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Autore: Milly_Sunshine    17/03/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TERZO INCOMODO

Carolina sorrideva ed Enrico adorava vederla sorridere, ma gli venne spontaneo domandarsi se fosse lui a stimolare quella reazione o la consapevolezza che di lì a pochi minuti avrebbe potuto andare a casa. Era raro che facesse turni serali e c'era da scommettere che per lei fosse tutt'altro che piacevole, ma Enrico era ben contento di ritrovarla ancora lì prima di andare via.
La receptionist rispose indirettamente ai suoi dubbi interiori.
«Manca poco, anzi, pochissimo.»
«Desideri tornare a casa subito, immagino» azzardò Enrico.
«Desidero che questa giornata di lavoro finisca il prima possibile» ribatté Carolina. «Spero di avere qualcosa di pronto, a casa, senza dovere cucinare. Mi andrebbe bene pure una scatoletta di tonno, anche se non mi piace molto.»
Quelle parole erano musica per le orecchie di Enrico.
«Credo di avere una soluzione.»
Carolina lo guardò storto.
«Potrebbe non piacermi.»
Enrico ridacchiò.
«Non capisco perché tu sia sempre prevenuta, quando si tratta delle mie proposte. In realtà ero qui per ricordarti che alla fine della serata mi spetta la cena gratis e volevo proporti di aggregarti a me.»
«Mi stai invitando a venire con te nelle torbide cucine di questo albergo, invece di andare a casa?»
«Posso procurarti un piatto di tagliatelle al ragù. Se preferisci una scatoletta di tonno, comunque, puoi andartene. E comunque le cucine sono tutt'altro che torbide.»
«Sei sicuro che nessuno avrà nulla da ridire?»
«Ne sono certo. Al massimo qualcuno dei cuochi potrebbe provare a metterti in pentola.»
Carolina rise.
«Dai, non fare l'idiota!»
Enrico fece per allontanarsi.
«Ti aspetto tra cinque minuti. Se qualcuno fa delle storie, digli che ti ho chiamata io. E segnati il suo nome, così lo metto nella lista nera!»
«Va bene.»
La risposta di Carolina gli accelerò il battito cardiaco. Avrebbe fatto meglio a calmarsi, ma non era facile. Aveva incontrato tante donne, nel corso degli anni, e con qualcuna ci era anche andato a letto ripetute volte, ma nessuna gli era mai piaciuta come Carolina. Non che avesse pensato a lei tanto di frequente, quando era lontano, ma ritrovarsela davanti quasi tutti i giorni gli faceva un effetto molto diverso. Avrebbe voluto farglielo capire, ma non era certo che i tempi fossero maturi. Anzi, da parte sua, Carolina continuava ad accennare alla sua relazione con un uomo già impegnato. Enrico aveva preferito non fare indagini in proposito, anche se aveva valutato - per scartarla già sul nascere - la possibilità di parlarne con Olimpia. Era improbabile che conoscesse Carolina o che qualcuno dei clienti del bar le parlasse di lei, ma soprattutto era certo che sarebbero finiti a discutere degli argomenti che la sua amica barista prediligeva.
Le interessava il mistero di Alfredo Vitale, non perché i casi di cronaca le suscitassero qualche genere di curiosità, quanto piuttosto perché avrebbe voluto saperne di più sulla donna misteriosa. Qualche sera prima, quando Enrico era andato da lei per riferirle della passione per il jogging di "Occhi Viola", Olimpia aveva tirato fuori l'argomento praticamente dal nulla, un po' come se le bastasse sentire menzionare Giuseppe Bianchi per pensare a quel delinquente trovato morto a tanti anni dalla scomparsa, senza che ci fosse il minimo collegamento tra di loro.
Enrico si diresse verso la cucina e andò a liberare un po' di spazio su uno dei tavoli che veniva usato come piano di lavoro. Una donna di mezza età che da anni svolgeva il ruolo di aiutocuoca gli domandò se volesse cenare insieme a lei.
Enrico scosse la testa.
«Mi dispiace, ma ho chiesto a Carolina della reception di raggiungermi.»
L'aiutocuoca fece un radioso sorriso.
«Ottima idea! Hai fatto benissimo, mi terrò ovviamente a debita distanza!»
Ci mancava che aggiungesse "avete la mia benedizione" e non avrebbe potuto essere più esplicita. Enrico la guardò con occhi pieni di gratitudine e iniziò ad attendere con ancora più ansia l'arrivo di Carolina: quella sera non aveva la minima intenzione di lasciarsi rovinare la serata dai brutti pensieri a proposito del passato.
Ci volle un po' prima che Carolina arrivasse. Quando la vide entrare, Enrico si accorse che l'aiutocuoca diceva qualcosa a un'altra donna. La receptionist, nel frattempo, si guardava intorno. Enrico le fece un cenno con la mano, per farsi notare.
Carolina rispose al cenno, poi si diresse verso il tavolo, sul quale erano già presenti i due piatti di tagliatelle che Enrico si era procurato.
Il commento di Carolina fu piuttosto diretto: «Hai ragione, sembrano molto più invitanti della scatoletta di tonno a cui avevo pensato. Sempre ammesso che in casa io abbia davvero del tonno in scatola, cosa di cui non sono affatto sicura.»
Si sedette di fronte a Enrico, il quale immaginò che stesse iniziando la sua più bella serata degli ultimi tempi, la più bella da quando era uscito con Carolina, quantomeno. Fu un pensiero che non durò molto a lungo, purtroppo furono ben presto raggiunti da un terzo incomodo.
Enrico si chiese subito che cosa ci facesse Vincenzo Gottardi in giro per le cucine a quell'ora e come mai non se ne fosse ancora andato a casa, ma era la domanda sbagliata: sarebbe stato più corretto interrogarsi sul perché stesse venendo proprio verso il loro tavolo.
Lo fissò senza dire niente. Carolina se ne accorse e si girò in quella direzione.
«B-buonasera signor Gottardi!» Sembrava esitare. «N-non...»
Non era chiaro cosa volesse dire, ma quella negazione balbettata passò in secondo piano quando Vincenzo chiese: «Posso unirmi a voi?»
Enrico guardò Carolina e la vide farsi piuttosto rigida. Era palesemente in imbarazzo, ma non c'era da stupirsi: di certo non si aspettava che il titolare dell'albergo proponesse di sedersi al loro tavolo.
Vincenzo, frattanto, sembrava ancora aspettarsi una risposta. Dal momento che nessuno diceva nulla, si ritenne autorizzato a fare ciò che gli passava per la testa - d'altronde Enrico e Carolina potevano forse dirgli di no?
«Vado a procurarmi un piatto di pasta poi vi raggiungo» annunciò, prima di allontanarsi e lasciare Enrico per qualche istante da solo con Carolina.
I due si fissarono a vicenda, all'inizio senza parlare. Enrico comprese che rompere il silenzio era compito suo.
«Mi dispiace.»
«Di cosa?»
«Non pensavo che Vincenzo fosse qui.»
«Non importa.»
«Ne sei certa?»
«Sì, ovvio. Tu e il signor Gottardi vi conoscete da tempo. Eravate amici, una volta. È normale che ti abbia chiesto se potete cenare insieme.»
«Non troppo normale» obiettò Enrico, con prontezza. «Va beh, eccolo che torna. Cerchiamo di non...»
Anche le sue parole giunsero a una brusca interruzione: Vincenzo Gottardi si stava sedendo all'estremità del tavolo, tra di loro.
«Non vi disturbo, vero?»
Carolina scosse la testa.
«No, si figuri, signor Gottardi. Forse sono io che non dovrei essere qui.»
Vincenzo osservò: «Mi sembra di averti detto che, quando non siamo davanti ai clienti, puoi chiamarmi per nome e darmi del tu.»
Carolina abbassò lo sguardo sul piatto, prendendo in mano la forchetta.
«Non mi viene così spontaneo.»
«Cerca di riuscirci» la esortò Vincenzo. «Prova a immaginare che questo sia un raduno tra vecchi amici.»
Carolina replicò, con tono apatico: «Noi non siamo vecchi amici. Non ci conoscevamo nemmeno, una volta.»
«Tu, comunque, chiamami Vincenzo.»
«Ci proverò.»
Enrico non riusciva a inquadrare bene il tono di Carolina. Non sembrava propriamente disturbata dalla presenza del giovane Gottardi a tavola con loro, ma al contempo non dava l'impressione di sentirsi a proprio agio. Forse era normale: Vincenzo era il suo datore di lavoro e fino a quel momento non aveva mai avuto con lui null'altro che un rapporto puramente professionale. Ciò che per certi versi non era normale era che a causa di Vincenzo tutti i suoi piani fossero saltati. Non che avesse in mente molto, ma almeno trascorrere una mezz'oretta insieme alla ragazza dei suoi sogni, se così poteva definirla... Invece, diversamente dalle aiutocuoche, i titolari di alberghi non sembravano avere l'accortezza di farsi da parte quando erano di troppo.
Enrico si rassegnò. Non rimaneva molto di positivo, se non le tagliatelle al ragù, quindi tanto valeva almeno occuparsi dell'unico aspetto piacevole rimasto. Non disse molto, parlò solo se interpellato e, in ogni caso, dato che Carolina non spiccicava parola, si trattò solo di rispondere alle domande di Vincenzo, che sembrava molto interessato a chiedergli dei luoghi nei quali aveva vissuto negli ultimi anni.
L'atmosfera sembrava tesa, anche se non vi erano ragioni per cui tutti e tre non potessero rilassarsi, quella sera. A Enrico sembrava che tante cose non dette rendessero l'aria fin troppo pesante... cose non dette, oppure l'enigmatica Carolina, che si comportava come se non fosse lì, seduta insieme a loro.
Fu la prima ad alzarsi.
«Si è fatto tardi, è meglio che vada.»
Vincenzo accennò un sorriso.
«Ti chiederei se vuoi un passaggio, ma tu hai una macchina e io, in questo momento, sono a piedi.»
«Come mai?» intervenne Enrico. «Ti sei convertito a qualche setta che pensa che le automobili siano il male?»
Vincenzo spalancò gli occhi, ridendo.
«Che cazzo dici? Comunque no, solo che ho dovuto portarla dal meccanico. Andrò a prenderla domani mattina. Ho l'impressione di dovere chiamare un taxi, se non voglio farmi quattro chilometri a piedi.» Guardò Carolina. «Certo, la cosa più semplice sarebbe chiedere un passaggio a te, ma non mi permetterei mai.»
«Infatti non c'è bisogno che tu chieda un passaggio a lei» replicò Enrico. «Ti posso accompagnare io, se hai detto la verità sui chilometri. Sono solo quattro?»
«Quattro chilometri e duecento metri» chiarì Vincenzo. «Mi accompagni tu, quindi?»
«Non c'è problema.»
«Grazie.»
Carolina, nel frattempo, sembrava desiderosa di andarsene. Non appena Enrico e Vincenzo rimasero in silenzio, infatti, ne approfittò per salutarli e fuggire via, senza dare loro il tempo di replicare. L'aiutocuoca di mezza età di prima, frattanto, scuoteva la testa borbottando qualcosa con la collega. Enrico ebbe la certezza che stesse parlando di lui e Carolina. Fece un sospiro, sperando che la serata finisse presto. Per fortuna non ci fu bisogno di aspettare molto: Vincenzo sembrava desideroso di andare via.
Uscirono ed Enrico si diresse nel parcheggio, seguito dal figlio di Roberto Gottardi. Salirono in macchina e, per una volta, Enrico non accese la radio. Durante il tragitto, Vincenzo si limitò a indicargli la strada. Quando arrivarono, Enrico accostò. Si aspettava che Vincenzo scendesse subito, ma non fu così. Finalmente Gottardi parve rendersi conto di essere stato di troppo, quella sera.
«Per caso ho interrotto qualcosa, prima?»
«Interrotto...?» Enrico fece finta di non capire. «Di cosa parli?»
«State insieme, tu e Carolina?»
«No, come ti viene in mente? È da poche settimane che sono tornato in città.»
«E poche settimane non sono sufficienti per trovare una fidanzata?»
«Non per me.»
«Scusa, non volevo sembrare invadente» chiarì Vincenzo. «Vi ho visti affiatati, a volte, e mi è venuto spontaneo farti questa domanda.»
Enrico non riuscì a trattenersi.
«Se pensavi che tra me e Carolina ci fosse del tenero, perché hai deciso di venire a sederti insieme a noi?»
«In realtà, quando ho iniziato a sospettarlo, mi ero già seduto» puntualizzò Vincenzo. «Ormai era troppo tardi per tornare indietro. E poi, se dici che tra te e lei non c'è niente, è inutile parlarne.»
Aveva ragione, era inutile parlarne, quindi Enrico decise di mettere definitivamente fine alle ipotesi dell'altro: «Ho imparato per esperienza che è meglio non mescolare la vita privata con il lavoro. Non sempre sono stato in grado di avere un'esistenza tranquilla, ma credo sia arrivato il momento di mettere la testa a posto.»
Vincenzo parve divertito, mentre replicava: «Detto così, sembra che tu sia pieno di segreti. Cos'hai combinato in tutti questi anni?»
«Ho spezzato cuori di giovani sprovvedute che pensavano sarei rimasto accanto a loro vita natural durante, per poi scoprire che non sarebbe andata così e che avrei cambiato città un'altra volta. O magari che sarei andato a lavorare su una nave da crociera. L'ho fatto solo per soldi, lo ammetto: preferisco di gran lunga la terraferma.»
«Chissà quanti figli avrai sparso in gran segreto per l'Italia, o forse per il mondo!»
Enrico si irrigidì. Preferì non commentare quella battuta e, piuttosto, chiedere a Vincenzo: «Tu, invece? È vero che ti sposi?»
«Sì.»
Enrico si aspettava entusiasmo, non certo un monosillabo.
«Quando?»
«Presto.»
Ancora una volta, sembrava che Vincenzo volesse liquidare la questione il prima possibile. Era strano, molto strano. Tutto sembrava, tranne un uomo desideroso di unirsi in matrimonio.
Enrico finse di non averci fatto caso e gli domandò: «Come di chiama la futura signora Gottardi?»
«Paola.»
«Cosa fa nella vita?»
«Ha un atelier di abiti da sposa. O meglio, sua madre ha un atelier di abiti da sposa e Paola lavora con lei.» Vincenzo aprì la portiera. «Meglio che vada. Ti ho già fatto perdere abbastanza tempo. Ti ringrazio per il passaggio e spero di non averne più bisogno nei prossimi giorni. Spero che domani mattina la mia macchina sia pronta.»
«Quindi niente jogging?»
«Chi lo sa. Prima vado a prendere la macchina, poi vediamo. Perché me lo chiedi, vuoi venire con me?»
Enrico si affrettò a rifiutare: «Assolutamente no. Correre non fa per me. Buon divertimento.»
Vincenzo scese dall'auto, salutandolo. Enrico lo guardò dirigersi verso una porzione di casa con ingresso indipendente. Non era brutta come abitazione, ma dava l'impressione di essere uno di quei posti in cui c'erano garage o magazzini da adibire a lavanderia ben più grandi delle stanze.
Guardò Vincenzo entrare, richiudendo il cancello alle proprie spalle. Lo vide andare verso la porta e poi entrare in casa. A quel punto avrebbe dovuto allontanarsi, ma non lo fece. Spense il motore e scese a propria volta dalla macchina. Le tapparelle sembravano tutte chiuse, le possibilità che Vincenzo lo vedesse erano molto basse. Si diresse quindi verso l'abitazione, andando a curiosare senza avere le idee ben chiare. Non aveva idea di cosa stesse cercando, di che cosa pensasse di vedere: se Vincenzo Gottardi nascondeva cadaveri, si guardava bene dal tenerli esposti nel proprio cortile.
Enrico fece dietrofront e tornò alla macchina. Per un attimo valutò la possibilità di andare a controllare se Olimpia fosse al bar, ma lasciò perdere. Avevano degli accordi ben precisi ed era meglio rispettarli, se voleva avere la speranza di concludere qualcosa.
Salì a bordo e accese il motore ricordando che cosa si era imposto quella sera stessa: dedicare il proprio tempo a Carolina, senza pensare a Olimpia, a suo padre, alle ragioni del suo licenziamento, alla fantomatica donna con cui si diceva se ne fosse andato e, soprattutto, senza interrogarsi sul ruolo di Alfredo Vitale, ruolo del tutto marginale e teorico, dal momento che di quell'uomo non era rimasto che un mucchietto di ossa.
Accese la radio. Trasmetteva una canzone d'amore melensa e sdolcinata. Non era esattamente il suo genere, ma gli fece pensare a Carolina, per quanto il concetto di amore fosse ben diverso da quello che sentiva nei confronti della sua vecchia amica. Non che, di per sé, il concetto stesso di amore fosse molto facile da definire. I film - e spesso anche la vita reale - abbondavano di gente che non faceva altro che mettersi in bocca quel termine. Enrico non riusciva a capirli. La sua idea era che l'unione tra due persone fosse basata su elementi concreti, non su parole e concetti astratti.
"Non che io abbia molta voce in capitolo, ma almeno a livello di teoria penso di potere dire la mia."
Era consapevole di avere combinato fin troppi danni, in passato, ai quali difficilmente avrebbe potuto porre rimedio, ma almeno era sempre stato ancorato alla realtà. La situazione non sarebbe cambiata, nemmeno se fosse riuscito ad avere una possibilità con Carolina. La possibilità, comunque, non sarebbe piovuta dal cielo quella sera facendo sì che la receptionist provasse un'improvvisa attrazione nei suoi confronti, quindi tanto valeva liberarsi la mente.
La canzone melensa e sdolcinata terminò, lasciando il posto a un'altra ancora peggiore. Enrico cambiò stazione e si mise in strada, iniziando a guidare fino a casa. Non ci volle molto per arrivare, non abitava tanto lontano da Vincenzo. Parcheggiò in cortile, come al solito. Quando scese dalla macchina, per la prima volta nella serata, realizzò che non faceva più tanto freddo, la sera. Pochi istanti più tardi entrò nel proprio appartamento riflettendo sulla totale inutilità di quella considerazione. Forse un giorno sarebbe diventato uno di quei tipi che facevano continuamente commenti sul tempo, ma non era il momento: per l'immediato aveva altri piani, seppure tutt'altro che definiti. La verità era che non sapeva più quale fosse il suo vero posto nel mondo. Era tornato e gli sarebbe piaciuto rimanere, ma al contempo si sentiva in obbligo di sbrogliare il mistero legato all'allontanamento di suo padre. Se avesse capito cos'era successo all'albergo, forse avrebbe potuto comprendere anche perché se ne fosse andato e che cosa gli stesse nascondendo.

   
 
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