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Autore: Milly_Sunshine    10/03/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. 67'000+ parole.
Genere: Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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RITORNO IN CITTÀ

Erano le undici in punto del mattino quando Enrico entrò in retromarcia nel parcheggio a lisca di pesce riservato ai dipendenti. Mancavano ancora diversi giorni prima della sua entrata in servizio, ma sapeva che non ci sarebbero stati problemi se avesse lasciato lì l'auto. Spense il motore e stava per fare lo stesso anche con la radio, quando la voce della conduttrice lo fece esitare. Aveva scelto un canale a caso, sperando che passasse musica senza troppe interruzioni. Gli era andata abbastanza bene, gli interventi parlati erano pochi, ma gli argomenti non erano mai molto leggeri. Aveva ascoltato solo distrattamente, mentre era alla guida, ma in quel momento poté udire con chiarezza parole che, per qualche motivo, lo fecero raggelare.
«...Scomparve esattamente ventidue anni fa e i suoi resti vennero ritrovati ben diciotto anni più tardi, durante uno scavo avvenuto per la costruzione di un nuovo impianto sportivo. Non è mai stata fatta luce sul mistero della sua morte e ancora oggi non si sa chi sia l'assassino di Alfredo Vitale. Trentotto anni al momento della scomparsa, con precedenti penali per la brutale aggressione ai danni di una ex fidanzata, la vittima lavorava da pochi mesi in un negozio di frutta e verdura. Non aveva contatti con familiari o parenti, né aveva frequentazioni in città. Per molti anni la sua sparizione venne considerata un allontanamento volontario. Non...»
Enrico spense la radio. Non aveva idea di chi fosse Alfredo Vitale, ma ogni volta in cui lo sentiva menzionare, quel nome gli rievocava vecchi ricordi. Era sicuro di averlo sentito citare, in un passato ormai lontano, da persone vicine a lui, forse da suo padre. In più anche quest'ultimo già da tempo se n'era andato senza lasciare tracce, se non qualche telefonata disturbata in cui non aveva mai voluto dirgli dove si trovasse: un caso di vero allontanamento volontario. Per lungo tempo Enrico aveva atteso che tornasse, ma non era mai accaduto. Dove fosse e con quale denaro vivesse, permaneva un grande mistero.
Scese dall'auto e chiuse a chiave le portiere, sperando che nessuno decidesse di spaccare un vetro per portare via l'autoradio estraibile, infine si diresse verso l'entrata. Alla reception, una giovane donna dai lunghi capelli neri raccolti in una coda stava parlando al telefono. Enrico attese, con pazienza, che terminasse. Senza alzare lo sguardo verso di lui, la donna lo salutò mentre riagganciava il ricevitore.
Enrico la guardò meglio e rimase spiazzato.
«Carolina?»
La receptionist alzò gli occhi e parve più sorpresa di lui, mentre balbettava: «E-Enrico?»
«In persona.» Enrico sorrise. «Non sapevo lavorassi qui. Immaginavo che tua madre fosse ormai andata in pensione, ma non pensavo che tu fossi finita qui.»
Carolina sospirò.
«Anch'io non pensavo che sarei finita qui, però lo stipendio è buono e mi trattano bene perché mamma andava d'accordo con tutti. Ho sentito dire che presto inizierai a lavorare qui anche tu, al ristorante, al posto dell'attuale direttore di sala.»
«Le voci girano molto in fretta.»
«Mi fa piacere.»
Enrico cercò di mostrarsi entusiasta.
«Fa piacere anche a me.»
«Comunque anch'io sono rimasta sorpresa, quando l'ho saputo» ammise Carolina. «Credevo avessi un buon lavoro, lontano da qui, e...»
Si interruppe, come se non sapesse cos'altro dire. Enrico puntualizzò: «Dubito che qualcuno abbia un ricordo positivo di mio padre, ormai, quindi non avrò la tua stessa fortuna, ma non importa. Io non sono mio padre, né ho più un vero e proprio rapporto con lui.» Diede un'occhiata all'orologio. «Scusami, ma devo andare. L'appuntamento ce l'ho tra cinque minuti.»
«Devi andare dal signor Carletti? Vuoi che ti accompagni?»
«No, conosco la strada.»
«È stato un piacere rivederti.»
«Anche per me, comunque sarò di ritorno dopo avere parlato con Carletti. Così, almeno, se hai qualche minuto libero,  possiamo parlare un po'.»
Carolina sorrise, lasciandolo andare via. Enrico non riusciva a credere di essere stato così fortunato. Non aveva la benché minima idea che la ragazza lavorasse alla reception dell'albergo, fino a quella mattina, e ovviamente gli faceva molto piacere: Carolina era una delle poche ragioni per la quale talvolta aveva rimpianto la sua città natale. Non la vedeva da almeno quattro anni - ma, in generale, anche nel decennio precedente, non l'aveva incontrata di frequente - e non aveva problemi ad ammettere quanto gli fosse mancata.
L'incontro con il direttore dell'albergo non gli portò via molto tempo. Carletti non sembrava avere pregiudizi nei suoi confronti, nonostante i trascorsi di suo padre, e lo informò che più di una volta il compianto Roberto Gottardi gli aveva parlato bene di lui.
«Non solo lui» ci tenne a chiarire. «Anche il signor Vincenzo è stato favorevole fin da subito.»
Enrico avrebbe voluto chiedergli fino a che punto Vincenzo Gottardi fosse coinvolto nella gestione dell'albergo, ma non gli parve il caso. Del resto di lì a poco avrebbe raggiunto Carolina e, con un po' di fortuna, sarebbe riuscito a estorcerle qualche preziosa informazione.
La receptionist era di nuovo al telefono, ma Enrico attese con pazienza che fosse libera. Stavolta Carolina si accorse dubito della sua presenza e lo accolse con un sorriso.
«Tutto bene?»
«Non mi posso lamentare.»
«Mi fa piacere.»
«Anche a me.» Enrico rimase in silenzio qualche istante, un po' come per fingersi pensieroso. «Alla fine ho un po' stravolto la mia vita per questo lavoro, meglio iniziare con il piede giusto.»
Carolina non fece domande, si limitò a osservare: «Vedrai che andrà tutto bene.»
A Enrico non sfuggì il suo apparente disinteresse per la vicenda scabrosa che tutti conoscevano, ma non avrebbe saputo dire per quale ragione Carolina evitasse l'argomento. Se avesse dovuto fare un'ipotesi, avrebbe optato per la volontà di non metterlo in imbarazzo. Se solo avesse saputo che Enrico non era affatto imbarazzato...
Chiaramente non poteva esporsi, quindi le domandò: «Fino a che ora lavori stasera?»
«Fino alle sette, ho iniziato da neanche un'ora. Perché?»
«Ti va di cenare insieme?»
Carolina lo guardò storto.
«Che intenzioni hai?»
«Non sono un maniaco, se è questo che temi» scherzò Enrico. «È solo una cena, andiamo dove vuoi tu. Abbiamo tante cose di cui parlare.»
«Se lo dici tu.»
«Lo dico e lo ribadisco. Non sei curiosa di sapere che cos'ho fatto in tutti questi anni?»
«Non ti sei né fidanzato né sposato» azzardò Carolina, «Altrimenti ci sarebbe una donna piuttosto insoddisfatta della tua decisione di invitarmi a cena.»
«Potresti avere ragione» convenne Enrico, «Ma dovrai attendere stasera per scoprirlo. Ci stai?»
«Andiamo alla Vela Bianca. Ci troviamo là alle otto. Può andare bene per te?»
Enrico si affrettò a confermare e a congedarsi da Carolina prima che cambiasse idea. Dopo sarebbe stato troppo tardi, non avrebbe avuto mezzo di avvertirlo: non aveva il suo numero ed essendosi trasferito da poco non sarebbe comparso nell'elenco telefonico prima dell'anno successivo.
Non aveva la più pallida idea di che posto fosse la Vela Bianca, ma non sarebbe stato difficile scoprirlo. Prima ancora che la mattinata fosse terminata, venne a sapere che si trattava di una pizzeria del centro, un locale piuttosto informale e dal listino prezzi abbastanza economico. Giunta la sera, si recò puntuale all'appuntamento. Si guardò intorno, ma Carolina non c'era. Non fu comunque necessario attendere molto: di lì a pochi minuti la vide scendere da una Panda rossa nuova di zecca. Portava un abito blu lungo fino al ginocchio che non le stava male, anche se Enrico doveva ammettere di averla trovata ancora più sexy con l'elegante uniforme da receptionist.
Lo raggiunse ed entrarono. Si sedettero a un tavolo e, mentre consultvano il menù, Enrico decise che era il momento di passare all'azione.
«Avevi ragione.»
«Su cosa?»
«Non sono né sposato né fidanzato. Immagino nemmeno tu.»
Carolina annuì.
«Più o meno. Voglio dire, sposata no e fidanzata nemmeno, ma non sono nemmeno del tutto libera.»
«In che senso?»
«Nel senso che non tutte le relazioni sono facili.»
«Stai con qualcuno?»
«Una specie.»
«E come mai adesso sei qui con me, invece che con lui?»
Carolina alzò le spalle, fingendo indifferenza.
«Sono qui, questo dovrebbe bastare. E poi si tratta solo di una cena tra vecchi amici.»
Enrico ipotizzò che Carolina fosse l'amante di un uomo sposato, oppure comunque già impegnato in una relazione ufficiale. Non era opportuno fare altre domande, sarebbe stato ben poco civile. In più, era un altro l'argomento che lo interessava maggiormente.
«Vincenzo Gottardi adesso fa qualcosa all'albergo?»
«Lavora insieme a Carletti.»
«Viene spesso?»
«Quasi ogni giorno.»
«Come si comporta?»
«Normalmente.»
Enrico osservò: «Mi sembra un po' generica come risposta. È come suo padre?»
«In realtà no» rispose Carolina. «Mi sembra molto diverso. Non si possono confrontare. Io, comunque, non ci ho molto a che fare. Tu non lo vedi da molto?»
«Non ho più avuto contatti con la famiglia Gottardi al suo completo fin da quando mio padre è stato licenziato» chiarì Enrico. «Ero intenzionato a chiudere definitivamente con il passato, non pensavo che le circostanze mi avrebbero riportato qui.»
«Capisco.»
«Non so quanto tu possa comprendere la mia situazione, ma apprezzo lo sforzo.»
Carolina fece un sorriso esitante.
«Tu sai con esattezza... voglio dire, tuo padre ti ha raccontato cosa sia successo davvero?»
«Roberto Gottardi si è liberato di lui dopo tanti anni di onorato servizio, evidentemente pensava che i suoi vecchi collaboratori fossero ormai sorpassati e che mio padre fosse il più sorpassato di tutti. Pazienza, la vita continua. Certo, mio padre c'è rimasto molto male, non si aspettava di essere messo da parte di punto in bianco.»
«Posso immaginarlo.»
«Tua madre, invece? È andata in pensione?»
«Più o meno.»
Enrico spalancò gli occhi ed esclamò: «Non mi dire che è stata licenziata anche lei!»
«Oh, no, diciamo che ha scelto di lasciare il lavoro e ha chiesto al signor Gottardi di assumermi al suo posto.» Carolina ridacchiò, imbarazzata. «Detto così, suona davvero male, lo ammetto. In realtà sono stata presa in prova, non ho avuto la strada spianata. Poi sono stata confermata, perché la prova è andata bene.»
Enrico la rassicurò: «Non mi devi delle spiegazioni. Carletti non avrebbe nemmeno mai saputo della mia esistenza, se mio padre non avesse lavorato all'albergo per così tanti anni. Diciamo che ciascuno ha le sue ombre.»
«Essere figlio di tuo padre è un'ombra, per te?»
«Diciamo che sono convinto che gli siano state rivolte delle accuse false.»
«Accuse?» ripeté Carolina. «Non hai detto che è stato licenziato perché non si adattava bene alle modernità?»
«Mio padre è stato licenziato con una scusa banale» replicò Enrico, rimanendo sul vago. «Diciamo che voglio riabilitare il suo nome.»
Una cameriera si avvicinò per prendere le ordinazioni, interrompendo il loro discorso. Carolina chiese una pizza al prosciutto cotto e una lattina di Coca Cola. Enrico, che non aveva prestato la benché minima attenzione al menù che aveva davanti, disse distrattamente: «Lo stesso anche per me.» Guardò la cameriera annotare la sua ordinazione e poi allontanarsi. Non sapeva se Carolina si aspettasse di riprendere la conversazione da dove l'avevano lasciata in sospeso, ma era molto probabile. Doveva cercare di limitare i danni, quindi si inventò una storia verosimile.
«Sai come funziona, le voci girano e non sempre sono attendibili. Quando mio padre ha lasciato l'albergo, sono circolati dei pettegolezzi sul suo conto. C'era chi diceva che avesse rubato dei soldi e che, di conseguenza, Gottardi l'avesse licenziato per quella ragione. Ho accettato l'offerta di Carletti proprio per questo, per dimostrare che, se sono venuti a cercare me, allora mio padre non ha mai fatto niente contro di loro.»
Carolina parve colpita in positivo da quella spiegazione.
«Hai delle ragioni molto nobili.»
«Grazie, ma da sole non portano a molto. Diciamo che voglio che tutti conoscano la verità su mio padre.»
Inaspettatamente, Carolina abbassò lo sguardo.
«Sei davvero convinto che la verità sia sempre la strada migliore?»
«Per chi non ha niente da nascondere, sì» rispose Enrico. Proprio in quel momento la cameriera fu di ritorno con le loro bibite. Attese che tornasse ad allontanarsi, prima di esortare Carolina a mettere da parte i loro discorsi sul passato. «Quello che è successo a mio padre, comunque, non ha niente a che vedere con noi e con la nostra serata. Cosa mi racconti di bello?»
«Niente di particolare.»
«Il tuo uomo? Sei sicura che non abbia niente contro la nostra cena insieme?» Enrico si era ripromesso di non fare domande sul presunto amante, ma era un buon modo per distogliere l'attenzione di Carolina dalle vicende passate. «Non voglio che tu abbia dei problemi per colpa mia.»
«Non ci saranno problemi» mise in chiaro Carolina. «Il mio uomo può offrirmi poco, per il momento, e non ci sono grandi speranze di cambiamento per il futuro. Non è nella posizione di potere dire alcunché contro le mie amicizie, né di chiedermi di rendergli conto di come trascorro il mio tempo libero.»
Enrico non disse nulla, ma gli venne spontaneo considerare che una simile relazione non doveva avere una vita molto facile. Chissà, magari avrebbe avuto una possibilità con Carolina, la quale peraltro gli parve sollevata nel non dovergli dare spiegazioni.
Il resto della serata proseguì senza intoppi. Enrico si comportò come un normale vecchio amico, senza ulteriori accenni al passato o alla vita sentimentale. Fu abbastanza certo che Carolina non si sentisse a disagio con lui e valutò che esistesse la concreta possibilità di frequentarla, almeno in amicizia.
Divisero il conto a metà e, dopo avere pagato, uscirono dalla pizzeria e si diressero ciascuno verso la propria auto. Enrico si mise al volante e accese la radio. Fu più fortunato rispetto a quella mattina: durante il percorso che lo separava da casa fu trasmessa soltanto musica, nessun intervento dallo studio, se non per annunciare i titoli delle canzoni. Alfredo Vitale e la sua misteriosa scomparsa erano solo un ricordo lontano, che avrebbe desiderato rimuovere dalla propria mente.
Giunse a destinazione. Quando era tornato in città si era trasferito in un bilocale in affitto, situato in un condominio a due piani. Entrò in cortile con l'auto e la parcheggiò in uno dei posti disponibili. Scese e si diresse verso lo stabile. Aprì la porta, salì le scale verso il primo piano e poi penetrò nell'appartamento. Quando accese la luce si sentì spaesato, come se non si sentisse davvero a casa sua. Era una sensazione assurda: fin da quando aveva vent'anni, non era mai rimasto molto a lungo nello stesso luogo. Si era adattato a tante situazioni diverse, cambiando città ogni volta in cui cambiava occupazione o trascorrendo mesi in località di villeggiatura - considerate tali dai clienti, per lui erano località di lavoro - ai tempi in cui accettava ancora impieghi stagionali.
Trasferirsi di nuovo nel suo luogo di nascita aveva un sapore diverso. Qualcosa, dentro di lui, lo invocava di far sì che non si trattasse solo di una sistemazione passeggera. Aveva passato sedici anni a spostarsi da una regione all'altra, stabilendosi per breve tempo un po' ovunque in giro per l'Italia. Quel tempo, ormai, era finito.
Richiuse la porta immaginando di trascorrere il resto della propria vita in quell'appartamento, magari insieme a Carolina. Fu un sogno fugace, della durata di pochi istanti. La sua vecchia amica gli piaceva, ma non era certo di essere fatto per la vita di coppia. Aveva avuto qualche relazione stabile, in passato, ma non aveva mai fatto il salto di qualità. A trentasei anni si ritrovava celibe e non si sentiva addosso la fretta di rimediare.
Si tolse il giubbotto, lo gettò distrattamente su una poltrona e andò in bagno a lavarsi i denti. Mentre l'acqua scorreva giù per il lavandino, tornò alla realtà. Aveva una missione da compiere e doveva evitare le distrazioni. Non poteva permettersi di abbassare la guardia: Roberto Gottardi e il direttore Carletti avevano rovinato suo padre e non c'era dubbio che l'unico superstite potesse fargli fare da un momento all'altro la stessa fine, se l'avesse ritenuto necessario.
Restava solo da scoprire quale fosse il ruolo di Vincenzo, la pedina più difficile da collocare, e poi agire di conseguenza. Enrico sputò il dentifricio e di sciacquò la bocca ripetendosi che, alla fine, ciascun tassello sarebbe stato collocato al proprio posto.

   
 
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