tua pelle.
La cadenza del tuo respiro regolare, durante il sonno.
Ricordo il tuo aspetto. Il tuo sorriso. Il tuo broncio. I tuoi occhi illuminati dal fuoco e dalle lampade.
È questo che dovrebbe ricordare un padre, di suo figlio, no?
È questo.
Dunque, ricordo già tutto ciò che mi serve.
Anche se vorrei ricordare molto, molto altro, di te.
Non rimembro come ci siamo lasciati prima che tu partissi. Se abbiamo litigato o se ci siamo salutati con un sorriso sulle labbra.
L’unica cosa che so è che, anche se ora sono un uomo diverso rispetto a prima, so per certo che non ho mai voluto che partissi, lontano da me.
Un padre non potrebbe mai volere che un figlio se ne vada.
Lo sto sperimentando solo adesso, man mano che cerco di ricordare sempre più cose, più dettagli di te.
E so per certo, Ruben, che tu sei l’unica cosa che non rimpiango della mia vita passata.
Ma so che ci rivedremo, e quando ci rincontreremo, avremo tutto il tempo del mondo a disposizione, per raccontarci tutto ciò che abbiamo vissuto stando lontani.
Vorrei poter sapere dove sei, dove il tuo esercito ti ha mandato.
Prego che tu sia ancora vivo, anche se non so esattamente chi pregare, dato che io, al contrario di Philippus, non riesco a credere in nessun dio, ancora.
Tutto ciò che voglio dirti ora, Ruben, è che mi serve urgentemente il tuo aiuto, figlio mio.
In questi ultimi mesi, mi sono ricostruito una vita, una nuova vita, in un villaggio chiamato Bliaint.
Si tratta di un villaggio dalla fama particolare, di cui sicuramente avrai sentito parlare, isolato dagli altri.
Al momento, tale villaggio è in grave pericolo.
Rischia di essere raso al suolo da un esercito straniero.
Le truppe di tale esercito sono già vicine a Bliaint, al momento sono loro prigioniero perché sono andato loro incontro, cercando di rallentarli.
Non so se i miei tentativi di dissuaderli serviranno a qualcosa, ma sto cercando di prender tempo come posso.
So che la mia richiesta ti sembrerà strana, Ruben, ma ti chiedo di venire in nostro aiuto.
In quel villaggio vivono delle persone a cui tengo molto, che mi hanno letteralmente salvato la vita.
Persone che desidererei farti conoscere.
Il motivo per cui quel conte straniero, che chiamano Agloveil, vuole invadere Bliaint, è quantomai sciocco e insensato.
Sono certo che i motivi per i quali ti sei voluto unire all’esercito sono nobili. Riesco a ricordarli, soffusamente, ma ci riesco.
Questa è certamente un’impresa nobile, che ti permetterebbe di proteggere un villaggio privo di difese, privo di un esercito proprio, colmo di donne, bambini, ragazzi indifesi.
Se hai anche solo un briciolo di potere, all’interno dei tuoi ranghi… convincili a combattere per noi, figliolo.
Convincili a combattere per Bliaint.
Se ti serve una pietra di scambio da poter presentare ai tuoi generali, per trattare, dì loro che il sottosuolo di Bliaint è colmo di gemme preziose, rarissime, che si trovano solo lì.
Potreste riforgiare i vostri armamenti mille volte, con tale quantità di gemme e pietre preziose.
Dovunque tu sia, ragazzo mio, anima mia… rifletti sulle mie parole.
E prendi la tua decisione.
Se accetterai la mia proposta, ti rivedrò molto presto.
Ed è questo uno dei principali motivi che mi spinge a scriverti: voglio rivederti. Voglio conoscerti, di nuovo, anche se già ti conosco.
Sei una parte di me che non vorrei mai e poi mai lasciare indietro, eliminare dalla mia vita.
Ti rivoglio con me. O, per lo meno, voglio avere la possibilità di rivederti.
Poi, potrai decidere tu cosa fare del tuo futuro, Ruben.
Se vorrai continuare a combattere, lontano da me, non ti fermerò, anzi, ti appoggerò.
Ti appoggerò sempre. Qualsiasi scelta farai. Anche se dovessi decidere di ignorare la mia lettera. Ti amerò comunque, ad ogni costo.
Spero che questo messaggio ti giunga, in qualche modo.
C’è un corvo che mi fissa dalla finestra da giorni. Ho la sensazione sia incantato, e che lo mandi qualcuno da Bliaint. Forse sanno quello che sto cercando di fare. Per questo ho fiducia che questo messaggio ti giungerà.
Spero che tu stia bene, Ruben.
Darei la vita per sapere se stai bene.
                                                                                                                     Con amore,
                                                                                                   Tuo padre, un tempo Philippus”
 
 
Ephram camminò velocemente per il bosco, giungendo al confine, un luogo che stava visitando sempre più spesso, ultimamente.
Oramai conosceva ogni suo passo sull’erba a memoria, ogni fruscio degli alberi, ogni suono dell’acqua del torrente.
Giunse dinnanzi a quella sottile linea invisibile di demarcazione, chiuse gli occhi e si concentrò, per carpire le energie provenienti dall’esterno.
La palla di vetro ai suoi piedi, intanto, si animò, divenendo luminosa.
Myriam era esattamente dietro di lui, e lo osservava in attesa. – Hai qualche notizia?? – gli domandò.
Dopo un tempo che parve infinito, lo stregone riaprì gli occhi, ma non si mosse dalla sua postazione. – C’è riuscito – disse solamente, facendo emergere tutta la propria soddisfazione nella voce.
- Cosa?? Che vuol dire “c’è riuscito”?
- La mia magia ha funzionato, la lettera gli è giunta una settimana fa, non appena il mio corvo l’ha presa dalle mani di Quaglia.
Lui l’ha letta ed è riuscito a convincere il suo comandante a partire, a venire fin qui per aiutarci, con le sue truppe!
Ha impiegato una settimana per convincerlo, ma alla fine ce l’ha fatta!
Sapevo che quel ragazzo ci avrebbe dato soddisfazioni!
- Stai parlando di Ruben, il figlio di Quaglia??
- E di chi sennò?
- Stai parlando sul serio?? Verranno ad aiutarci davvero?? Combatteranno per noi contro l’esercito del conte???
- In cambio di gemme, sì! – confermò Ephram, voltandosi a guardarla, ricambiando il suo sorriso. - Tuttavia, per quanto tutto questo sia sin troppo bello da credere… potrebbero non arrivare in tempo.
- Cosa intendi? – domandò la strega.
- Partiranno oggi. Dall’Asia orientale.
Myriam impietrì. – L’Asia orientale…? È dall’altra parte del mondo!
- Lo so. Erano lì da un anno, in spedizione.
- Come sai tutte queste cose su di lui? Riesci a vederlo?
- No, non riesco a vederlo – le rispose, ponendo nuovamente le braccia in avanti verso il confine, e concentrandosi, per carpire quanta più energia potesse. – Ma posso sentirlo. Riesco a sentire la sua energia, i suoi movimenti. Se riuscissi a concentrarmi completamente, potrei persino capire cosa sta facendo in questo momento. È in gamba – le disse, per poi rivolgere gli occhi al cielo e allargare le braccia. – Mio Signore, Dio degli Inferi, Padre e Padrone di diavoli e arpie, concedimi il potere di proteggerlo a distanza, per far in modo che il suo viaggio proceda spedito e nel migliore dei modi, senza ostacoli; fa’ che egli giunga qui il prima possibile, per fornirci tutto l’aiuto che ci serve, per tenere gli invasori stranieri lontani dalla tua terra sacra e dal tuo popolo, Mio Signore. Egli non è uno dei tuoi figli, tuttavia, possiede il potere di salvarci tutti, dunque, ti prego, anche se egli non crede in nulla, anche se non crede in te, proteggilo sotto la tua ala. Permettimi di pregare per lui, per un fanciullo che non crede in niente – terminò la sua supplica lo stregone, tornando in posizione eretta, sotto lo sguardo scrutante di Myriam.
- Quaglia sta riuscendo nell’impresa di trattenere le truppe del conte, invece? – domandò ella.
- Per ora sì. Non so ancora per quanto. La traversata di Ruben e dell’esercito che porta con sé durerà almeno cinque settimane.
- Cinque settimane. Sono grossomodo le settimane che mancano a Judith per partorire – commentò tra sé Myriam, non rendendosi conto di averlo detto ad alta voce.
- E questo cosa c’entra?
- Sembra quasi un segno.
- Ad ogni modo, ci serve un ulteriore piano, per prendere tempo con i monaci – decretò Ephram.
- Che tipo di piano?
Lo stregone le si avvicinò, fronteggiandola. - Sei cosciente del fatto che, se i monaci dovessero avere la certezza che l’esercito del conte stia giungendo qui da Carbrey, farebbero giustiziare al rogo Blake prima che se lo vengano a prendere, vero?
- Sì, lo so. A quel punto, né la mia mediazione, né quella della loro pupilla sarebbero sufficienti. Cosa suggerisci?
- Un diversivo. Un ribaltamento dei poteri. Una rivoluzione.
- Non si può istigare una rivoluzione dal nulla, Ephram. Beitris ci ha già provato e guarda dov’è finita.
- Beitris non è me.
- Cosa intendi fare…?
- Le basi ci sono tutte, Myriam: un cuore spezzato, decine di anime distrutte dal dolore, malcontento dilagante nei confronti della classe dominante del villaggio, insofferenza nei confronti della tirannia. Pensaci bene. Abbiamo il legno e abbiamo ossigeno in abbondanza: ora dobbiamo solo accendere il fuoco.
Myriam sgranò gli occhi scuri, realizzando. – La tragedia dei due amanti suicidi… la mancata sepoltura… vuoi aizzarli tutti contro di loro.
- Non sarò io ad aizzarli, sono già aizzati. Quello che serve loro è solo una spinta. Ed è esattamente ciò che avranno da me. Stavolta non saranno solo gli stregoni eremiti a rivoltarsi contro i monaci, Myriam. Saranno tutti i servi del Diavolo di Bliaint.
- Il Signore potrà anche non averti graziato con l’umiltà, Ephram, ma di certo ti ha donato audacia e astuzia in abbondanza – si complimentò lei, poco prima che un assordante tuono squarciasse il cielo sopra di loro, interrompendola.
Myriam alzò il volto al cielo, mentre un pensiero le tornava alla mente. – Oggi pomeriggio ci sarà l’esecuzione di Beitris. La nostra Beitris.
- Lo so – le rispose lui, dandole nuovamente le spalle.
- Ci sarai?
- No.
- Non credo alle tue parole. È Beitris, Ephram.
- Ti risulta così strano che io non abbia desiderio di guardarla morire?
- Non si tratta solo di questo. Blake e Judith hanno intenzione di proporre una riforma al sistema di esecuzione dei condannati, quest’oggi. Sperimenteranno questo nuovo sistema proprio su Beitris, per prima – lo informò.
- Di che sistema si tratta?
- C’entra la polvere nera…
- Ora si spiega tutto.
- Selma era categoricamente contraria all’uso della polvere nera, in qualsiasi circostanza. Tuttavia, Blake potrebbe esser riuscito a dominare quell’arma letale, a farne qualcosa di buono, facendone uno strumento di morte indolore – continuò Myriam.
- Se il loro scopo è far cessare i roghi e trovare un metodo più indolore per mettere fine alla vita dei condannati, basterebbe proporre di farli sgozzare o impiccare, come fanno in molti altri villaggi.
Nell’udire tali parole, Myriam volle rimangiarsi il semi-complimento che gli aveva fatto qualche minuto prima. - E tu credi che i monaci lo permetterebbero? – gli rispose a tono. - Per sostituire il rogo, serve un sistema che abbia eguale “efficacia”, dinnanzi al Creatore e al Diavolo, per lo meno dinnanzi agli occhi dei monaci.
Le fiamme del rogo servono a purificare le anime dei peccatori, nel momento della morte.
La polvere nera, anche se in modo diverso, deriva dal fuoco anch’essa.
Viene chiamata “Flagello di Dio” per un motivo: ne parlano tutti come fosse uno strumento ultraterreno, più vicino agli dèi che agli uomini. Dunque, sarebbe una valida sostituta al rogo, in quanto a valore simbolico.
Serve il fuoco per lavare via i peccati? Bene, lo avranno in ogni caso, con la polvere nera, ma, al contempo, i condannati non patiranno le pene dell’inferno nel passaggio all’aldilà.
- Tu cosa credi?
La strega sospirò in risposta. – Voglio sperare che sia davvero così e che andrà tutto bene: non vorrei mai vedere la mia amica, la nostra compagna, strillare come un animale, mentre la sua carne viene consumata dalle fiamme. Preferirei che morisse in qualsiasi altro modo, che non sia il rogo.
Ephram voltò nuovamente il viso verso il cielo grigio e tonante. – Lo spero anch’io.
 
 
Blake diede un’occhiata al cielo sopra di sé, mentre il vento turbolento gli scompigliava i capelli e muoveva i vestiti.
I primi scavatori iniziarono ad uscire dalla galleria, per dare il cambio a quelli dopo, trovandosi invasi da un vento umido e pioggerellante, che aveva iniziato ad imperversare all’esterno. – Da dentro non si sente nulla – affermò uno di loro, raggiungendolo. – La buca è profonda, non c’è pericolo. Abbiamo già affrontato piogge mentre eravamo là sotto, in passato – continuò l’uomo, incoraggiando i più scettici, mentre si sfilava il fazzoletto che gli copriva la bocca.
Gli scavatori pronti per entrare dentro la galleria si voltarono a guardare Blake, tra loro. – Voi cosa ne pensate? Senza un vostro ordine non scendiamo là sotto.
Blake guardò l’uomo che gli aveva posto la domanda, incontrando gli sguardi in aspettativa di tutti gli altri scavatori. – Alaric ha ragione. Avete già affrontato tempeste peggiori di quella che è prevista per il pomeriggio. E, in ogni caso, saremo fuori di lì già in mattinata, perciò non temete – decretò, legandosi il fazzoletto intorno alla bocca, per poi afferrare una delle lampade in mano, e dirigersi verso l’entrata della galleria.
Una volta entrato dentro, il silenzio di quel buco nero lo invase. Un silenzio macchiato solamente dal rumore dei numerosi picconi, il quale, tuttavia, era una litania fissa nelle orecchie del ragazzo.
Si mosse con abilità dentro quel labirinto scuro, illuminato saltuariamente dalla luce delle varie piccole lampade che reggevano in mano le dozzine di scavatori lungo la via.
L’aria era stantia, marcia, velenosa, come lo era sempre.
Proseguì, superando tutti gli altri, fin quando non si trovò dinnanzi ad uno dei più recenti ritrovamenti: un piccolo giacimento di lapislazzuli.
Poi svoltò verso la direzione che ricordava con certezza, quella che percorreva più spesso: in fondo al sesto tunnel sulla destra, un’altra diramazione a destra, in quella zona quasi inesplorata.
“Galena” avevano deciso di chiamare quel minerale, quella pietra che lo attraeva tanto.
Era l’unico su cui quella pietra suscitava un fascino così sinistro e imprescindibile.
Gli altri erano attratti più dai colori sgargianti, fluorescenti o luccicanti, come tutti gli uomini, classicamente ammaliati da tutto ciò che somigliava all’oro.
Blake era l’unico che trovava innatamente affascinante quel minerale scuro, dal colore spiccatamente metallico, grigio-bluastro. Per tale motivo, trovarne un giacimento proprio recentemente, era stata una vera benedizione per lui: avrebbe potuto studiarla più da vicino, ne avrebbe avuta in grandi quantità, per farvi tutte le sperimentazioni che desiderava.
Sfiorò la superficie di quel minerale con la punta delle dita.
- Mio signore, dovreste indossare dei guanti mentre toccate quella pietra, non è stata ancora accertata la sua tossicità – lo riscosse uno degli scavatori, giungendogli alle spalle, sfilandosi i propri guanti e porgendoglieli.
Blake sapeva bene fosse più sicuro indossare dei guanti, d’altronde era stato egli stesso a predisporre di far utilizzare dei guanti a tutti coloro che scendevano in quel buco, dopo la morte di suo padre.
Tuttavia, era pur sempre abituato a saggiare con mano la consistenza di ogni metallo, cristallo o minerale, per riconoscerne le caratteristiche, e percepirne l’essenza, l’energia.
- Tienili tu – rifiutò gentilmente il paio di guanti offertigli e continuò nella sua esplorazione di quell’ipnotico minerale.
Il tempo trascorse velocemente, e più il vento umido soffiava implacabile, più regnava il totale silenzio all’interno.
Benché le pareti di terra fossero ben salde sopra di loro, si verificò una piccola frana, di poco spessore, all’improvviso.
- Che strano, non era mai successo, nelle ultime settimane – commentò Blake, e gli scavatori che erano con lui non poterono che dargli ragione.
- Forse dovremmo uscire di qui. Non è mai un buon segno quando si verificano piccoli crolli, è sempre il preludio a crolli di maggiore entità – propose uno di loro, alzando la lampada.
I suoi uomini si stavano facendo prendere dal panico, considerando come fosse finito l’ultimo crollo interno, avvenuto pochi mesi prima. Blake poteva ben comprenderli e non voleva far correre loro alcun rischio.
Tuttavia, quel piccolo crollo improvviso era stato strano.
Davvero strano.
- D’accordo, andate, uscite di qui. Penseremo domani a rinsaldare la resistenza delle pareti – disse loro, vedendoli acconsentire sollevati, e dirigersi ordinatamente verso l’uscita di quella diramazione.
Erano ancora lontani dall’uscita vera e propria, eppure si stavano verificando altri piccoli crolli, sparsi qua e là, i quali stavano allarmando tutti in poco tempo.
Blake era l’ultimo della carovana, e osservava il panico diradarsi tra tutti gli scavatori dinnanzi a lui.
- Mantenete la calma! – disse a gran voce. – Se vi agiterete in tal modo consumerete solo ossigeno.
Poi, all’improvviso, fu bloccato da una voce distante e soffusa, simile a quella della mandragora, che l’aveva richiamato mesi prima.
“La vita è solo dei viventi”
Si voltò indietro, illuminando l’ambiente circostante, come ipnotizzato da quella voce, seppur lucido.
- Blake, andiamo! Affrettati! – lo richiamò uno degli scavatori, con urgenza.
Era rimasto alcuni passi dietro tutti gli altri, così l’uomo stava tornando indietro per riscuoterlo, prenderlo con sé e farlo uscire di lì.
- Sto arrivando – gli rispose distrattamente, ancora attirato da quella voce, dalla fonte sconosciuta.
- Blake!
- Sto arrivando…
Un’improvvisa frana gli piombò dietro la schiena, prima che riuscisse a rendersene conto, coprendo totalmente la voce dell’uomo reale che stava cercando di raggiungerlo.
Il ragazzo si voltò e ritornò alla realtà, scontrandosi con l’amara concretezza della sua tremenda situazione: era intrappolato. Intrappolato lì dentro, al buio, con poca aria, il pericolo di venire sepolto vivo da un’altra frana e nessuna possibilità d’uscita.
 
 
Era pomeriggio.
Beitris fu condotta fuori dalla sua cella dai monaci, alla luce del sole. O meglio, alla “luce” del cielo scuro, in balìa di tuoni e lampi.
Judith non era giunta da lei il giorno prima della condanna, per leggerle le parole del libro sacro e confortare la sua anima, come faceva con ogni prigioniero.
Per qualche motivo, non vi era riuscita.
Judith non vedeva Blake dal giorno prima, ma era certa che si sarebbe presentato lì, a breve.
Lo avrebbero fatto insieme, si sarebbero dati coraggio a vicenda.
Tutta la folla era già radunata dinnanzi al soppalco, pronta ad assistere ad un rogo che non avrebbe avuto luogo.
Era il primo rogo, dopo mesi.
Per questo la folla era molto più numerosa di quanto lo fosse solitamente, quasi tutto il villaggio era presente in quella piazza troppo piccola per contenerli tutti.
Tra i loro volti in aspettazione, Judith individuò padre Craig, Ambrose, Hinedia, e persino Naren.
All’appello mancavano i volti di Myriam e di Ephram, che Judith era convinta di vedere, in mezzo alla folla.
Probabilmente, avevano convenuto fosse meglio non assistere all’esecuzione della loro compagna e sorella.
Neanche Heloisa e Ioan erano presenti: entrambi avevano contratto una febbre di poca gravità, a detta del medico del villaggio, ma sarebbero dovuti rimanere a letto, specialmente con la minaccia di una tempesta imperversante.
Padre Craig le lanciava sguardi incoraggianti, come anche Hinedia.
Nessuno dei due sapeva realmente cosa si sarebbero dovuti aspettare.
Le mani di Judith tremavano, dietro l’imponente abito di velluto nero.
Beitris aveva la testa bassa, ed era stata trasportata sopra il soppalco, pronta per la “cerimonia” di esecuzione.
Judith deglutì rumorosamente, non riuscendo a credere al fatto che fosse finalmente giunto il giorno.
Il giorno di portare un cambiamento sostanziale alle leggi sadiche e retrograde del suo villaggio.
Aprì il palmo della mano, osservando attentamente la piccola sfera di ceramica che vi riposava sopra, a contatto col tessuto del guanto, colma di quella miscela mortale, calda come lava.
Era assurdo pensare che il famoso “marchingegno mortale” che aveva progettato con Blake, riuscisse a stare dentro il palmo della propria mano, per quanto piccolo.
Quell’oggetto sferico, grande quanto una grossa oliva, era lo strumento più pericoloso del mondo.
Tale consapevolezza, mista all’assenza di Blake, le fece attorcigliare lo stomaco.
Dove diavolo era Blake…? Avrebbero dovuto vedersi un’ora prima dell’esecuzione, invece del suo ragazzo ancora non vi era alcuna traccia.
E non sembrava l’unica a cercarlo con lo sguardo: Beitris si guardava intorno come un gatto spaurito, scandagliando le figure di tutti i presenti, in cerca dell’unico viso che pretendeva di vedere.
Ad ogni modo, in caso di un suo improbabile ritardo, Blake le aveva brevemente spiegato come fare.
Un ritardo impossibile, perché lui doveva esserci, era l’ideatore di tale strumento, l’unico che avrebbe dovuto farlo funzionare nel modo giusto.
E il solo fatto che fosse la prima volta che lo usavano, per togliere una vita umana, rendeva la presenza del suo creatore ancora più necessaria, al momento.
Perché Judith era la mente, la forma: la facciata formale che avrebbe permesso loro di annunciare quel cambiamento, con il benestare dei monaci e di tutto il villaggio.
Blake, invece, era il braccio, il corpo, la materia: senza le sue conoscenze e le sue competenze in campo alchimistico, quell’arma rimaneva solamente un’idea astratta, un sogno irrealizzabile.
Judith chiuse gli occhi, prendendo un bel respiro, e ripensando alle parole del ragazzo, pronunciatele la sera prima:
- Ne esiste una variante, usata ad Est, che chiamano “fuoco greco”, ma di cui non so molto – le aveva detto il ragazzo, strusciando via dalle coperte, rialzandosi in piedi e avvicinandosi alla sfera di ceramica che aveva poggiato sopra il tavolo. Judith lo guardava dal letto. Guardava il suo corpo e ascoltava la sua voce. – So solo che lo usano sia in battaglie navali che in assedi, e che lo lanciano con delle catapulte – continuò Blake, passandosi l’arma mortale da una mano all’altra. - Le catapulte lanciano anfore contenenti la miscela. Oppure, con i lanciafiamme.
- Cos’è un “lanciafiamme”? – gli aveva domandato lei. Non se ne intendeva di guerra, non aveva mai letto molto sull’argomento.
- Uno strumento che riesce a lanciare fuoco accompagnato da un forte suono e da una spessa nube di fumo – le rispose lui, riavvicinandosi al letto. - Equipaggiati con elaborati lanciafiamme, foderati in pelle di bovino, il liquido simile a lava fuoriesce sotto forma di un getto di fuoco, che dicono raggiunga metri e metri di distanza. La fiamma dura pochi secondi ma, se manovrata bene, è in grado di incendiare una nave intera. Forse ho capito come ci riescono: riscaldano il composto con un braciere, poi lo pressurizzano e lo lanciano sotto forma di getto infiammato attraverso una bocchetta.
- Affascinante. In tutto ciò, non mi hai ancora spiegato come si usa il nostro, di marchingegno – disse lei, alzando la testa dal cuscino, coprendosi le nudità con la coperta bianca, mentre lui le si riavvicinava e le poneva in mano la sfera di ceramica.
- Ah..! – si lamentò lei, presa alla sprovvista. – Brucia…
- Deve bruciare, per come l’ho pensata io. Se indosserai i tuoi abituali guanti, ti brucerà di meno – la rassicurò. – Non ti ustionerà, non preoccuparti, la ceramica non lo permetterà. Ad ogni modo, ci sarò io a farlo, con te, perciò non temere.
- Lo so, Blake. Ma se dovesse accadere qualcosa… qualsiasi cosa… voglio sapere come si usa.
- Allora te lo dirò. Però, prima, devi sapere che c’è un metodo, per capire se funzionerà, o se c’è qualcosa che non va – la ammonì in un sussurro. – Se la superficie della ceramica non scotta… allora è più saggio non utilizzarlo; significa che bisogna ripreparare la miscela. Finché scotta, come ora, ci saranno maggiori probabilità che funzioni.
- E com’è… che funziona?
- Una volta ingoiata, le sembrerà di aver ingerito semplicemente un the bollente, che le provocherà bruciore a tutti gli organi interni. Ma il dolore durerà solo un secondo. Il calore del corpo permetterà alla miscela di polvere calda come la lava di un vulcano, di sprigionarsi all’esterno, in un “botto” che finirà per ucciderla, nell’immediato. L’ho progettata per fare effetto ad una velocità tale, che la sua mente non si accorgerà neanche di cosa sta succedendo. Sarà morta in un battito di ciglia, senza spargimenti di sangue, né pezzi di carne ustionati e strappati dalle ossa. La quantità che ci ho messo dentro, e la composizione… la renderanno quasi indolore.
Judith ascoltò tutto con estrema attenzione, fissando poi quella sfera ardente tra le sue mani, turbata. - Com’è possibile? Che Dio abbia creato un’arma tanto formidabile e fuori controllo…?
- Non è stato Dio a crearla.
Sono stati gli uomini, Judith.
Judith riaprì gli occhi, come risvegliandosi da un sogno.
Osservò padre Thomas salire sul soppalco e alzare la fiaccola al cielo, prepararsi per appiccare il rogo, nonostante la minaccia della pioggia. Intanto, padre Petrit si accingeva a legare la condannata al palo.
In quegli ultimi giorni, aveva provato a convincerli in ogni modo.
Ma a nulla erano valse le sue parole.
Aveva provato a convincere i monaci con parole vellutate, e in seguito con urla e ordini.
Non li aveva convinti. Per quanto la morte tramite polvere nera potesse essere simile alla “purificazione” che offriva il contatto della fiamma sulla pelle viva, non bastava.
E Judith cominciò a pensare che loro ci godessero, ci godessero davvero a vedere bruciare al rogo i servi del Diavolo, a vederli strillare come demoni mentre gli si consumava la carne dalle ossa.
Forse la compagnia degli stregoni eremiti aveva ragione. Forse tutti avevano ragione.
Poi scacciò quelle malevoli insinuazioni e decise di dare loro un’ultima possibilità, il giorno stesso dell’esecuzione.
Non si era arresa. Li avrebbe convinti in quel momento stesso, dinnanzi a tutta la folla e, stavolta, avrebbe fatto di tutto, letteralmente di tutto, per convincerli a permetterle di uccidere Beitris con la polvere nera, rinunciando al rogo.
Per questo, a Blake aveva detto di aver già convinto i monaci, giorni prima.
Non vi era bisogno che egli sapesse, dato che, in ogni caso, Judith avrebbe forzato i monaci a lasciar far loro ciò che volevano, in un modo o nell’altro, quel pomeriggio stesso.
Non era tanto solo la pietà che nutriva per quelle anime condannate a spingerla in quell’impresa mastodontica, no. Era il desiderio di agire, di cambiare le cose e, in parte, anche di farsi valere, di lasciare un segno all’interno di quel villaggio.
Tremava. Tremava ancora, perché Beitris stava già venendo legata, Blake ancora non c’era e lei era sola, senza alcun sostegno. Avrebbe dovuto alzare la voce e fermare le mani di padre Petrit che stavano legando il corpo sfinito e martoriato di Beitris al maledetto palo, mentre il cielo tuonava e si lamentava.
Improvvisamente, la pioggia decise di palesarsi, tempestandoli violentemente di acqua dolce e salata.
Motivo per cui, i monaci si fermarono.
Non avrebbero potuto appiccare il fuoco, con la consapevolezza che la pioggia lo avrebbe spento un minuto dopo, ne era cosciente.
Quello era il suo momento.
Era come se il cielo le stesse mandando un segno, nonostante Blake ancora non ci fosse.
Poi, Judith notò del fermento tra la folla: due uomini, vestiti da scavatori, completamente imbrattati di terra dalla testa ai piedi, si stavano facendo spazio tra la gente, i volti allarmati e stravolti.
Solo vedendoli, Judith capì che vi fosse qualcosa che non andava.
Gli uomini si avvicinarono a padre Craig e gli parlarono concitatamente. Hinedia, che era vicino a lui, ascoltò tutto.
Judith vide palesemente il volto di padre Craig sbiancare, diventando ceruleo, nonostante la pioggia le limitasse la vista a distanza.
Il cuore le si fermò dentro il petto.
Blake.
È accaduto qualcosa a Blake.
Quella maledetta galleria non si smentiva mai.
Ma no, non le avrebbe permesso di portarglielo via.
La fanciulla venne riscossa dai suoi pensieri dalle braccia di padre Craig, il quale le si era avvicinato insieme ad Hinedia, e le stringeva le spalle coperte dal tessuto zuppo di pioggia.
- Judith… hanno detto che Blake è rimasto bloccato dentro la galleria, da una frana improvvisa.
È rimasto intrappolato solo lui, gli altri sono riusciti a scappare in tempo…
Stanno cercando di tirarlo fuori, ma non ce la fanno, il muro di terra sembra invalicabile.
È bloccato là sotto, Judith.
Le parole del prete le scivolarono nelle orecchie come se non potesse udirle davvero.
Immateriali, inconsistenti, inafferrabili.
Era rimasta immobile, sotto la sua presa, inerme, a fissare le sue labbra bianche e tremanti riferirle una notizia che non avrebbe mai, mai voluto udire.
- Judith…? Judith… ti prego, dì qualcosa…! – la riscosse il giovane prete, in assenza di reazioni della fanciulla.
- Da quanto…? – domandò solamente lei, sentendo la propria voce come estranea.
Hinedia la guardava preoccupata, più di padre Craig, e non si capiva se fosse più preoccupata per Blake bloccato là sotto, o per lo stato di Judith in quel momento.
- Che cosa…? – le domandò il giovane prete.
- Da quanto è rimasto bloccato là sotto…?
- Dicono da stamattina.
- Lui è bloccato là sotto da stamattina… ed io lo vengo a sapere solo adesso?! Per quale dannato motivo ce lo stanno riferendo solo ora…??? – domandò furente, tirando fuori una voce tremenda e agghiacciante, che riusciva persino a sovrastare il rumore della tempesta che sembrava voler squarciare la carne.
- Ti rendi conto che potrebbe essere già- si bloccò, non volendo neanche pronunciare quella atroce parola, non volendo nemmeno pensare a quella orrenda possibilità.
- No! – esclamò padre Craig, allontanandosi da lei come scottato. – Non osare dirlo! È vivo, Judith, e lo tireremo fuori! Costi quel che costi!
- Lo stiamo cercando da ore, padre… - intervenne lo scavatore che lo aveva informato. – Stiamo cercando di buttare giù la frana che ci separa da lui, da ore, e siamo in ventidue…
- È impossibile… è impossibile! – esclamò Hinedia, adirata a sua volta. – Perché non siamo stati avvertiti prima??
- Volevamo cercare di tirarlo fuori senza destare scalpore, né allarmare nessuno… ma, constatando che non riusciamo a trovarlo… abbiamo capito fosse meglio che lo sapeste.
I tre ammutolirono, fissando quell’uomo come se volessero scuoiarlo vivo.
Ma colei che aveva lo sguardo più spaventoso in assoluto, era la fanciulla dalla chioma cremisi.
- Vado a cercarlo io, Judith. Lo troverò, vedrai. Lo troverò! – padre Craig era certo delle proprie parole, e Judith lo era a sua volta, dato che, se non lo fosse stato, probabilmente si sarebbe tagliato la gola da solo, seduta stante. – Andrò alla galleria e lo cercherò ovunque!!
- Trovalo, padre. Conto su di te – gli disse, cercando di non agitarsi ulteriormente, percependo già i gemelli scalpitarle dentro come montoni.
Il prete le lasciò le spalle e raggiunse gli scavatori, affrettandosi a dirigersi in direzione della galleria, mentre la pioggia continuava a scagliarsi su di loro con rabbia.
- Cos’è stato tutto questo fermento…? – domandò padre Thomas, contrariato da tutto lo scompenso che l’arrivo di quegli scavatori trafelati aveva provocato tra la folla: genti che borbottavano tra loro, angustiati, non sapendo cosa stesse accadendo, domandandosi chi, questa volta, fosse rimasto bloccato in quel buco oscuro infernale. – Che cosa sta succedendo…?? – continuò padre Thomas, confuso da tutta quell’agitazione.
Judith tremò ancora. L’assenza di Blake non comportava solo una lacerante preoccupazione per lui, bensì anche qualcos’altro…: avrebbe dovuto farlo da sola.
L’idea di rimandare tutto e di recarsi a sua volta a cercare Blake, fornendo supporto morale agli scavatori, le attraversò la mente, martellandola costantemente, in quei minuti decisivi.
Probabilmente era sbagliato essere così affrettati.
Vi erano tutti gli elementi per rimandare quella dannata esecuzione: la tempesta, Blake bloccato dentro la galleria, Judith che non riusciva a ragionare lucidamente…
Era come se i Signori le stessero parlando, dicendole di non farlo, di rimandare.
Infondo, non le sarebbe costato nulla rimandare tutto: Beitris sarebbe vissuta un giorno in più, e Blake sarebbe stato ritrovato vivo, e avrebbe potuto essere presente anche lui all’esecuzione, come era giusto che fosse.
Tuttavia… doveva farlo. Doveva farlo quel giorno. Non poteva aspettare oltre.
Sentiva che, se avesse atteso… non l’avrebbe più fatto.
Perché quella polvere nera, nonostante fosse stata una sua propria idea, la spaventava comunque, come spaventava esattamente tutto il resto del mondo, che la chiamava “Flagello di Dio”, a ragione.
Non poteva lasciarsi prendere dalla paura.
Se non avesse mostrato coraggio lei, allora non avrebbe potuto mostrarlo nessuno.
Quando avrebbero ritrovato Blake… sicuramente lui non l’avrebbe perdonata a cuor leggero, per aver agito senza di lui, per aver rischiato in tal modo e averlo escluso in un giorno tanto importante.
Sarebbe stato difficile fargli capire i motivi che la stavano spingendo a fare comunque quello che si era proposta di fare, anche senza di lui.
Perdonami, mio amore.
Perdonami.
- Judith… - la voce di Hinedia la riscosse. La ragazza le stava stringendo i polsi, cercando di farla tornare alla realtà. – Judith, stai bene…?
- No – le rispose. – E tu?
Hinedia la guardò in silenzio, sapendo non ci fosse bisogno di parole.
Era ovvio che entrambe non si sarebbero date pace, fin quando Blake non fosse stato tirato fuori dalla galleria sano e salvo.
Lo sguardo complice che si scambiarono era un ennesimo segno del loro legame inscalfibile, e fu la spinta giusta che diede l’audacia a Judith di compiere quel gesto folle.
- Rimarrai al mio fianco, Hinedia? Mi sosterrai? – le domandò, guardandola negli occhi attraverso la pioggia, stringendole i polsi a sua volta con forza inumana.
- Sempre, amica mia. Ti sosterrò sempre.
- Bene. Perché mi servirà il tuo supporto ora…
- Dimmi cosa devo fare.
Judith le rivolse un sorriso storto, macchiato, doloroso, che fu in grado di far pietrificare la serva del Creatore. – Vai nelle cucine della cattedrale… e prendimi un coltello da cucina.
- Cosa…? – Hinedia aveva il terrore di chiederle a cosa le servisse, ma le aveva promesso che l’avrebbe sostenuta, perciò sapeva che non importava cosa Judith avesse in mente, l’avrebbe appoggiata, sempre.
- Affrettati, Hinedia, presto – rispose semplicemente Judith, vedendola fare come le era stato chiesto, e dirigersi verso la cattedrale dei Creatore.
 
 
 
Subito dopo esser rimasto intrappolato lì dentro, in un istinto irrazionale, Blake aveva cercato di superare quell’enorme ammasso di terra che lo divideva dall’uscita, scavando con le mani. Si era arreso dopo qualche minuto, con un lamento di disappunto, per poi iniziare a riordinare le idee e capire come muoversi.
La lampada ad olio sembrava avere ossigeno a sufficienza per restare accesa.
Bene, quello era l’importante: la lampada era la sua unica possibilità di vedere qualcosa lì dentro, di trovare una via di fuga.
Eppure, chi avrebbe voluto prendere in giro?
Non c’erano vie d’uscita lì dentro.
Era rimasto sepolto vivo, dentro quel labirinto asfissiante e claustrofobico.
Iniziò a vagare per le varie diramazioni dei tunnel, sperando di trovare qualcosa di utile.
Ovviamente, trovò diversi picconi, abbandonati lì dai suoi uomini che erano accorsi verso l’uscita immediatamente.
Forse gli sarebbero ritornati utili sì, ma non di certo per scavare una buca verso l’alto e sbucare fuori così. Per un’operazione simile, avrebbe impiegato giorni, e gli ci sarebbe voluta la forza di dieci uomini. Era troppo in profondità.
Eppure… una volta c’era quasi riuscito, quando aveva trovato quella maledetta mandragora.
Tuttavia, quel giorno di mesi prima, era come guidato da una forza esterna, non sua.
Vagò ancora per i vari tunnel, illuminando l’ambiente circostante e i vari piccoli giacimenti.
Ciò che era accaduto quel giorno era alquanto anomalo.
Non poteva essere colpa della tempesta. La pioggia rendeva la terra più morbida e pastosa sì, ma solo in superficie. A quella profondità, la pioggia non aveva alcuna rilevanza. Inoltre, non stava ancora piovendo quando era rimasto bloccato lì.
Allora, perché vi era stata quella frana improvvisa?
A cosa era dovuta?
Improvvisamente, quella voce tornò:
“La vita non è dei viventi”
E come lo aveva guidato in precedenza, lo guidò ancora.
Si accorse che proveniva dal fondo di una delle diramazioni. Proveniva dalla terra. Una zona di quel luogo ancora totalmente inesplorata.
Iniziò a scavare con i picconi, con veemenza e impeto, cercando di raggiungere quella dannata voce, sperando che almeno quella potesse dargli indizi, indicazioni, su come uscire illeso da una situazione simile.
La fatica gli stava facendo consumare moltissimo ossigeno, e il fazzoletto che gli comprimeva naso e bocca, per limitargli l’assorbimento di quante più sostanze tossiche possibili, gli faceva mancare l’aria, sempre più, fino a provocargli delle violente vertigini.
Tuttavia, continuò a scavare, a scavare e a scavare, mentre la Voce continuava a vezzeggiargli le orecchie.
- Dove sei… - sibilò il ragazzo, oramai allo stremo delle forze, dando un ultimo colpo di piccone che gli diede accesso ad una zona della galleria sepolta nel tempo, totalmente sconosciuta agli uomini della sua epoca: sbucò su una discesa di terra morbida, viva, talmente stretta, da risultare impossibile da attraversare per qualsiasi corpo adulto.
Blake ci si infilò dentro comunque, rimanendo inevitabilmente incastrato.
Fece passare un braccio, poi l’altro, poi entrambe le spalle, esattamente come faceva con la stretta finestrella della fucina, urlando di dolore nel momento in cui la terra gli si strinse talmente forte attorno al corpo, da bloccargli il respiro.
Oramai era sul punto di perdere i sensi.
Tuttavia, non si arrese. La sua volontà prevalse, dunque continuò a strisciare lì dentro, facendo passare attraverso quel buco strettissimo anche il busto, il bacino e le gambe.
Strisciò in quel passaggio per qualche minuto, verso il basso, fin quando non si ritrovò in un ambiente ben più spazioso.
Ma non fece in tempo a dare un’occhiata a quella “stanza” vasta, situata nella zona più profonda della terra, che svenne a terra, cadendo nell’incoscienza.
 
 
Padre Craig camminò speditamente sopra il vastissimo terreno tanto scuro da sembrare nero.
La terra era bagnata, densa, ma non appiccicosa. Un’ansia paralizzante, che non aveva mai provato in vita sua, lo pervadeva.
- Dovremmo avvertire sua madre e suo fratello, padre? – gli domandò improvvisamente uno degli scavatori, affiancandolo.
- No – gli rispose senza pensarci. – Meglio che Heloisa e Ioan non lo sappiano fin quando non lo avremmo ritrovato. Conoscendoli, vorranno venire qui anche loro per cercarlo, e non possono permettersi di prendere la pioggia, con la febbre che hanno – rispose.
Se … riusciremo a ritrovarlo.
Il giovane prete si legò il fazzoletto intorno alla bocca ed entrò nella galleria con i vestiti che aveva. Era entrato una sola volta lì dentro, mesi prima, con Blake, appena giunto a Bliaint. Quel luogo… era sempre stato in grado di suscitargli dei brividi che mai nulla era stato in grado di provocargli.
Era come se vi fosse qualcosa là sotto… qualcosa di oscuro, di sconosciuto, di estraneo al mondo dei viventi.
Qualcosa che attirava Blake come una falena con la fiamma… e che ora lo teneva intrappolato, risucchiato dentro di sé.
Eppure, nonostante la puzza di terra umida, nonostante il freddo, nonostante la sensazione di soffocare, non se ne curò, non si curò di nulla.
Procedette, seguendo lo scavatore che gli stava facendo strada in quel buco nero, con la lampada in mano.
Giunto in profondità, in uno dei principali tunnel, individuò almeno dieci uomini tentare di penetrare il muro di terra franato, che li divideva dal ragazzo.
- È inutile continuare! – esclamò uno degli scavatori, allo stremo delle forze. – Oramai sarà spacciato!
Spacciato…
Sembrava che i picconi, per quanto numerosi e appuntiti, non riuscissero in nessun modo a penetrare quel muro mastodontico di terra nera.
Fu a quel punto, che padre Craig provò un terrore tale da farlo vacillare, fino a fargli quasi perdere i sensi.
Il terrore materializzatosi, di una ricerca che sarebbe durata giorni e giorni… terminata con il ritrovamento di un cadavere divorato dai vermi.
 
 
Quando lentamente riaprì gli occhi, risvegliandosi dall’incoscienza in cui era piombato, Blake ci mise un po’ a focalizzare l’ambiente intorno a sé.
Aveva sperato si trattasse solo di un incubo, invece era tutto reale: si trovava ancora intrappolato nella galleria, in quella zona profondissima, nascosta e sepolta da decenni.
Lo spazio in cui si trovava, dove era giunto tramite quel passaggio strettissimo che gli aveva provocato diverse escoriazioni sulla pelle, era ampio, apparentemente “a misura d’uomo”.
Dunque, la Voce voleva davvero condurlo da qualche parte. Non era tutto solo frutto della sua mente.
Cercò la sua lampada ad olio a tentoni, mentre era ancora sdraiato, trovandola a pochi centimetri da lui.
Si alzò a fatica, illuminando l’ambiente circostante, e quasi urlò nel momento in cui scorse qualcosa, qualcosa di imponente e sicuramente appariscente, in fondo a quello spazio ampio.
Prima di avvicinarsi a quello che gli sembrò una sorta di altare, si accorse che, per arrivarci, a ridosso delle pareti di terra, erano posizionate, a distanza di un metro l’una dall’altra, delle alte fiaccole verticali, al momento spente.
Tutto faceva sembrare quel luogo anticamente popolato.
Blake si avvicinò ad ogni fiaccola spenta, provando ad accenderle tramite la fiammella della sua lampada ad olio. L’umidità di quel luogo era talmente elevata, da rendergli immensamente difficile il compito. Tuttavia, alla fine vi riuscì, accendendo ogni fiaccola disseminata lungo il cammino, che illuminò tutto l’ambiente notevolmente.
Ora che c’era luce, poteva vedere distintamente dinnanzi a sé: un imponente altare, composto di una moltitudine di statue d’oro.
Ogni statua aveva le sembianze di un uomo/bestia, con la testa da capra, nonché l’immagine del Diavolo come veniva raffigurato da molti dipinti e rappresentazioni cristiane.
Quelle statue con la testa da capra sembravano fissarlo con un’intensità tale da rubargli l’anima.
- Ma che diavolo… - sussurrò a se stesso, non capendo, non capendo nulla di ciò che stava vedendo con i propri occhi. I suoi antenati e proprietari della galleria avevano costruito quell’altare dedicato al Diavolo? Perché avevano ritenuto necessario farlo, proprio lì sotto? Forse a causa delle leggende che circolavano sul fatto che, sottoterra, in particolare sotto la galleria, si trovasse il passaggio che conduceva direttamente agli Inferi, dal loro Signore?
Cosa facevano dinnanzi a quell’altare? Perché la Voce l’aveva condotto lì? Chi era che l’aveva condotto lì? La galleria l’aveva fatto impazzire quanto i suoi antenati, esattamente come aveva predetto suo padre?
- Dinnanzi ad un altare, ci si dovrebbe inginocchiare – ora la Voce era reale. Non più soffusa.
Era lei. La stessa voce della mandragora. La stessa voce che lo richiamava, quando si avvicinava alla galleria.
Blake si voltò di scatto, trovandosi dinnanzi la sagoma di una donna, in carne ed ossa.
Era una giovane donna con dei lunghi boccoli neri, la pelle diafana, gli occhi grandi, chiari come la luna, contornati dal trucco nero. Il suo corpo era quello di una serva del Diavolo, alto, formoso e magro, con degli abiti di pelli di animali che la ricoprivano, unghie nere, labbra carnose e bianche, cadaveriche.
- Chi siete? – le domandò immediatamente Blake, facendo un passo indietro, guardandola con fredda diffidenza.
- Chiamami come preferisci: Krampus, Strige, Mostro Dietro di Te, Succubus, Arpia. Hai vasta scelta - rispose lei, in totale calma. - Sei il primo, in decenni, che raggiunge questo luogo che i tuoi antenati hanno eretto qui sotto, accanto a Lucifero.
- Tu deliri – le rispose lui, avvertendo un altro potente giramento di testa provocato dalla mancanza d’aria. Era stato un errore accendere tutte quelle fiaccole.
Ella sembrò leggergli nella mente, in quanto si avvicinò e gli rispose: - Quest’aria non è pura, certo, ma ce ne è in abbondanza, almeno per qualche ora: non morirai soffocato. Sei solo stanco… e affaticato - gli disse, allungando una mano verso di lui, infilando un dito gelido nel fazzoletto che gli copriva naso e bocca, e tirandoglielo giù, scoprendogli il viso e le vie respiratorie.
Egli la lasciò fare, osservandola torvo. – Perché mi hai condotto qui? Chi ha nascosto questo posto?
- Queste sono le prime domande che ti vengono in mente, figlio del Diavolo?
- Sei figlia del Diavolo quanto me.
- Ti stai davvero illudendo che io sia umana? – gli domandò fronteggiandolo, alzando la voce in modo quasi animalesco, facendolo rabbrividire.
Ella si avvicinò all’altare, sfiorando le statue che raffiguravano il Diavolo, con le dita.
- Mi stai dicendo che è tutto frutto della mia mente?
- No, Blake. Tuttavia, dovresti sapere cosa ha facilitato il nostro incontro di oggi – spiegò lei, aprendo le braccia bianche, indicando diversi minerali dall’aspetto familiare che sbucavano dalla terra, minuscoli giacimenti sparsi in tutto l’ambiente circostante: quel luogo era letteralmente cosparso di Galena. Un tesoro inestimabile composto da quella pietra oscura e potente.
- È composta di piombo e argento – illustrò la giovane donna, estraendo una di quelle pietre a mani nude. – Tossica. Come lo è sempre stato il piombo. Ma tu non hai paura del veleno, giusto? Oramai ci sei avvezzo – disse porgendogliela, e Blake la prese in mano, osservandola un’ennesima volta. – Le informazioni che ti darò ti risparmieranno mesi di studi: è chiamata “pietra della trasmutazione”. È l’unica pietra che permette di compiere la tanto ambita purificazione, dal piombo in oro. Un argomento che sembra concernerti particolarmente, giusto? Capirai, quindi, che è una pietra saturnia: segue i movimenti e le energie di Saturno. La Galena porta pace e armonia, amplifica l’influenza di altri cristalli, ma, soprattutto, è capace di radicare l’uomo alla Terra. Nonché, di fargli trovare la propria stabilità, la presenza fisica e spirituale necessaria per affrontare la vita. Una pietra utile a chi non trova mai la propria pace. Si tratta anche di una pietra di protezione psichica ed elettromagnetica, utile nei viaggi spirituali, nelle pratiche magiche, e nell’entrare in contatto con energie sconosciute – concluse, poi guardandolo negli occhi, reclamando la sua attenzione. – È grazie a lei se ci siamo incontrati oggi.
- È grazie a lei, dunque, se sono rimasto bloccato qui dentro? Se una frana improvvisa ha bloccato solo a me il passaggio verso l’uscita?
- Sei un ragazzo pratico e concreto.
Pretendi risposte, tutte e subito.
Ma questo non è il momento di pensare a come uscire di qui.
- Devo essere fuori di qui entro il pomeriggio. C’è una cosa importante che devo fare, un evento a cui devo assistere.
- Nulla è più importante di questo! – esclamò lei, costringendolo ad indietreggiare ancora. I suoi occhi erano iniettati di sangue e le sue mani si erano tese, come fossero artigli.
- Cosa vuoi da me? – le domandò lui, senza lasciarsi intimorire da quella figura a tratti divina, a tratti bestiale.
- Che ti inchini all’altare. Che ti inchini al tuo Signore. Come hanno fatto tutti i tuoi antenati, che hanno eretto e adorato questo idolo.
- Poi mi lascerai andare? Riuscirai a portarmi fuori di qui, dal nulla?
- I miei poteri vanno oltre ciò che immagini, Blake.
Hai la mia parola. Mi basterebbe desiderarlo, per tirarti fuori di qui.
I tuoi uomini stanno tentando di penetrare oltre la frana, per tirarti fuori, ma non ce la faranno. È il mio potere a tenerli lontani da te, a non permettere loro di raggiungerti.
Morirai qui. Solo. Senza aria, né luce. A meno che tu non riconosca che esistano entità molto più grandi e potenti di te, che meritano la tua adorazione e la tua totale devozione.
A meno che non mostrerai il tuo totale assoggettamento.
- Non mi lascerai in pace fin quando non lo farò, non è vero…?
Continuerai a richiamarmi, a tentare di tenermi imprigionato qui.
Perché vuoi me?
- Perché sei un miscredente. Un uomo che non crede in niente.
Tali uomini non meritano il respiro vitale.
La tua vita appartiene alla terra.
Polvere eri, e polvere ritornerai.
Prima o poi ti ritroverai qua sotto, e dovrai fare i conti con gli dèi che hai rinnegato.
Sei solo un uomo. Un uomo piccolo, impotente, che si crede grande, ma non lo è.
Blake la guardò per diversi istanti, non lasciando trapelare nulla dal proprio sguardo.
L’avrebbe fatto uscire di lì se si fosse prostrato all’altare. Era stata la sua parola.
Eppure no, ciò non bastava.
- No – le rispose, facendola sbiancare.
- Che cosa hai detto…?
- Ho detto: no. Uccidimi se vuoi, ma non mi inchinerò.
 
 
Non appena Hinedia le portò il coltello da cucina, Judith se lo infilò sotto la veste, per poi avvicinarsi al soppalco.
- Questa donna è una traditrice della sua gente! – iniziò padre Petrit, urlando alla folla, mentre guardava Beitris. – Ha tradito la sua gente e il suo Signore, uccidendo a sangue freddo più di venti monaci del suo culto, dando inizio ad una rivoluzione!! Le sue azioni sono state talmente sgradite ai due signori, che questi, per manifestare la loro ira nei suoi confronti, hanno mandato su di noi una tremenda epidemia, di cui ancora portiamo i segni addosso!! Virve Beitris merita la morte più di qualsiasi altro!! – concluse facendosi il segno della croce. – Sia fatta la tua volontà, oh Signore Misericordioso.
- Tuttavia… - riprese, con l’imperversare del vento e della pioggia. – Con questa tempesta ci è impossibile erigere il rogo. Dobbiamo necessariamente rimandare l’esecuzione a domani.
- No! – si impose Judith, salendo le scalinate che l’avrebbero portata al soppalco, il marchingegno ancora stretto in mano.
- No…? – le domandò padre Petrit, guardandola confuso. – L’acqua spegnerà le fiamm-
- Questa donna – urlò verso la folla. – non morirà al rogo!
Tutte le genti presenti esalarono esclamazioni di stupore nell’udire ciò.
- Judith… che stai dicendo..? – le sussurrò padre Thomas, avvicinandosele.
- Dov’è Blake? – venne riscossa da quella domanda, pronunciata da una voce femminile tremante e spaventata.
Judith si voltò verso Beitris e la trovò impaurita, con le lacrime agli occhi, come una bambina. – Dov’è Blake, Judith?? – le domandò la strega, più insistentemente. – Mi aveva promesso che ci sarebbe stato…
- Blake non è qui, Beitris – le rispose, impietosita.
- No… no, non può essere! Mi aveva promesso che ci sarebbe stato! Non posso! Non posso morire se non c’è lui! Judith, ti prego… aspettiamolo. Aspettiamo almeno che arrivi lui… – la supplicò, con le lacrime che si mischiavano alla pioggia.
- Blake non ci sarà oggi pomeriggio, Beitris. Mi dispiace.
- Allora rimandiamo l’esecuzione a domani, come dicono i monaci… ti prego, ti prego!
- Beitris… sono desolata.
- Me lo aveva promesso! Me lo aveva promesso! Ti prego, Judith! Ho bisogno che sia presente, almeno lui…
- Che differenza farebbe? – le domandò la rossa, accarezzandole una guancia, compassionevole.
Beitris, nonostante la pioggia, spalancò gli occhi all’inverosimile, guardandola stralunata. – Tu non hai un briciolo di pietà… tu pensi solo e solamente a te stessa!
Non mi ucciderai oggi! Non mi ucciderai!
- Non morirai con il rogo. Te ne andrai dolcemente, te lo garantisco.
- Invece morirà esattamente col rogo, domani, come abbiamo stabilito – insistette padre Petrit, accanto a loro. – Qualsiasi altro metodo d’esecuzione è considerato impuro e barbaro agli occhi dei due signori, Judith. Ne abbiamo già parlato. Ora scendi dal soppalco e fa’ come dico. Rientra dentro, non è sicuro prendere tutta questa pioggia nelle tue condizioni.
Judith si voltò verso di lui e lo fulminò, con occhi glaciali.
Padre Petrit cercò di non farsi spaventare da quello sguardo, ma fallì.
Che cosa vuoi fare, Judith..?  si domandò Hinedia, guardandola dal basso, a distanza.
Judith aprì il palmo della mano e osservò la sfera di ceramica.
La sua determinazione era più ferma che mai.
Tuttavia, una sensazione strana la colpì: attraverso il guanto, la temperatura molto calda della sfera diventava tiepida, usualmente.
Ora, invece, non sentiva niente. Le appariva solo fredda.
Si convinse che fosse colpa della pioggia, perciò si tolse il guanto per appurare definitivamente se la sua sensazione fosse giusta: a contatto con la pelle, la sfera avrebbe dovuto scottarle.
“Se la superficie della ceramica non scotta… allora è più saggio non utilizzarlo; significa che bisogna ripreparare la miscela. Finché scotta, come ora, ci saranno maggiori probabilità che funzioni…”  queste erano state le parole di Blake.
Ma, nonostante la stesse tenendo a mano nuda, la sfera non scottava più.
Non scottava.
Judith deglutì, tremendamente in conflitto con se stessa.
Non funzionerà. Sarà meglio aspettare. Sarà meglio aspettare la fine della pioggia. Sarà meglio aspettare Blake.
- Judith, ti prego… - la supplicò ancora Beitris, alle sue spalle. La condannata si guardò intorno, osservò la folla che era giunta ad assistere alla sua morte, e non trovò nessun volto amico tra loro.
Né Ephram, né Myriam, né nessun altro.
- Judith, ti imploro…! Non voglio morire così! Blake mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciata sola oggi! Deve essergli successo qualcosa. Ti prego, aspettiamolo!
- Blake non c’è!! – esclamò Judith voltandosi verso di lei, aggredendola con il suo sguardo agghiacciante, facendo ammutolire lei e la folla che la guardava dal basso.
La pioggia iniziò a placarsi. – Tu morirai oggi, Beitris. Morirai tramite il marchingegno che abbiamo ideato io e Blake – annunciò, alzando la mano al cielo e mostrando la piccola sfera a tutti. – Quello che ho in mano è un fuoco diverso da quello che siete avvezzi a conoscere. Un fuoco tremendo, ma ugualmente in grado di purificare l’anima dei peccatori, e infinitamente più misericordioso del rogo. Questa sfera contiene la polvere nera.
A tale annuncio, tutta la folla quasi urlò, iniziando a farsi il segno della croce, chi per il verso giusto, chi al contrario.
Avevano paura. Paura come non l’avevano mai avuta, di quello strumento sconosciuto.
- Sei completamente impazzita!? Smettila e scendi immediatamente, Judith! Prima che l’ira dei due signori si scagli su di te!! – esclamò un altro dei monaci presenti.
- Questa è eresia!
- Portatela via!
Ma proprio mentre due dei monaci stavano intervenendo, per prenderla di peso e portarla via dal soppalco, Judith tirò fuori il grosso coltello che le aveva portato Hinedia e se lo puntò sulla propria pancia gonfia.
Tutti i presenti pietrificarono, compresi i monaci che si stavano avvicinando a lei.
- Fate un altro passo… e li uccido. Ucciderò le creature che mi crescono dentro.
Lo giuro sul ricordo di mia madre… lo farò.
D’altronde, non li ho mai voluti e mai li vorrò – li minacciò tutti, con una decisione aberrante.
Nessuno riuscì a credere ai propri occhi, a tutto ciò che stava vedendo.
- Questa donna non morirà al rogo.
Metterò fine alla sua vita misericordiosamente. Con una morte dolce, veloce, indolore.
Come dovrebbe essere per tutti. Nessuno merita di soffrire tra le fiamme.
Nessuno merita di andarsene così. Nessuno.
Lei morirà con la polvere nera. E così tutti quelli che verranno dopo di lei.
Bliaint diventerà un luogo giusto, paritario.
Ed io ne sarò l’artefice.
Ora allontanatevi immediatamente da me e assistete – terminò Judith. Il coltello ancora puntato dritto sulla propria pancia e la sua voce imponente e serafica, avevano spaventato i monaci fino a farli sudare freddo.
Per niente al mondo avrebbero permesso che qualcuno facesse del male ai bambini della loro figlia acquisita, o a Judith stessa. Neanche se fosse stata proprio quest’ultima a minacciare la sua stessa vita.
Judith lo sapeva, lo sapeva bene, per questo aveva giocato tutto sul loro unico punto debole: l’amore che nutrivano per lei e per le creature che portava in grembo.
A ciò, la fanciulla si voltò verso Beitris, la quale tremava e parlava da sola, come impazzita:
- Ti prego… ti prego… aspettiamo…
Judith la slegò doviziosamente e la fece mettere in ginocchio dinnanzi a sé, sotto gli sguardi ansiosi ed esagitati di tutti i presenti.
- Ingoiala – ordinò semplicemente, porgendo in mano alla condannata la sfera di ceramica, ora totalmente gelida.
Beitris la prese in mano, la osservò un po’, poi posò di nuovo i suoi occhi di smeraldo su Judith.
Le iridi le si spensero, lasciando che la più cieca rassegnazione prendesse il sopravvento.
Sarebbe morta sola.
Non ci sarebbe stato nessuno lì, per lei. 
Beitris si poggiò la pallina di ceramica sulla lingua. Poi la ingoiò, chiudendo gli occhi.
Da quel momento in poi, nessuno seppe dire con certezza cosa accadde.
Judith stessa non avrebbe saputo raccontarlo.
Invece che una morte veloce e indolore, fu uno spettacolo orrido, atroce e traumatizzante quasi quanto il rogo stesso. Dopo qualche minuto, Beitris aveva iniziato a tossire. Ma non era una tosse normale, no. Aveva iniziato a tossire una sostanza nera, densa e marcia. Poi, alla tosse si era sostituito il vomito. Vomitò fiumi di sangue, alternando urla a imprecazioni, accasciandosi a terra, nella sua stessa pozza di sangue. Tra tutto il sangue che aveva rigettato, Judith notò che vi fossero anche pezzi di qualcosa. Non volle sapere cosa fossero, in quanto, la sola idea che Beitris stesse vomitando pezzi dei propri organi le fece provare l’innaturale desiderio di partorire seduta stante, e di togliersi da dentro tutto quello che il proprio corpo conteneva. In seguito a minuti eterni e lunghissimi di sofferenza e urla, Beitris ebbe un violento spasmo. Il suo corpo piombò a terra, immobile, a pancia in su, e la sua testa ciondolante sporse dal bordo del soppalco.
Le persone che erano proprio sotto al soppalco e che la videro in faccia per primi, urlarono di orrore, facendosi il segno della croce più volte: gli occhi vitrei della ragazza, erano rivoltati innaturalmente in due direzioni differenti.
Judith si lasciò cadere in ginocchio, sconvolta.
Il marchingegno non aveva funzionato.
“Se la superficie della ceramica non scotta… significa che bisogna ripreparare la miscela. Finché scotta, ci saranno maggiori probabilità che funzioni…”  
Il cielo, intanto, aveva smesso di piangere. 
 
 
Il ragazzo si rannicchiò contro una delle pareti di terra umidiccia, il mento poggiato alle ginocchia e le braccia strette attorno alle gambe.
Era sempre stato bravo a sopportare il dolore fisico, la tortura dei massi e dell’acqua subìta a Carbrey ne era una prova.
Tuttavia, erano trascorse nove ore da che era rimasto chiuso lì sotto. La fame, l’assenza di aria, ma soprattutto il freddo, iniziarono a farsi sentire. Le fiaccole non riuscivano a scaldare quel luogo umido e affatto ospitale alla vita, ma senza quelle accese, probabilmente sarebbe stato ancora più freddo.
Anche se avrebbe avuto più aria, per più tempo.
I suoi denti battevano tra loro impercettibilmente e le sue labbra avevano assunto una colorazione bluastra, mentre continuava a guardare il vuoto, in attesa del nulla.
Ma nascondeva quel dolore e quell’insofferenza alla donna seduta di fianco a sé, quell’essere inumano che non percepiva né la fame, né la sete, né il freddo. Non voleva darle alcuna soddisfazione.
Ella si voltò a guardarlo, scrutandolo. – Oramai ti sarai perso l’esecuzione: è pomeriggio inoltrato. La tempesta, in superficie, si è placata, ma ha lasciato dietro di sé un freddo terrificante, che durerà almeno fino a domani. Ma tu non arriverai a domani, Blake. Hai freddo, non è vero?
Egli non le rispose.
- E fame. Immagino tu sia digiuno da stamani.
Ingerire del cibo lo avrebbe aiutato a riacquisire un po’ di forze e a patire meno il freddo, pensò il ragazzo. Tuttavia, quel poco che si era portato dietro, era rimasto in superficie, da qualche parte.
- Ho affrontato molto peggio di freddo e fame.
- Il tuo orgoglio è davvero così importante?
- Non si tratta di orgoglio.
Dell’orgoglio, mi importa ben poco – rispose lui, non degnandosi nemmeno di voltarsi a guardarla. - Se avessi la certezza che, una volta compiuto questo gesto simbolico ed essermi prostrato all’altare, io possa continuare a vivere come ho sempre vissuto, senza divenire schiavo di nessuno, lo farei, per uscire di qui. Ma so bene che non posso ingannarti così. Né te, né le energie che dominano questo luogo.
- E chi credi alimenti un tale potere in me?
- Non mi convincerai a mostrare la mia devozione al Diavolo.
Potrà anche esistere, ma non è il mio dio, così come non lo è nessun altro. Non voglio il suo potere. È così difficile da accettare, per voi? Che qualcuno decida di rinunciare alle credenze comuni, che un uomo scelga di essere il padrone di se stesso?
- Sì, lo è. A lui dobbiamo tutto.
- Perché?
- Perché ci ha dato la vita.
- La vita me l’ha data mia madre, eppure non sono devoto nemmeno a lei.
Che senso ha vivere, se devo diventare schiavo di qualcuno? Che sia di un credo, di un’ideologia, o di un altro uomo?
- Tu reclami qualcosa che non ti appartiene.
- La mia vita mi appartiene.
- La vita non appartiene a nessuno. La vita non è dei viventi.
- Lo ripeti costantemente… sembra che tu non riesca a dire altro.
Dimmi, hai attirato anche altri prima di me, più recentemente?
Sei apparsa anche a mio padre?
- Perché mi poni domande stupide, di cui sai già la risposta?
Da secoli, gli uomini mi hanno trasformata solo in una loro fobia, null’altro.
Un desiderio o una fobia.
Risiedo nelle paure dei bambini, nei terrori e nelle voglie degli uomini, ma non sono altro che una favola da raccontare.
No, non appaio più a nessuno, da almeno un secolo. Solo chi riesce a giungere qui, in questo posto, dinnanzi a questo altare, riesce ad incontrarmi, a vedermi.
- Grazie alla Galena.
- Grazie alla Galena, esatto.
- Eppure, sei stata tu a richiamarmi qui. Senza la tua voce, non sarei mai riuscito a trovare questo posto. Perché?
- Te l’ho già spiegato.
Il Demonio richiede la tua devozione, perché la tua anima gli è negata.
Degli altri non mi importa. Tuo padre era già un uomo devoto.
- Mi sono battezzato al Diavolo. La mia anima sarà sua, quando morirò. Questo dovrebbe bastare.
- Ma non basta. Sì, con il battesimo gli hai donato la tua anima, è vero.
Ma finché non morirai, continuerai a sfuggire al suo controllo.
Il nostro Signore pretende che tu sia suo anche ora, da vivo - gli disse seccata, per poi posare lo sguardo sulla fonte di flebile luce lunare che riposava nascosta, sul petto del ragazzo.
- Te l’ha dato tuo padre, quello? – gli chiese. – Riconosco l’energia dell’opale.
Blake non rispose, continuando a sopportare il freddo, guardando fisso dinnanzi a te.
- Oramai avranno perso ogni speranza di trovarti. O per lo meno, di ritrovarti vivo.
Nessuno resiste una notte qui sotto. Entro altre quattro ore, sarai cibo per i vermi.
Dinnanzi a questa “allettante” prospettiva, perché non ti pieghi?
- Te l’ho già detto.
Mi stai proponendo un patto col Diavolo e io ho rifiutato.
Preferisco morire, piuttosto.
- Il Diavolo non ti ha promesso nulla in cambio della tua devozione.
Ma, se lo desideri… potrebbe farlo – incalzò lei, in tono mellifluo. – La salute perpetua per tuo fratello, la felicità per tutti coloro che ami, un parto sano e senza complicazioni per la tua donna, la riuscita del vostro piccolo progetto eretico, la tua fuga da qui… oppure, è riuscire a compiere la trasmutazione quello che desideri davvero, Blake? A me puoi dirlo.
Blake strinse le mani attorno alle proprie gambe. Cercò di ricavare un po’ di calore dalla frizione del viso gelido con le ginocchia ancora calde, al di là del tessuto.
- Nel poco tempo che ti resta da vivere, risponderò a tutte le tue domande.
Almeno questo te lo devo – concesse lei.
A ciò, il ragazzo si voltò finalmente a guardarla. I suoi occhi erano due biglie blu svuotate e socchiuse, il colorito insano, in balìa del freddo, le labbra quasi della stessa tonalità degli occhi, i capelli folti e sconvolti macchiati di terra. – Perché i miei antenati hanno eretto un altare al Diavolo?
- Perché era il loro Dio. Così come è il tuo.
- Non mi basta.
- Perché è questo che fa, la galleria: ti fa sentire vicino al tuo Signore, che risiede nelle viscere più profonde della Terra.
Lucifero ha scelto Bliaint come rifugio, l’unica terra in cui viene servito e adorato esattamente come il suo creatore.
La terra in cui risiedono i suoi figli. Per questo il suo potere è così forte qui dentro.
Per questo ogni creatura infernale risiede qui.
I tuoi antenati erano ispirati dalla loro accecante devozione.
Ma tu, tu sei diverso da loro.
- Dov’è Bonnie? È stato il tuo richiamo ad ucciderla?
- Non il mio.
Bonnie ha udito il richiamo di Lucifero stesso.
Il suo fantasma è qui da qualche parte, ma non puoi evocarlo.
- Bugiarda. Sei stata tu ad attirarla qui dentro. Sei stata tu ad ucciderla. Perché…? – le domandò furente.
- Non c’è un perché.
Il Signore l’ha richiamata a sé.
A lui piace reclamare a sé le anime pure, prima del tempo.
Stai andando in ipotermia, per caso? Non credevo fossi così freddoloso. Il tuo corpo non fa che tremare - osservò sardonica, godendo delle sue stesse parole.
Blake non aveva la minima idea di come uscire di lì.
Era nella trappola tesa direttamente da quella creatura e da ogni energia maligna che regnava in quel luogo.
No, non sarebbe impazzito. Lui non era pazzo, né avrebbe accettato di morire lì sotto.
Le sue forze erano allo stremo e il suo corpo sembrava non sprigionare più calore, la sua gola era arida, secca, bramante di aria pulita.
Avrebbe dovuto trovare il modo di ribellarsi alla creatura, di ribellarsi a quel Padre che non aveva mai riconosciuto, né servito.
Solo una cosa avrebbe potuto salvarlo da quella dannazione che gli si prospettava dinnanzi agli occhi.
La propria volontà. Era l’unica cosa su cui poteva contare al momento, l’unica di cui poteva fidarsi.
Nelle sue vene scorrevano sangue e volontà, lo sapeva, sin dalla nascita.
L’opale che gli aveva donato suo padre non l’avrebbe protetto dal Diavolo stesso, né da quell’Arpia.
Tuttavia, se lo strinse fortemente al petto:
Speranza, purezza, equilibrio, protezione contro le energie negative.
Le proprietà dell’opale.
Era certo gli sarebbe stato molto d’aiuto nel compiere ciò che stava per compiere.
Doveva agire ora, o non l’avrebbero mai più ritrovato.
Il suo corpo stava appassendo sepolto, ma il suo spirito era ancora più vivo che mai.
Raccolse in sé tutta la forza fisica che ancora gli era rimasta e si rialzò in piedi, facendo fronte al freddo e alla debolezza.
- Che stai facendo? – gli domandò ella, osservandolo incuriosita.
Blake non si fermò, procedette, fin quando non afferrò una delle alte fiaccole che illuminavano la strada verso l’altare.
Si fermò dinnanzi a quest’ultimo, osservando le numerose statue d’oro edificate. Dopo di che, prese il contenitore con la fiammella in mano, staccandolo dal fusto, e agì: lo sbatté con tutta la forza che possedeva contro l’altare, appiccando un incendio.
Poi prese altre fiaccole e fece lo stesso, fin quando il fuoco non divenne divampante, nonostante la già esigua presenza d’ossigeno.
Iniziò a mancargli l’aria, sempre di più, ma non se ne curò.
Era la volontà che lo teneva ancora in piedi.
La creatura, dal canto suo, era sconcertata dall’orrore e si strappava i capelli, osservando quel sacrilegio imperdonabile. – TU VERRAI PUNITO! Nessuno può sfidare un dio!!! Nessuno!!! La pagherai cara!!! Mi hai sentito?!? LA PAGHERAI CARA! VERRAI PUNITO E LA TUA ANIMA NON TROVERÀ MAI PACE!!! – strillò disperata.
Il suo urlo erano mille lame sottili che penetravano nell’anima. La sua voce non aveva nulla di umano. Nulla di lei aveva qualcosa di umano.
Blake si convinse che fosse grazie all’opale che ella non riuscisse a raggiungerlo.
- Lui non è il mio dio – rispose semplicemente, afferrando velocemente la lampada ad olio con la quale era arrivato lì, e accorrendo verso lo stretto tunnel che gli aveva permesso di giungere in quel luogo.
Ancora un altro respiro, ancora un altro… il fumo inspirato gli stava annebbiando i sensi.
Si rinfilò dentro quello strettissimo spazio, stavolta non percependo minimamente il dolore alle membra lacerate, tanto era annebbiato, e strisciò verso l’alto, raggiungendo nuovamente il punto in cui era caduto, più in superficie.
Risalito, corse per tutta la lunghezza della diramazione, poi fino al tunnel principale dedicato agli scavi, dove la frana lo aveva intrappolato. Riafferrò in mano uno dei picconi e iniziò a scavare verso l’alto, disperatamente. – Sono qui!!! – urlò, sperando che qualcuno potesse sentirlo da lì sotto, qualcuno che stava varcando la superficie di quel vastissimo campo. Gridò di nuovo, sentendo i sensi abbandonarlo, ma il corpo continuare a muoversi comunque.
Muoviti.
Continua a muoverti.
Se ti fermi, morirai.
Se lo ripeté in testa, come una litania.
Continuò a scavare e a scavare, sia con i picconi, sia con le mani, arrampicandosi verso l’alto, fin quando…
Una luce… uno spiraglio minuscolo che rivelava un cielo annuvolato, gli illuminò gli occhi.
A ciò, vi infilò la mano dentro.
Muoviti… Non fermarti…
Se ti fermi, morirai.
 
 
Era quasi il tramonto.
Non appena il sole fosse calato, le ricerche sarebbero cessate, padre Craig lo sapeva bene.
Gli scavatori sarebbero tornati a casa dalle loro famiglie, a cenare.
E le speranze di ritrovare Blake vivo si sarebbero ridotte a nulle.
Non riusciva più a sentirli.
Erano quasi due ore che quegli uomini stavano dicendo che fosse inutile continuare a cercarlo.
Le loro parole erano ben chiare: nonostante Blake fosse molto bravo in ciò che faceva, la consapevolezza che fosse accaduto quel fatto così anomalo quella mattina (tra l’altro all’inizio della sua carica in quanto proprietario della galleria) era indice del fatto che i due signori non approvavano il suo operato; dunque, il Diavolo aveva fatto in modo di riprenderselo con sé.
Avrebbe voluto cacciarli via tutti, o tagliargli la lingua, ad uno ad uno.
La pioggia era cessata, il cielo era ancora plumbeo, un freddo quasi invernale era piombato su Bliaint, facendo tremare le membra di tutti.
Se qua fuori è così freddo… chissà quanto lo sarà là sotto.
Si strinse in una delle casacche sporche di terra che indossava sopra la sua maglia, prestategli dagli scavatori, cercando di ripararsi dall’aria gelida; mentre continuava a camminare sopra quel terreno deserto, scuro e bagnato.
I piedi gli affondavano nel terriccio, quasi quest’ultimo volesse risucchiarlo, ma, nonostante ciò, continuava. Era la tredicesima volta che percorreva tutta l’area di quel terreno immenso a piedi, in tre ore, comportandosi come se Blake potesse sbucare fuori da un momento all’altro, da un punto imprecisato.
I piedi gli dolevano, per il gelo e per la fatica.
Poi, all’improvviso… fu come se riuscisse ad udire una voce, o meglio, l’eco di una voce, lontanissima.
Si fermò, cercando di individuare il punto da cui provenisse quell’urlo distante.
Camminò confusamente di qua e di là, come un folle.
- L’ho trovato! Credo di averlo trovato! – urlò, non credendo alle sue stesse parole, ma gli scavatori erano troppo lontani e non lo udirono.
Continuò ad inseguire quella voce lontanissima, che forse era solo frutto della sua immaginazione.
Ma la seguì.
La seguì fin quando non avvertì la terra scuotersi lievemente sotto i suoi propri piedi.
Ti ho trovato.
Senza una sicurezza, né un senso logico, iniziò a scavare con un piccone che gli era stato dato appena arrivato, e che reggeva in mano come un tesoro.
Scavò, scavò, scavò, scavò, in quell’esatto punto, iniziando seriamente a chiedersi se stesse facendo la cosa giusta, o se si stesse solo illudendo inutilmente.
Ma scavò ancora, senza fermarsi.
Non fermarti…
Non fermarti…
Se ti fermi, morirai.
Improvvisamente, un foro. Un foro che permetteva ad uno spiraglio di luce di entrare dentro, e di illuminare cosa vi fosse lì sotto.
Padre Craig non riuscì a vedere bene, o meglio, non riuscì a vedere nulla, inizialmente, tanto era scura la terra sotto di sé.
Poi, però, come un morto che esce fuori dalla terra, un braccio sbucò fuori da quel piccolo foro, allargandolo.
Un braccio vivo, che si muoveva.
Poi un altro braccio, due braccia che padre Craig riconobbe benissimo.
Le mani in cima a quelle braccia erano un disastro di sangue doloroso da guardare: le unghie spezzate, piene di terra mista a sangue, e le gocce di quest’ultimo colavano lungo tutti i palmi e i polsi, indice che avesse scavato anche a mani nude.
Padre Craig afferrò quelle braccia con tutta la forza che poté, facendo leva sui piedi puntati al terreno per tirarlo su.
Sorrideva, felice come non lo era mai stato, mentre si aggrappava a quelle braccia come fossero le corde che tenevano insieme la sua vita, e le tirava su, con una potenza che non aveva mai avuto prima.
Man mano, il foro si allargò sempre più, nel mentre emergeva da esso una testa, delle spalle, metà busto.
Padre Craig cadde all’indietro, sbattendo il fondoschiena a terra, tanta era stata la forza con cui l’aveva tirato su. Vide Blake aggrapparsi con le mani insanguinate alla terra e fare leva da solo, per far uscire il resto del corpo da quel buco infernale, che sembrava davvero volerlo risucchiare di nuovo dentro.
Padre Craig si catapultò di nuovo su di lui, proprio nel momento in cui il ragazzo riuscì a tirarsi fuori completamente da quell’inferno terroso, con le sue proprie forze.
Blake si lasciò cadere a terra, a faccia in su, le braccia divaricate, le gambe scomposte, i vestiti strappati e sgualciti, la maglia che gli lasciava scoperta più pelle di quanto dovesse, una pelle ferita e dal colorito insano, livido di freddo; l’opale che sembrava brillare quasi, abbandonato scompostamente tra le clavicole, sul petto che si alzava e si abbassava al ritmo velocissimo del respiro ansimante; il viso assurdamente bianco ma macchiato di fumo grigio, con gli occhi semichiusi e le labbra cadaveriche, allargate in uno strano sorriso di vittoria. Un sorriso vuoto e trionfante.
Padre Craig gli lasciò a malapena il tempo di tirarsi su con i gomiti, che gli fu addosso, e si prese una libertà che non si era mai preso prima d’ora: lo abbracciò, forte, stringendolo a sé con tutto il corpo, affondando le mani tra i suoi capelli e la sua schiena.
Strinse il suo corpo, gelido e debole tra le sue braccia, ridendo e piangendo contemporaneamente, mentre gli altri scavatori li raggiungevano, allibiti, meravigliati e sollevati insieme.
Lo strinse come fosse l’ultimo fiore rimasto al mondo, e al contempo come fosse un figlio ritrovato, o un amante a lungo desiderato e amato.
Blake ricambiò flebilmente l’abbraccio, sfinito, privo di forze e inerme, lasciandosi accarezzare e abbracciare, abbandonandosi tra quelle braccia amiche e confortevoli che riuscirono a scaldarlo in poco tempo, cullandolo verso l’oblio.
- Blake? Blake, come vi sentite…?
Non rispose. Svenne tra quelle braccia, a peso morto.
 
Un paio di labbra, soffici, umide e carnose, esplorarono le sue, in un bacio casto, mellifluo e dolce.
Restò ad occhi chiusi, godendosi quella sensazione, senza dire nulla.
Era come aver smesso di sentire. Come se stesse ricominciando a sentire solo ora, dopo secoli di vuoto.
Blake sbatté lentamente le palpebre, percependo il tepore del fuoco del camino accanto a sé: era nell’atrio di casa sua, sdraiato su un giaciglio, avvolto da un’infinità di coperte, accanto al fuoco che scoppiettava.
Erano settimane che non accendevano quel camino, dato l’arrivo della primavera.
La figura, bellissima e profumata, che invase immediatamente il suo campo visivo, seduta sul letto accanto a lui e intenta a guardarlo in aspettazione, gli sorrise adorante, avvicinandosi maggiormente.
Blake le accennò un sorriso, più addormentato che sveglio, avvertendo la pelle del viso, screpolata per il freddo, tirargli.
- Ci hai fatto preoccupare tutti da morire… - fu la prima cosa che sussurrò Judith, con la sua voce melodiosa e dolce come il miele d’inverno, prendendo una mano del ragazzo e avvicinandosela al volto.
Baciò le sue dita, ben fasciate dalle bende, ad una ad una. Blake emise una piccola smorfia di dolore, a tale contatto: il solo sfiorarle gli provocava delle fitte atroci.
Man mano che prendeva contatto con la realtà, Blake aprì completamente gli occhi, osservandola, con un dolce sorriso. – Ciao.
- Ciao – gli rispose lei, accarezzandogli i capelli con premura e accortezza, ammirandolo da vicino, rivolgendogli un sorriso apprensivo che non passò inosservato al ragazzo. – Ho temuto di perderti, oggi…
- Non mi perderai. Resterò al tuo fianco, promesso.
- Ora come ti senti?
- Sto bene.. – la rassicurò Blake guardandola negli occhi, allungando una mano fasciata e accarezzandole una guancia, sopportando il dolore.
- Cos’è successo là sotto? – gli domandò lei, cercando di ricacciare indietro la preoccupazione. - Eri sporco di fumo… come se fossi stato in mezzo ad un incendio. Ma, oltre alle mani distrutte e ad alcuni profondi graffi qua e là provocati dalla terra, non presenti ferite gravi o ustioni di nessun tipo.
- Non è successo nulla – rispose lui, liquidando il discorso. – L’esecuzione… - esalò poi, facendola irrigidire. – L’avete rimandata… vero?
Judith posò lo sguardo sul fuoco, sfuggendogli.
Da tale reazione, Blake comprese. Si tirò su lentamente, poggiando la schiena al cuscino, mentre cercava di nuovo contatto con gli occhi della ragazza. – Judith…? Guardami.
Ma Judith continuava ad evitare gli occhi del suo amato, colpevole, in preda ad un rimorso che non aveva mai provato prima.
- Judith… avete rimandato l’esecuzione?
- No – rispose di getto, togliendosi quel peso insopportabile.
Blake impietrì, continuando a guardare il suo profilo rivolto verso il fuoco.
Un profilo sfuggente, addolorato, ma al contempo serafico.
- Che significa “no”…? Judith, le avevo promesso che sarei stato presente. Glielo avevo giurato…!
- Non potevamo aspettare oltre, Blake – gli disse, trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi, sentendosi morire dentro. – Dovevo farlo. Tu non c’eri. Ho dovuto farlo senza di te.
Blake sembrò mandare giù quel colpo duro. Non disse altro. Restò semplicemente a guardarla con uno sguardo illeggibile, irrigidito, distante.
- E.. com’è andata? Ha funzionato? Ci sono state complicazioni…? – le domandò dopo un po’, non riuscendo a nascondere il timore e l’aspettativa nella voce.
Eccola, la domanda che la fanciulla temeva più di ogni altra, fuoriuscita dalle labbra dell’unica persona alla quale avrebbe voluto nascondere tutto ciò.
Ma non poteva più nascondersi, oramai.
Il danno era compiuto.
Lei era l’unica colpevole.
Blake era innocente, nel pieno senso della parola.
Judith provò con tutta se stessa a dirglielo, ma le parole le rimasero bloccate in gola.
- Judith? Rispondimi, per favore. Com’è andata? – insistette lui, con voce calda e ferma, una voce che avrebbe smosso anche le montagne.
Alla fine, si arrese.
- Mi dispiace, Blake.
Il ragazzo sgranò gli occhi, confuso e sconcertato. – Che significa…?
- Non è andata bene.
- Non è andata bene…?
- Non ha funzionato.
- Spiegati.
- Beitris è morta, soffrendo orribilmente. È stato uno spettacolo… devastante.
- Che cosa stai dicendo…? È impossibile… è impossibile.
- Mi dispiace. Tantissimo – ripeté lei, stringendogli un polso, che egli allontanò immediatamente, fissandola sconvolto.
- Ti avevo spiegato come funzionasse… ero stato maniacalmente meticoloso con le dosi. Avevo fatto tutto alla perfezione. Cos’è accaduto, Judith?
- L’ha uccisa lentamente. Ha iniziato a tossire, e a vomitar-
- Ti sei accertata che il marchingegno fosse caldo abbastanza? – la interruppe lui. – Ti avevo detto che sarebbe potuto capitare, che la miscela si raffreddasse. Ti avevo detto che, nel caso fosse accaduto, non si sarebbe potuta usare, perché non avrebbe funzionato nel modo giusto.
Ti sei accertata che la superficie della ceramica scottasse ancora, Judith?
La fanciulla ammutolì, guardandolo inequivocabilmente.
Nel silenzio, il volto di lui mutò da sconcertato a furente e addolorato insieme.
- Blake, ascolta quello che ho da dirti…
- Tu… l’hai fatta morire tra atroci sofferenze… nonostante sapessi benissimo che quel marchingegno non avrebbe funzionato! Ti avevo detto che andava ripreparato, ti avevo messa in guardia, sapevi cosa fare!
Dovevi solo aspettarmi, Judith! Rimandare l’esecuzione e aspettare che io ripreparassi la miscela e fossi presente, assistendoti!
E invece… glielo hai fatto ingoiare comunque, l’hai ammazzata così… e per cosa, Judith?? Per cosa??? - le forze non gli erano ancora tornate, la sua testa era ancora annebbiata, eppure la voce gli uscì dai polmoni più dolorosa e accusatoria che mai.
Judith abbassò lo sguardo e cercò di calmarsi a sua volta.
Due lacrime le rigarono le guance, ma erano talmente fredde che non se ne accorse neanche.
- Dovevo farlo. Sentivo di doverlo fare e l’ho fatto – gli rispose.
- Per quale motivo?
- Perché è la mia battaglia!
- Che razza di battaglia è, se non la combatti nel modo giusto?? Facendo così hai già perso in partenza, Judith! Ti sei tagliata le gambe da sola, non lo capisci?!
- Lo so.
Ma dovevo farlo.
Se non avessi sentito una tale necessità stringente di farlo oggi… non sarei arrivata al punto di minacciare i monaci, puntandomi un coltello da cucina sulla pancia, pur di convincerli a lasciarmi fare…
Blake la guardò contrariato, a dir poco esterrefatto. – Tu sei pazza…
- Lo so bene.
Ma bisogna esserlo, per riuscire a sopravvivere qui.
 
 
 
 
 
   
 
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