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Autore: NyxTNeko    12/03/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 146 - Il mondo fuggiva sotto di me, come se volassi -

Milano, 15 maggio

Quella domenica di Pentecoste del 1796 non sarebbe stata la solita giornata che alcuni milanesi avrebbero creduto. Da mesi ormai, specialmente gli esponenti delle classi più elevate e la borghesia, si erano tenuti in aggiornamento circa le rapide battaglie di quel generale dal nome poco francese che, in poco tempo, aveva conseguito delle vittorie significative, con una rapidità mai vista prima.

Erano al corrente che sarebbe passato per la città, a seguito della facile conquista da parte di un suo generale - Il duca Gian Galeazzo Serbelloni sta preparando la villa appositamente per lui e i suoi uomini - riferiva un giovane uomo, sottovoce, camminando tranquillamente assieme ad un suo collega, in piazza Duomo.

- Non mi aspettavo niente di diverso da un uomo come lui - fece l'altro sorridendo leggermente - Anche se guidava una parte delle milizie lombarde, si è schierato subito dalla parte dei rivoluzionari francesi, avendo capito il ruolo che questi avrebbero giocato, una volta giunti qui...

- A parte il popolino e qualche fedelissimo, ormai in città quasi nessuno è più desideroso di sottostare al giogo austriaco - ammise con convinzione ancora una volta il giovane e distinto signore - Infatti si stanno dando tutti da fare per mostrarsi accoglienti con i francesi

- Ma neppure io - ci tenne a ribadire il suo collega avvocato, toccandosi i baffi curati - Ormai sono finiti i tempi di Maria Teresa, i suoi successori non sono più all'altezza...

Il ragazzo osservava silenzioso la facciata, ancora incompleta, quasi fatiscente, del Duomo di Milano, riflettendo su quanto aveva udito - O più semplicemente quei tempi sono cambiati, amico mio e quel tipo di governo che era stata una fortuna anche per la nostra città, in quegli anni, ora non basta più

- Non posso che darti ragione - ridacchiò l'altro poggiando il bastone, provocando un suono secco - Ora andiamo al Palazzo Regio-Ducale, tra poco la nostra amata Milano sarà invasa da soldati francesi e sostenitori della causa rivoluzionaria - gli diede una pacca delicata - E noi saremo tra questi, sono proprio curioso di vedere questo generale Bonaparte di cui tutti parlano e della sua armata...

Alle porte della città, poco distante dai sobborghi, intanto, una carrozza proveniente da Lodi si era appena fermata a pochi passi da un manipolo di soldati, con un piccolo cavallo arabo dal manto bianco, agghindato con una sella sontuosa e riccamente decorata. L'ufficiale che era appena balzato fuori dal veicolo era il comandante in persona, che aveva deciso di fermarsi nella capitale lombarda soltanto dopo aver saputo dell'impresa di Masséna. Assieme a lui vi erano alcuni aiutanti di campo, tra questi il fido Marmont.

Sistemandosi i guanti neri e il bicorno, Napoleone si avvicinò al destriero, poggiò il piede sulla staffa, si diede la spinta e balzò sopra il cavallo. Aveva progettato l'entrata trionfale in ogni minimo dettaglio: voleva dare l'impressione di essere l'erede di un antico generale romano. Per questo, senza perdere tempo, raggiunse il resto dell'esercito che vi era collocato e diede disposizione di come sarebbero sfilati lungo le vie della città.

I primi sarebbero stati i carabinieri, come premio del loro eroismo e coraggio, dopodiché sarebbe stato il turno di alcune centinaia di prigionieri austriaci, prova tangibile del risultato delle vittorie, anche perché le bandiere erano poche, gran parte erano state mandate in Francia. Poi 500 tra ussari e dragoni, con le migliori uniformi che erano riusciti a ottenere e infine un migliaio di granatieri.

Nel mentre che si avvicinavano al luogo indicato, ovvero la Porta Romana, una delle principali vie di collegamento verso la Città eterna, Napoleone e una parte del quartier generale scorsero una fiumana di persone che si era riversata, impaziente di vederli. Vi erano tutte le classi sociali, però coloro che spiccavano, con il loro aspetto sfarzoso, curato, erano le autorità municipali "Già sono pronti a tradire il precedente governo..." Pensava tra sé, una simile situazione poteva essere vantaggiosa, ne approfittò immediatamente per assicurare la protezione ai futuri cittadini "In questo modo sarà più facile capire come poter ottenere il consenso necessario per avvicinarli e convincerli ad abbracciare la Rivoluzione".

Proprio per questo l'astuto comandante corso aveva deciso di attraversare Milano adoperando quel corteo così particolare, non era soltanto per stupire la popolazione, mostrare la potenza francese e del suo piccolo esercito; ma soprattutto per cogliere le intenzioni di ogni classe sociale della città e potersi muovere all'interno della politica. E infatti, approfittando dell'euforia e della confusione, Napoleone studiava attentamente le reazioni della gente lungo il tragitto, cogliendo dei dettagli che difficilmente sarebbero saltati all'occhio stando in carrozza.

Le persone che lanciavano fiori dalle finestre e gli applausi provenivano dalle abitazione delle classi più agiati, che dal popolino "Come immaginavo, per la gente comune non siamo altro che atei, giunti qui per strappare il controllo della Chiesa, più che degli Austriaci, questi ultimi non sono più sopportati dalla borghesia in particolare, ma anche da alcuni esponenti di facoltose famiglie aristocratiche che desiderano emanciparsi a quanto vedo" rifletteva, nel mentre ricambiava sorrisi e salutando quante più persone, tenendo la mano alzata o sventolando il cappello.

Tuttavia li rassicurò abbozzando un breve, ma significativo discorso - Ognuno potrà riconoscere il suo Dio, praticare il culto che la sua propria coscienza gli ispira, senza timore di vedersi non rispettato. Solo il merito sarà la linea di demarcazione fra gli uomini, tutti uniti da uno stesso spirito di fraternità, di uguaglianza, di libertà. Ognuno fruirà delle sue proprietà... - ed erano dei valori in cui, effettivamente, credeva e che erano imprescindibili: il merito, la tolleranza e la proprietà privata.

Poi si avvicinò all'aiutante Marmont, che era accanto a lui e gli disse - La fortuna è una donna, e più cose lei fa per me, più gliene chiederò - il sottoposto comprese immediatamente ciò che il comandante voleva intendere; aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Anche nel momento di trionfo più eccelso la sua razionalità non lo abbandonava mai, a differenza sua e dei suoi colleghi che stavano già godendo di quel successo. Però si sarebbe fidato, Napoleone sapeva bene cosa fare.

- Viva il generale Bonaparte! Il nostro liberatore! Viva la Rivoluzione! - si diffondeva al pari di un crescendo infinito, da ogni angolo della città. Chi lo pronunciava con convinzione, sperando realmente che i francesi sarebbero stati diversi dagli austriaci e li avrebbe liberati definitivamente dal giogo straniero. Chi lo pronunciava più per conformismo, non fidandosi completamente degli intenti degli oltralpe. Sicuramente avrebbero voluto qualcosa in cambio, più di quanto Milano potesse offrire.

Il passaggio durò parecchie ore, a causa della popolazione che si accalcava per avere il privilegio di poter ammirare quel piccolo ma vittorioso esercito. La folla stava quasi accompagnando l'Armée d'Italie nel cuore della gestione della città, la sede del governo, il Palazzo Regio-Ducale. Presente sin dal Medioevo, nel corso dei secoli aveva cambiato conformazioni in base agli eventi accaduti nel corso della storia e alla gestione della città da parte dei vari personaggi o famiglie aristocratiche che si sono succedute al potere di Milano.

I primi che ne compresero l'importanza erano stati i Visconti e gli Sforza, i quali lo avevano utilizzato come palazzo rappresentativo, per via del suo aspetto meno militaresco del Castello Sforzesco e più elegante e raffinato; i francesi succeduti all'ultimo Sforza, lo avevano reso ufficialmente il Palazzo Ducale e così sarebbe stato anche sotto gli Spagnoli, con ristrutturazioni, a causa di incendi di strutture interne e ampliamenti. Vi fu costruito anche un teatro.

Fu l'arrivo degli Austriaci, tuttavia, a fare del palazzo il centro della vita di corte, per questo motivo le facciate vennero adattate al nuovo gusto Neoclassico. L'architetto Piermarini eliminò ogni traccia dei periodi precedenti e conferì un carattere sobrio ed austero all'intera costruzione.

Quindi vi fu imbandito un suntuoso banchetto, offerto ancora una volta dalle famiglie più importanti della città, per ingraziare nuovamente i liberatori francesi. Per i soldati stanchi e decisamente affamati, non poteva esserci di meglio per riempire i loro stomaci. Neppure gli ufficiali, però, disdegnavano quel ben di Dio che avevano sotto i loro occhi. Il comandante non fu da meno, seppur fosse più interessato alle discussioni, alla sincerità dei loro complimenti e al palazzo, anziché al cibo che afferrava svogliatamente.

- Si nota la presenza austriaca tra queste mura - diceva Napoleone parlottando con alcuni milanesi accanto a lui, in piedi - E soprattutto dell'imperatrice Maria Teresa, aveva sempre problemi pecuniari, ristrettezze economiche che ben si adeguavano alla semplicità solenne dello stile

- Conoscete davvero bene le caratteristiche della nostra città, generale, questo ci rende davvero orgogliosi e soprattutto valorizzati - rispose uno di quelli, nel suo frac elegante, gustando in modo aggraziato una tartina di prima qualità.

- Sono fermamente convinto che la cultura e la conoscenza siano le basi della civiltà e del progresso, cittadino - fu la ferma e convinta risposta di Bonaparte.

- Ora che ci avete liberato dagli austriaci, agirete per renderci davvero liberi e soprattutto indipendenti? - domandò un collega accanto a lui; era diffidente sul loro conto. Non credeva del tutto alla buona fede di questo generale dal nome così poco francese, che però pareva subito intenzionato a dettar legge - Oppure vi sostituirete ad essi, senza cambiare nulla?

- Scusatelo generale - si sovrappose il suo amico, sospirando profondamente. Gli aveva detto di non avviare certe argomentazioni, senza successo.

Napoleone lo fissò silenzioso e intensamente, era come se stesse riflettendo su quelle parole - No è giusto che abbia dei dubbi - fece il generale conciliante, sorrise timido - So che noi francesi in passato non ci siamo comportati bene con il popolo italiano, soprattutto nei confronti di Milano, ma non dovete temere, il mio intento è di liberare i popoli in catene e quello italiano ne ha bisogno... - tale affermazione calmò un po' gli animi dei milanesi.

Il duca Gian Galeazzo Serbelloni, che aveva inviato un suo servo, si era offerto di ospitarli nel suo palazzo omonimo, ubicato nella zona più elegante della città, Corso Venezia. Come la maggior parte dei palazzi neoclassici, la facciata mostrava sempre un aspetto semplice, quasi anonimo, che poteva venir confuso con altri simili. Nonostante ciò le carrozze poste all'ingresso e la strada in cui era stato costruito facevano ben intendere il rango del proprietario.

- Benvenuto nella mia modesta dimora, generale Bonaparte - esordì lusinghiero il duca Gian Galeazzo, un uomo sulla cinquantina, allargando le braccia verso il suo ospite più illustre. Rimase decisamente incredulo nel trovarsi di fronte un comandante di un'armata e un generale tanto giovane e gracilino. Eppure, per ottenere un simile risultato, il francese doveva essere dotato di grande intelligenza e astuzia. L'arte della guerra non era per tutti.

- Modesta non direi proprio, signor duca - rispose prontamente Napoleone, avvicinandosi all'aristocratico, dopo aver messo sottobraccio il cappello. Sapeva benissimo quanto quella dimora fosse un patrimonio, non vi era un angolo che non fosse decorato o abbellito da un affresco o un oggetto dal valore inestimabile.

- Chiamatemi cittadino Serbelloni, generale o anche duca repubblicano, seppur suoni strano - lo corresse bonariamente Gian Galeazzo, si aggiustò la cravatta che gli premeva un po' sul collo - E un cordiale benvenuto anche al vostro seguito di prodi e coraggiosi ufficiali che vi hanno aiutato nell'allontanare gli austriaci - aggiunse rivolgendosi ai sottoposti e aiutanti di Napoleone che aveva portato con sé. Quelli ricambiarono con un profondo inchino e un ringraziamento.

- Spero di non essere un disturbo per voi - emise ancora una volta Bonaparte - Soprattutto per quanto riguarda i soldati più umili, non abituati a tutto questo sfarzo...

- Se fosse stato un problema non ve lo avrei di certo proposto, generale - gli poggiò amichevolmente la rugosa mano sulla schiena - Pensate che non ero il solo a volervi tra le mie mura, ma grazie al mio nome e alla mia importanza, sono riuscito ad impormi

Napoleone sorrise leggermente, conosceva benissimo quel modo tutto italiano di ottenere favori e riconoscimenti - Lo immagino, cittadino Serbelloni, per me e la mia armata è un vero piacere ricevere tanta considerazione, specialmente da un membro della vostra famiglia - ricordava di aver letto che sia lui che il fratello minore Alessandro avevano avuto come precettore il famosissimo poeta Giuseppe Parini.

"Chissà che non lo riesca a coinvolgere nel mio progetto, il duca, per fortuna, pare abbastanza malleabile da poterlo controllare direttamente ed ottenere tutto ciò che mi serve per inglobare prima Milano, poi a Lombardia e l'intera Penisola nella sfera d'influenza francese" scorse delle donne in lontananza che li guardavano con interesse "D'altronde sto impiegando energie per l'Italia, è un territorio davvero importante, che ha bisogno di riforme e di un rinnovamento che la desti dal suo sonno secolare".

- Oh che sbadato! Vi stavo facendo rimanere in piedi, dopo aver avuto delle giornate faticose! - esclamò dispiaciuto Serbelloni - Prego, vi faccio strada in salotto, lì potremo parlare comodamente e anche godervi un po' di tranquillità

- Volentieri cittadino Serbelloni - annuì Bonaparte, seppur non fosse particolarmente stanco. Si era rifocillato in quei giorni, proprio per avere tutta l'energia necessaria non appena avrebbe solcato il territorio di Milano. Però aveva promesso anche alla sua armata che li avrebbe ricompensati e il riposo era, senza dubbio, uno dei premi che al momento desideravano maggiormente.

Serbelloni batté le mani e i suoi trenta domestici si misero all'opera, prendendo i cappelli, i cappotti degli ufficiali francesi, comandante compreso. I soldati vennero accompagnati nelle camere, allestite come se fossero delle piccole casermette. Masséna e Augereau si scambiarono un'occhiata complice e compiaciuta; era come se avessero pensato alla stessa cosa, contemporaneamente: che fino a quando avessero vinto, sarebbero stati trattati al pari dei padroni, serviti e coccolati. Oltre ad arricchirsi e arraffare quanti più tesori possibili. E non importava a nessuno della loro origine popolare, quella vita precedente era solo un lontano ricordo: da quel momento avrebbero comandato loro. "Unirsi a quel corso è stata la scelta migliore, dobbiamo sfruttarla al massimo, finché possiamo".

- Ovviamente, cittadino generale, tutte le risorse sono a vostra disposizione - fece ancora il duca, nel mentre li scortava nell'ampio salone dedicato - È il minimo dopo quanto avete fatto

- E che potrei ancora fare, cittadino Serbelloni - ci tenne a precisare il giovane corso gesticolando - Manca ancora la parte più complicata - ovviamente Bonaparte non si riferiva soltanto all'instaurazione di un governo filo-francese, che avrebbe portato ad un rinnovamento senza precedenti. Contemplava anche la seconda parte della campagna d'Italia e. del suo scontro con il nemico: gli austriaci erano stati sconfitti, ma non battuti definitivamente.

C'era ancora la fortezza di Mantova come baluardo fondamentale per l'esercito asburgico. Incombeva come un macigno, nonostante mostrasse quasi indifferenza: conquistarla significava conseguire quella vittoria schiacciante che gli avrebbe permesso di dettare condizioni all'Austria, oltre che raggiungere la gloria ed entrare nella storia. Doveva continuare a vincere, la posta in gioco era sempre più alta. Non era come a Tolone o a Parigi, adesso si stava creando un nome anche fuori e un passo falso gli sarebbe costato caro.

- Non dovete preoccuparvi, avrete qualsiasi bene o persona che sia utile per consolidare l'instaurazione di una repubblica - gli garantiva sinceramente il duca, nel vederlo sovrappensiero. Questi era davvero intenzionato ad abbracciare la rivoluzione e le sue riforme ed essere uno degli autori partecipi di questa nuova era di libertà, uguaglianza e fratellanza. Un vero sollievo per Bonaparte - Adesso però sarebbe meglio se vi rilassiate un po', generale - ridacchiò - Siete sempre così teso e accorto? - Gli fece segno di accomodarsi sull'ampio divano riccamente decorato.

- L'abitudine, cittadino - sorrise divertito il ragazzo e accettò l'invito, sollevò le code della divisa e si sedette poco distante dall'uomo - Dovreste sapere meglio di me quanto sia dura la vita militare! E poi non sono stati anni semplici - spostò le iridi chiare e lo fissò - La Rivoluzione ha rischiato di ripiegare su sé stessa e i nemici, sostenuti dalle potenze straniere, aspettano soltanto un passo falso per riportare l'antico Regime e cancellare ogni riforma, ogni conquista politica e civile - aggiunse con una serietà che fece spaventare il duca. "Anche se è il Direttorio stesso a compromettere i risultati della Rivoluzione, ma al momento non posso fare altro che mostrarmi comunque suo sostenitore, non ho ancora abbastanza consenso, potere e fama per rischiare, devo attendere che il governo si indebolisca ancora di più, che il frutto sia maturo e che, quindi, possa essere colto dalla persona giusta".

Riflettendo, vedeva i suoi sottoposti davvero rilassati, andando dietro alle aristocratiche che li riempivano di complimenti e che desideravano concedersi ad essi. Alcune chiedevano pure del comandante, il suo cuore, però, apparteneva soltanto ad una donna: Joséphine, la dea che aveva risvegliato in lui la forma più sublime, pura e intensa dell'amore. Anche se le sue lettere lo facevano soffrire, non riusciva a non placare quel sentimento, ne veniva pervaso e se non avesse un forte desiderio di riscatto e di emergere, probabilmente ne sarebbe stato sopraffatto completamente "Devo dimostrarle che non è stato uno sbaglio, una svista, la scelta di sposarmi, che sono degno di lei" strinse i pugni sulle esili ginocchia, gli occhi si infuocarono al solo pensiero. Si chiedeva come riuscisse a rinnovargli le energie in quel modo.

Serbelloni, intanto, si massaggiava il doppio mento, un po' cadente, apprensivo, rifletteva ancora sul discorso di prima - Quindi è così che stanno le cose...pensavo che certe voci fossero volutamente esagerate per allontanare la gente dalla causa rivoluzionaria...

- Esattamente cittadino - confermò Napoleone. Era davvero fortunato nell'avere la rara capacità di pensare e ascoltare più cose contemporaneamente senza distrarsi - Sono franco con voi, perché apprezzo la vostra sincera devozione per la causa, dunque, dovete sapere a cosa andate incontro, sostenendo me e il governo francese - accavallò le gambe e si voltò per scrutarlo, quello sguardo particolare che nessuno avrebbe potuto dimenticare - Siete disposto ad andare fino in fondo, pur conoscendone i rischi?

E Serbelloni, infatti, non poté sfuggire a quegli occhi che parevano leggergli l'anima nel più profondo. Comprese l'eccezionalità di quel ragazzo, del perché, sin da subito, gli avesse dato un'impressione del tutto diversa rispetto ad altre persone, molto più facoltose e rispettabili - Sì - rispose semplicemente convinto il duca - Anche se ho passato la mia intera esistenza al servizio degli austriaci, ho sempre mostrato una mentalità più aperta, persino, di mio fratello, che è più conservatore - continuava soffermandosi sul volto scarno ma delicato del comandante francese - Il titolo nobiliare non ha tutta questa importanza per me, sono disposto a rinunciarci tranquillamente, in fondo si può essere agiati e ricchi anche senza...

- E lo stile di vita vi sarà garantito, cittadino, avete la mia parola - posò leggermente la mano sul cuore - Era scritto nel destino questo nostro incontro

- Lo credo anch'io, generale - scorse la spossatezza che nascondeva con grande coraggio - Vi vedo stanco, desidererei che vi concediate un meritato riposo, la notte e il sonno vi porteranno il giusto consiglio - aggiunse saggiamente.

- Non posso darvi torto, sono pur sempre un uomo, con i limiti e le debolezze dell'umanità - dovette ammettere. Anche perché ne aveva bisogno per i giorni successivi, adesso che aveva a disposizione un'intero palazzo, con il personale, poteva iniziare a tessere le trame per legare le vicende dei due paesi.

- Vi faccio accompagnare nella vostra stanza allora...

 

   
 
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