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Autore: Enchalott    10/02/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Frattura
 
Elefter calò la scure: i barbagli dell’alba gli indoravano la pelle abbronzata e lucida di sudore. Distolse l’attenzione dalla catasta, indirizzandola al sorgere scenografico del primo Sole. Il rosa irruppe all’orizzonte insieme all’ocra vivo, preannunciando un’altra giornata torrida.
«Perché non affidi le attività pesanti ai tuoi sottoposti? Stai espiando una colpa?»
Mirai sbucò dalle grotte, inguainata nell’uniforme della guardia reale nonostante le avesse messo a disposizione abiti adeguati al deserto.
Ostinata come al solito.
«Qui chi è libero lavora. A questo proposito…»
Indicò una seconda ascia confitta in un ceppo scheggiato.
«Non sono la tua dorei
«Ma il fuoco ti fa comodo. O hai le manine delicate?»
«Te la pianterei nel cranio» ringhiò lei, svellendola dal supporto.
«Tenta, non è proibito sognare. Immaginarmi sbudellato nella rena darà forza ai tuoi colpi, ma scommetto che non arriverai a dieci.»
«Rilancio. L’undicesimo sarà il tuo collo di ripudiato.»
«Ah già» sbuffò Kamatar, tergendosi le gocce trasparenti dalla fronte «Voi gente di palazzo giocate d’azzardo persino sui modi di dire.»
«Io non sono una di quelle presuntuose cortigiane aristocratiche. Mio padre era un ufficiale di carriera, mia madre apparteneva ad uno dei clan maggiori, ma non gradiva vivere a Mardan. Non ho avuto agevolazioni.»
Lui abbatté la lama e le metà perfette schizzarono accanto a quelle già spaccate.
«I miei genitori erano contadini, hanno sacrificato il poco per garantirmi un futuro come reikan. Sono morti di stenti mentre venivo ammaestrato nell’arena di Kaniša. Ma siccome un Khai non ama e non piange, ho versato una libagione sulla loro tomba e sono corso a massacrare i Jandaliani come se fosse colpa loro.»
«Come tuo dovere!»
«Ehn. Inizia quando vuoi.»
Mirai si riscosse piccata dal sarcasmo, distogliendo l’interesse dal suo corpo snello e dai muscoli armoniosi delle sue braccia. Indossava solo le polsiere di cuoio lavorato e i pantaloni che, allentati dal movimento, gli scoprivano gli addominali d’acciaio.
Che spreco… chiaramente in merito al suo ruolo di guerriero!
Gli occhi blu cobalto la trafissero sfidanti, costringendola a vibrare il primo colpo. Il ciocco non si spezzò appieno e l’urto di ritorno fu una feroce stoccata.
«Vuoi rivedere la proposta?» ironizzò Elefter.
«Lo chiedi in quanto avvezzo a rimangiarti la parola come quando hai tradito il re?»
«Sono devoto a sua altezza Mahati, che al momento non porta la corona.»
«Cosa? L’Haiflamur ti ha fuso il cervello!?»
L’hanran si appoggiò al manico dell’attrezzo, eppure non sembrava affatto stanco. Accanto a lui c’erano altri sei pezzi tagliati a regola d’arte.
«Quale scusa avresti per preferire Rhenn? Non dirmi che sotto sotto tifi per Ŷalda?»
Mirai gli scoccò un’occhiataccia, però le alternative citate attenuarono la voglia di obiettare. L’erede al trono era dispotico e arrogante, il capo clan rivale univa una buona dose di falsità ai difetti precedenti. Non era incombenza di una nisenshi questionare sul futuro sovrano, bensì difenderlo: a prescindere avrebbe respinto le simpatie personali e rispettato il giuramento a Belker.
Sebbene, da quando è giunta la principessa Yozora, l’Ojikumaar abbia mostrato nobiltà e magnanimità insospettabili.
«Ti ho messa in crisi?» sorrise il ribelle.
«Blateri a vanvera, ormai sei un rumore di sottofondo.»
«Un modo per indagare i silenzi altrui. Per quanto tu aborrisca le idee paritarie, hai certo riscontrato le doti eccelse del Šarkumaar. I Khai lo seguirebbero persino tra i ghiacci, gli stranieri lo stimano per la sua imparzialità, gli avversari lo rispettano. La sua ascesa al trono metterebbe tutti d’accordo.»
«Se anche fosse, non abolirebbe la schiavitù come auspichi. Appartiene al sangue, ti giustizierebbe per averlo pensato.»
«Su questo ho seri dubbi. Mi mancano due blocchi, fissa la posta in gioco o la soddisfazione di batterti sfumerà.»
Lei osservò sconsolata la differenza tra i due mucchi e la forma imperfetta della sua legna.
«Se vinco io, mi lascerai andare.»
«Questo non posso farlo.»
«Sei uno sporco codardo!»
«Ma senti… parola mia, non ho mai incontrato una femmina tanto bisbetica!»
Kamatar accompagnò la rimostranza al penultimo colpo. Mirai non gettò la spugna nonostante non fosse nemmeno a metà del lavoro e decise di mutare proposito.
«Se ti batterò mi racconterai cosa ti ha spinto a degradarti tanto.»
«Interessante» sogghignò lui «Se invece vinco io sarai la mia assistente.»
Certa della sconfitta, la guardia reale inghiottì un improperio, ma l’orgoglio la spinse a non ricusare. Elefter la guardò spaccare il quinto ciocco con l’energia della collera. Trascurò il proprio intonso, abbandonando la scure e avvicinandosi di soppiatto.
«Che fai!?» sussultò lei quando lo percepì alle spalle.
«Bilancio la sfida. Non hai mai tagliato legna in vita tua, usi l’ascia come la spada lunga e la posizione che assumi non ti aiuta affatto. Appoggiati a me.»
«Non ho bisogno del tuo aiuto!»
Per tutta risposta l’ex reikan si incollò alla sua schiena, guidandole le braccia e modificandole la posizione.
«Alza insieme a me» mormorò «Così, adesso giù.»
Il ceppo si aprì come burro alla spinta che accompagnò il movimento. Mirai sgomitò per allontanarlo, infastidita dalla contiguità. Si trovò a pensarlo come un uomo da non sottovalutare, non solo in quanto combattente ma per il fascino che sprigionava persino in quell’umile pratica.
A conferma dalla considerazione, Elefter ripeté la mossa e lei si adeguò senza opporre resistenza.
Chi è costui? Se non fosse un dissidente, ricoprirebbe una carica prestigiosa nell’armata, ha un carisma che sfiora l’ipnosi.
«Sono curioso di sapere da cosa hai capito che non ero un cavaliere alato» ammise questi, interrompendo la riflessione.
«Solo un impostore hanran è tanto trasandato da presentarsi al tempio di Belker con gli stivali impolverati.»
Lui rise. La vibrazione si trasmise dal suo torace al corpo di lei.
«Uh, che errore madornale! Me lo dicono tutti che dovrei curare di più il mio aspetto, a partire dai capelli ondulati che mi ritrovo. Sono loro i veri sediziosi!»
«Un’altra prova a favore della tua carenza di sangue Khai.»
«Del mio detestare la battaglia a scopo predatorio.»
La donna si irrigidì, domandandosi perché continuasse a starle appresso. A prescindere dall’esteriorità, che non evidenziava nulla di fuori posto, il suo respiro all’orecchio era ammaliante, il calore della pelle nuda un invito esplicito.
Non è riuscito a persuadermi a parole perciò usa la seduzione. Lurido vigliacco!
«Prova da sola» disse il giovane scostandosi.
«Stai scherzando?»
«No, perché?»
Mirai spaccò l’ultimo ceppo che le restava e si voltò a fissarlo.
«Perché ho vinto. A meno che tu non voglia ripetere la sfida, sostenendo di avermi elargito un’elemosina non richiesta.»
Elefter spalancò gli occhi: il blu irreale delle iridi sfavillò ai soli.
«Certo che no! Non si era parlato di assistenza, la partita è tua a buon diritto. Ho perso perché sono sbadato… ne ho dato ampia dimostrazione.»
Posò la scure e stiracchiò le membra, la muscolatura si tese, l’orlo dei pantaloni si abbassò scoprendo un tatuaggio inciso sotto la piega dei bassi addominali.
Mirai l’osservò con poca discrezione: era un punto insolito per farsi imprimere un segno di guerra e anche la forma, per quanto era riuscita a scorgere, era singolare.
L’hanran se ne avvide, strinse la fascia allentata e rindossò la camicia di lino.
«Provi imbarazzo per il tuo corpo?» lo provocò lei.
«Niente affatto» appoggiò la mano poco sopra l’inguine «Solo chi aspira conoscermi davvero è in grado di leggere questi segni. Potrei spogliarmi davanti a te e non li intenderesti.»
«Mi reputi ignorante!?»
«No, troppo lontana per distinguerli.»
«Temi la mia prossimità? Ignobile per chi si ostina a vantare l’appartenenza alla stirpe dei daamakha
«Non ci capiamo» sogghignò lui «Ne verresti a capo solo se fossi a un centimetro da qui, il che significherebbe che saremmo impegnati a fare l’amore.»
La guardia reale trasecolò per la sfacciata pronuncia di ahakineti e per l’immagine inequivocabile che la sua immaginazione produsse.
«Quale contorsione mentale può portare a un’idea del genere!?» enfatizzò.
«Mh, veramente non ho pensato a una contorsione mentale» punzecchiò lui «Rappresenta una parte di me da condividere soltanto con una donna preziosa… e non alludo a quella anatomica che stai guardando.»
«Ti credi così stimolante?!» avvampò Mirai «Inorridisco davanti a una tale stupidità! Rinunci all’amplesso vagheggiando la compagna ideale e osi proclamarti erede del sangue demoniaco?»
«Non me ne privo affatto, sono un maschio Khai e l’astinenza mi fa male. Quanto ho espresso è una metafora.»
«I traslati mi irritano parecchio, soprattutto se smielati.»
«Non intendo parlare con te del mio privato. L’argomento pattuito in origine era la mia riprovevole abiezione hanran
La nisenshi abbandonò la controversia ma non la riprovazione. Qualunque difesa avesse messo in campo, l’astio nei suoi riguardi non si sarebbe mitigato. Era curiosa di conoscere il suo percorso, poiché in qualche modo lo avrebbe riportato al principe della corona, così avrebbe coadiuvato la lotta contro i traditori.
Gli porterò la tua testa, come mio padre ha fatto con chi prima di te.
Elefter le passò la sacca dell’acqua e bevve dopo di lei, invitandola a sedersi.
«Non sei reikan, ma suppongo ti abbiano istruita sul da farsi in caso di caduta.»
«Rialzarmi o uccidermi» replicò pronta.
Lui annuì.
«Ricordo l’avvitamento verticale del mio vradak, il suolo che si appressava, il mondo capovolto nell’ultima percezione della realtà. “Se non morirò, mi toglierò la vita”, così meditavo mentre il mio fedele compagno di battaglia serrava le ali per proteggermi dall’impatto. Avrebbe potuto attutire l’urto, un predatore ferito apre la coda, trova un appiglio e riesce ad atterrare arginando i danni. Invece ha preferito salvare me: se non si fosse chiuso a bozzolo, sarebbe vivo. Sono sicuro che Kalanthi bramasse vivere tanto quanto io aspirassi a morire. Ridicolo, non ti pare?»
«Un uccello da guerra è addestrato per questo.»
«Come ti pare. Ti assicuro che quando intravedi la soglia eterna, cerchi di evitarla o, per dirla secondo le leggi di Belker, sei tenuto a sacrificarti a lui solo.»
«A meno che non sia l’espiazione di un fallimento.»
«A meno che non sia insubordinazione - e su questo anch’io non sono tenero - sei vincolato a informare il tuo comandante che, lungi dall’essere un imbecille, trasforma l’insuccesso in un’ammenda momentanea per non perdere un guerriero di rango.»
La guardia reale trasalì al balenio involontario della memoria. Rivide la propria arma nella polvere, Yozora affrontare l’erede al trono e salvarle la vita a discapito di ogni regola, Rhenn rivolgerle una batteria di domande volte a risparmiare il disonore effettivo, l’unico che avrebbe cagionato la condanna senza appello.
Mi sarei affondata la lama nel petto e non avrei mai conosciuto la principessa, l’amica, e desiderato di proteggerla a prescindere dagli ordini ricevuti. Ma questo non fa di me una cospiratrice. È diverso!
«Quando ho riaperto gli occhi, non mi sono certo perso nel paragone tra me e il mio vradak. Esso è giunto in seguito e non ne detengo il merito. Non ho trovato una spada, bensì una voce. L’esito è stato il medesimo.»
«Cosa?! Pretendi di convincermi che sei morto e rinato? Mi credi stupida?»
Elefter sorrise con una dolcezza inaspettata.
«Come ti immagini l’aldilà, Mirai?»
 
Rosshan gli aveva sciolto le fasce di medicazione e aveva sfiorato con prudenza la cicatrice, una sottile pellicola rosa sull’incarnato avorio.
«Sei fuori pericolo, Elefter. Il che non significa strafare o giocarti la convalescenza.»
«Parla! Dove mi hai portato?»
La voce era affiorata fragile e roca dopo settimane di silenzio forzato, irriconoscibile al di là della distorsione prodotta dall’eco.
«Nelle miniere di Jandali. Prima che ti sorgano idee stravaganti, sappi che sono un budello di cunicoli. Senza una mappa non saresti in grado di andartene, persino se possedessi un’impareggiabile visione notturna.»
«Stai mentendo, hanran. Quella è la luce del giorno e odo il fragore del mare. Siamo molto vicini all’uscita.»
«Ti fidi troppo delle apparenze, ragazzo. Tra noi e l’oceano si estendono metri e metri di roccia, le onde penetrano nelle cavità del promontorio e risuonano attraverso le gallerie. Quanto al chiarore che distingui, si tratta di un pozzo di aerazione.»
Aveva indicato il soffitto e il reikan aveva sollevato il viso, scorgendo il cilindro irregolare dell’apertura in aggiunta a uno strano riflesso.
«Specchi» lo aveva anticipato il vecchio «Li posizioniamo per catturare la luce, il fuoco consuma l’ossigeno e comporta un’esalazione alla lunga malsana.»
«Vi celate al buio come vermi, ma ciò non servirà a sfuggire all’ira del sommo Kaniša. Questa cava è destinata a diventare una necropoli dimenticata persino dagli dei.»
«Non ci conterei troppo. Deluun è caduta, Athefi ha sottoscritto il trattato di pace e ha abdicato in favore del figlio, il che significa che la miniera ora appartiene ai Khai. Ah, ci capiamo» aveva aggiunto all’espressione stranita del giovane «Soltanto gli schiavi scendono quaggiù e, come hai intuito, sono nostri alleati.»
«Da quanto mi trovo qui? Quando sono precipitato, la capitale non era alla nostra mercé e i Jandalini apparivano lontani dalla resa.»
«In sei mesi sono accadute molte cose. Il principe Rhenn per esempio ha dato prova di sé: un vero portento, l’orgoglio di sua maestà. Un vero peccato che le prossime nozze lo avviino a un’altra carriera.»
Kamatar aveva colto il sarcasmo dell’affermazione, ma i suoi pensieri si erano arenati sull’infinità del tempo trascorso e sulla guerra cui non aveva potuto fornire apporto. La sua famiglia forse lo aveva dato per disperso e la sua promessa sposa non lo avrebbe atteso a lungo, sempre che non avesse già scelto un altro.
«A costo di vagare alla cieca, giuro che emergerò da questo oltretomba. Il mio sesto senso non conosce rivali, mi oriento alla perfezione nei luoghi non familiari.»
«Oltretomba? Non è la reggia di Mardan, ma almeno quaggiù regna la concordia.»
Il reikan aveva sputato a terra, sollevandosi nonostante la debilitazione.
«Inferi per l’esattezza» aveva ringhiato «Popolati da abiette creature tue pari.»
Anziché irritarsi, Rosshan si era messo a ridere e non aveva fatto atto di fermarlo.
«Visto che lo nomini, come immagini l’aldilà destinato alle anime perse?»
Elefter aveva trovato la domanda non pertinente, ma aveva risposto comunque.
«Un nulla destinato a chi non ha obbedito al celeste Belker, a chi non ha šokai, a chi è lontano da ralaki, a chi ha ceduto a una vile eikonsha e soprattutto a chi si è macchiato di immondo ahaki. Voi hanran laggiù sarete ospiti graditi.»
 
«Un’eccellente risposta» commentò Mirai.
«Intuisco dell’ammirazione» ironizzò il ribelle.
«Non per la persona che vedo.»
Elefter abbassò le ciglia e scosse il capo, rivedendo in lei il se stesso del passato.
«Sai cos’ha risposto il mio mentore?»
«Non vedo l’ora di apprenderlo.»
Lo sguardo del guerriero hanran tornò su di lei e di nuovo il blu intenso l’abbracciò come se volesse salvaguardarla da una turpe minaccia.
«Gli inferi sono assenza d’amore. Puoi essere coraggioso, degno di lode, nobile di nascita e d’animo, ma se ahaki non guida le tue azioni non vali nulla e nulla sarai.»
La ragazza lo squadrò con la stessa espressione scandalizzata che probabilmente lui aveva rivolto a Rosshan.
«È una blasfemia! Mi rifiuto di ascoltare simili teorie!»
«Allora non riscuoterai la posta. Per capirmi non hai altre vie, tuttavia confido nello scemare dell’iniziale ostilità. I Khai sono caparbi ma onesti e non respingono il confronto, nemmeno quello verbale. Dimmi, mia signora, se fosse sua altezza Yozora a esprimere tale concetto, mostreresti lo stesso sdegno?»
Mirai impietrì.
No.
«Lei non appartiene alla stirpe demoniaca. Lasciala fuori.»
«E sia. Vedo che abbiamo posto abbastanza carne sul fuoco oggi, continueremo il discorso in un’altra occasione. Nel frattempo mi concentrerò sulle parole esatte del mio maestro.»
«Non sul minare le fondamenta del regno? Sei in vacanza?»
«In attesa.»
«Hai sempre la risposta pronta. Te l’ha insegnato l’uomo che ti ha corrotto?»
«Un dono naturale che ha irrobustito suo malgrado. Non era facile sopportarmi.»
«Usi il passato, significa che non è più tra i vivi?»
«No» mormorò Elefter con evidente nostalgia «Si è sacrificato per il bene comune.»
«Intendi che la giustizia divina ha fatto il suo corso?»
«Quella del re per la precisione.»
Mirai aggrottò la fronte. Domandò per puro scrupolo e non per un reale interesse.
«Qual era il suo nome?»
«È trascorso più di un secolo, non ti dirà nulla. Si chiamava Rosshan.»
Lei si levò in piedi, fissandolo a bocca aperta.
«Il capo dei rinnegati del primo stormo? Il guaritore?»
«Lui. Perché tanta meraviglia?»
La nisenshi fu tentata di non rispondere. Elefter non sarebbe mai diventato suo amico e alla fine non avrebbero condiviso alcun ideale, però la sua schiettezza era indiscutibile: ripagarla celando la verità l’avrebbe squalificata.
«Io… sono la figlia minore di Izhar. Approvo il suo agire e farei lo stesso.»
L’ex reikan impiegò un istante a collegare il nome agli eventi passati. Poi raggelò. Gli occhi si velarono di dolore, il respiro accelerò, le labbra si schiusero in una smorfia.
I secondi scivolarono pigri come se il tempo si fosse bloccato in un’impasse soffocante. Le dita si strinsero a pugno, gli artigli sparirono nella stretta nel palese sforzo di dominarsi.
«Sfidami con la spada» espresse Mirai interrompendo il silenzio.
Kamatar la fissò grave. Emise il fiato ma la sofferenza non scemò.
«Non combatteremo.»
«Hai diritto di vendicare chi ti è prezioso! Mio padre è morto, io ho ereditato il suo sangue, seguo il suo esempio e il suo credo! Tu o io, Elefter!»
«Ho detto di no! La rivalsa è una strada senza uscita, il tuo sangue non ripagherebbe un’esistenza umana.»
«Sono le scuse di un pusillanime!»
L’hanran incamerò l’offesa e si avviò verso le grotte senza aggiungere altro.
Mirai lo seguì con lo sguardo e si convinse che non sarebbe tornato armato. Non lo avrebbe seguito, era padrone di esibire la sua estrema viltà.
Fu la vampa del Sole trigemino a persuaderla a cercare refrigerio al coperto. Quando passò vicino alla legna tagliata da Elefter, rilevò che anche l’ultimo ceppo era spaccato a metà. L’aveva lasciato verticale per occultarlo, sciocco pensare che non l’avesse fatto di proposito.
È stato lui a vincere. Perché l’ha nascosto?
 
 
Rasalaje passeggiava nervosa lungo le arcate della terrazza, sconvolta dalle notizie dilagate per la capitale in un lampo.
Era in ansia per Yozora, ma precipitarsi nelle sue stanze non era previsto dall’etichetta e la dorei che aveva inviato in avanscoperta non era ancora rientrata.
Come Rhenn. Dove si è cacciato?
L’esecuzione sommaria di Althāri aveva causato una frattura significativa con il clan di Ŷalda, forse l’erede al trono era impegnato in un tentativo di conciliazione volto ad attenuare la crudezza del colpo di testa di Mahati. O forse Kaniša aveva convocato i figli per propinare loro una solenne lavata di capo, volta ad acquietare le rimostranze della controparte.
Saji e Shiadar erano suoi lontani parenti, se le fosse stato concesso li avrebbe riprovati di persona, ma per contro avrebbe chiesto al marito di non infierire. La morte di uno dei reikan più noti di Mardan aveva destabilizzato la corte e i fragili equilibri interni erano stati fin troppo messi alla prova.
Mentre era occupata a ponderare la criticità del momento, Rhenn irruppe negli appartamenti a passo di carica. Gli si fece incontro con il cuore a mille.
«Come sta Yozora?»
«Si lascia consolare dal promesso sposo.»
La contrarietà celata nell’usuale sarcasmo del principe non le sfuggì.
«Che altro dovrebbe fare? Non è una Khai, immagino non stia affilando la lama o eleggendo un difensore straordinario per un fytarei
«Non ne ha bisogno. I clan sono furibondi, metà della servitù ribolle indignata e l’altra metà minaccia di far crollare il palazzo a furia di correre verso l’ala est. Mio padre pretende un processo pubblico e non mi sento di dargli torto. Non siamo sul campo di battaglia, Mahati non può ridurre a brandelli una donna di rango come si trattasse di un volgare disertore.»
«I clan criticano i rei solo per scalzarli dalla posizione di prestigio, non per l’oltraggio rivolto alla nostra kalhar. Quanto al Kharnot, lo capisco e lo approvo.»
Rhenn sollevò uno sguardo sbigottito, bloccandosi a metà della svestizione. Lei non aveva mai parteggiato, meno che sulla base di un’azione drastica.
«Che diavolo dici!» sbottò sfilandosi la tunica nera.
«Se qualcuno tentasse di stuprarmi, non agiresti come lui?»
«Nemmeno per idea. Dato il tre contro uno non ti rimprovererei di non esserti saputa difendere, ma non renderei i colpevoli cibo per vradak. Esistono sistemi civili e diplomatici per rivalersi.»
«Se non erro hai decapitato Shama senza consultare le leggi.»
«Avrebbe dovuto tenersi addosso il pantaloni o infilarsi in una shitai consenziente. È stato colto in flagrante, gli ho concesso un onore immeritato.»
«Questo naturalmente spiega il meditato ordine di lasciarlo marcire laggiù.»
«Un monito e un deterrente. A giudicare dalle reazioni è stato assunto.»
«Non è questo il punto, Rhenn.»
Lui sbatté le mani sul tavolo, spazientito dalle inusuali contestazioni.
«Sei talmente inquieta per la tua kalhar che fingerò di non cogliere i sottintesi con cui tenti di biasimarmi! Ricorda con chi stai parlando, Rasalaje.»
«L’oggetto del confronto sono io, non tu!»
«Lo divento indirettamente!»
La principessa sospirò: ciò che provava era troppo forte per essere taciuto. Era lievitato nel buio in cui era stata abbandonata, germogliato al calore di un’amicizia sincera, esploso davanti alla reazione passionale del cognato, che si era comportato come un Khai del sangue checché ne dicesse il fratello maggiore.
«Per te lo farei » mormorò «Se un’altra donna tentasse di sedurti, le taglierei la gola.»
Rhenn la scandagliò come se fosse un’illusione dettata dall’affaticamento, ma rimase impassibile davanti alla testimonianza del legame ribadito dalla moglie.
«Lusingato. Sarebbe tuttavia una pessima risoluzione.»
Rasalaje si approssimò e gli prese il viso tra le mani. Negli occhi non lesse che gelo.
«Sai cosa si racconta a Mardan, mio prezioso? Che le nozze di Mahati e Yozora siano una copertura volta a mascherare la vostra relazione proibita. Che tu abbia ereditato la follia di tuo padre e perduto il senno per una shitai straniera.»
«Disgustose chiacchiere! Presti ascolto ai sussurri fabbricati ad hoc per colpirmi?»
«Non credo a una sola parola. Mi fido di Yozora.»
Lui la respinse in un impeto di collera.
«La mia parola non è sufficiente a persuaderti della mia fedeltà?!»
«Non più. Ma di ciò non hai colpa, Rhenn. Sono io la responsabile, sono annegata in te e questo offusca la mia obiettività. Sarei in grado di perdonarti qualunque fallo pur di non perderti, a costo di andare in mille pezzi.»
L’Ojikumaar trasecolò. All’improvviso il velo che gli aveva impedito di comprendere una parte del passato si squarciò.
Mia madre non ha ucciso mio padre per lo stesso motivo. Non avrebbe… potuto!
«Che significa?» sibilò tra le zanne, respingendo la risposta elementare.
«Possibile che tu non lo capisca? Stiamo insieme da così tanto, eppure non vedi che io…»
La mano di lui le serrò la bocca. Non un gesto gentile, bensì un’imposizione. La spinse contro il muro e le stracciò il vestito sull’onda di una rabbia incontrollata.
«Ascolterò da te i gemiti del piacere che ti darò. Nient’altro.»
«Rhenn…»
«Tu riceverai da me il seme, nient’altro.»
 
Rasalaje si avvolse nella vestaglia di seta, inalando il profumo delle essenze da bagno che evaporava dalla sua pelle.
Il principe l’aveva presa con forza, una sola volta, poi era uscito. Un sistema per esternare il suo pensiero senza compromissioni di sorta.
Avrei dovuto affondargli le zanne nel polso, per una volta costringere lui al mio volere.
L’unica autenticità di Rhenn era quella che riguardava il loro matrimonio e la procreazione. Non avrebbe dovuto cullarsi nelle illusioni o credere che il riferimento a Mahati lo avrebbe spinto tra le sue braccia compreso di sentimenti. Essere un Khai lo rendeva fiero, ma persino il sangue più puro del popolo demoniaco mostrava nell’unione una tenerezza scevra da ahaki.
Lui no. Lui è algida pietra e questo dovrebbe consolarmi.
Una dorei bussò alla porta e si genuflesse con estremo rispetto, pur mantenendo sulle spalle il mantello d’organza scura. Rasalaje non la riconobbe.
«Sei nuova?»
«No, altezza. Mi manda una vostra amica.»
«Costei ha un nome?»
«Troppo in vista per essere pronunciato.»
La futura regina avvertì un brivido nonostante la canicola.
«Cosa desidera?»
«Rendervi partecipe delle informazioni che ha reperito.»
«Nessuno ci ascolta.»
«La mia signora riferisce che ha le prove dell’infedeltà del principe della corona. Mi dolgo nell’essere latrice di un’ingiuria.»
Gli occhi azzurro ghiaccio di Rasalaje si spalancarono. Riuscì a mantenere la voce ferma e a non levarsi in piedi, ma gli artigli affondarono nell’imbottitura del bracciolo.
«Chi?»
La schiava articolò quasi con soddisfazione.
«La principessa Yozora.»
«Sono calunnie.»
«La mia signora ha assistito all’incontro. È disposta a giurarlo sull’Arco infallibile.»
«A Mardan non si fa nulla per nulla. Cosa vuole in cambio?»
«La vostra amicizia è più che sufficiente.»
Rasalaje assentì e congedò la donna. Si prese la testa tra le mani, in preda all’angoscia. Le forze si stavano muovendo nell’ombra e si apprestavano a colpire, la frattura si ingigantiva.
Mai come allora desiderò di essere incinta del nuovo erede.
   
 
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