Prompt: Quando
il vento
smette di soffiare e tutto sembra calmo, e allora che bisogna avere
paura.
Azzurro;
un’immensa
distesa di azzurro, limpido, quasi irreale si parava di fronte ai suoi
occhi.
Sbattè le palpebre un paio di volte e poi si
portò una mano sulla fronte per
schermare i suoi occhi dalla luce del sole. Tutta quella distesa
azzurrina
davanti a sé, stava a indicare che era coricato a pancia in
su e che quello era
il cielo. Mosse una mano vicina al suo fianco, stringendola a pugno,
per poi
portarla all’altezza del suo viso: nel momento in cui la
aprì, i granelli di
sabbia caddero come se fossero state tante piccole cascate, per
ritornare lì
dove erano state raccolte poco prima; quello era sicuramente un altro
indizio
che gli diceva che si trovava su una spiaggia.
Si
tirò su e si mise a
sedere, si guardò le gambe e le braccia; le maniche della
sua camicia bianca e
i suoi pantaloni erano strappati, i suoi stivali non c’erano
più. Pensò che il
mare glieli avesse rubati quella stessa notte in cui la tempesta li
aveva
sorpresi. Si guardò intorno per capire dove fosse e, dietro
di sé, oltre alla
spiaggia vide un’immensa distesa verdeggiante; doveva essere
finito sicuramente
in qualche isola deserta, sperduta chissà dove. Si
guardò intorno per vedere se
qualcuno dei suoi uomini fosse sopravvissuto, ma non ne vide nessuno;
era solo.
All’improvviso
venne
assalito da una tremenda certezza: se era solo su
quell’isola, voleva dire che
la sua ciurma era perita quella notte, inghiottita dal mare, non si era
salvato
nessuno, nemmeno… lui. No, non poteva
essere, si rifiutava di crederlo.
Sesshomaru aveva un vago ricordo delle sue vite passate, ricordava che
nella
sua prima vita era stato un demone, aveva vissuto in Giappone
nell’epoca
Sengoku ed era stato uno tra i più potenti demoni che
potessero esistere, però,
nonostante fosse così potente, era arrivato un nemico ancora
più forte e quella
volta non aveva potuto fare nulla per sconfiggerlo.
Era morto
così, nel
tentativo di salvare la sua famiglia, sperando che il suo sacrificio
fosse
servito almeno a qualcosa, che almeno Inuyasha fosse sopravvissuto. Ma
aveva
avuto la conferma che nemmeno lui non fosse vissuto tanto
più a lungo, la prima
volta in cui era rinato e in cui si era ritrovato ad avere a che fare
con il
solito fratellastro: da allora, entrambi erano sempre nati come
consanguinei,
anche se con madri diverse. Ma questa volta era stato differente, visto
che erano
nati come figli dello stesso padre e della stessa madre, e Sesshomaru
era
giunto ad una conclusione: la sua unica certezza, il suo unico
appoggio,
l’unica persona su cui contare era Inuyasha da secoli. Degli
altri non aveva
avuto più notizie: Rin non l’aveva più
incontrata nel corso delle sue vite, e
nemmeno Inuyasha aveva più incontrato Kagome, Sango o
Miroku, nessuno di loro
si era più reincarnato, fatta eccezione per i loro genitori.
***
In questa vita,
Inuyasha
e Sesshomaru erano nati a Londra, questa volta entrambi umani, ed
entrambi
portavano dei lunghi capelli biondi, talmente chiari da sembrare
bianchi, come
loro padre Toga, mentre la loro madre Izayoi aveva i capelli neri come
l’inchiostro e occhi castani e profondi. I due figli,
però, avevano preso il
colore degli occhi da quelli del padre: un azzurro chiaro
più del cielo. Di
origini Giapponesi, il padre di Toga si era stabilito in Inghilterra
quando il
primo figlio era piccolo e lì avevano messo le radici.
Toga era
divenuto poi un
importante funzionario del governo, nonostante le sue origini e, avendo
una
carica così importante, veniva rispettato da tutti i suoi
colleghi, o almeno
era ciò che gli avevano fatto credere, fino a che, di
ritorno da una serata a
teatro, lui e la moglie vennero uccisi in circostanze misteriose. Non
ci fu
nessun testimone, nessuno che avesse visto i loro aggressori, eppure a
quell’ora la via in cui erano stati uccisi i coniugi Taisho,
di solito, era
piuttosto frequentata, ma quella particolare sera era sembrato che
magicamente
fossero scomparsi tutti.
Con un
sotterfugio, il
figlio più grande e maggiorenne venne accusato di aver teso
un agguato ai suoi
stessi genitori e di averli uccisi per potersi accaparrare la loro
cospicua eredità.
A nulla valsero i tentativi di Sesshomaru di dichiararsi innocente e di
Inuyasha di difenderlo, il giudice non volle sentire ragioni e
Sesshomaru venne
condannato a morte per impiccagione: …appeso per
il collo finché morte non
sopraggiunga aveva sentenziato il giudice, come se dirlo in
quel modo fosse
una maniera più dolce di indorargli la pillola; sarebbe
morto come un maiale
sgozzato sulla pubblica piazza, davanti a tutti.
Rinchiuso nella
sua cella
Sesshomaru ripensava ai suoi genitori, a suo fratello e alla vita
agiata e
felice che avevano avuto fino a poco tempo prima; ma poi suo padre era
stato
letteralmente pugnalato alle spalle, perché il governo
inglese non poteva certo
essere macchiato dal sangue di uno sporco muso giallo che aveva avuto
l’ardire
di arrivare tanto in alto, a discapito di qualcun altro dal sangue
inglese. Sesshomaru
credeva che fossero stati proprio
quegli stessi colleghi che tanto tessevano le lodi di suo padre a
ucciderlo, di
certo non in prima persona, quella non era gente che si sporcava le
mani, di
sicuro avevano assoldato dei sicari, qualche delinquente di bassa lega
che per
pochi spiccioli avrebbe ucciso anche la propria madre. Tuttavia,
Sesshomaru non
aveva prove e soprattutto non poteva fare nulla contro quei potenti,
per il
semplice motivo che avevano loro il coltello dalla parte del manico. Di
lì a
qualche giorno ci sarebbe stata la sua esecuzione e a quel punto
avrebbero
vinto loro.
Inuyasha a quel
tempo
aveva soltanto quindici anni, ma mise in atto un folle piano per
salvare il
fratello più grande dalla forca. Lo stesso giudice che aveva
condannato Sesshomaru,
per lui aveva emesso una sentenza più lieve; visto che dopo
la morte del
fratello maggiore egli sarebbe rimasto completamente solo e che non era
ancora
in grado di badare a sé stesso, secondo la legge, aveva
deciso di affidarlo a
un orfanotrofio.
Inuyasha
però scappò
dalle grinfie di quelli che lui considerava i suoi carcerieri. Nessuno
riuscì a
trovarlo, ma le guardie della regina stavano setacciando tutta la
città alla
sua ricerca. Inuyasha riuscì comunque a nascondersi bene in
modo che non lo
scoprissero mai. Doveva pensare a salvare suo fratello e le opzioni
potevano
essere molteplici: avrebbe potuto imparare a tirare con
l’arco e, con una sola
scoccata, rompere la corda legata al collo di suo fratello, ma i giorni
che
mancavano all’esecuzione di Sesshomaru erano troppo pochi
perché potesse
imparare a maneggiare correttamente un arco. Avrebbe potuto usare una
pistola,
ma non sapeva sparare, dunque quella fu un'altra opzione da scartare.
L’unica
fattibile, tra le tante soluzioni che gli vennero in mente, fu quella
di
vestirsi in modo che non lo potessero riconoscere, e al momento
opportuno
conficcare la lama di una spada nel legno, poco sotto la botola che si
sarebbe
aperta ai piedi di Sesshomaru.
Così,
vestito con un
lungo mantello rosso, una camicia bianca e un paio di pantaloni
aderenti neri,
si nascose sotto un grande cappello grigio con una fibbia dorata sul
davanti.
Il giorno dell’esecuzione si mischiò tra la gente
e attese ascoltando mentre
venivano elencati a Sesshomaru i vari capi d’accusa che lo
condannavano a
morte.
Quando il
funzionario
smise di enumerare tutte quelle assurdità, il boia
incappucciato si diresse
verso la leva che avrebbe azionato la botola. In quel momento Inuyasha
si fece
largo tra la gente per avvicinarsi al patibolo. Le guardie della corona
presenti all’evento, in un primo momento, non compresero a
cosa fosse dovuto
tutto quello scompiglio. Ma poi, nel momento in cui la botola si
aprì, Inuyasha
estrasse la spada dal suo fodero e la lanciò contro il legno
poco sotto i piedi
di Sesshomaru, che riuscì a sorreggersi per miracolo sulla
lama in punta di
piedi. Allora le guardie si accorsero di lui, e gli corsero incontro,
incrociarono le spade con Inuyasha, che ne aveva una seconda di scorta
legata al
suo fianco e che aveva estratto dal fodero, subito dopo aver lanciato
la prima.
Inuyasha, mentre
combatteva, riuscì a salire le poche scale che lo portavano
sul patibolo in cui
il fratello era rimasto con la corda al collo, in bilico sulla lama e,
con un
movimento del polso riuscì a tagliare il cappio. Sesshomaru
cadde di sotto e
tagliò le corde che gli legavano i polsi con la spada che lo
aveva sorretto
fino a quel momento, poi la estrasse dal legno e una volta uscito
inferiormente
al patibolo, combatté anche lui al fianco del fratello.
Non seppero in
che modo,
ma riuscirono a sfuggire alle guardie e a raggiungere il porto per
rubare una
nave, con la quale salparono in mare aperto. Da lì
iniziò quella che per loro
si può definire la più folle delle avventure.
Dopo quella rocambolesca fuga i
due fratelli decisero di dirigersi verso Tortuga. Avevano bisogno di
una ciurma
e nelle loro condizioni di ricercati non potevano di certo permettersi
di avere
dei marinai addestrati dalla marina inglese, così si
doverono accontentare di
una ciurma di dannati della peggior specie.
Una volta
racimolato un
equipaggio, salparono in mare aperto. Sesshomaru era intenzionato a
vendicarsi
per tutto il male che avevano fatto a lui e alla sua famiglia; quei
maledetti
politici l’avrebbero pagata cara. Così Sesshomaru
e Inuyasha divennero pirati,
forse non tra i più crudeli, poiché si limitavano
soltanto a saccheggiare
villaggi e i porti in cui di solito si imbattevano. Sesshomaru cercava
sempre
di proteggere il fratello più piccolo perché era
ancora troppo giovane e
sicuramente in quell’ambiente senza di lui non sarebbe
sopravvissuto per molto
tempo.
Passarono
così alcuni
anni ma Sesshomaru, nonostante il fratello fosse diventato maggiorenne,
non
aveva mai smesso di proteggerlo, aveva paura, una paura
incommensurabile di
perderlo. Ma Inuyasha sembrava essere infastidito da quelle attenzioni
che per
lui erano fin troppo ossessive; Sesshomaru doveva lasciarlo respirare,
non era
più un ragazzino; maledizione! Maledizione a lui.
Così, un giorno stufo
di tutte quelle attenzioni che per lui erano esagerate,
piombò nella cabina del
capitano tutto trafelato e innervosito, mentre Sesshomaru stava
consultando
alcune carte nautiche, sgranocchiando una mela con i piedi poggiati
sulla
scrivania. In quel momento, come se fosse stato beccato con le mani
nella
marmellata, Sesshomaru, istintivamente, li tirò
giù di scatto e per poco non si
strozzò con un pezzo del frutto che aveva appena addentato.
- Si
può sapere a che cosa
devo tutta questa irruenza? - domandò con sguardo di
rimprovero, rivolto al
fratello.
- Sesshomaru io
sono
stufo che tu mi tratti come un bambino, perché non sono un
dannato ragazzino.
Non più, maledizione! – gli disse Inuyasha con le
labbra che gli tremavano
dalla rabbia. Sesshomaru a quel punto alzò un sopracciglio,
posò le carte e la
mela che aveva in mano e si avvicinò al fratello.
- Tu sei
l’unico della
famiglia che mi rimane; se ti perdessi, per me non ci sarebbe
più nulla per cui
varrebbe la pena vivere – gli confessò Sesshomaru,
sperando che il più giovane
comprendesse le sue ragioni.
- Ma…
ma tu non puoi
proteggermi per sempre - gli rispose Inuyasha, che ora non era
più tanto sicuro
delle sue motivazioni iniziali; le parole di suo fratello lo avevano
colpito,
sapeva di contare qualcosa per Sesshomaru ma non credeva
così tanto.
- Lo
farò anche se mi
dovesse costare la vita, perché tu sei l’unica
cosa che conta per me, e quei
bastardi che hanno osato uccidere i nostri genitori non devono neanche
pensare
di avvicinarsi a te. Non ho intenzione di perdere un altro membro della
mia
famiglia – gli disse Sesshomaru, e a Inuyasha il fratello
sembrò essere
piuttosto risoluto, forse anche troppo, come se quella fosse la
risposta a
tutti i loro problemi. Ma la domanda che si poneva Inuyasha era: Riuscirà
davvero a proteggermi nel modo che desidera?
La paura di
Sesshomaru
trovò conferma quando vennero catturati dalla Compagnia
Britannica delle Indie Orientali,
e vennero portati nel loro quartier generale a Londra e da
lì nelle segrete del
palazzo. Inuyasha e Sesshomaru vennero torturati e venne loro imposto
un
marchio a fuoco sul polso; una P, marcata indelebilmente sulla loro
pelle.
Pirati, loro che avevano seguito delle buone scuole, una buona
educazione, che
avevano vissuto tra il lusso e le agiatezze ora venivano marchiati come
una
mandria di bestiame appena consegnata al fattore. Sesshomaru dalla sua
cella di
prigionia sentiva le urla del fratello e le sentì
più acute nel momento in cui
apposero il marchio su di lui.
Sesshomaru non
aveva
emesso nemmeno un lamento, non voleva dare la soddisfazione ai suoi
aguzzini di
vederlo cadere in ginocchio, di implorare pietà. Ma suo
fratello era fragile,
sensibile e non avrebbe sopportato altra sofferenza; nel momento in cui
sentì
le urla di Inuyasha, i suoi polsi erano serrati da bracciali che a loro
volta
erano attaccati a delle lunghe catene agganciate alla parete di pietra
della
cella, si sentiva come un maiale pronto per il macello, esattamente
come
qualche anno prima su quel patibolo dove Inuyasha lo aveva salvato.
Era solo, i suoi
aguzzini
gli avevano dato qualche minuto di tregua, ma quelle urla non lo
facevano stare
tranquillo, stringeva i denti e tendeva in avanti le braccia, un gesto
che gli
veniva istintivo; avrebbe voluto raggiungere suo fratello, toglierlo
dalle
grinfie di quei maledetti che osavano provocargli tutto quel dolore.
Mentre si
divincolava da quella stretta sentiva le catene tintinnare a ogni suo
movimento
e i bracciali lacerargli la carne, ma per quanto cercasse di liberarsi
per
correre da suo fratello, i suoi tentativi fallivano miseramente, e si
sentiva
impotente, privo di forze; maledisse quel suo essere un umano e non un
demone
come nell’epoca Sengoku, se lo fosse stato probabilmente il
quartier generale
della Compagnia delle indie sarebbe saltato in aria con un solo gesto e
lui e
suo fratello avrebbero potuto salvarsi.
Tuttavia, anche
quella
volta, riuscirono a scappare. Il resto della ciurma che era riuscita a
sfuggire
alle grinfie della Compagnia delle indie, fece irruzione al quartier
generale
per trarre in salvo il suo capitano e suo fratello. Ci fu uno scontro,
il tuono
dei cannoni riecheggiava nella notte, le esplosioni illuminavano il
buio, e tra
questi anche il rumore degli spari dei fucili e delle pistole si
confondevano
tra loro.
Inuyasha
però, a causa
delle ferite riportate, si era ammalato. Quando entrò nella
cella, Sesshomaru vide
che il fratello versava in condizioni pietose, sdraiato su una brandina
che
doveva aver visto tempi migliori, respirava a fatica ed era
completamente
sudato, il suo corpo ricoperto da ustioni e ferite. Sesshomaru
serrò le mani,
quasi conficcandosi le unghie nel palmo, la sua mascella si strinse
talmente
tanto che i denti striderono e un nervo del suo viso si tese. Non
poteva
permettere all’ultimo componente della sua famiglia di
morire, se lo era
ripromesso nel momento in cui i suoi genitori erano morti. Ma in quel
preciso
istante Sesshomaru si sentiva impotente, di nuovo, perché
non era riuscito a
fare nulla per impedire che ciò accadesse.
Prese suo
fratello tra le
braccia facendo attenzione a non fargli troppo male, in
quell’istante gli
sembrava che si potesse rompere da un momento all’altro.
Sentì la rabbia
pervadergli il corpo e l’anima, come se fosse un demone; per
quale ragione era
dovuto succedere, come aveva potuto permettere tutto questo? I suoi
genitori
prima e ora suo fratello. Erano diventati dei delinquenti della peggior
specie,
loro che si erano illusi di essere una famiglia rispettabile per i
londinesi,
nonostante avessero altre origini. Mai avrebbe pensato di arrivare a
quel
punto, marchiati come la peggior specie di bestiame, qualcuno da
eliminare che
non doveva esistere, ma era davvero così? Erano davvero
quelli da dover
cancellare dalla faccia della terra? Sesshomaru aveva la sua risposta a
tutto
ciò, ossia che non erano loro quelli da eliminare, ma chi
gli aveva fatto tutto
questo, chi li aveva ridotti a ritrovarsi costantemente in fuga,
braccati come
topi di fogna.
Strinse suo
fratello tra
le braccia e Inuyasha in un barlume di lucidità dalla febbre
riuscì a reggersi
alle spalle di Sesshomaru e appoggiò la testa al suo petto.
Inuyasha si sentì
al sicuro, avvolto dal calore di quelle braccia che in fondo lo avevano
sempre
protetto fin da bambino. Sesshomaru corse a perdifiato tra le segrete
del
quartier generale e uscì da quel posto. Tra la confusione
che si era creata
riuscì (stando attento a non farsi colpire) a salire sulla
loro nave attraccata
al porto, senza ulteriori danni. Anche Sesshomaru era ferito,
però meno
gravemente di suo fratello, con Inuyasha invece si erano proprio
accaniti,
forse per togliergli anche quello spiraglio di luce che illuminava la
sua vita.
A quel pensiero sentì nuovamente la rabbia pervaderlo. Lui
non si sarebbe di
certo arreso, e gli ultimi eventi avevano instaurato in lui ancora
più determinazione
di quanta non ne avesse già.
Una volta a
bordo entrò
nella cabina del capitano, aprendo la porta con un calcio.
Adagiò suo fratello
sul divano che si trovava poco distante dalla sua scrivania, cercando
di fargli
meno male possibile, poi si diresse verso una delle credenze incassate
nella parete
di legno e prese qualche unguento e delle bende. Si avvicinò
nuovamente a
Inuyasha e si inginocchiò al suo fianco. Iniziò a
disinfettare le ferite,
provocando nel più piccolo alcune smorfie di dolore, fece lo
stesso anche con
la sua schiena, voltandolo con delicatezza. Una volta che ebbe concluso
il suo
compito, lo avvolse nelle bende e lo coprì con una coperta.
Osservò
il fratello che
respirava a fatica e gli posò una mano sulla fronte: era
calda e sudata. Sesshomaru
sentì stringersi il cuore, ancora una volta aveva mancato
alla sua promessa;
quella stessa promessa che aveva fatto a sé stesso molto
tempo prima, quando i
loro genitori erano morti, non avrebbe mai permesso che qualcun altro
della sua
famiglia morisse e invece era ciò che stava per succedere.
Un rantolo che
proveniva dal suo fianco lo ridestò dai suoi pensieri.
-
Sesshomaru… io… io…
credo che… - tentò di dire Inuyasha, la sua voce
era soltanto un soffio,
Sesshomaru quasi stentò a udirlo. Ma aveva capito che cosa
volesse dirgli il
fratello, e lo aveva interrotto perché quelle parole proprio
non voleva ascoltarle,
la sua mente si rifiutava.
- Non lo
permetterò,
costi quel che costi, troverò qualcuno che ti possa curare
– disse con
decisione Sesshomaru. Avrebbe trovato di sicuro qualche strega o
guaritore che
lo potesse aiutare, certamente avrebbe lottato affinché suo
fratello sopravvivesse.
Attese nella sua
cabina
che anche la ciurma salisse sulla nave, sentiva ancora i colpi di
cannone che
risuonavano nel quartier generale. Intanto Sesshomaru si chiedeva come
avrebbe
potuto trovare una soluzione per suo fratello. Avrebbe chiesto a
qualcuno della
sua ciurma; li aveva reclutati a Tortuga, loro di sicuro potevano
conoscere
qualcuno che faceva al caso loro. Improvvisamente
un’irruzione nella stanza lo
ridestò dai suoi pensieri.
- Capitano,
sarà meglio
salpare se vogliamo fuggire da questo posto. – Il mozzo si
fermò sulla soglia
in attesa di ordini, non fece domande sullo stato di salute evidente
del
fratello del suo capitano. Dopo tutti quegli anni di navigazione
insieme aveva
capito che era meglio non impicciarsi di affari che non lo riguardavano.
- Bene, ordinate
di levare
l’ancora, gli ormeggi e cazzare la randa. Salpiamo per
Tortuga. – Il mozzo fece
per uscire dalla stanza quando il capitano lo fermò sulla
soglia.
-Aspetta,
conosci qualche
guaritore che possa curare mio fratello? – Il ragazzo lo
osservò, poi posò gli
occhi sul fratello del suo capitano, mentre Sesshomaru lo guardava a
sua volta
in attesa di una risposta.
- Mi dispiace
signore, non
conosco proprio nessuno. – Il mozzo lo guardò
dispiaciuto di non essere di
aiuto al suo capitano, ma lui e tutta la ciurma erano grati di fare
parte di
quella banda di poco di buono. Tra tutti i comandanti che avevano
avuto,
Sesshomaru era colui che li aveva trattati nel modo migliore, questo in
fondo testimoniava
quanto fosse nobile in ogni sua sfaccettatura.
- Pensi che
qualcun altro
su questa nave possa saperne qualcosa? – gli
domandò ancora; era la prima volta
che Sesshomaru entrava così in confidenza con i suoi
sottoposti.
- Mi dispiace
signore, ma
credo che nessuno ne sappia nulla; penso, tuttavia, che a Tortuga ci
sia
qualcuno che la possa aiutare. - gli
disse il mozzo, certo che in quel posto il capitano avrebbe potuto
trovare la
soluzione al suo problema.
Sesshomaru
congedò dunque
il mozzo e rimase al capezzale del fratello, grato a sé
stesso di aver
preventivamente ordinato di salpare per Tortuga. Quando, dopo giorni di
navigazione in mare aperto, giunsero finalmente in quel posto, che a
Sesshomaru
dava il voltastomaco, il capitano insieme alla sua ciurma si mise a
indagare
per trovare qualcuno che facesse al caso loro. Sesshomaru a un certo
punto
sentì una mano posarsi sulla sua spalla, si voltò
ed ebbe un déjà-vu. Quella
donna, la ricordava in epoca Sengoku con gli occhi rossi e le orecchie
a punta,
era una delle emanazioni di Naraku. A quanto pareva in
quell’epoca si erano
reincarnati solo i demoni, salvo poche eccezioni.
- Ho sentito
dire che
state cercando un guaritore – gli disse la donna. Ora aveva
gli occhi del colore
del cioccolato, ma i suoi capelli erano come lui li ricordava; neri
come
l’inchiostro.
- Kagura!?
– Sesshomaru
boccheggiò un po’ prima di riuscire a scandire
qualche parola, mai si sarebbe
aspettato di trovarsi di fronte proprio Kagura. La ragazza davanti a
lui spalancò
gli occhi stupita e chinò la testa di lato; come
faceva quell’uomo a sapere
come si chiamasse?
- Come fate a
conoscere
il mio nome? – chiese Kagura e Sesshomaru capì di
avere commesso un errore
madornale. Soltanto lui e Inuyasha a quanto pareva si ricordavano del
loro
passato… chissà per quale ragione poi…
nessun altro ricordava di avere vissuto
nell’epoca Sengoku in Giappone.
- È
una lunga storia, non
ho tempo ora di spiegarvela - disse con un gesto della mano come a
scacciare
una mosca. – Ma se sapete qualcosa, qualsiasi cosa, ve ne
prego datemi un nome.
- disse Sesshomaru implorante. Kagura fu colpita dalla gentilezza e
dall’eleganza dello sconosciuto, era raro vederne in quel
posto, anzi dové
correggersi, in quel luogo non se ne vedevano affatto.
- Esiste un
luogo dove
vive una guaritrice, anzi io direi che si può considerare
più una strega, ma dovete
stare attento perché per raggiungerlo sarete obbligato ad
attraversare la baia
delle sirene. Il loro canto potrebbe ammaliarvi, mettete in guardia
anche la
vostra ciurma, non dovete cadere in tentazione. A poche miglia da
lì, su un’isola
chiamata Isola di corallo, troverete un luogo che, secondo i racconti
di chi ci
è stato, mette i brividi. Si trova
nell’entroterra, lì vive una guaritrice che
potrebbe fare al caso vostro – lo informò Kagura,
sperando in qualche modo di
essergli stata utile.
- Vi ringrazio
per la
vostra informazione. - le rispose Sesshomaru, e ciò
colpì ancora di più la
donna.
- Buona fortuna
– rispose
Kagura prima di allontanarsi e Sesshomaru dentro di sé
pregò che la fortuna
questa volta fosse davvero dalla sua parte, nonostante tutte le
disavventure
passate gli dicessero che forse qualcosa ancora sarebbe successo.
Radunò
nuovamente gli
uomini e tornarono alla nave, diede gli ordini di salpare per
l’isola di
corallo, ignorando le proteste di tutti che, sentendo dove sarebbero
passati,
avevano il terrore di venire ammaliati dal canto delle sirene. Fu un
viaggio
molto lungo e Sesshomaru non lasciò mai il capezzale del
fratello e soprattutto
la sua mano. Inuyasha lo guardava senza dire nulla nonostante volesse
dirgli
molte cose in quel momento, la sua febbre non sembrava voler accennare
a
diminuire e lui si sentiva dannatamente debilitato, malgrado i pasti
caldi che
gli faceva avere giornalmente suo fratello.
- Sesshomaru,
dove stiamo
andando? – si decise a chiedere un giorno, sapeva che se
avesse protestato
ancora suo fratello gli avrebbe dato la risposta di sempre; non lo
avrebbe
lasciato morire senza prima aver provato a salvarlo.
- In un posto,
dove poi
starai meglio – rispose soltanto Sesshomaru senza aggiungere
nient’altro, nonostante
anche lui avrebbe voluto dirgli molte cose.
- Sesshomaru, tu
non
dovresti preoccuparti così tanto per me, io… -
era la seconda volta dopo che lo
aveva portato a bordo della loro nave che gli parlava a quel modo.
- No! tu non
devi
preoccuparti, se sono in pensiero per te, voglio cercare di salvarti.
Ti ho già
detto che sei parte della mia famiglia, e te lo ribadirò
all’infinito, sei
l’unico che mi sia rimasto al mondo, e non ti
lascerò andare finché saprò di
avere almeno una possibilità per poterti guarire. - Poi si
volse a osservare il
fratello e gli prese una mano tra le sue. – Sai Inuyasha, io
non so che cosa
voglia dire essere un genitore, perché non ho figli. Ma
quando tu sei nato io ero
già più grande di te, mi ricordo che ti guardavo
nella culla, eri così piccolo
che credevo che prendendoti in braccio avrei potuto romperti. E ricordo
che quando
ti tenevo tra le mie braccia, io ero l’unico a poterti
calmare se piangevi,
come se la mia lontananza ti facesse stare male. Siamo legati da
sempre, si può
dire da secoli e credo che se tu morissi io non avrei senso di
esistere, sei
mio fratello ma il nostro legame è più forte di
qualsiasi altro sentimento. Mi
dispiace se sono troppo apprensivo, se a volte temo che tu possa morire
anche
per una sciocchezza, come quando inciampi sui tuoi stessi piedi, ma
è più forte
di me quindi ti prego di lasciarmi tentare, non mi sentirei in pace
altrimenti –
concluse Sesshomaru con gli occhi lucidi.
Inuyasha era
rimasto in
silenzio ad ascoltare tutto il suo discorso e anche lui ora aveva gli
occhi
lucidi; alcune piccole gocce salate avevano iniziato a solcare il suo
viso,
mentre tirava su col naso. Il più piccolo non pensava di
meritarsi tutto
quell’amore da parte di suo fratello, quando era piccolo
gliene aveva combinate
di tutti i colori. Però, Sesshomaru in ogni occasione
possibile lo aveva sempre
difeso, non ricordava momento in cui lui non fosse stato lì
a proteggerlo,
soprattutto da chi lo ricopriva di insulti e lui non aveva mai capito
quanto contasse
per suo fratello. No, davvero non meritava tutto il suo amore,
perché come
fratello era stato pessimo, era sempre quello più debole e
non aveva mai provato
nemmeno a fare qualcosa per lui.
- Sesshomaru,
è stato un
discorso bellissimo. Io…- tirò su con il naso
prima di ricominciare a parlare.
– Io non credo di meritare un fratello come te –
gli disse Inuyasha tra le
lacrime. Sesshomaru gli diede una pacca con il dorso della mano sulla
fronte.
- Tsk, ma che
cosa stai
dicendo sciocco. Se non fosse stato per te a quest’ora io non
sarei il capitano
di questa nave. Avevi solo quindici anni allora e hai dimostrato un
grande
coraggio, quando mi hai salvato dalla forca; quindi, forse sono io a
non
meritarti come fratello – gli rispose Sesshomaru; forse
entrambi pensavano di
non appartenersi affatto, ma si sbagliavano di grosso. Insieme erano
più forti
e nonostante cercassero in qualche modo di dividerli, loro erano sempre
riusciti a rimanere insieme.
Inuyasha quasi
si era
dimenticato di quell’evento; il ricordo che il fratello gli
aveva riportato
alla memoria, aveva fatto riaffiorare dentro di sé quella
sensazione di paura
che aveva avuto, credendo che il suo piano avrebbe fallito, e che
sarebbero
morti entrambi quel giorno. Era stato lui a salvarlo, nonostante fosse
solo,
nonostante fosse stato soltanto un ragazzino. Ancora si chiedeva come
aveva
fatto, forse era stata l’adrenalina a infondergli quel
coraggio che lui non
avrebbe mai creduto di avere.
Passarono
diversi giorni
e Inuyasha nonostante la brutta febbre che non accennava a diminuire,
sembrava
essere stabile. Sesshomaru, a quel punto si chiese se per caso ci fosse
qualcuno lassù che li stesse aiutando, forse erano proprio i
loro genitori.
Quando la nave oltrepassò la baia delle sirene, Sesshomaru
era nella sua cabina
insieme al fratello; sentì la sua ciurma impazzire,
richiamata dal canto di
quelle creature che si erano radunate attorno alla nave.
- Aspettami qui,
torno
subito! – disse Sesshomaru al fratello, prima di sparire
oltre la porta e
dirigersi sul ponte della nave dove sembrava stesse succedendo di
tutto. Alcuni
uomini correvano da una parte all’altra tappandosi le
orecchie e urlando, come
se ci fosse qualcosa che gli stesse penetrando nella testa.
Sesshomaru si
guardò
intorno, e vide altri uomini raggruppati in un angolo della nave,
sembravano
essere confusi e smarriti. Ma la cosa che lo colpì di
più fu che questi, a
differenza dei loro compagni sembravano immuni a quel canto
ammaliatore, poi si
fermò un attimo e, a pensarci bene, nemmeno lui sembrava
attratto da quel
suono. Cercando di scansare più uomini che poteva,
cercò di raggiungere quel
piccolo gruppetto. Quando gli fu vicino li guardò a uno a
uno.
- Che cosa sta
succedendo!? Perché voi non vi state disperando come gli
altri? – chiese
Sesshomaru. Gli uomini lo guardarono confusi; nemmeno loro conoscevano
la
ragione di quello strano evento.
- Non lo
sappiamo- disse
uno di loro, poi aggiunse: - Anche voi capitano sembrate essere immune
al loro
richiamo. – Improvvisamente, Sesshomaru sembrò
quasi venire colpito da un
fulmine. Maledizione! Aveva lasciato Inuyasha da
solo, e si chiese se
lui al contrario non iniziasse a impazzire a causa del canto di quelle
dannate
donne mezzo pesce. Così si affrettò a dare degli
ordini ai suoi uomini.
- Cercate di
calmare gli
altri, se necessario portateli sottocoperta, sono sicuro che
lì sarà più facile
tenerli a bada – disse correndo via, senza lasciare modo agli
uomini di
replicare e in un batter d’occhio piombò nella
cabina.
Inuyasha aveva
le gambe
piegate al petto e si teneva le orecchie con le mani, i suoi occhi
erano
chiusi, stretti all’inverosimile. Sesshomaru chiuse la porta
e si avvicinò al
fratello che sembrava non averlo sentito. Nel momento in cui gli
toccò il
braccio, Inuyasha sussultò e aprì gli occhi senza
togliersi le mani dalle
orecchie. Sesshomaru vide due occhi azzurri e vitrei che lo guardavano,
non era
nemmeno sicuro che Inuyasha lo stesse osservando davvero,
così gli sventolò una
mano davanti agli occhi. Ma le sue pupille non si mossero.
Allora lo
spostò
leggermente in avanti e si accomodò alle sue spalle,
tenendolo stretto a sé tra
le sue gambe. Inuyasha non sembrava dare alcun segno di vita.
Sesshomaru riuscì
a togliergli le mani dalle orecchie e a fargli appoggiare la testa al
suo petto
coprendogli l’altro orecchio con la mano, cullandolo
dolcemente pregando che
quella tortura finisse presto. Intanto, sul ponte gli uomini erano
riusciti a
calmare gli altri, cercando di non farli tuffare in mare; secondo
alcune leggende,
coloro che finivano in mare nella baia delle sirene, venivano
trascinati fin
nel profondo degli abissi per nutrire quelle creature, nessuno sapeva
però che
alcuni uomini potevano essere immuni, come era successo alla ciurma del
capitano Sesshomaru.
Una parte degli
uomini
vennero portati sottocoperta, mentre altri rimasero sul ponte. Coloro
che erano
stati ammaliati da quel canto, avevano tutti occhi vitrei come quelli
di
Inuyasha. Ma loro erano tenuti con le mani bloccate dietro la schiena
dai loro
compagni in modo che non potessero liberarsi, nell’attesa che
la nave superasse
la baia. E, per quanto si dimenassero, fortunatamente non riuscirono a
sciogliere
quella presa.
La nave
riuscì a
oltrepassare la baia senza nessuna perdita; quando sentirono il lamento
di
quelle creature in lontananza, il resto della ciurma che era immune e
quindi
non aveva subito conseguenze mollò la presa sui polsi dei
compagni. Gli uomini
ci misero qualche minuto a riprendersi, tutti sbatterono le palpebre
prima di
guardarsi intorno confusi, il loro sguardo tornò normale.
Sembrava quasi che si
fossero svegliati da un brutto sogno. Anche Inuyasha, nella cabina del
capitano
si era risvegliato e, trovandosi tra le braccia del
fratello sembrò
essere ancora più confuso.
- Sesshomaru,
che cosa è
successo? – gli chiese Inuyasha. Sesshomaru lo
scostò da sé e lo guardò negli
occhi.
- Non
è successo nulla,
solo… sei stato bravissimo ad affrontare le sirene
– gli disse Sesshomaru e
Inuyasha, anche se un po’ confuso gli sorrise. Infatti,
Sesshomaru pensò che
Inuyasha, nonostante il suo stato di incoscienza, non era impazzito
come tutti
gli altri. Non aveva urlato e nemmeno si era mosso, questo forse era
dovuto al
fatto che non stesse bene.
Viaggiarono
ancora per
qualche altro giorno, e Sesshomaru si alternava tra il timone e la
cabina dove
come sempre vi era Inuyasha. E proprio mentre era al timone qualcuno
urlò: Terra!
Sesshomaru
pensò che avessero
finalmente trovato l’isola verso la quale erano diretti. Si
sporse dalla
balaustra della nave, insieme alla sua ciurma, per vedere se davvero
fosse così.
Rimasero tutti a bocca aperta nel vedere l’isola che si
parava davanti ai loro occhi.
La vegetazione aveva dei colori sgargianti che partivano dal verde
più acceso,
al viola, al rosso e così via. Sesshomaru capì
perché l’avevano chiamata Isola
di Corallo, da nessun’altra parte aveva mai visto della
vegetazione così
colorata e soprattutto dalle forme più strane che si
potessero immaginare.
Avrebbe tanto voluto che in quel momento Inuyasha fosse accanto a lui
per
vedere quella meraviglia, sicuramente ne sarebbe stato entusiasta.
Tuttavia,
l’avrebbe comunque potuta vedere meglio quando sarebbero
scesi dalla nave, visto
che avrebbe in ogni caso dovuto andare con loro se volevano che la
guaritrice
lo potesse visitare e curare.
La
nave attraccò non lontano dalla spiaggia e
Sesshomaru corse nella cabina, e si avvicinò al divano dove
da diverso tempo vi
era adagiato suo fratello. Inuyasha puntellandosi con le mani si
tirò su,
guardando il fratello. Sesshomaru gli si avvicinò e si
inginocchiò di fianco a
lui.
- Sesshomaru che
cosa
succede? – chiese il più piccolo, tossicchiando un
po’ subito dopo. Inuyasha
guardò il fratello negli occhi e credé di non
aver mai visto suo fratello così
felice e con gli occhi che brillavano a quel modo.
- Siamo arrivati
all’isola che mi ha indicato quella ragazza a Tortuga. Potrai
di nuovo stare
bene – lo informò Sesshomaru e credé di
non aver mai provato così tanta
felicità in vita sua. Inuyasha lo osservò e gli
sorrise. Sesshomaru senza
preavviso prese il fratello in braccio e lo adagiò in una
delle scialuppe,
insieme scesero dalla nave utilizzando quelle piccole imbarcazioni.
Gli uomini li
stavano già
aspettando a riva per inoltrarsi nella foresta alla ricerca della
guaritrice
che li potesse aiutare. Sesshomaru si posizionò in testa
alla comitiva e,
armati di sciabole, si fecero spazio tra la vegetazione. Nessuno di
loro aveva
idea di dove si trovasse la guaritrice; se all’interno di un
villaggio o
vivesse in qualche luogo sperduto dell’isola. Ma
quell’appezzamento di terra
non era molto grande, di sicuro sarebbero riusciti a trovare un borgo o
qualcosa che potesse anche solo somigliargli. Durante il tragitto,
incontrarono
animali alquanto bizzarri per loro: videro draghi a due teste dai
colori
sgargianti che alla luce del sole brillavano come se fossero fatti di
metallo e
cambiavano gradazione a seconda della direzione della luce del sole.
C’erano
unicorni dal corno cangiante, simile alla pelle dei draghi, tigri dai
denti a
sciabola dal pelo del colore del fuoco, e che sembrava davvero che si
incendiassero,
ma era soltanto un’illusione ottica del sole che filtrava tra
la vegetazione.
Gli animali, tuttavia, non sembravano essere comunque interessati a
loro, cosa
che alla comitiva parve strano. Come avevano già visto da
lontano, le piante di
quell’isola avevano delle forme e dei colori diversi, quasi
quanto quelle degli
animali.
Camminarono
almeno per un
paio di giorni, accampandosi in quella strana boscaglia. Si erano
portati
alcuni viveri dalla nave e almeno per una notte o due erano riusciti ad
avere cibo
a sufficienza per tutti quanti. All’inizio del terzo giorno,
sbucarono fuori
dal bosco trovandosi di fronte ad un piccolo lago: alcuni degli animali
fantastici che avevano visto prima si abbeveravano in quella fonte.
Sesshomaru
si guardò alle spalle, voltandosi con ancora Inuyasha sulla
schiena.
- Muoviamoci con
cautela,
cercate di non far rumore, non sappiamo se queste bestie sono ostili,
potrebbe
essere soltanto un caso se prima ci hanno ignorato – disse
Sesshomaru a voce
bassa, e tutti gli uomini si limitarono ad annuire.
Oltrepassarono
il
laghetto senza farsi notare e, nel momento in cui superarono quella
sorgente,
si trovarono davanti a un sentiero, costeggiato da alcuni alberi.
Sesshomaru
sentì Inuyasha irrigidirsi sulla sua schiena, lo strinse
maggiormente per le
gambe, in modo da dargli maggior conforto possibile. Anche lui aveva
avvertito
una strana sensazione che non gli piaceva per nulla.
- Sesshomaru! Ho
uno
strano presentimento, e la cosa non mi piace per niente, forse
è meglio se
torniamo indietro. – disse Inuyasha con voce tremolante, e
anche il suo corpo
iniziò a fremere. Sesshomaru pensò che se era
come gli aveva detto Kagura,
allora quelle sensazioni, anche se sgradevoli, li avrebbero condotti
nel posto
giusto.
- Non avere
paura
fratellino, ci sono io qui a proteggerti. Stai tranquillo –
disse Sesshomaru
per rassicuralo, ma nemmeno quelle parole riuscirono a rincuorare il
più
piccolo tanto che si strinse maggiormente al collo del fratello.
- Io non credo
di farcela
a proseguire. – disse il più piccolo che ora
tremava, non soltanto per la
febbre. Allora Sesshomaru lasciò andare le gambe di Inuyasha
e si voltò per
guardare negli occhi il fratello, prendendogli il volto tra le mani. E
in
quello sguardò riuscì a leggervi tutto il terrore
che provava Inuyasha.
- Devi stare
calmo, siamo
quasi vicini a trovare la donna che ti guarirà. Abbi ancora
un po’ di pazienza,
ti prego – disse Sesshomaru al fratello e Inuyasha vide negli
occhi dell’altro
tutta la preoccupazione che fino ad allora gli aveva celato. Era
determinato, Sesshomaru
stava combattendo una battaglia silenziosa contro il tempo, per poter
salvare
quel poco che era rimasto di ciò che un tempo era la sua
famiglia, e di certo
non poteva mollare ora che erano quasi vicini alla risoluzione dei loro
problemi. Inuyasha sembrò finalmente rilassarsi e abbassando
lo sguardo annuì leggermente,
ora si vergognava un po’ per essersi mostrato debole.
- Va bene, mi
dispiace.
Mi fido di te - disse Inuyasha senza guardare il fratello negli occhi.
Intanto
le sue gambe iniziarono a tremare, a causa del troppo tempo che aveva
trascorso
su quel divano, non riuscivano più a reggerlo in piedi. Ma
Sesshomaru fu pronto
a sostenerlo in modo che non cadesse al suolo. Così
Sesshomaru lo prese in
braccio e Inuyasha gli circondò il collo con gli arti.
- Bene, allora
possiamo
proseguire. – ordinò Sesshomaru ai suoi uomini.
Inuyasha aveva nascosto il viso
nella camicia del fratello, si vergognava troppo per aver dubitato
delle sue
capacità. Quello però che non poté
vedere Inuyasha era il sorriso divertito di
Sesshomaru.
Si
avventurarono, dunque,
per quel sentiero e, alla fine di esso, si trovarono alle porte di un
villaggio
fatto di case in mattoni e tetti in paglia, totalmente diverso da
ciò che
avevano visto poco prima. Anzi nonostante la povertà che
traspariva dall’aspetto
della gente che abitava quel villaggio, a loro sembrò la
prima cosa normale che
avessero visto fino a quel momento. Era come se quel borgo fosse
protetto dalle
creature fantastiche di quell’isola. Sollevarono lo sguardo e
videro un
castello di un bianco perlato che riluceva con i raggi del sole, lunghe
guglie
si ergevano talmente in alto da sembrare che potessero toccare il
cielo, i
tetti del castello e delle torri erano blu anch’esso
rilucente alla luce del
sole. L’imponente costruzione si ergeva a ridosso della
montagna che confinava
col villaggio. La ciurma rimase stupefatta dalla magnificenza di quel
castello,
nessuno aveva mai visto una costruzione simile. Ma vennero riportati
alla
realtà da una donna che gli si era avvicinata, attirando la
loro attenzione.
- Scusatemi
stranieri.
State per caso cercando qualcuno? – domandò. Aveva
l’aspetto di una giovane
donna, ma portava una specie di fazzoletto in testa e non poterono
averne la
certezza.
- Stiamo
cercando una
guaritrice che ci possa essere d’aiuto. Abbiamo sentito che
da queste parti ne
esiste una – si fece avanti Sesshomaru che teneva ancora tra
le braccia il
fratello. Inuyasha si chiedeva se per caso fosse un peso per
Sesshomaru; non si
era mai lamentato per tutto il tragitto, ma sicuramente le sue braccia
e la sua
schiena ne avrebbero risentito dopo, di questo il più
piccolo ne era certo.
- Oh! Credo che
voi siate
capitati nel posto giusto. Vi prego di seguirmi – disse la
donna. Sesshomaru
credé che fosse frutto soltanto della sua immaginazione, ma
gli era sembrato
che gli occhi di lei avessero cambiato colore dopo aver udito la sua
domanda.
Gli uomini
seguirono la
donna, che li condusse fuori il villaggio; percorrendo un altro
sentiero, si
inoltrarono in una foresta in cui tutto sembrava morto. Quella strana
concentrazione boschiva dava l’impressione che tutto intorno
a loro fosse stato
dato alle fiamme da qualcuno, e che ciò fosse accaduto solo
da poco, visto che il
terreno sembrava fumare ancora. Gli uomini si guardarono intorno e
Inuyasha
iniziò a tremare tra le braccia di Sesshomaru; quel posto
gli dava una strana
sensazione, peggio del luogo con le creature fantastiche che avevano
oltrepassato qualche giorno prima.
Sesshomaru
d’istinto
strinse più a sé Inuyasha, come a
tranquillizzarlo, nonostante questa volta
anche lui non avesse un buon presentimento. Oltrepassarono uno stagno
dalla
colorazione verdognola quasi simile al vomito, dalla cui acqua
emergevano delle
bolle come se stesse gorgogliando in un pentolone. Lo stesso stagno
emetteva
uno strano odore putrescente come se dentro vi ci fossero stati gettati
molteplici cadaveri. Tutti si voltarono a guardare quella strana
distesa
d’acqua, sembrava ne fossero ammaliati. La donna non
avvertendo più i passi
degli uomini dietro di sé, si voltò e li vide
fermi a osservare lo stagno,
allora tornò sui suoi passi e cercò di ridestarli
dalla loro momentanea
situazione di trance.
- Non osservate
il lago o
vi catturerà e vi mangerà vivi – li
avvertì la donna con un tono alquanto basso
e spettrale che li fece rabbrividire e ritornare immediatamente in
sé: tutti
gli uomini sbatterono le palpebre come risvegliati da un sonno profondo.
Nessuno
osò proferire
parola ma ognuno di loro si scambiò uno sguardo confuso;
sinceramente pentiti
di essersi fidati di quella donna. Proseguirono il loro cammino
tenendosi ben
distanti da quella strana sorgente. Superarono un’altra
foresta di alberi morti
per poi arrivare ad una radura ben diversa da quella precedente, qui
sembrava
che la vita facesse parte di ogni più piccola cosa. Tutti si
stupirono di
vedere quel drastico cambiamento in pochi istanti, molteplici alberi di
ciliegio ricoprivano quella radura e i petali caduti ne vestivano il
prato di
cui si stentava a vedere i fili d’erba. Nascosta tra gli
alberi, vi era una
casetta dal cui comignolo usciva del fumo. La donna fece segno agli
sconosciuti
di seguirla; colei di cui avevano bisogno si trovava in quella modesta
casupola.
Entrarono in
quella casa
che da fuori sembrava ben curata, mentre al suo interno dava
l’impressione che
stesse cadendo a pezzi; in un angolo della dimora, vi era un grande
calderone
dal quale usciva dello strano fumo verdognolo quasi fosforescente, che
ne fuoriusciva,
creando una coltre che ricopriva il pavimento. Le pareti erano
ricoperte da
molteplici mensole, sulle quali erano posti alcuni libri e ampolle
anch’esse
contenenti liquidi di diversi colori fosforescenti e anche da questi
oggetti
usciva del fumo che colava al loro esterno. Una stufa a legna era
posizionata a
ridosso di una parete, dove accanto vi era qualche ciocco di legno.
La donna che li
stava
accompagnando era sparita dietro una porta di legno. Mentre nella casa
era
entrato solo Sesshomaru con Inuyasha e un paio di uomini, gli altri
erano
rimasti fuori di guardia nel caso fosse successo qualcosa. La donna
ritornò
dopo qualche minuto, accompagnata da un’altra ragazza dalla
veste e dai capelli
candidi, e dagli occhi anch’essi completamente bianchi, un
chiaro segno che
fosse cieca.
La ragazza si
avvicinò ai
due fratelli senza l’aiuto di nessuno, come se sapesse
esattamente dove si
trovasse ogni cosa in quella piccola dimora, persino gli estranei. Il
suo passo
sicuro stupì i due giovani: quando si trovò a
pochi centimetri da loro, la
ragazza allungò una mano su Inuyasha tenendola non molto
distante dal suo corpo,
percorrendolo da cima a fondo. Poi scostò la mano come se si
fosse scottata e
Sesshomaru aggrottò la fronte confuso mentre Inuyasha
guardava il fratello
spaventato.
-
C’è un legame tra voi
due, che non è dovuto solo al sangue che scorre nelle vostre
vene, ma un forte
sentimento vi unisce. Per questo non sono ancora riusciti a separarvi,
nemmeno
la morte vi riuscirà. – concluse quella che ai
loro occhi era decisamente una
strega. I due ragazzi si guardarono non comprendendo quelle parole.
- Noi siamo
fratelli. Non…
- precisò Sesshomaru ma la strega lo interruppe con una
mano.
- Oh, esistono
molti tipi
di legami, ma quello tra fratelli è molto più
forte anche rispetto a quello di
una coppia di innamorati. Come esistono diversi tipi di amore e il
vostro è
quello che si può definire, ciò che io chiamo,
amore supremo. Quindi vi posso
dire soltanto una cosa, continuate a prendervi cura l’uno
dell’altro, solo in
questo modo potrete essere forti e combattere ogni tipo di battaglia
senza
subire troppi danni – gli consigliò la donna senza
che loro non avessero nemmeno
aperto bocca.
- Quindi mi sta
dicendo
che è per questo che mio fratello non è ancora
morto!?- chiese sconcertato
Sesshomaru. La strega che si era voltata di spalle si girò
nuovamente per
puntare i suoi occhi spenti su di lui.
- A quanto pare
comprendi
al volo biondino – disse la strega sicura di sé
come se li stesse vedendo
veramente.
- Ehi, un
momento come
fai a sapere tutte queste cose di noi? – chiese a quel punto
Inuyasha spaesato
da tutte quelle informazioni poco chiare che gli aveva dato la strega.
- Oh, io so
molte cose.
Vi avevo già visti nella mia mente, sapevo che sareste
arrivati fin qui e credo
di conoscere anche il motivo – disse chinandosi a guardare
Inuyasha, il quale
rabbrividì davanti a quello sguardo spento.
Poi la strega si
voltò e
liberò quello che sembrava un letto, coperto da varie
scartoffie, gettandole a
terra con noncuranza. Si voltò poi nuovamente verso i due
facendo segno a
Sesshomaru di adagiare il fratello su quel letto che sicuramente doveva
avere
visto momenti migliori. Inuyasha lo guardò con occhi di
terrore, quel
presentimento, che lo aveva accompagnato durante tutto il tragitto fino
a
quella casupola, si era accentuato nel momento in cui avevano varcato
quella
soglia e quando avevano incontrato la donna cieca. Per questo dopo
essere stato
adagiato su quel giaciglio non volle per nessuna ragione lasciare la
mano di
Sesshomaru, che fu costretto a spostarsi di lato al letto per
permettere alla
strega di operare.
La strega si
voltò a
prendere una boccetta, con dentro una sostanza dal colore violaceo e ne
tolse
il piccolo tappo in sughero. Avvicinò la piccola
bottiglietta alle labbra di
Inuyasha, incitandolo a bere quell’intruglio, ma egli
rifiutò.
- No, non
voglio! – urlò
il ragazzo cercando di divincolarsi su quel letto, che gli sembrava
perfino
scomodo.
- Su andiamo,
non
penserai mica che voglia avvelenarti? In fondo siete venuti qui per
ricevere le
mie cure no!? – disse la donna cercando di tranquillizzare il
ragazzo che
sembrava essere sensibile a certe cose. Ma Inuyasha non sembrava essere
rilassato, piuttosto appariva in preda al panico.
- Coraggio
fratellino,
abbiamo fatto tutto questo viaggio perché tu possa stare
meglio, non mollare
proprio ora. – Sesshomaru si era abbassato e quasi aveva
sussurrato
all’orecchio del fratello, il quale si voltò a
guardarlo cercando negli occhi
dell’altro il coraggio per fidarsi di quella strega da cui si
erano recati, e
che a lui era sembrata decisamente una pessima idea. Quando vide la
tensione
nello sguardo del fratello allora decise di farsi coraggio e di
acconsentire a
bere quella strana cosa che gli stava porgendo la strega.
- Soltanto un
piccolo
sorso può bastare – disse lei porgendogli
nuovamente la bottiglietta. Inuyasha
fece come la donna gli aveva ordinato e ne bevve soltanto un sorso.
Poi si
inginocchiò e pose
nuovamente le mani a pochi centimetri dal suo corpo con i palmi rivolti
verso
il basso, a occhi chiusi, le fece scorrere dalla testa ai piedi del
ragazzo,
recitando una specie di cantilena di cui i presenti non riuscirono a
capire le
parole. Inuyasha avvertì una strana sensazione di benessere,
che non sapeva se
si poteva definire momentanea o apparente. La donna fece scorrere
diverse volte
le mani sul corpo di Inuyasha, sempre con quella cantilena che usciva
dalle sue
labbra. Il resto dei presenti intanto non aveva osato fiatare,
lasciando che la
guaritrice concludesse il suo lavoro. Una volta concluso il suo
rituale, la
donna si risollevò in piedi senza mai smettere di puntare i
suoi occhi sul
ragazzo sdraiato su quel giaciglio.
- Potete andare
ora –
disse la donna puntando il suo sguardo sul maggiore dei fratelli, al
quale poi
porse la boccetta in cui c’era il medicinale
che aveva dato poco prima
al più piccolo. – Prendete, dovrete
somministrarglielo una volta al giorno e
vedrete che anche le sue ferite si rimargineranno. Ho fatto in modo che
vostro
fratello possa raggiungere la nave con le proprie gambe. –
Poi diede un’altra
boccetta a Sesshomaru. – Tenete, servirà anche per
le vostre ferite. –
Sesshomaru a quel punto aggrottò la fronte, le sue ferite
erano già guarite da
un pezzo.
- Io non ho
più nessuna
ferita sul mio corpo – le fece notare allora Sesshomaru. La
donna gli si
avvicinò quasi come se si fosse sentita offesa da
ciò che aveva appena detto il
ragazzo davanti a lei, ma poi sembrò rilassarsi e aggiunse:
- Beh, allora
prendetela
per quando vi succederà la prossima volta - Sesshomaru prese
anche quella
boccetta e la mise in un borsellino in velluto che di solito teneva
sempre
legato al suo fianco. Poi fece per pagare la strega, ma questa lo
fermò. –
Teneteli, a me non servono. –
Inuyasha si
alzò da quel
letto che si sentiva decisamente meglio, si mise in piedi notando che
le sue
gambe non gli formicolavano o tentavano di cedergli se cercava di stare
in
piedi più di cinque minuti, di certo non era sicuro di poter
correre come una
gazzella, ma di sicuro alla nave ci sarebbe arrivato con le sue gambe.
La
comitiva di uomini lasciò la casa di quella strega per fare
ritorno sulla
propria nave. Come all’andata, anche il ritorno fu piuttosto
tranquillo e
permise loro di tornare alla nave sani e salvi. La donna che li aveva
accompagnati dal villaggio in poi, non fece la strada con loro nel
momento in
cui presero nuovamente quel sentiero. Ma stranamente non si persero e
riuscirono a tornare alla spiaggia dove avevano lasciato la nave,
ritrovandola
ancora lì, intatta.
Ripresero
così il largo;
per alcuni giorni sembrò che fosse tutto tranquillo, forse
anche troppo.
Riuscirono nuovamente a superare la baia delle sirene senza perdere
nemmeno un
uomo, poi però si trovarono nell’occhio del
ciclone, una tremenda tempesta si
abbatté sulla nave e sull’equipaggio.
L’imbarcazione risultò essere
ingovernabile e dopo che l’albero maestro venne letteralmente
spezzato in due
come fosse uno stuzzicadenti, la nave si spaccò a
metà e tutti gli uomini
compreso il capitano finirono in mare. Sesshomaru cercò il
fratello con lo
sguardo in quella coltre di acqua gelida, ma non riuscì per
niente a scorgerlo
tra i pezzi di legno e gli altri marinai che cercavano di aggrapparsi
ai pezzi
di imbarcazione che riuscivano a trovare.
***
Così
si ritrovò su quella
spiaggia il mattino dopo, solo, con la sensazione famigliare di aver
perso
tutto, di nuovo. Vagò per quella distesa di sabbia, sotto il
sole cocente, alla
ricerca di qualche sopravvissuto, nella speranza di trovare suo
fratello ancora
vivo. Passò diverso tempo a camminare: forse erano passate
ore, forse soltanto
alcuni minuti, di preciso non avrebbe saputo dire quanto, soltanto che
la
sabbia sotto i piedi gli bruciava dannatamente la pelle come anche il
sole che
gli batteva sulla testa. A un certo punto del suo cammino
sentì delle voci e
una su tutte gli sembrò familiare. Allora Sesshomaru
affrettò il passo fino a
che non scorse un gruppetto di uomini, pregò nella sua mente
che non fosse qualche
tipo di miraggio dovuto al grande caldo che lo stava asfissiando.
Ma quando
qualcuno gli
corse incontro fino a fermarsi a pochi metri da lui, e lo
poté toccare, capì
che quello non era di certo un miraggio. Inuyasha era davanti a lui,
vivo e sembrava
non avere nessuna ferita evidente su suo corpo, nonostante anche lui
avesse i
vestiti ridotti in stracci. I
due
fratelli si abbracciarono calorosamente dandosi delle sonore pacche
sulle
spalle, entrambi erano quasi sull’orlo del pianto. Si
chiesero se le loro
disavventure avrebbero mai potuto avere fine.
Fortunatamente, almeno un paio di scialuppe si erano salvate miracolosamente dal naufragio. Il numero di uomini si era ridotto drasticamente dopo quella tempesta, ma il capitano non poteva di certo aspettarsi che potessero sopravvivere tutti. Ora, però, avevano nuovamente bisogno di una nave. Con le scialuppe non avrebbero potuto di certo coprire grandi distanze ma la fortuna sembrò essere dalla loro parte, visto che si trovavano vicino a Tortuga. Una volta lì riuscirono a recuperare una nave e ad arruolare altri uomini per riformare la ciurma. Ora più che mai i due fratelli Taisho, dopo tutto ciò che avevano dovuto subire dai tiranni che li avevano trattati nel peggiore dei modi, erano determinati a farsi giustizia da soli, perché in ogni caso avrebbero continuato a condurre una vita piratesca come quella che avevano condotto fino a quel momento. Ma non senza aver prima sconfitto il loro nemico principale ossia: il governo inglese.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Angolo Autrice
Scusate per il grandissimo ritardo nell'aggiornare, ma sono stata parecchio impegnata con la scrittura e con un lavoro temporaneo, quindi ho dovuto rimandare diverse cose, spero che vi siano piaciuti in questa veste piratesca, ispirato un po' ai pirati dei caraibi, lo ammetto XD
Alla prossima =)