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Autore: Ghost Writer TNCS    18/03/2023    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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34. La progenie infernale

Havard si svegliò di colpo che non era ancora l’alba. Si guardò intorno, l’espressione tesa. Zabar dormiva ancora al suo fianco, ma non era questo che lo turbava.

Si alzò dal letto, si rivestì in fretta e poi uscì dalla stanza.

Camminando a passo svelto, attraversò il corridoio deserto dell’ormai ex canonica. Arrivato alla stanza di Nambera, si fermò. Ci era voluto meno di un minuto, ma gli era sembrata un’eternità.

Avvicinò la mano alla maniglia, esitante. La afferrò. Aprì la porta lentamente, incerto.

Dall’interno non giunse alcun suono.

Dopo un momento di indecisione, entrò. Raggiunse il letto. Nambera aveva ancora gli occhi chiusi: non sembrava essersi accorta della sua presenza. La sua postura era composta e l’espressione rilassata.

Havard allungò la mano, ora tremante. Le accarezzò la guancia con il dorso delle dita, ma la pelle di lei era fredda. E del tutto immobile.

L’orco pallido si lasciò cadere in ginocchio e chinò il capo, piangendo sommessamente al capezzale della donna che l’aveva cresciuto.

Zabar venne svegliato dai primi raggi di sole che entravano dalla finestra.

Infastidito dalla luce improvvisa, si voltò dall’altra parte. Ancora stanco, si rannicchiò sotto la coperta cercando di riprendere sonno. Ma c’era qualcosa di strano. Qualcosa gli sembrava fuori posto.

Si alzò di scatto. Si guardò intorno preoccupato e subito si rese conto che quella non era la sua stanza. I ricordi della notte precedente erano un po’ confusi, ma non abbastanza da fargli sperare di non aver fatto ciò che aveva fatto.

Maledicendosi mentalmente, uscì dal letto e si affrettò a rivestirsi: doveva andarsene subito! Prima che qualcuno scoprisse che era stato lì. E soprattutto prima che Havard tornasse.

Aprì la porta con slancio, ma si pietrificò appena vide Havard dall’altra parte. All’inizio era troppo atterrito per farci caso, ma dopo qualche secondo si rese conto che il pallido aveva l’espressione triste e abbattuta, come mai lo aveva visto prima. E i segni neri sotto i suoi occhi sembravano davvero rigati dalle lacrime.

«Scu- Scusami» farfugliò il demone. «Io… Ieri… Devo andare.»

Provò a scappare, ma il figlio di Hel lo trattenne per un braccio. «Resta. Ti prego.»

Gli occhi verdi di Havard non erano autorevoli come al solito, al contrario lasciavano trasparire il senso di supplica nelle sue parole. Zabar annuì.

I due rientrarono nella stanza e si sedettero su un comodo divano imbottito.

L’ex chierico non sapeva cosa dire. Voleva scusarsi per quello che aveva fatto il giorno prima, ma era troppo in imbarazzo per farlo. Voleva chiedergli come mai fosse così abbattuto, ma non voleva forzarlo a parlare di quello che chiaramente era un argomento che lo addolorava.

«Nambera è morta.»

Le parole del pallido, fredde e pesanti, aleggiarono nel silenzio che seguì, echeggiando nella mente di Zabar.

Il demone gli strinse la mano per fargli sentire la sua vicinanza. «Mi… Mi dispiace.»

Havard non rispose, ma ricambiò con riconoscenza il contatto.

Fu il figlio di Hel, dopo un lungo silenzio, a riprendere la parola: «Sì, potrei riportarla indietro. Potrei evocare il suo spirito, o anche restituirle il suo corpo. Ma non sarebbe giusto. E non sarebbe quello che vuole lei.»

Zabar aveva pensato a quelle possibilità, ma non se l’era sentita di esporle ad alta voce. Annuì.

Il pallido si voltò verso di lui. Il suo sguardo adesso era meno perso, ma non era ancora quello abituale. «A proposito, volevo scusarmi per ieri. Eri ubriaco e non avrei dovuto farti entrare.» Esitò un momento. «Non volevo approfittarmi di te.»

Il volto dell’ex chierico passò dal blu al viola. «No, non devi scusarti. Sono io che dovrei scusarmi…»

Di nuovo calò un lungo silenzio fra i due, e di nuovo fu il figlio di Hel a romperlo: «Possiamo parlare del tuo amico. Icarus. Se vuoi.»

Questa volta il demone riuscì a guardalo negli occhi. «No. Voglio dire… non mi sembra il momento.»

Havard si strinse nelle spalle. «Preferisco rispondere ai tuoi dubbi, piuttosto che starmene a rimuginare. E sì, Icarus è colpevole.» Il suo tono si indurì, si fece più serio: «Quando questa guerra sarà finita, lo troverò e mi assicurerò che abbia la punizione che merita.»

«Ma… perché?» Non c’era rabbia nelle parole di Zabar, solo desiderio di comprendere. «Che cosa ha fatto?»

«Come ti ho già detto, lui e gli altri fabbri-alchimisti hanno ucciso dei demoni nel corso di alcuni esperimenti. Dal momento che i demoni sono creature magiche, volevano usarli per dare la magia a chi non ce l’ha. Anche a costo di ucciderli.»

Il chierico scosse il capo, atterrito. «No, è impossibile. Icarus… Lui non farebbe mai una cosa del genere. È mio amico, e io sono un demone!»

«Probabilmente non ha fatto esperimenti su di te proprio perché sei suo amico. Non voglio dire che Icarus sia una persona completamente malvagia, ma ha accettato di fare cose malvage pur di raggiungere i suoi scopi.» Lo guardò dritto negli occhi. «Immagino tu non sappia come ha ottenuto davvero la magia.»

Zabar esitò. «Io… Lui mi ha spiegato che ha fatto dei rituali…»

Il pallido scosse mestamente il capo. «Ha usato organi di fata. Anche le fate sono creature magiche, e impiantandosi i suoi organi ha ottenuto la magia. Per la precisione, è in grado di usare la magia del mondo. Non so se lo sai, ma le fate hanno una forte connessione con la magia ambientale, spesso molto più forte di quella dei demoni. Ma sono anche molto più rare.»

L’ex chierico annuì. «Sì… lo so.»

Non voleva credere alle parole di Havard, ma dentro di sé sapeva che quella era la verità. In un certo senso, l’aveva sempre saputa, ma non aveva voluto vederla.

Si rese conto di avere gli occhi lucidi e si affrettò ad asciugarli, ma non prima di essersi fatto sfuggire una lacrima.

«Non fartene una colpa» gli disse Havard in tono comprensivo ma anche risoluto. «Sei una brava persona, non devi pentirti di esserti fidato del tuo amico.»

Il demone scosse il capo. «No, è solo che… pensavo che dovevo essere io a consolarti.»

Il figlio di Hel gli sorrise. «Lo hai fatto. E per questo ti ringrazio.»

***

Dopo aver consolidato il suo controllo su Gurtra e nominato un nuovo governatore, Havard aveva mobilitato le sue truppe verso la destinazione successiva. Ma questa volta non si trattava di un obiettivo come gli altri: la sua meta era Kandajan, la città doveva viveva l’assassina di Hel. Dopo tante conquiste, era giunto il momento di tornare sul luogo della sua più grande disfatta.

L’armata stava camminando ormai da ore, ma le truppe si erano abituate a quelle lunghe marce e riuscivano a procedere in una colonna piuttosto ordinata fatta di guerrieri e carri.

Anche Tenko e Zabar facevano parte della carovana: per quanto apprezzassero le comodità dell’astronave, il loro mondo era quello, fatto di polvere e lunghe marce. I due demoni procedevano fianco a fianco, ormai del tutto riappacificati grazie al discorso che avevano avuto prima della partenza.

«Mi dispiace per quello che ti ho detto l’altra volta» affermò Tenko. «La verità è che non ho mai visto un uomo innamorato di un altro, e quindi pensavo che non fosse possibile. Ma… beh… ho chiesto a D’Jagger se da dove viene lui è una cosa normale. E mi ha detto di sì.» Gli sorrise. «Pensa: lui ha proprio due papà! Non so se ho scelto la persona migliore o la peggiore per chiedere una cosa simile.»

Una simile spiegazione stupì l’ex chierico. Ma soprattutto in senso buono. «Grazie, Tenko. Per… Beh, per aver capito. E anche per avermi detto che non è una cosa strana.» Zabar era comunque un po’ in imbarazzo. «Ora mi sento anche io meglio.»

«Quindi, insomma, se Havard ti piace, dovresti provare a dirglielo. So che non è facile, ma magari anche a lui piaci.»

Al sentire quelle parole, il demone sentì crescere l’imbarazzo: anche se Tenko era sua amica, non voleva dirle quello che aveva fatto la notte prima. «S-S-Sì. Sì, grazie. Io… ci… ci proverò.» Ma dato l’argomento, non voleva essere da meno. «Beh, allora penso che anche tu dovresti fare lo stesso. Se… Se ti piace qualcuno.»

Questa volta fu la demone a cambiare colore. «Pi-Piacere? No, a me non piace nessuno. Non è che… mi interessi qualcuno… in quel senso…»

Alla fine i due demoni avevano tacitamente messo da parte quell’argomento e si erano uniti al resto della carovana.

La monotonia della marcia venne interrotta quando udirono qualcuno che segnalava la presenza di un draghide in cielo. Era raro che gli inquisitori viaggiassero soli – almeno in quel periodo di guerra –, ma il volatile sembrava diretto proprio verso di loro.

La creatura sorvolò per un po’ la carovana, poi i guerrieri videro qualcosa cadere dal suo dorso.

«Cos’è?!» gridò qualcuno.

«È un attacco?»

«È una persona!» esclamò un goblin dalle retrovie.

La voce non fece in tempo a diffondersi che il cavaliere si schiantò proprio sulla parte più arretrata della carovana, travolgendo nell’impatto diversi orchi.

Gli uomini di Havard erano certi che il loro aggressore fosse caduto per sbaglio e che fosse ormai morto, invece il nuovo arrivato era del tutto illeso e si era già rialzato, dando prova della sua imponente statura. Era un giovane orco dalla carnagione rossastra e i capelli scuri, aveva lunghe zanne che uscivano dal labbro inferiore e tratti spigolosi. Il suo fisico era particolarmente muscoloso, da guerriero, ma sul suo torso nudo non c’era la minima cicatrice, come se non avesse mai preso parte a uno scontro.

La sua arma era un’imponente ascia dorata dal manico lungo e di pregevole fattura. Era così grande che con una sola spazzata tagliò in due almeno mezza dozzina di orchi, dando subito prova della sua forza superiore.

«Dov’è il figlio di Nergal?!» gridò.

Gli altri guerrieri, seppur colti di sorpresa, si affrettarono a preparare armi e scudi.

«Ditemi dov’è, e vi darò una morte rapida!» assicurò loro il nuovo arrivato.

«Uccidiamolo!»

Il grido di un guerriero di Havard divenne presto un ruggito collettivo, e una manciata di orchi si avventarono tutti insieme sull’intruso. Non servì a nulla: le loro armi sembravano del tutto inefficaci contro la pelle rossastra di quel nemico, che al contrario riusciva ad affettarli senza difficoltà con la sua ascia, sbaragliando qualsiasi scudo e armatura.

Il servo degli dei afferrò un orco a caso. «Dimmi dov’è il figlio di Nergal!»

«Di là!» indicò il malcapitato. «È in un carro-prigione!»

Il rosso lo scaraventò a decine di metri di distanza con la sola forza del braccio. «Era tanto difficile?»

Corse nella direzione indicata, travolgendo senza difficoltà i nemici che si frapponevano sulla sua strada, e ben presto individuò il semidio.

Urmah lo riconobbe quasi subito. «Tu! Tu sei Spartakan! Ti ha mandato mio padre!»

Il servo degli dei afferrò la porta del carro-prigione e la strappò via senza alcuno sforzo. «Il sommo Nergal e gli altri dei mi hanno mandato a salvarti.»

«Fermo dove sei! E consegnami subito quell’arma!»

Il rosso si voltò. Davanti a lui c’era Sigurd. L’elfo aveva già sguainato la spada ed era pronto ad affrontarlo.

Gli sorrise con sprezzo. «Vieni a prenderla.»

Il biondo scattò fulmineo. Spartakan lo vide appena, l’arma lo colpì al braccio, ma nemmeno quella lama nera sembrava in grado di ferirlo. Menò un colpo d’ascia. Sigurd parò con entrambe le braccia, ma venne comunque sbalzato indietro e cadde addosso ad altri orchi lì presenti.

«Andiamocene, Spartakan!» ordinò Urmah. «Combatterai un’altra volta!»

Il rosso grugnì. Bramava lo scontro, ma gli ordini degli dei erano chiari: la priorità era salvare il figlio di Nergal. Si sarebbe occupato di Havard e del suo esercito un’altra volta.

Tirò a sé Urmah, poi prese un amuleto che portava alla cintura e lo attivò. Prima che Sigurd potesse intervenire, i due erano già spariti.

L’elfo soffocò un’imprecazione e rinfoderò la spada.

Non ci volle molto prima che Havard arrivasse. Anche Tenko, Zabar e gli altri passeggeri dell’astronave si erano riuniti lì.

«Cos’è successo?» volle sapere il pallido.

«Un orco è arrivato, ha liberato il figlio di Nergal e poi sono fuggiti con un incantesimo» spiegò Sigurd. «Aveva la pelle rossa; il semidio l’ha chiamato Spartakan o qualcosa del genere. Ti dice niente?»

Il figlio di Hel scosse il capo. «Mai sentito. Quanto era forte?»

«Parecchio. Perfino con Balmung non sono riuscito a ferirlo.» Si voltò verso Shamiram. «E aveva l’Ascia di Parashurama.»

«Non so di chi potrebbe essere figlio» ammise Havard. «Forse è un Pilastro.»

Sigurd scosse il capo. «Se fosse stato un semplice semidio sarei riuscito a fargli almeno un graffio. E in tutta onestà credo valga anche per i Pilastri. Perdona la domanda, ma tua madre è stata uccisa più o meno quando sei nato tu, giusto?»

Il figlio di Hel si limitò ad annuire.

«Quel tipo aveva all’incirca la tua età» sottolineò l’elfo.

Già da quelle parole, l’espressione di Shamiram si tinse di preoccupazione.

«Credo sia un figlio dell’inferno.»


Note dell’autore

T_T

Ciao a tutti.

E così Nambera ci ha lasciato, ma Havard intende accettare la cosa come fanno tutti quanti. Se non altro ha Zabar al suo fianco, che lo ha aiutato ad affrontare la perdita.

Nel frattempo sono riuscito a dare ulteriori dettagli sul perché il figlio di Hel è così deciso a punire Icarus, e in quel caso è stato Zabar a dover accettare le azioni del suo amico.

Come anticipato nello scorso capitolo, Tenko si è chiarita con Zabar e lo ha esortato a farsi avanti con Havard, eppure si ostina a negare la cotta più palese del racconto :P

E nel finale vediamo finalmente Spartakan in azione, anche se per poco. Il rosso è sicuramente molto forte, al punto che Sigurd ritiene sia un figlio dell’inferno. Chi ha letto L’Ascesa delle Bestie ha già visto in azione un figlio dell’inferno, ma darò anche qui una spiegazione di cosa si tratta ;)

Grazie per aver letto e alla prossima ;D

T_T


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