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Autore: Dorabella27    24/11/2022    20 recensioni
Qualche tempo fa vi avevo accennato a una breve long - perdonate l'ossimoro - in cui sarebbe ricomparso un personaggio romanzesco e filmico che ha già fatto capolino un paio di volte nei miei racconti, inserito in un contesto diverso da quello di Versailles e di Parigi. Ecco qui: una ff un po' gotica, e scoprirete presto perché, un po' rosa, con qualche tocco di mistero, e qualche brivido: e noi sappiamo bene che si può rabbrividire per tanti motivi, vero?
Immaginate un risveglio imbarazzato, in una locanda, poco lontana da una città del Nord della Francia: come sono finiti lì Oscar e André, e perché si sono messi in viaggio?
La premessa è piuttosto breve, ma i capitoli successivi saranno più corposi.
Ciao a tutti e buona lettura!
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14 - Scoperte
Da poco erano risuonati, al campanile della vicina chiesa di Santa Margherita, i dodici rintocchi della mezzanotte.
        Oscar era ancora sveglia: quella notte non aveva nemmeno preso sonno; anzi, si era distesa sotto le coperte completamente vestita, come in attesa - quale effettivamente era - di importanti novità, che l'avrebbero fatta correre a perdifiato fuori dalla sua stanza. In verità non era nemmeno riuscita a concentrarsi sulla lettura. In quelle notti passate in Place du Lion D'Or aveva in effetti dormito pochissimo, ancora meno del solito. Chi sa, invece, come stava passando la notte André, si sorprese a pensare. Il suo sonno pesante era leggendario a Palazzo Jarjayes; eppure, questa era più la nomea che si era guadagnato nell'infanzia, che non un dato di fatto legato a ritardi o a mancanze, visto che, quando era necessario essere mattinieri, André era sempre puntualissimo e scrupoloso, e, in oltre dieci anni di viaggi quotidiani verso la Reggia allo spuntare del sole, mai una volta aveva mancato di essere presente ad attendere Oscar, in perfetto orario, ai piedi dello scalone d'onore per consumare una veloce colazione insieme a lei nella cucina, calda e intima, così piena dei loro ricordi d'infanzia, e per avviarsi subito dopo insieme a lei verso la caserma della Guardia Reale.
Sospirò. Quanto ancora doveva attendere? E André? Anche lui si era infilato sotto le coperte vestito?
Suonarono i dodici rintocchi dal campanile, e contemporaneamente l'orologio sulla mensola del camino ne batté altrettanti. Pochi istanti dopo, deflagrarono le grida, grida di una ragazza terrorizzata:
"VIAAAAA! VATTENE VIAAAAAA! AIUTO! AIUTO!"
Oscar scostò con violenza coperte e lenzuola e balzò giù dal letto. Si buttò sulle spalle la mantella e, afferrato il doppiere, si precipitò verso la porta della stanza, dietro la quale la voce di André già la chiamava: "Oscar! Ci siamo! Presto!".
Scesero di volata le scale, mentre le grida sopra la loro testa non accennavano a diminuire, e un rumore fitto di passi indicava che la servitù rimasta in servizio nella casa stava accorrendo in una delle camere del personale di servizio, quella da cui provenivano le urla che avevano squarciato la notte.
Guadagnarono l'androne, la porta d'ingresso, il cortile, e lì André, agilissimo nel buio, a grandi falcate, mentre Oscar gli teneva dietro quasi con fatica, si slanciò su una figuretta infagottata di panno scuro, bloccandone la corsa affannata sulle corte gambette infantili. La figurina si agitava, cercava di sfuggire, ma André lo teneva ben stretto e, con un ginocchio puntato a terra, lo immobilizzava fra le sue braccia forti e muscolose. Quando Oscar fu vicina, e protese il doppiere, André si abbassò il cappuccio che copriva il volto della figurina: "Oscar, permettimi di presentarti l'Orfanello!".
"Michel!!!! TU?!!!", esclamò Oscar, stranita.,
"Sì, io! Non mi fate del male, vi prego!", piangeva il bambino. Il cappuccio con mantello era ormai un cencio finito a terra, e il bimbo sfoggiava un completo bianco candido con perline fittissime, opalescenti nel buio, e aveva il viso coperto di biacca e i capelli incipriati, o meglio, abbondantemente infarinati, come del resto era fittissima polvere di farina quella che cadeva a terra mentre si dimenava.
"E ora"; disse André, prendendo in braccio il bambino e caricandoselo sulla spalla sinistra, dirigendosi verso il portone, che aprì, mentre Oscar gli faceva luce, con tre giri di chiave netti e decisi, "Ecco qui la vera mente dell'operazione!". E, una volta spalancato il portone, Oscar e André si trovarono di fronte il Visconte di Valmont.
V'è dei momenti in cui l'animo di un gentiluomo, per quanto imbarazzato, non può negare l'evidenza: e così, il Visconte, indolentemente appoggiato al muro accanto al portone, in un abito nero sobrio ed elegante, con un tricorno nero piumato, mentre controllava, in atteggiamento fra l'ozioso e il nervoso, il suo orologio da panciotto, che ciondolava fra le sue dita, appeso alla pesante catena d'oro baluginante nel buio, ebbe, com'è ovvio, un'espressione assai stupita, vedendosi comparire davanti agli occhi lo strano terzetto; ma, subito dopo, si riprese, e, ostentando la maggior tranquillità del mondo, si rivolse a Oscar e André con le sue maniere impeccabili.
"Colonnello de Jarjayes, è un piacere incontrarvi, per quanto a un orario e in un momento così inconsueto", disse, con un cenno del capo, aggiungendo subito dopo: "E lo stesso vale per voi, Monsieur Grandier".
"Anche noi siamo molto felici di vedervi, così da asseverare le nostre ipotesi", prese la parola André. "E per quanto riguarda l'Orfanello", disse, indicando con il mento il piccolo Michel che teneva fra le braccia, e che continuava a piangere, ora silenziosamente.
"credo che non sia particolarmente appropriato che un bambino così piccolo si aggiri tutto solo in piena notte in case straniere". E così dicendo, pose a terra il bambino, che, sempre fra le lacrime, si rivolse a Valmont: "Vi prego, vi prego, Visconte, credetemi: io ho fatto tutto quello che mi avete detto, a perfezione, ma non so come mi sono trovato il Comandante e il suo attendente ad aspettarmi nel cortile!".
"Suvvia, Michel", disse Valmont, in tono insolitamente comprensivo e carezzevole, chinandosi verso il bambino, "sono assolutamente certo che tu sei stato perfetto e preciso come sempre"-
"Davvero? Non siete adirato con me?", chiese quello, gli occhioni pieni di lacrime e di vergogna.
" Via! Ma che cosa dici mai! Come potrei?", rispose Valmont, e, per rassicurare il piccolo gli mise fra le mani cinque luccicanti monete d'oro. "Ora fila via, presto, e non guardare nulla che non sia la strada che ti conduce alla porta di casa, intesi?".
Michel sorrise, confortato, non solo dall'insperata elargizione, più del doppio di quanto il Visconte gli riservava come ricompensa in occasione di quell'insolito servigio notturno, ma anche dal sentire elogiato il suo impegno dalla voce di quel gentiluomo tanto elegante e misterioso.
I tre osservarono il bambino correre via, sicuro, traversare la piazza, tagliandola longitudinalmente, per poi sparire in una viuzza laterale.
"Non sarà imprudente lasciare percorrere a un bambino così piccolo strade tanto buie in piena notte?", chiese Oscar, quasi più a se stessa che non a Valmont.
"Via! Che dite, Colonnello de Jarjayes! Michel abita a pochi passi dalla piazza, e poi Lille non è certo Parigi, con i suoi rischi molteplici e terribili, ma una cittadina sonnolenta e tranquilla! Inoltre, Michel ha percorso la stessa strada innumerevoli volte, ed è sempre ritornato a casa sano e salvo!", sorrise il Visconte.
"E a proposito delle "innumerevoli volte" in cui Michel, dietro vostro incarico, ha svolto questi incarichi notturni", chiese Oscar, severa, "credo che ci dovreste delle spiegazioni". E così facendo, indicò a Valmont il portone aperto.
"Naturalmente", mormorò il Visconte, arcuando le sopracciglia, con una smorfia significativa, appena illuminata dal doppiere, mentre varcava la soglia del portone, seguito da Oscar e da André, che l'avrebbe anche richiuso a chiave, se non fosse stato che il cortile era affollato del personale di servizio, che stava, con tutta evidenza, lasciando la casa, con in mano borse e fagotti riempiti frettolosamente.
"Dove state andando?", chiese Oscar.
"Colonnello de Jarjayes", prese la parola Martine, timida, sconvolta, ma, insieme, agguerrita, "ci duole molto, ma dopo che l'Orfanello è comparso stanotte nella mia stanza, abbiamo deciso di lasciare la dimora e di rifugiarci sino a domani mattina alla locanda "Au cheval pâle" dove pernottavamo prima che arrivaste in città. E se vorrete servirvi ancora di noi, abbiamo pensato che potremmo lavorare di giorno in questa casa, ma la notte tornare alla locanda".
"È ... è comprensibile", mormorò Oscar, confusa, non sapendo quanto e che cosa dire, mentre il piccolo corteo di servitori si allontanava, seguito da Girodelle, imprevedibilmente in mantello nero, marziale ed efficiente come poche volte in vita sua Oscar l'aveva visto.
"Madamigella", disse Girodelle, con aria grave, gli occhi grigi sfavillanti sotto il tricorno, ravvolto in un mantello di casimiro nero, "Prendo l'iniziativa di accompagnare il personale di servizio alla locanda, dove potrà trovare riposo e tranquillità a seguito dei fatti di questa notte".
"Sta bene, Girodelle", annuì lei, procedendo verso l'ingresso, seguita da André. Valmont li attendeva, avendo già salito i tre gradini che portavano alla porta.
André aprì la porta, e i tre entrarono.
Percorsero le stanze deserte e silenziose, sino a quando non arrivarono alla biblioteca. Mentre Oscar e Valmont sedevano in poltrona, l'uno di fronte all'altra, André accendeva le candele e il fuoco.
Oscar era ancora avvolta nel suo mantello. Tutta la casa era gelida e silenziosa: si udiva soltanto il crepitìo della fiamma appena accesa, che spandeva il suo mite calore nella stanza vasta e fredda.
Anche André si accomodò, su una sedia dall'alta spalliera, dalla fodera rossa un poco sdrucita e polverosa, e, le braccia conserte, guardò Oscar, eloquentemente. Quella allora chiese. "E dunque, Visconte, vostra zia Madame de Rosemonde, sa che siete voi il proprietario di questa casa?":
"Certo che no, Colonnello", rispose Valmont, con una smorfia sprezzante delle labbra, e arricciando il naso. "Madame de Rosemonde è mia zia, anzi, è la mia prozia, da parte di padre, giacché è sorella del mio defunto nonno paterno, mentre questa casa mi è giunta in eredità dal ramo materno della mia famiglia, dal bisnonno della mia nonna materna, che con Madame de Rosemonde non aveva nulla a che vedere". Poi, dopo una breve pausa, si protese in avanti, e aggiunse, in tono curioso: "E voi, come siete arrivati a scoprirlo?".
"Vedete, Visconte", rispose Oscar, sorridendo, "è tutto merito di André. Credo che sia giusto che sia lui a spiegarvi come siamo venuti a capo di questo mistero".
"D’accordo. Sentiamo", accondiscese Valmont, accavallando pigramente le gambe e sostenendo il capo alla mano destra, il gomito appoggiato al bracciolo della sedia, con quella sua aria strafottente e insieme pigra come quella di un gatto.
 Che uomo era quello, pensava Oscar, che riusciva a mantenere la calma e la padronanza di sé, in un modo, francamente, anche piuttosto irritante, mentre si apprestava ad ascoltare come era stato sbugiardato?
"Ecco, Visconte di Valmont, in realtà è tutto molto semplice: quando siamo arrivati a Lille, abbiamo appreso che il proprietario di questa casa, ufficialmente, è dal 1630 Monsieur Louis Ferdinand Destouches, e che, curiosamente, il conto su cui vengono versate le pigioni non ha mai cambiato intestatario. Una circostanza molto strana, non trovate?", chiese André, con un sorriso.
Valmont, da parte sua, rispose con una smorfia, arricciando il naso e le labbra, e senza muoversi dalla sua posa indolente
"Poi", continuò André, senza dare mostra di avere notato il gesto di scherno e di impazienza del loro ospite forzato, "Una volta arrivati in casa, ho notato, come primo particolare, la boiserie scura e pesante che rivestiva tutte le stanze sino a metà parete. Mio padre era falegname e intarsiatore, e, per quanto fossi solo un bambino quando era morto, ricordo molto bene che, in un paio di occasioni, aveva realizzato, per le dimore di alcuni ricchi commercianti che vivevano nei dintorni del nostro villaggio, una boiserie che nascondeva delle porticine, le quali davano su un passaggio, una sorta di stretto corridoio che correva dietro le pareti, e che metteva in comunicazione fra di loro le stanze. Nulla a che vedere, s’intende, con le porte segrete che mettono in comunicazione le diverse stanze della Reggia, occultate da graziosi disegni e dalla tappezzeria fittamente decorata, ma quel ricordo infantile, risvegliato non appena siamo entrati in questa casa, mi ha dato subito da pensare..
        André fece una pausa, e guardò negli occhi Valmont: il suo sguardo era freddo come quello di un serpente e non dava segno di essere minimamente toccato dalle parole di André. Insieme, rivolse uno sguardo, velocissimo e in tralice, a Oscar: era ammirazione quella che aveva visto barbagliare negli occhi di lei? Si riscosse e riprese: "Ho pensato allora che potesse essere anche il caso di questa dimora. Controllando accuratamente nella mia stanza, e poi anche in altre, ho scoperto delle porticine, abilmente dissimulate fra le venature del legno scuro, negli angoli meno in evidenza delle stanze. Tuttavia, esse erano chiuse a chiave, e nessuna di quelle del mazzo che ci era stato consegnato in banca poteva aprirle. Allora formulai un'ipotesi, insospettito dal fatto che voi eravate stato estremamente perentorio nel negare ogni possibile apparizione dell'Orfanello, e che avevate escluso in modo del tutto perentorio che potessimo parlare con vostra zia. Questa vostra ostinazione era assolutamente sospetta. 
        Pensai che forse eravate imparentato con Monsieur Destouches, e, dato che il Direttore della banca qui di fronte, Monsieur de Vergeron, ci aveva detto che la casa era stata acquistata dalla banca stessa nel 1630, pensai che forse il compratore poteva essere un uomo maturo, in grado di disporre di una buona liquidità. Ho pensato dunque, come già avevo ipotizzato con ... il Colonnello Jarjayes, che Monsieur Destouches forse era originario di questo quartiere della città, e come prima opzione, una volta raggranellato un gruzzolo per comprare una bella casa, avrebbe potuto restare nel suo quartiere. Ho allora iniziato a consultare i registri di battesimo delle due chiese più vicine, a partire da 1570, e a Santa Margherita, ho trovato l’atto di battesimo di Louis-Ferdinand Destouches. E poi Monsieur Destouches ha fatto battezzare nella stessa parrocchia la sua unica figlia, che, è bastata una scrupolosa ricerca nei registri parrocchiali, risulta essere la vostra bisnonna, madre della vostra nonna materna, battezzata e sposata nella stessa chiesa, come vostra madre e voi stesso, Visconte".
Valmont si rialzò composto nella sua poltrona, e applaudì, piano, con ostentata lentezza, battendo fra loro le mani dalle dita lunghe e delicate e dal palmo bianco e liscio, per tre volte, "Siete stato estremamente perspicace, Monsieur Grandier, davvero molto abile", disse, con tono di profonda degnazione.
"Oh, no", si schermì André, "come dicevo a Oscar, ... al Colonnello Jarjayes, sono anche stato particolarmente fortunato", e poi riprese a spiegare: "Ora si trattava solo di scoprire se davvero la mia ipotesi sul passaggio che correva parallelo alle stanze della casa era corretta. Allora sono tornato alla banca di Monsieur de Vergeron, il quale, di fronte a una richiesta firmata nientemeno che dal Comandante delle Guardie Reali - e qui André fece un cenno, sorridendo, a Oscar - non ha potuto esimersi dall'indicarmi quale notaio avesse trattato, oltre un secolo fa, l'acquisto di questo palazzo. Avutone il nome, mi sono recato allo studio del pronipote, che aveva ereditato, generazione dopo generazione, come si usa fra notai, la professione dell’antenato. Lì ho effettivamente constatato che, nell’archivio dello studio, era conservata una copia del contratto d'acquisto, oltre a una planimetria completa della casa: tutti documenti che quel gentile notaio mi ha mostrato senza obiettare nulla, una volta appurato che si trattava di una indagine il cui incarico veniva nientemeno che da Sua Maestà la Regina Maria Antonietta.
E così, ho verificato che effettivamente, proprio come avevo sospettato, questa casa è costruita assai singolarmente, provvista com’è di una boiserie che riveste tutte le stanze, anche quelle della servitù, e che cela uno stretto passaggio, forse concepito per motivi di praticità di servizio, utile a transitare in ogni camera senza percorrere i più convenzionali corridoi e senza passare per le porte che si affacciano su di essi”.
“Molto perspicace”, disse Valmont, in tono piatto, e poi, rivoltosi verso Oscar: “Mi complimento con voi, Colonnello de Jarjayes, per avere saputo scegliervi un servitore così capace e acuto. La sua origine plebea e la professione di .... falegname, ,-  giusto, Monsieur Grandier? – chiese Valmont, girando la testa velocemente verso André, e ostentando un piccolo sorriso, come chi voglia essere confortato in un improvviso vuoto di memoria – qualche volta può in effetti risultare utile”.
C’era disprezzo nella voce del visconte? Certamente sì.
Ma, per quella volta, Oscar finse di ignorarlo.
“Ora, però, dovreste dirci il perché di questa farsa, Visconte”, disse Oscar, a sua volta, severa.
“Oh, Madamigella, vedete...”, iniziò Valmont, fingendo malamente una timida confusione che era ben lontano dal provare. Quanto odiava Oscar quei cortigiani che, quando faceva loro comodo, ostentavano imbarazzo nel parlare di fronte a lei di quelli che chiamavano, in maniera falsamente pudica, “i fatti della vita”! Come se lei fosse mai stata una educanda pudibonda, cresciuta nella penombra di un convento da suore che sussurravano a bassa voce quando dovevano toccare argomenti scabrosi! Quanto detestava chi la chiamava ora “Colonnello”, rendendole il dovuto omaggio, richiesto dal suo grado e dal suo stato, ora “Madamigella”, per farle pesare l’esclusione cui, nelle teste bacate, la doveva condannare in certi, in molti casi, l’appartenenza al sesso femminile. Ma, alzando gli occhi con stizza oltre la testa del Visconte, Oscar colse una espressione ugualmente sdegnata e offesa negli occhi di André, e in luogo del caldo soffocante dell’ira che le saliva alle guance in quei casi, avvertì una sensazione di dolce refrigerio nel petto.
Nel frattempo, Valmont sembrava avere trovato le parole giuste. “Ebbene, non posso negare, Madamigella, che prima di avere incontrato, in modo del tutto imprevisto, ma non per questo meno piacevole, lo strabiliante azzurro dei vostri occhi in questa grigia cittadina di provincia, mentre mi trattenevo presso la mia anziana prozia per confortare la sua vecchiaia (e qui André non poté trattenere un sorrisetto appena abbozzato, che per fortuna il visconte non vide,  dato che era notorio a Parigi come le frequenti visite di Valmont, sempre indebitato con sarti, gioiellieri e allibratori, a Madame de Rosemonde, fossero finalizzate unicamente a tentare di indurre la buona signora a modificare il suo testamento nominandolo suo erede universale), ”....mentre, dunque, soggiornavo nel piattume di questo inverno, che è così lungo, qui al Nord, il mio cuore venne riscaldato da una ... corrispondenza d’amorosi sensi con una giovane dama, appassionata come me di ... giardinaggio, ma, purtroppo, sposata a un uomo tetro e geloso, che non avrebbe mai potuto acconsentire a una amicizia fra me e la giovane moglie, basata su comuni e innocenti interessi”.
Una pausa, marcata da una pigra occhiata di Valmont all’orologio che aveva estratto dalla tasca del panciotto, e poi il visconte riprese il suo racconto.
“Pertanto, era importante mantenere una certa cautela, nonostante la Baronessa de Clairmont – oh, scusatemi, avrei dovuto essere più discreto, ma l’ora così tarda mi rende meno vigile! – mi avesse offerto piena disponibilità circa l’uso dei suoi giardini...”
“Certo, Visconte, sebbene, stando a quel che si dice, la Baronessa abbia tutti amici giardinieri....”.
La battuta mordace, improvvisa, e pronunciata da André con tono di pensosa pacatezza, aveva fatto volgere di scatto Valmont verso di lui, con occhi fattisi improvvisamente, da velati e annoiati quali simulavano di essere, di bragia, mentre Oscar non riusciva a trattenere una risatina, pur coprendosi la bocca con la mano e soffocando un singulto divertito. E André non poté fare a meno di scoccarle uno sguardo incantato, rivedendo in lei, i capelli dorati che barbagliavano nel buio, appena illuminati dalla luce delle candele, la ragazzina con cui, anni prima, cercando di soffocare le risate, leggeva clandestinamente, nella penombra della sua stanza, dopo la mezzanotte, le gesta di chi, nel Decameron, cercava di rimettere il diavolo all’inferno.
“Dicevo dunque, Colonnello de Jarjayes”, continuò Valmont, imperterrito, una volta ricompostosi, e rivolto soltanto a lei, come se André si fosse improvvisamente smaterializzato dalla stanza, “Che cercavo, come voi ben comprenderete, un modo tranquillo e sicuro per aggirare l’immotivata gelosia di Monsieur le Baron de Clairmont. Mi trovavo per puro caso in visita dalla mia cara zia, Madame de Rosemonde, quando venni a sapere, dalle sue parole costernate, della spiacevole vicenda in cui era incorsa la sua amica inglese, Lady Crowe. L’indirizzo della casa in cui l’amica della mia dolce zietta era venuta a soggiornare mi diceva qualcosa, e, dopo l’ennesima volta in cui la cara vegliarda mi ebbe raccontato i fatti, feci fra me e me, nottetempo, alcune considerazioni, in ordine all’albero genealogico della mia famiglia, e mi sovvenni del fatto che Monsieur Destouches, il primo proprietario di questa dimora, era un mio antenato. Quindi, come mi sincerai alla banca qui di fronte, di fatto, la pigione veniva pagata  ... a me”, concluse con una breve risatina.
“E quanto alla storia dell’Orfanello”, chiese Oscar, “Che cosa mi sapete dire?”
“Orfanello? Non so proprio di che cosa parliate, Colonnello! Ma, del resto, è normale che una casa, frequentemente disabitata e che cambia spesso affittuari, attiri su di sé, nel corso dei decenni, le dicerie più strambe”, rispose Valmont, stringendosi, molto eloquentemente, nelle spalle. “Quanto a me”, continuò, “la cosa che più mi interessava era controllare se corrispondesse a verità un ricordo che mi era sovvenuto, relativo a un fatto che la mia amatissima nonna mi raccontava: dovete sapere che quando ero bambino, e lei giaceva, rattrappita dall’artrite, su una poltrona, più volte, vedendomi saltare e correre con la vivacità di un grillo, mi diceva, con tono di accorato rimpianto, come ancora ricordava quanto fosse stata vivace lei stessa, alla mia età, e quanto la divertisse strisciare nei passaggi segreti della casa in cui era cresciuta a Lille, che le consentivano, agile e minuta come era, di passare da una stanza all’altra silenziosamente, procurando memorabili spaventi a parenti e servitù.
Allora pensai che quei passaggi, se davvero esistevano ancora, potevano essere un’ottima risorsa per poter passare da una stanza all’altra nottetempo, nella quiete più assoluta, per ... rinsaldare il vincolo dell’amicizia, basata su comuni interessi, che era nata con Madame de Clairmont. Tramite il mio fido staffiere Azolan, inviato a Parigi presso il mio amministratore, recuperai nell’archivio dei documenti della mia famiglia gli atti notarili che attestavano i passaggi di proprietà della casa, e poi, una volta ricevute queste notizie, qui a Lille, mi recai dagli eredi del notaio che aveva trattato la vendita di questo palazzo dalla banca al mio antenato. Una volta recuperate le planimetrie, e visionatele, fui lieto di scoprire che i ricordi della mia cara nonna corrispondevano a verità, e mi disposi a insediarmi in questa casa, invitando, per un piacevole soggiorno invernale, alcuni amici, fra i quali il Barone e la Baronessa de Clairmont....”
“... ma la vostra prozia, Madame de Rosemonde, vi anticipò, prendendo in affitto lei stessa la casa dalla banca, per sincerarsi che cosa fosse accaduto alla sua amica”, continuò Oscar, concludendo quella prima parte del racconto, mentre Valmont annuiva.
“Precisamente, Madamigella Oscar, precisamente. È molto confortante incontrare una donna che assommi al coraggio e all’indiscussa bellezza una così acuta intelligenza”, tentò di blandirla il visconte, senza però ottenere da lei un solo cenno di approvazione per quel complimento in effetti un poco frigido.
“E così, mi venne l’idea di dare corpo alla figura dell’Orfanello, che popolava la fantasia dei cittadini di Lille. Per pura casualità, un giorno, volevo fare un dolce omaggio a una giovane novizia, rinchiusa nella tetraggine del chiostro, in un monastero cittadino, poco lontano da qui. Mi imbattei dunque nel forno di Monsieur Michaud, e chiesi di consegnare un vassoio di meringhe e di petit – pain au chocolat alla povera reclusa del convento di Santa Monica, ma fui in quel momento folgorato dagli occhi della giovane commessa, oltre che, per altri motivi, dalla figuretta svelta del piccolo Michel. Non ci misi molto, a suon di consegne ben remunerate, a conquistare la fiducia di quella incantevole vedova e del suo simpatico figlioletto, così da poter avere la possibilità di affidare al piccolo anche qualche incarico notturno, non senza averlo provveduto di un abito di gala bianco, cosparso di perle, e non prima di averlo cosparso, nelle sue missioni notturne, di abbondante biacca sul viso e sulle mani, e di cipria e farina sui capelli e sul vestito”
“E come avete giustificato l’esigenza di servirvi di un bambino in piena notte, e questo strano abbigliamento?”, chiese Oscar.
“Colonnello de Jarjayes, forse il vostro attendente – in cui noto che riponete la massima fiducia – potrà assicurarvelo a sua volta: due luigi d’oro per pochi minuti di impegno, per certa gente sono un argomento talmente convincente che né Michel né la sua incantevole madre hanno mai sospettato che si trattasse di uno scherzo men che innocente”, rispose Valmont, sorridente, ma caustico.
“Poi”, riprese un attimo dopo il visconte, con l’aria più innocente e il tono più naturale del mondo, “dopo che anche mia zia lasciò la casa, arrivaste voi, e ancora una volta, non potei insediarmi nella dimora. Pensai di perseverare nella mia simpatica burla, - fra l’altro Michel  mi disse di aver visto dormire nella stanza della gabbia una principessa bionda tanto bella da intenerirlo, e così mi riferì di avervi messo accanto, sul comodino, l’orsacchiotto di pezza: che caro bambino! Così sensibile!
 La mia idea era dunque di allontanarvi prima e di far calmare le acque prima di insediarmi qui con un gruppo scelto di amici, fra i quali i Baroni de Clairmont – pagando, s’intende, la pigione a me stesso, senza rivelare la proprietà della casa, come se si trattasse di un mistero da risolvere in compagnia, di uno spericolato gioco di società – magari per animare il clima penitenziale della Quaresima, che è tanto noiosa a Parigi, figuriamoci in questa sperduta e gelida provincia! -, ma, come ben sapete, sono stato scoperto. E la storia è tutta qui”.
“Bene, Visconte”, affermò Oscar, alzandosi, e indicando la porta, “giacché siete stato sincero, e il vostro intento era, sebbene non del tutto innocente, certo non finalizzato a fare del male scientemente, credo che potremmo concludere qui le nostre indagini, senza fare esplicita menzione del vostro ruolo in questa vicenda. Non credi anche tu, André?”
Quello, alzandosi a sua volta, annuì silenziosamente.
“E ora”, concluse Oscar, uscendo dalla stanza, seguita dai due uomini “Credo che potremo dichiarare definitivamente chiusa la faccenda”.
Scesero nel cortile, oltre la porta d’ingresso, sino al pesante portone del palazzo. André lo aprì, e, mentre Valmont era sulla soglia, Oscar corrugò la fronte per un attimo, come se un pensiero subitaneo l’avesse trafitta, e disse. “Aspettate un attimo, Visconte di Valmont!”.
“Sì, Colonnello de Jarjayes?”, si volse Valmont, che aveva già un piede in strada, bloccandosi sulla soglia.
“Visconte, se non mi sbaglio, voi avete ammesso di avere usufruito dei servigi del piccolo Michel per interpretare l’Orfanello solo dopo che Madame de Rosemonde ha preso in affitto questa casa, giusto?”-.
“Esattamente, Colonnello de Jarjayes. Avete inteso bene”.
“Ma allora... “, continuò Oscar, fattasi improvvisamente incerta, “Chi interpretava l’Orfanello nelle notti in cui Lady Crowe e i suoi familiari soggiornarono qui?”.
“Ah., non ne no la più pallida idea, Colonnello”, rispose, serafico, Valmont. E poi, di fronte all’espressione sconcertata di Oscar, e di André, che poteva cogliere appena alla debole luce delle torce accese agli angoli del cortile per illuminarlo nelle ore notturne, aggiunse: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Comandante de Jaryayes, di quante non ne sogni tutta la vostra filosofia”.
E detto questo, con un breve cenno di saluto con la mano, si allontanò, ombra nella notte.
“Che ne dici, Oscar”, ruppe il silenzio André, “Potremmo anche noi andare a passare la notte altrove? Magari proprio “Au cheval pâle”?
 “Ci sto, André. Ma nella stessa locanda di Girodelle, proprio no! Andiamo piuttosto a bere qualcosa da qualche parte, prima, e poi accertiamoci se al piano di sopra hanno stanze libere. Due stanze”, precisò lei, con tono che voleva essere severo, ma risultò solo sorridente.
“E va bene. In effetti, ho bisogno di farmi una gran dormita, senza interruzioni di sorta ... sai com’è, io non mi sono portato qui a Lille dei tappi di cera”, rise a sua volta André.

“Stupido!”, lo rimbrottò lei, radiosa, anche se lui poteva solo intravederla.
“E quanto al rapporto sulla vicenda dell’Orfanello, come pensi di regolarti, Oscar?”, chiese André, un passo solo a separarlo dal portone.
“Credo che parlerò di scricchiolii sinistri in una vecchia casa, di baluginii e riflessi negli specchi, e di suggestione”, sospirò lei, “sperando che Girodelle sia conciliante e non voglia approfondire la questione”.
“Il Visconte di Valmont non sarà nemmeno nominato, dunque?”, la incalzò André.
“Vedi”, spiegò Oscar, “Non vorrei che, se parlassi del Visconte di Valmont, fosse poi necessario far emergere il ruolo del piccolo Michel in questa storia. In fondo, non era consapevole di fare altro che non fosse prendere parte a uno scherzo, e mi addolorerebbe molto che la sua buona fede venisse punita, considerando che non ha alcuna colpa in questa faccenda”.
“Hai ragione, Oscar”, assentì André, pensoso, e subito dopo aggiunse: “Però, possiamo sempre festeggiare fra noi due la fine della missione con una buona bevuta, vero?”.
“Certo, André”, sorrise lei, mentre lui la precedeva varcando il portone, Poi, fu solo un attimo: Oscar, per una sorta di strano presentimento, si volse, e, a una delle finestre del piano nobile che dava sul cortile, lo vide: un bambino bellissimo, abbigliato di bianco con fasto che si sarebbe detto quasi principesco, dall’incarnato pallido e lunare, il volto dall’espressione malinconica contornato da bruni capelli ricci, che la guardava, con gli occhi sfavillanti, e levando lentamente la mano, le faceva un lento cenno di saluto, con un sorriso che appena increspava le labbra perfette, come perfetti erano i lineamenti di quel volto bellissimo e triste. E, mentre André le dava la schiena, anche Oscar, un attimo prima di imboccare il portone che dava sulla piazza, levò la mano destra e rispose al saluto.
 
 
E così abbiamo proprio finito: con questo capitolo termina “Giù al Nord”, che mi ha tenuta compagnia nel difficile trapasso dalla primavera all’estate, e poi durante questa lunghissima estate bollente e quell’autunno che sembrava non volersene andare mai.
Grazie di cuore, in particolare, a Galla e ad Alessandra, per le loro fan art, che hanno dato pregio e lustro alla mia storia, e per realizzare le quali mi hanno dispensato tempo ed energie.
Grazie a tutte le amiche che sono state prodighe di suggerimenti, o che hanno avuto l’occhio attento e allenato del correttore di bozze di lungo corso.
E poi, a tutti voi che avete letto, commentato, che mi avete fatto dono del vostro tempo cercando di arrivare al nocciolo del mistero dell’Orfanello, va il mio caloroso “grazie!”, soprattutto perché questa lunghezza non è nelle mie corde, e lo sapete bene.
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E adesso?, mi chiederete. Beh, adesso comincia l’Avvento, giusto? Con tutto quel che comporta.
E, non va dimenticato, in una delle infinite declinazioni dell’universo Rov i nostri protagonisti sono rimasti soli in casa (André, Oscar … e una caviglia rotta) ad Arras la notte di Natale. Vogliamo lasciarli a languire?
E c’è ancora da rispondere a una impertinente e provocatoria domanda in una calda nottata di settembre … ah, se ce ne sono ancora di cose da dire!
A presto, dunque!
   
 
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