Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Puffardella    19/01/2023    1 recensioni
Eilish è una principessa caledone dal temperamento selvatico e ribelle, con la spiccata capacità di ascoltare l’ancestrale voce della foresta della sua amata terra.
Chrigel è un guerriero forte e indomito. Unico figlio del re dei Germani, ha due sole aspirazioni: la caccia e la guerra.
Lucio è un giovane e ambizioso legionario in istanza nella Britannia del nord, al confine con la Caledonia. Ama il potere sopra ogni altra cosa ed è intenzionato a tutto pur di raggiungerlo.
I loro destini si incroceranno in un crescendo di situazioni che li spingerà verso l’inevitabile, cambiandoli per sempre.
E non solo loro...
Genere: Guerra, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 1

EILISH
All’orizzonte, il tenue bagliore dell’alba annunciava con discrezione la nascita del sole, e mentre la luce del giorno si insinuava lentamente nell’oscurità della notte, tracciava i contorni del paesaggio circostante. Le sagome scure delle montagne, dalle vette ancora innevate, tornarono a profilarsi maestose sullo sfondo del cielo.
Eilish si alzò dal suo giaciglio di foglie, si stiracchiò a lungo e si incamminò sull’orlo del dirupo sul quale si infrangevano le acque del Mare del Nord. Sorrise eccitata mentre contemplava lo scenario di rara bellezza che le veniva offerto dalla natura. La notte prima, al crepuscolo - che era il momento in cui, secondo la tradizione del suo popolo, il giorno aveva inizio - ogni cosa era stata ricoperta da una calda luce rutilante. Ora, invece, dominava il rosa e, a mano a mano che il sole si sollevava sulla linea dell’orizzonte, il paesaggio veniva lentamente avvolto da una luce soffusa.
Eilish allargò le braccia e fece un giro su se stessa, abbracciando con lo sguardo tutto il panorama intorno: il fiordo dalle ripide pareti coperte di muschio in cima al quale si estendevano fitti boschi; lo spiazzo erboso dove si era fermata a dormire, il cui verde brillante spiccava su quello più intenso della foresta alle sue spalle; il cielo che appariva sempre più azzurro e terso, attraversato da sottili nuvole rosa… Nemmeno la nebbia che in inverno, di solito, ricopriva ogni cosa col suo gelido, umido abbraccio, deturpava quell’incantevole scenario. Eilish si disse che non poteva essere altrimenti, nei giorni che precedevano Beltane. Era così ogni anno: all’arrivo della primavera, la nebbia batteva in ritirata.
La ragazza concluse il giro su se stessa con un grido acuto, liberatorio, che riecheggiò a lungo sulle pareti ripide della scogliera.
Doveva ancora compiere sedici anni. Era una ragazza coraggiosa, piena di vigore, orgogliosa della bellezza selvaggia della sua terra e fiera delle sue radici nordiche. Aveva lunghi capelli rossi che di rado pettinava e che le erano cresciuti in trecce aggrovigliate, la carnagione chiara e due splendidi occhi verdi, luminosi e pieni di vita. Era graziosa, sebbene fosse opinione generale che la sua timida bellezza impallidisse di fronte a quella decisamente più spiccata della sorella maggiore, Caitriona.
Caitriona era “più tutto” in tutti i sensi: più alta, più rotonda, più aggraziata, più femminile, più bionda… Perfino i suoi occhi erano più verdi, e la sua voce più gentile e musicale. Non aveva difetti alcuni tranne forse l’ambizione, se la si poteva considerare un difetto.
Chissà perché tutti si erano sempre sentiti in obbligo, fin da quando erano bambine, di metterle al confronto, di elencare le tante, profonde differenze che esistevano fra di loro. Questo era uno dei numerosi motivi per cui Eilish, ancora pubescente, aveva iniziato a disinteressarsi del proprio aspetto e aveva abbandonato gli abiti femminili dalle morbide stoffe per vestirsi come un uomo, con la tunica corta di ruvida lana grezza allacciata in vita e le lunghe brache.
Più volte suo padre aveva cercato di farla desistere dal conciarsi in quel modo, senza a dire il vero metterci troppo impegno. In fondo amava quella sua figlia eccentrica - che cacciava come un uomo e si imponeva come un re - più della primogenita, proprio in virtù di quel suo carattere complesso e selvatico.
Eilish fece indugiare ancora un poco lo sguardo sulle acque del Mare del Nord, che ora scintillavano alla luce algida del sole portatosi ormai ben al di sopra della linea dell’orizzonte, e decise che era arrivato il momento di rimettersi in cammino. Raccolse la coperta di lana dai motivi geometrici e dai colori sgargianti sopra la quale si era stesa per dormire, e la scrollò con vigore per liberarla dalle foglie secche. Infine la usò per avvolgere due lepri, bottino di caccia del pomeriggio precedente. Mise il fagotto così ottenuto a tracolla facendolo scendere in diagonale sul petto, e lo legò con un nodo sopra la spalla usando i lembi della stoffa. Sull’altra spalla mise l’arco e la faretra, poi si diresse verso il folto della foresta.
Aveva ancora molta strada da fare prima di raggiungere la capanna della Vecchia Veggente, che viveva come un’eremita fra i boschi di querce sulla cresta del monte che dominava a est la pianura del kent, dove risiedeva il villaggio della sua gente. Due ore di strada almeno. E dopo aver preso il pigmento blu, come suo padre le aveva chiesto di fare, le rimaneva da coprirne più del doppio per tornare al villaggio. Eppure quella prospettiva non le dispiaceva affatto. Amava inoltrarsi nella selva, osservare gli animali che la popolavano, respirarne gli odori, entrare in comunione con gli spiriti che avevano scelto come loro dimora quel luogo incantato.
Stava per addentrarcisi quando sollevò lo sguardo al cielo; uno stormo di colombacce le passò sopra la testa. La mente della giovane registrò prontamente il volo degli uccelli, prendendo nota della direzione e del loro numero approssimativo, consapevole che Morhag, la Veggente, le avrebbe fatto le solite domande di rito in proposito.
La vecchia indovina sembrava avere per tutte le creature alate una vera e propria ossessione. Da quando era diventata cieca e non le riusciva più di spostarsi come un tempo, tempestava di domande ogni ospite che andava a farle visita. Le domande erano mirate a conoscere soprattutto la specie, il numero dei volatili e in quale direzione volavano.
Ebbene, le colombacce si dirigevano verso nord. Eilish si chiese quale misterioso presagio ne avrebbe ricavato la Veggente. Con la costante minaccia dei Romani, che da anni tentavano di annettere le Terre del Nord a Roma così come avevano fatto con la Britannia e con gran parte del mondo, e con i Germani ormai prossimi ad imparentarsi col suo popolo, non c’era da sperare in niente di buono.
A quell’ultimo pensiero, Eilish strinse le labbra in una smorfia di disappunto e una sottile linea le increspò la fronte. Cinque anni prima, sua sorella, appena dodicenne, era stata promessa in sposa a Chrigel, unico figlio maschio di Akon, re dei Germani e feroce guerriero in gioventù come in vecchiaia.
I Germani erano sbarcati sulle coste orientali della Britannia secoli prima, seminando terrore e distruzione in lungo e in largo fra tutte le tribù indigene, scegliendo di stabilirsi infine nella regione più aspra del nord dell’isola. Scelta apparentemente inspiegabile considerando la durezza di quella terra inospitale, dove fiordi, montagne, foreste e paludi si alternavano senza alcun criterio. Ma Eilish aveva una sua personale opinione al riguardo: quella terra, in fondo, rispecchiava il loro temperamento instabile, irascibile, spigoloso come i contorni delle alte montagne rocciose, infido come gli acquitrini delle paludi, impenetrabile come le fitte foreste di querce e le dense nebbie invernali. Quello germanico era un popolo guerriero, che viveva di caccia e di razzie ai danni di altre popolazioni, ma, mentre le altre tribù indigene avevano preferito sottomettersi alla loro tirannia piuttosto che contrastarla, i Caledoni si erano sempre rifiutati di farlo, sebbene fossero in genere un popolo pacifico, di agricoltori e allevatori.
Le ostilità fra le due tribù erano durate secoli, nel corso dei quali si erano alternati periodi di relativa pace ad altri di cruenti scontri. Tuttavia, quando Roma, nella sua brama espansionistica, aveva rivolto l’attenzione a tutte le terre del nord, Germani e Caledoni avevano messo da parte le reciproche animosità e avevano unito le forze per combattere contro i nuovi invasori riuscendo, dopo due anni di sanguinose guerre, a prevalere sull’esercito più potente che il mondo avesse mai conosciuto fino ad allora e a respingerlo nuovamente dietro il fiume Tay, la linea naturale di confine che separava la Caledonia dalla Britannia.
Era stato allora che i due re avevano deciso di siglare quella profittevole alleanza. Così la dodicenne e già bellissima Caitriona era stata promessa in sposa a Chrigel, allora appena diciassettenne eppure già noto per essere un guerriero formidabile al pari del padre, e qualcuno giurava anche di più.
Ma Chrigel era conosciuto anche per il suo temperamento indomabile. Sebbene nessun altro si sarebbe mai sognato di contravvenire agli ordini del re Akon, aveva dichiarato con insolenza che non avrebbe preso in moglie la donna che il padre gli imponeva senza prima averla lui stesso esaminata. E, secondo lui, sarebbe valsa la pena di farlo solo quando le forme della giovane avessero raggiunto quelle di una donna matura. Per tanto, se l’era presa comoda.
Ogni volta che Alasdair mandava a chiedere al principe germanico quanto tempo ancora gli occorresse per decidersi a onorare il patto stipulato, Chrigel rispondeva, in tono irrispettoso e volutamente sarcastico: «Tutto quello che ho voglia di prendermi.»
Perciò, quando un messaggero era giunto al villaggio due settimane prima per preannunciare l’imminente visita del principe, il re dei Caledoni aveva tirato un sospiro di sollievo. Nel villaggio erano subito iniziati i preparativi per dare al giovane guerriero un’accoglienza degna di un re, affinché trovasse di suo gradimento non solo la giovane che le era stata promessa in moglie, ma l’ospitalità del popolo che si accingeva ad adottare.
Caitriona, poi, era al settimo cielo. Era eccitata all’idea di conoscere finalmente il suo sposo per vedere se la fama che lo precedeva, quella di essere un uomo vigoroso dalle fattezze piacevoli, corrispondesse a verità. Andava ripetendo, con una nenia insopportabile agli orecchi di Eilish, che si sarebbe adornata come una dea per il suo bel principe, così che lui non avrebbe voluto attendere un giorno di più a farla sua. Per questo aveva convinto il padre a convocare tutti i mercanti di stoffa della Britannia e si era fatta confezionare con le stoffe più pregiate decine di abiti, al fine di stabilire quale risaltasse al meglio le sue già abbondantemente generose virtù.
Quel giorno, il giorno per cui tutti si erano così solennemente prodigati, era finalmente arrivato. Probabilmente Chrigel e il suo seguito di manigoldi stavano per raggiungere la pianura del Kent in quello stesso momento.
Eilish sbuffò disgustata al pensiero. Era mai possibile che l’unica a non essere compiaciuta dalla prospettiva di un’unione con un popolo litigioso, feroce, incline agli sbevazzamenti e alle risse come quello, fosse lei? Era mai possibile che sua sorella fosse così ambiziosa da non rendersi conto che ciò che le veniva chiesto di fare non era un privilegio ma un sacrificio? Germani e Caledoni erano divisi da sostanziali differenze, politiche, religiose e culturali. Quello che più preoccupava Eilish era che le donne, dal popolo germanico, erano considerate poco più che schiave, non importava a quale ceto appartenessero. Era noto, ad esempio, che non vivevano coi loro mariti e che li vedevano solo quando a questi veniva un certo prurito.
Sua sorella era proprio una stupida se pensava che avrebbe subito una sorte diversa da quella delle altre donne germaniche. Ma forse non le interessava nemmeno. Quel matrimonio le avrebbe procurato nuova gloria e tutte le tribù locali - e magari anche i popoli del resto della Grande Isola e delle terre continentali - avrebbero parlato di lei e della sua bellezza per molto tempo. Tronfia com’era della sua vanità, probabilmente solo quello le importava.
Eilish scrollò la testa con fare deciso. “Tanto peggio per lei”, si disse stizzita allungando il passo.
Iniziò ad arrampicarsi correndo sul sentiero impervio per sfogare la rabbia che le era montata nell’animo. Così raggiunse il capanno della Vecchia Veggente prima del previsto.

«Quante ne hai prese?»
Eilish sgranò gli occhi per lo stupore. Come aveva fatto Morhag a sentirla arrivare? Era sicura di non aver fatto alcun rumore, stavolta.
C’erano momenti in cui dubitava che la Veggente fosse davvero cieca. Eppure i suoi occhi, un tempo di un indaco sgargiante, erano vitrei, ricoperti di una sottile patina biancastra, trasparenti e nebulosi come spettri in un giorno di nebbia.
Eilish sospirò rassegnata. Non sarebbe mai riuscita a coglierla di sorpresa.
«Tre» rispose avvicinandosi al grosso pentolone che brontolava sopra le braci fuori dal capanno, dove la vecchia stava facendo bollire chissà cosa. Diede una sbirciatina al contenuto della pentola, arricciò il naso disgustata e decise che non voleva sapere né cosa fossero le strane forme che galleggiavano nel denso liquido dal colore indefinibile, né a cosa servissero.
Di fronte al calderone c’era una pietra di forma rettangolare, liscia sulla superficie, alta poco più di due piedi, che la stregona usava come piano di lavoro. Vi mise sopra le lepri e andò a sedersi a gambe incrociate su un grosso masso di roccia ricoperto di muschio, proprio di fronte a lei.
La vecchia tastò la selvaggina e fece una smorfia. «E perché qui ce ne sono solo due?» volle sapere.
«Una l’ho arrostita per me ieri sera…» rispose Eilish, cercando di essere il più evasiva possibile.
«Hai dormito di nuovo nella foresta?» chiese ancora la sacerdotessa, fra il divertito e l’indignato. Eilish scrollò le spalle.
«Dormire all’aperto non mi fa paura.»
«Non è solo il luogo ad essere sbagliato, ma il momento. Tuo padre sarà furioso» sostenne la vecchia mentre, con una lama affilata, iniziava a praticare delle incisioni sul ventre di una delle due lepri.
«Come sempre quando sparisco per giorni, ma poi gli passa.»
«Qualcosa mi dice che stavolta non te la caverai con poco. Oggi è un giorno importante per lui, avresti dovuto mostrare buon senso e rimanergli vicino. Inoltre, sai quanto si preoccupi all’idea che tu dorma nei boschi da sola. Almeno hai protetto il giaciglio come ti ho insegnato a fare?»
Eilish sorrise impacciata. La pratica consisteva nel formare un circolo con pietre levigate e pulite nel quale rifugiarsi. Naturalmente, non lo aveva fatto. La realtà era che non ne sentiva il bisogno, e non perché non fosse superstiziosa ma perché gli spiriti non le facevano paura. Niente di ciò che viveva nella foresta la intimoriva.
«Certo» mentì, per evitarsi una predica.
La Veggente estrasse le interiora del piccolo animale con movimenti lenti e sicuri, separò con cura tutti gli organi e mise da parte il fegato dentro una scodella di terracotta. Fece tutto mantenendo sul volto un’espressione impassibile ed Eilish credette di essere riuscita a farla franca. Ma si sbagliava.
«Tu credi che farsi beffe degli spiriti sia una cosa divertente?» la biasimò infatti aspramente.
«Non mi faccio affatto beffe degli spiriti.»
«Però credi di poter entrare nel loro regno senza essere invitata.»
«Morhag, credimi, io non…»
«Taci, ragazzina imprudente! Arriverà il momento in cui gli spiriti si stancheranno della tua insolenza e ti ricambieranno la scortesia, venendo a farti visita nel tuo mondo» sbraitò la veggente indignata, agitando la lama del coltello in aria con fare minaccioso. Poi fece ricadere pesantemente le mani rugose sulla base liscia del tavolo di pietra e sospirò a fondo.
«Eilish, c’è un motivo se gli dei hanno voluto che gli uomini riposassero durante la notte. La notte appartiene agli spiriti, così come il giorno appartiene a noi. Invadere il loro mondo è una mancanza di rispetto. È come se un popolo straniero irrompesse nel tuo villaggio, entrasse nella tua dimora e facesse violenza a te e ai tuoi cari» continuò la ramanzina in tono conciliante. Eilish rabbrividì a quelle parole. Lei poteva capire. Era ciò che stava accadendo alla sua gente. Gli invasori erano i Germani, solo che l’unica a pensarla così era lei. Non aveva mai visto la cosa da quella prospettiva.
«La prossima volta che giacerò nei boschi ti prometto che mi renderò invisibile nel cerchio di pietre» bisbigliò contrita. La vecchia restò a lungo col viso sollevato, gli occhi annacquati puntati dentro ai suoi, allo scopo di capire se avesse parlato seriamente, e a Eilish venne da pensare di nuovo che la vecchia ci vedesse più di quanto si divertiva a far credere. Morhag mise da parte la lepre ormai svuotata e si mise all’opera con l’altra.
«E comunque…» riprese a parlare all’improvviso, mentre squartava il ventre del piccolo animale «… gli spiriti non sono gli unici esseri che vivono nella foresta, e gli altri possono essere anche più terrificanti.»
«Se ti riferisci ai lupi, lo sanno anche i bambini che i branchi si sono spostati in altre terre.»
«Non parlavo dei lupi, ma degli orsi.»
Eilish fece una risatina sarcastica. «Oh, andiamo, hai mai visto un orso in queste foreste? Secondo me non ce ne sono nemmeno nelle foreste del Nord, anche se i Germani asseriscono il contrario. Che cosa assurda!»
«Perché sarebbe una cosa assurda?»
«Perché?» ripeté Eilish stupefatta allargando le braccia. «Per la storia che vanno raccontando, ecco perché! Insomma, è talmente assurda da risultare ridicola. Un uomo che uccide un orso a mani nude, figuriamoci... Se questa storia fosse vera non oso pensare a cosa potrebbe accadere a mia sorella, che con quell’uomo dai poteri soprannaturali dovrà giacere per il resto dei suoi giorni!»
Aveva parlato con fervore, convinta di aver detto una cosa sensata, ma le sue parole non sembrarono sortire l’effetto sperato. Eilish, in realtà, si rendeva conto che era l’odio che nutriva nei confronti dei Germani a costringerla a essere loro ostile. Avrebbe negato perfino l’evidenza, pur di contestarli. E comunque non c’era nulla di evidente nella storia che da anni circolava su Chrigel. Si diceva che la carne dell’orso che aveva soffocato dopo essergli saltato sul dorso e avergli stretto il collo con le braccia avesse sfamato le bocche di tutti gli abitanti del suo villaggio, e che ne fosse avanzata, per giunta. Si diceva che Chrigel indossasse con orgoglio la fulva pelliccia dello sfortunato animale nei mesi freddi e, qualche volta, anche in quelli caldi. E si diceva che si fosse fatto fare una collana con l’artiglio della belva, che teneva sempre a contatto con la pelle.
Quante prove a sostenere la veridicità di una storia tanto inverosimile.
Eilish preferiva credere fosse falsa. Ne aveva bisogno per alimentare l’odio verso quell’uomo e tutto ciò che rappresentava. Per questo aveva bisogno del sostegno di Morhag.
«Insomma, tu ci credi?» le chiese quindi speranzosa. La vecchia sorrise impercettibilmente. Una folata improvvisa di vento le agitò la massa aggrovigliata dei capelli bianchi, dandole un aspetto ancora più inquietante.
«Ho conosciuto il giovane Chrigel qualche anno fa, prima di perdere la vista. Allora era poco più di un ragazzino ma già robusto e forte come un toro. Non ho mai visto un orso, ma non faccio fatica a credere che il Re Guerriero sia in grado di ucciderne uno a mani nude» rispose la sacerdotessa.  
«Non è ancora re» contestò Eilish sbuffando, stizzita dal tono di compiacimento con cui la vecchia aveva descritto il Germano.
«Ho detto “Re Guerriero”, piccola mia. E che a te faccia piacere o no, lo sarà prima di quanto credi» dichiarò Morhag, gettando nel pentolone le interiora delle lepri meno che i fegati, che mise invece dentro una piccola sacca di pelle.
Eilish rifletté sulle parole della veggente. Difficilmente si sbagliava quando prediceva un evento, e se aveva ragione significava che un’altra guerra era vicina. I Germani, infatti, avevano la consuetudine di eleggere un re guerriero fra i combattenti più valorosi della tribù quando si profilava all’orizzonte la minaccia di una nuova guerra, e al momento i nemici giurati di entrambi i popoli erano i Romani.
Eilish sentì un brivido correrle lungo la schiena. Aveva sentito dire, dai mercanti che si recavano periodicamente nel suo villaggio, che i Romani erano belve assetate di sangue; che il loro esercito marciava instancabile su strade lastricate realizzate con lisce pietre nere ed era in grado di coprire enormi distanze a velocità incredibili; che avevano il potere di piegare la forza della natura riducendo in polvere alti colli, scavando nelle montagne lunghi tunnel per farci passare dentro l’acqua che nasceva dalle montagne e che arrivava a Roma tramite condotti di terracotta, dove veniva poi raccolta in enormi bacini o fatta sgorgare attraverso gigantesche statue di marmo, che i mercanti chiamavano fontane. Ma i racconti preferiti di Eilish, quelli che trovava più suggestivi, erano quelli che descrivevano le immense costruzioni di marmo, di pietra, di legno e di mattoni - molte delle quali rivestite di oro - che si protendevano verso il cielo come lunghe dita innalzate in preghiera. Talmente alte da sembrare piccole montagne, dicevano.
Case, templi, fori, una sconfinata “città”, solevano ripetere con solennità i mercanti, i quali giuravano di aver visto con i loro propri occhi tutte le cose meravigliose di cui parlavano.
Case, fori, fontane, città, erano parole che Eilish aveva imparato a memoria senza comprenderne appieno il significato. Ma una cosa la comprendeva ed era questa considerazione che l’atterriva e l’affascinava allo stesso tempo: se semplici uomini erano riusciti a costruire e a fare cose così grandiose, se uomini mortali sentivano il bisogno di vivere in dimore così imponenti, che tipo di dei adoravano? Dei invincibili e potenti, non poteva essere altrimenti. Eilish si chiese se non sarebbe stato meglio vivere sotto il dominio di Roma, piuttosto che sotto quello germanico. Ma forse, al pari del mito dell’orso ucciso a mani nude dal principe Chrigel, anche quelle su Roma non erano altro che storie.
Eilish si agitò sopra il masso. Aprì la bocca per parlare ma poi esitò, timorosa. Infine si fece coraggio e lo disse: «E cosa ne pensi di Roma? Dicono che sia stata costruita appena un gradino sotto la dimora degli dei. Dei loro dei...»
Le labbra della Vecchia Veggente si serrarono in una smorfia di disappunto, facendole increspare ancora di più la pelle del viso già devastata da profondi rughe.
«Vuoi sapere cosa penso? Penso che tu dovresti essere già al villaggio. Penso che tuo padre starà urlando come un orso inferocito, in questo momento. E penso di avere cose più importanti da fare che rispondere alle tue stupide domande. Ecco cosa penso, sciocca ragazzina. E ora sbrigati a entrare nel capanno. Sopra il tavolo troverai una bisaccia con dentro le cose che tuo padre mi ha chiesto. Valla a prendere.»
Eilish scattò giù dal masso sbuffando. Entrò nel capanno di legno col tetto in paglia, afferrò con stizza la borsa di cuoio e si precipitò di nuovo all’aperto. Slegò i lacci di pelle e ci sbirciò dentro. A dispetto delle apparenze era una femmina, e come ogni femmina che si rispettasse possedeva un’innata curiosità. Avvolto in un involucro sottile, ricavato dalla concia della pelle di un piccolo animale, c’era la polvere azzurra che si otteneva dalle foglie di guado e con cui Caitriona intendeva pitturarsi la pelle quella sera, per onorare un’antica usanza del popolo dei Germani.
Eilish fece una smorfia denigratoria pensando che non c’era limite alla vanità di sua sorella. Poi afferrò una boccetta con un denso liquido ambrato all’interno. Lo prese e, alla luce del sole, ne studiò la consistenza e il colore.
«Che roba è?» chiese incuriosita.
«Un olio.»
«Lo vedo da me, ma a che serve?»
«Oh, tranquilla, lo scoprirai» rispose la vecchia, e a quella inquietante affermazione ci aggiunse una risatina che a Eilish parve addirittura perfida. Avrebbe voluto approfondire l’argomento ma conosceva la vecchia e sapeva che non le avrebbe detto nulla di più. Rimise la boccetta nella bisaccia e ci aggiunse anche la coperta di lana macchiata del sangue delle lepri. Infine si gettò l’arco sulla spalla. Stava per avviarsi quando la vecchia le mostrò la piccola sacca di pelle che conteneva i fegati delle lepri.
«Consegna questa a Kentigern» disse. Eilish, ancora in collera con lei, le strappò malamente la sacca dalle mani, e la vecchia sospirò scuotendo la testa.
«Non mi hai ancora detto quali uccelli hai incontrato per la via» si affrettò a chiederle, prima che iniziasse a correre. Eilish si fermò suo malgrado. Per un attimo le balenò in mente l’idea di non risponderle e di andarsene facendo finta di non averla udita. Ma umiliare Morhag non era solo imprudente: era impensabile. E non solo per via delle stregonerie che sapeva compiere. Quelle, a dire il vero, non la spaventavano affatto. Piuttosto, era impensabile perché in fondo voleva bene a quella burbera vecchia.
Ci pensò un attimo, prima di risponderle: «Delle pernici bianche, un gallo cedrone, uno stormo di colombacce che volavano verso nord… Una civetta appollaiata sul ramo di una quercia… Ah, ieri, all’imbrunire, ho visto un falco volare sopra la scogliera. Avresti dovuto vederlo: era uno spettacolo. Volteggiava nel cielo infuocato, e all’improvviso lui ha iniziato a…»
«Quanti erano?» la interruppe bruscamente l’anziana. Eilish la osservò perplessa, sorpresa da quel repentino cambio di tono.
«Uno, te l’ho detto. E poi, non ho mai visto falchi volare in stormi.»
«Oh, succederà. Succederà di nuovo, prima o poi… Prega gli dei di vederli il più tardi possibile, piccola Eilish.»
Eilish corrugò la fronte, confusa. Che la Vecchia stesse impazzendo? Poteva essere. Quanti anni aveva, ormai? Nessuno lo sapeva con precisione. Comunque doveva averne tanti, se era vero che aveva fatto nascere tutti gli uomini più anziani del villaggio. Era risaputo che le persone in là con gli anni perdessero il senno, qualche volta. Era successo anche al nonno paterno, prima di morire. Gli ultimi mesi della sua vita li aveva passati delirando e pronunciando frasi sconnesse. A dire il vero, qualche volta Eilish ci si era fatta delle grasse risate, ascoltando le assurdità che uscivano dalla bocca del suo vecchio progenitore. Ma poi era deceduto e lei era stata male all’idea di essersi presa gioco di un uomo morente.
Eilish sospirò a fondo, poi fece una cosa che non aveva mai fatto con nessun altro prima: si chinò e la baciò sul capo. Suo malgrado, adorava quella vecchia scontrosa che aveva sì il potere di farla arrabbiare, ma che sapeva anche ascoltarla come nessun altro. Il suo slancio la fece ridere di gusto.
«Tranquilla, sarò ancora qui la prossima volta che verrai a trovarmi» la rassicurò, come se le avesse letto nel pensiero.
«E la volta dopo?» indagò lei.
«Eilish, impara ad essere paziente. Non è saggio guardare troppo lontano. Nemmeno gli indovini più potenti osano farlo» le rispose, e dopo averle fatto un breve cenno di congedo con la mano, come quando si scacciano via mosche fastidiose da sotto il naso, tornò a trafficare con le lepri, che iniziò a scuoiare lentamente.
Eilish annuì debolmente.
«Ci proverò» promise, prima di voltarsi e imboccare la strada del ritorno.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Puffardella