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Autore: drisinil    19/11/2022    1 recensioni
[kurotsuki] [nospoiler] [canonverse] [long: 2 capitoli/settimana]
«Signor è-solo-un-club sei senza parole?» lo provoca Kuroo. «Vuoi che brindi io per te? Però poi bevi tu!»
«Okay, ma solo se il brindisi mi piace» risponde Kei con arroganza, spingendosi gli occhiali sul naso.
Kuroo storce le labbra e si riprende la bottiglia, strappandola a Kei. «E' una sfida?»
«Se vuoi...»
Kuroo distende lentamente il braccio verso Kei, con la bottiglia in mano. Si schiarisce la voce e tenta di scostarsi dalla fronte il ciuffo di capelli, che però ricade subito al suo posto. «Al muro perfetto, che ferma la palla, la devia, la smorza o la costringe. Obbliga le traiettorie, crea pressione e controlla il gioco.»
Kei sorride, gli strappa la bottiglia e beve d'impeto.
E' il vino più buono che abbia mai bevuto, forse il più buono che berrà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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32 - La vita è dura



30 novembre 2012


Esattamente alle 20:29 il telefono di Kei inizia a vibrare. In pochi giorni, la videochiamata della sera è diventata un rito. Il marchio di Kuroo è nell'orario, perché uno meno scemo avrebbe scelto cifra tonda.

Il copione prevede una certa reticenza di Kei nel rispondere. Non prima del sesto o settimo squillo. Qualche volta non risponde affatto, e lo obbliga a una seconda chiamata, ma ogni giorno che passa diventa più difficile anche solo contare fino a dieci.

Gli fa una gran paura la voglia che ha di parlare con lui. Di ascoltarlo. Di vederlo. E nonostante ne intuisca gli svantaggi e i pericoli, non sa proprio come metterci un freno. Può provare a resistere, e lo fa, ma è chiaro che lottare contro una tentazione non equivalga affatto a liberarsene.

Che Kuroo ne sia o meno consapevole (Kei suppone, e spera, che non lo sia), quello che sta mettendo in atto è un addestramento pavloviano in piena regola, compreso il banale stratagemma di non cambiare mai orario. La cavia, Tsukishima Kei, inizia a sbavare non appena suona il campanello, ossia l'orologio segna le otto, e poi si logora nell'attesa di quei ventinove lunghissimi minuti. Sempre sbavando.

Il ruolo della cavia a Kei piace pochissimo.

Il telefono vibra ancora, sullo schermo compare il suo numero. Ormai Kei lo sa a memoria e tuttavia non ha voluto salvarlo nel telefono. Per evitare che qualcuno possa impicciarsi, ma soprattutto per avere la sensazione che sia tutto ancora provvisorio. Prendere in giro se stesso, sapendo di farlo, è uno degli apici di demenzialità che quella storia gli ha fatto raggiungere.

Cinque squilli. Sei. Sette. Oggi si merita di aspettare ancora. Otto. Nove. Inizia ad avere paura che riattacchi. Dieci. Undici. Al dodicesimo squillo Kei risponde. Si sente come il perdente di una di quelle gare di trattori nei film americani, a chi frena per ultimo. Lui è il tizio spiaccicato nel fosso.

«Ciao Tsukki!»

L'immagine si forma con mezzo secondo di ritardo e trema leggermente. Di solito fa un sorriso particolare, quando lo saluta, all'inizio di quelle telefonate. Uno con gli occhi allargati e il naso un po' arricciato. Un sorriso che Kei si sta abituando a considerare di sua proprietà esclusiva. Ma oggi no, quello che ha di fronte è il suo sorriso ordinario.

«Ciao scemo.»

«Puoi aspettare un attimo?»

Kei annuisce e intanto tira fuori i libri. Il patto è quello: la telefonata serve a studiare. Tutti e due. Studiare sul serio. Ci riescono abbastanza.

Kuroo è uscito dall'inquadratura, che ora mostra la sua scrivania. Kei si rende conto che conosce quegli oggetti uno per uno: un portapenne di bambù intrecciato pieno di matite colorate e pennarelli che probabilmente non usa da un secolo, un cane di pezza che ha visto tempi migliori, un evidenziatore giallo (Kei gli ha promesso una morte violenta se oserà usarlo su un libro di testo), un vecchio mappamondo, un piatto coperto con un altro piatto, che contiene una mela sbucciata e tagliata a spicchi. Si è crogiolato tante volte nell'idea di Tetsurou che sbuccia e taglia a spicchi una mela anche per lui. 

A interrompere queste fantasie domestiche di bassa lega, intervengono da fuori campo dei rumori incomprensibili.

«Che succede?» domanda Kei.

«Niente! Sto buttando fuori Kenma. Arrivo subito!»

Il primo istinto di Kei è quello di tirare su la zip della felpa, per non mettere in mostra il maglione con il nome di Kuroo ricamato sopra.

«Saluta Tsukki, Kenma!»

«Ciao» biascica la voce monocorde di Kozume. Sullo sfondo si sente uno scalpiccio e uno scambio verbale di cui Kei afferra solo tre o quattro parole slegate. Una di queste è "disturbare".

«Ciao Kozume» risponde Kei con identico entusiasmo. «E ciao Kuroo» aggiunge in tono seccato e conclusivo.

«No!» Un pezzo del viso di Kuroo appare nello schermo. «No, aspetta, Tsukki. Solo tre secondi, giuro. Aspettami. Per favore.»

Kei chiude con un gesto stizzito la chiamata.

Se ne pente subito, mentre ancora ha il dito premuto sullo schermo del telefono. Se ne pente, ma allo stesso tempo quello che ha visto non lo sopporta.

Che non vadano a letto insieme, quei due, lo ha capito. Non è ancora del tutto sicuro che Kozume non sia innamorato perso (più che altro non arriva a capire come possa non esserlo), ma non è neanche questo il problema.

Il problema è che Kozume è lì.

E' lì, nella stanza dove vorrebbe stare lui. Ha le chiavi di casa. E' per una questione pratica, è ovvio. Ma le ha comunque. Entra e esce come gli pare. Ha dei vestiti in quell'armadio, delle pantofole nella scarpiera all'ingresso, un'orrida tazza gialla sul lavello. Si ferma a dormire quando vuole. E si mangia tutte le mele del Kento. Probabilmente, anzi, sicuramente, lui gliele sbuccia.

Ecco, sono le mele il problema.

E quella dozzina d'anni di amicizia, confidenza, complicità. Che Kei non potrà mai recuperare, che terranno Kozume sempre in mezzo ai piedi e un passo avanti. Un passo lungo dodici anni.

Intanto, Kuroo non sta richiamando.

Kei fissa lo schermo nero, su cui si staglia l'orario 20:37. E guarda il foglio che ha sotto il naso. Proprio oggi che voleva dirgli qualcosa di importante. 

Il telefono vibra alle 20:42. Kei risponde al primo squillo.

«Ciao» saluta Kuroo asciutto. Non ha acceso la telecamera.

«Ciao» risponde Kei offeso.

«Mi hai chiuso il telefono in faccia. Ti avevo chiesto per favore di aspettare un attimo.»

«Mi hai tenuto in vivavoce con un estraneo senza avvertirmi. Non ti azzardare mai più a farlo.»

«Kenma non è un estraneo.»

La peggiore risposta che potesse dargli.

«Forse non per te» sibila Kei. «Per me è uno stronzo qualsiasi. Con una tinta del cazzo sui capelli e un evidente problema di autismo.»

Dall'altra parte del telefono si sente un respiro che arriva dal diaframma. Un respiro lungo, sonoro, controllato, di uno che stia lottando per non cedere alla collera.

«Se il fatto che Kozume non mi piaccia ti fa incazzare così tanto, forse dovresti farti qualche domanda.»

«Vaffanculo, Kei. Non ti permettere mai più.»

«Non ho bisogno del tuo permesso per farmi stare sul cazzo qualcuno. Tu invece hai bisogno del mio per chiamarmi per nome.»

«Te lo dico meglio, allora: vaffanculo Tsukishima! Sei solo geloso. A sproposito. E stai facendo il coglione! Odio vederti fare il coglione!» dice Tetsurou, con la voce che crepita di collera.

Kei chiude la comunicazione e lancia via il telefono sul piano della scrivania. Lo stronzo difende comunque  Kozume, come volevasi dimostrare.

Il cellulare torna a vibrare dopo un paio di minuti. Kei risponde subito, ma resta in silenzio ad ascoltare.

«Basta chiudermi in faccia il telefono! Non voglio passare la vita a richiamarti ogni volta che mi fai incazzare.»

Passare la vita. La frase scivola fra un nervo scoperto e l'altro di Kei e gli esplode in testa con un piccolo fuoco d'artificio.

«Io invece non voglio incazzarmi. Mi ha già stancato. Lo vedi che non funziona? Lasciami perdere e basta.»

«Non ci penso proprio. Ma chiariamo questo punto: non puoi mancare di rispetto ai miei amici.»

«Sei forse mio padre? Ho mandato affanculo lui per anni e pensi che ora mi lasci dire da te cosa posso o non posso fare?» Il ricordo di Tsukishima Leon aleggia nella mente di Kei. La sua lunga ombra proietta i silenzi e le distanze con cui ha sempre nutrito le ribellioni dei figli.

«Penso solo che ci debbano essere dei limiti, Tsukki» protesta Kuroo amareggiato.

«Dettati da te, scommetto!»

«Dettati dal tuo rispetto per i miei affetti. Che c'è? Vuoi insultare anche mia sorella? Mio nonno? Vuoi che mi metta a offendere tuo fratello?»

«Neanche lo conosci.»

«Lo hai detto tu che Kenma per te è un estraneo.»

Fregato. Con la logica. Ecco fino a che punto lo scemo gli sta fottendo il cervello.

«Tsukki, eddai, tu sei meglio di così.»

Una presunzione del genere è oltre ogni soglia di accettabilità. «E chi lo dice? Io sono esattamente così. Ho un carattere di merda e mi piace moltissimo. Mi sa che ti devi accontentare.»

«Io non mi accontento mai. E poi tu sei fantastico, persino troppo per me. Per questo ci resto male quando fai il coglione. E' così difficile portarmi rispetto? Io lo faccio.»

Kei vaglia in un istante cento possibili repliche. E non ce n'è neanche una che non lo faccia sembrare meschino o infantile. Ed è persino vero che lui gli porta rispetto. Sempre.

Dev'essere così che ci si sente, a ricevere uno schiaffo meritato: improvvisamente dalla parte del torto, ancora in collera e con la guancia dolente, ma in fondo consapevoli di aver esagerato. E in qualche modo perfino rassicurati.

«Hey, Tsukki, ci sei ancora?»

«Sì.»

«Sei arrabbiato?»

«Sì.»

«Pure io. Ma mi va lo stesso di vederti.»

Segue un silenzio sospeso, che sembra a entrambi troppo lungo.

«Dai, accendi la telecamera, scemo.»

Inquadrato in primo piano, appare sul telefono di Tetsurou il dito medio di Kei.

«Quella è la tua espressione tenera?»

«Crepa!»

«Cinquantatré. Scuse accettate, Tsukki-chan» tuba Kuroo, mostrando a sua volta il dito medio. E gli si legge già negli occhi la luce di un sorriso.

Kei nasconde il proprio fra le pagine del quaderno di matematica. «Sei una perdita di tempo vivente. Muoviti. Mettiti a studiare!»

Tetsurou si siede alla scrivania e sistema il telefono inclinato contro il cane di pezza.

Così, riesce a vedere Kei anche con la coda dell'occhio. Di tre quarti, chino sul libro, così vicino e definito che gli sembra di poter allungare la mano e toccarlo. 

In questo momento ha la fronte aggrottata e sta disegnando rapidamente un grafico. Con l'indice spinge in alto gli occhiali, uno dei suoi gesti tipici di concentrazione.

«Hai mai portato le lenti a contatto?»

«Qualche volta» mormora Kei, senza smettere di scrivere una lunga formula, sotto il disegno di prima. Arriccia la bocca, tamburella con la matita contro il mento. Ha l'incarnato così diafano che dietro l'orecchio serpeggiano vene azzurrine come fiumi su una mappa: territori che Tetsurou non vede l'ora di esplorare.

«Per fare colpo su qualcuno?» 

«Solo un idiota sarebbe colpito da una cosa del genere» mugugna Kei, storcendo le labbra.

«Forse sì. Ma non ti danno fastidio? Tipo che si appannano... »

«Sono abituato» sussurra Kei pensoso, guardando la pagina.

Sbatte le ciglia due volte. Sono chiare e così lunghe che sfiorano le lenti.

«Sei abituato o sono una forma di difesa?»

«Cosa?»

«Gli occhiali, Tsukki»

«Eh?»

Tetsurou adora infastidirlo, anche solo per vedere quell'espressione sperduta e un po' irritata, con cui ritorna alla realtà.

«Mi stai rompendo le palle.»

Adora anche quella piega delle labbra scocciata, con un piccolo broncio, pronto a far affiorare il sarcasmo. E' una bocca bellissima, incredibilmente espressiva.

«Devi studiare. Che stai fissando?» aggiunge Kei.

Ed è morbida. E umida. E sa di miele di castagno, dolce e aspra insieme.

«Kuroo! Che stai fissando?»

«Niente!» Tetsurou scuote il capo. «Proprio niente. Pensavo.»

«A cosa?»

«Ai moduli per l'università» mente, con un sorrisetto tirato.

«Quand'è la scadenza?»

«Dieci gennaio. C'è tempo.»

«Pero'...?» Kei ha individuato qualcosa di sfuggente nelle ultime parole.

«Nessun però. Ci stavo pensando e basta.»

Kei spinge via il quaderno, si stira la schiena, si appoggia alla spalliera della sedia, accavalla le gambe.

«Allora dai, parliamone.»

«Di cosa?» Kuroo si sporge verso il telefono.

Kei si toglie con calma gli occhiali e li inclina contro la luce della lampada per valutarne la pulizia. «Stasera sei più stordito di Azumane. Dell'università, di cosa sennò? Hai scelto?»

«Mn. Sì. Credo di sì.»

«Perché anche io ci ho pensato un po'... »

Un po'. La nuova frontiera dell'eufemismo. Kei non ha pensato quasi a nient'altro negli ultimi giorni. A un certo punto, gli è venuta un'idea, si è fatto in quattro per raccogliere tutte le informazioni del caso e in realtà non vedeva l'ora di parlagliene.

«A cosa hai pensato? Alla tua università o alla mia?»

«Faccio il primo anno, genio.»

«Quindi alla mia? Sono lusingato» dice. E sembra lo sia veramente.

«Non ti lusingare, resta concentrato: dimmi le tue scelte.» Kei ha preso dal cassetto una pezzuola di cotone e sta ripulendo meticolosamente le lenti.

«Beh, avevo da sempre in mente la Kayo e la Sodai, e avevo anche pensato di osare con l'Handai, visto che sono nato a Osaka, e abbiamo ancora un appartamento lì.»

Kei annuisce e inforca di nuovo gli occhiali, con sguardo neutro. Intanto sta calcolando mentalmente la cazzo di distanza di Osaka da Sendai. E sta imprecando: saranno sei ore di treno e un miliardo di yen.

«Non è meglio Tokyo?» si lascia sfuggire. L'idea era restare impassibile. Come no.

«Però ci ho pensato su. E ho deciso che non ha senso disperdere le energie su tre università con ammissioni tutte diverse.»

«Insolitamente razionale, da parte tua.»

«Quindi farò domanda solo alla Tohoku.»

«La Tohoku?» gli occhi di Kei schizzano fuori dalle orbite, mentre si sporge verso il telefono che le dita aggrappate al bordo del tavolo. Kuroo lo guarda sornione, godendosi quella reazione.

«Che c'è? Lo sai che adoro Sendai. Sono tifoso dei Frogs, no?»

«Ma che cazzo dici? Ti droghi?»

«No!»

«Sei ubriaco?»

«Ma no, Tsukki,... »

«Ti fai troppe poche seghe e ti si è intasato il cervello?»

«Beh, a dire il vero... »

«Perché se non è nessuna di queste, allora resta solo la demenza. Grave. Tutto il Giappone si vende il culo per studiare a Tokyo e tu che sei già lì, vieni a Sendai? E' una cosa così stupida che... »

«Okay, fermati un attimo. Supponevo che avresti potuto mostrare un certo disappunto... »

«Disappunto un cazzo. E' l'idea più mentecatta che potevi farti venire in mente!»

«Ti dispiacerebbe così tanto vedermi più spesso?»

«Sì!»

Kei si sforza di cancellare immediatamente dalla sua testa le sei tonnellate di immagini di possibili futuri in cui la distanza fra loro è di venti minuti scarsi di treno.

«Non è vero.»

«E' una cosa da veri stupidi pensare solo ai vantaggi a breve termine. E' il tuo futuro, che cazzo!»

«Nostro.»

«Smettila di dire idiozie una dietro l'altra!»

«Lo sapevo che non l'avresti presa bene, quindi mi sono documentato.» Kuroo apre lo schermo del portatile, lo riattiva (ha il bruttissimo vizio di non spegnerlo mai, ma di chiudere solo il coperchio) e digita qualcosa sul browser. «Guarda qui: quinta università del Giappone per le facoltà di ingegneria e di economia. Fra le migliori duecento in tutto il mondo.»

«Da dove vengono queste statistiche? Dal konbini sotto casa?»

Kuroo volta lo sguardo verso la telecamera. I suoi occhi sono seri e pieni di luce. «QS World University Rankings.»

«Non li ho mai sentiti.»

«Tu quale guarderesti?»

«Il SIR, per esempio.»

Tetsurou inclina la testa, con un sorriso diabolico. «Per loro è quarta.»

«Di tutto il Giappone?»

«Già. E per il THE? Lo vuoi sapere? No? Te lo dico comunque: per il THE è terza. Terza, capito? Del Giappone.»

[NdA Il SIR è lo SCImago Institutions Rankings e il THE è il Times Higher Education World University Rankings. Si tratta di istituti  internazionali che stilano classifiche comparative delle università e degli istituti di alta formazione basate su varie metodologie. In estremo oriente, dove la scelta dell'università è una tematica sentita con molta serietà, queste classifiche sono considerate un elemento importante di valutazione.]

«Okay. La Tohoku non è male. Bravo, hai fatto bene i compiti. Ma non ti affezionare troppo all' idea» commenta Kei, sbuffando.

«Che vuoi dire?» Kuroo chiude il portatile con una manata e si volta verso la telecamera.

«Che tanto non studierai alla Tohoku.»

«E perché?» Tetsurou si lancia in bocca uno spicchio di mela. Per quanto lo riguarda, è una decisione presa.

«Perché ti voglio alla Todai»

Le parole ti voglio mandano in confusione il cervello di Kuroo fino alla compromissione degli atti vitali involontari. La mela sbaglia percorso e lui si ritrova ad annaspare tossendo e sputacchiando.

Il ghigno di Kei è talmente largo che gli divide la faccia a metà.

«La Todai? Ho capito bene?» ripete Tetsurou non appena riesce a garantirsi la sopravvivenza.

«Esatto.»

Tetsurou sgrana gli occhi, stupito: «Oddio Tsukki... non dirmi che ti piaccio per la mia intelligenza?»

Kei aggrotta le sopracciglia. «Quale intelligenza?»

«E quindi la Todai?»

«Lo sanno tutti che le commissioni sono piene di milf. Frustrate e con standard bassissimi.»

Kuroo scoppia a ridere. 

Kei si gode la reazione. «Guarda che non sto scherzando, scemo.»

«Sulle milf?»

«Sulla Todai.»

«La mia media non è da Todai.»

«La tua media basta per fare domanda.»

«Tsukki, giuro, mi fa gongolare il fatto che tu lo creda possibile. Ma la Todai è inondata di domande di gente che è prima in classifica nella sua scuola. Tipo... dei fottuti geni.»

«Appunto.»

Kei ci ha pensato all'infinito. E si è convinto che sia possibile. Non scontato e nemmeno facile, ma possibile. Assolutamente possibile.

«Che vuoi dire?»

«Che ne hanno piene le palle di secchioni tutti identici. Quelli vogliono farsi stupire. E tu, scemo, sei uno che stupisce. Sei un atleta di livello. Sei un maledetto parolaio. Sei stranamente perspicace. Sai come piacere alla gente. Sei bello da guardare. E sei convincente quando fingi di non essere cretino.» E violi di continuo le leggi della fisica, manipoli il futuro, calpesti la statistica. L'ultima frase, Kei riesce a non dirla ad alta voce.

«Sono bello?»

Kei alza gli occhi al cielo. «Sicuramente più di quanto sei intelligente. Ma faremo in modo che non se ne accorgano.»

«Kei.»

«Sì?»

«Scusa ma... davvero? Fai sul serio?»

«Ti sembro uno che scherza su queste cose?»

«Ma Sendai... »

«Sendai un cazzo, se puoi avere la Todai.»

«Credo che tu sia l'unico a pensarlo, che posso avere la Todai.»

«Significa che gli altri si sbagliano.»

«Meno male che resti umile.»

«L'umiltà è sopravvalutata.»

«Tsukkiiii... ma io voglio studiare a Sendai! E' un'università ottima. Ed è a venti minuti da te. Insieme, queste due cose valgono più della Todai»

Il tono di Kuroo è lamentoso, Kei si spazientisce subito. «Smetti di piagnucolare e di fare il coglione. E poi io che c'entro? Non stiamo insieme. Lo hai visto prima, che non funzionerebbe mai. Piantala di pensare che ci sia qualcosa fra noi.»

«Non vuoi che ci sia qualcosa fra noi?»

«Quattrocento chilometri. Almeno.» E' la bugia più enorme e sconsiderata che abbia mai pronunciato.

«Per questo stai cercando di organizzarmi la vita?»

«Odio gli sprechi.»

«Di cosa?»

«Di talento. Ora vedi di smetterla di dire stronzate.»

«Voglio studiare a Sendai, non è una stronzata.»

«Okay. Facciamo un patto.»

Kei sembra rilassato, come uno che ha in pugno la situazione, che aveva già previsto tutto e sta seguendo un copione. Tetsurou lo guarda. Prova la sensazione, non saprebbe dire se gradevole o sgradevole, di essere completamente nelle sue mani.

«Ascoltami bene, scemo. Prima di tutto: se superi i Senta della Todai, per la Tohoku saranno più che abbastanza. Secondo: qualsiasi saggio di ammissione, puoi usarlo per entrambe le università. Terzo: fino all'ultimo giorno puoi cambiare idea. Quindi: ti sbatti per la Todai e se non va, ripieghi sulla Tohoku. Non hai niente da perdere.»

«Salvo farmi un culo enorme, probabilmente per niente.»

«Sono solo quattro mesi di enorme culo. Pochino, rispetto a tutto il resto della vita. Allora, ci stai?»

Tetsurou si infila in bocca un altro spicchio di mela. Ha le ginocchia piegate e i piedi appoggiati al bordo della seduta, una posizione tipica di Kenma.

«Non ho capito il patto.» obietta, senza smettere di masticare. La verità è che non ha neanche bisogno di pensarci. Che non gli è neanche passata per la testa l'idea di non farsi coinvolgere nei progetti di Kei. I progetti che Kei ha fatto apposta per lui.

«Il patto è che ti impegni al massimo. E fai quello che dico.»

«E in cambio tu che fai?»

«Ti faccio entrare nella migliore università del Giappone.»

«Non basta.»

«Se non entri alla Todai, ti iscrivi alla Tohoku e ti prometto che non romperò le palle.»

«E' troppo poco. Non mi conviene.»

«Stai contrattando con me?»

«Ovvio. Devo entrare a economia alla Todai, no?»

«Crepa.»

«Cinquantaquattro. Ci sto se mi presenti tuo fratello.»

«Cosa?»

«Mi faccio il culo, seguo il tuo programma. E in cambio mi presenti tuo fratello. Ma non di fretta, per bene. Tipo a cena.»

«Okay. Se segui il mio programma senza discutere su niente e se entri alla Todai, ti... »

«No, Tsukki. Me lo presenti in ogni caso. Anche se alla Todai non ci entro.»

Kei si rende conto in quel momento che saranno cinque minuti buoni che non interrompono il contatto visivo. C'è qualcosa di perverso nel guardarsi così intensamente a una distanza ridotta che però è illusoria, mediata dallo schermo di un telefono. Che succederebbe, se fossero davvero uno di fronte all'altro? Non sa rispondere ma sa di aver perso: quale esaminatore sarebbe così stupido da farsi scappare un Kuroo Tetsurou, con quello sguardo, con quel piglio, con quell'aura di dominanza?

Kei deglutisce. Sbatte le palpebre. E si arrende. «Okay.»

«Okay. Parola d'onore?»

«Piantala. Ho detto che va bene. Ma solo dopo che sarai stato ammesso, non importa dove.» Almeno, qualche mese di respiro.

«Va bene. Affare fatto.»

«Il programma di studio nuovo te lo mando in mail domani. Zero discussioni, zero lamentele. Zero, capito?  Dovrò ridimensionare gli impegni con la squadra.»

«Non salto gli allenamenti, questo lo sai.»

«Non gli allenamenti. Ma le altre cose: visioni collettive delle partite pro, serate pizza, film idioti con Bokuto, giochini con Kozume, ripetizioni del cazzo ad Haiba Lev a tutte le ore... »

Kuroo ghigna: «Sei geloso anche di Lev?»

«Non lo includo nemmeno fra gli umani» replica Kei annoiato. «Tutti i venerdì, dopo l'allenamento, Akaashi ti aspetta al Fukurodani.»

«Per fare cosa?»

«Simulazioni d'esame. Mi ha giurato che sarà implacabile.»

Negli occhi di Kuroo passa un lampo di terrore.

«Fai bene a fartela sotto. E vedi di non sbagliare, non ti conviene...»

«Figuriamoci, Akaashi è un amico» mente Kuroo, spavaldo. «Che succede se sbaglio?»

L'espressione di Kei diventa provocatoria e beffarda. «Se sbagli, niente Tsukishima Kei. Mi dicono sia la tua fissazione del momento.»

«Cosa?»

«Fissazione. Purtroppo ci vai soggetto. Per fortuna, durano poco.»

«Che cazzo dici, Tsukki?»

«Vedila così: se sbagli tutte le domande, non ti lascio avvicinare a più di un metro di distanza la prossima volta che ci vediamo. Forse nemmeno ti rispondo al telefono.»

«Cazzo! Questo dovevi dirlo prima! Se ne sbaglio la metà?»

«Mezzo metro. Telefonate molto corte.»

«Ma è uno schifoso ricatto!»

«Esatto. La vita è dura, Kuroo.»

«E se rispondo a tutte le domande, Tsukki? Distanza zero? Zero, zero?»

Kei abbassa lo sguardo, sente le orecchie andare a fuoco. «Vedremo. Tanto non esiste che rispondi a tutte. E' impossibile.»

Kuroo non lo degna di una replica. Ha la testa infilata nel libro di storia, la matita incastrata fra il naso e il labbro superiore e in mano uno spicchio di mela, che sta già diventando nero.

Kei lo guarda. E pensa che quelli della Todai dovrebbero supplicarlo in ginocchio di studiare da loro. Perché neanche fra cent'anni troveranno di meglio.

   
 
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