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Autore: pampa98    03/04/2023    4 recensioni
[Questa storia partecipa al “Torneo Tremaghi - Multifandom Edition” indetto sul gruppo Facebook L’angolo di Madama Rosmerta]
Il Torneo Tremaghi torna a Hogwarts e per l'occasione tre valorosi studenti – Aegon Targaryen, Jacaerys Velaryon e Joffrey Lonmouth – dovranno formare una squadra per tenere alto il nome della loro scuola.
~ Aegon/Jace, Joffrey/Laenor, Aemond/Luke. ~
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Altri, Jacaerys Velaryon, Joffrey Lonmouth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7

Aegon Targaryen: l’intestino di Leviatano – Parte 2



 

Tossì acqua e saliva, talmente a lungo che la sua gola prese a bruciare. Gli girava la testa e si sentiva troppo debole anche solo per stare in ginocchio. Cadde a terra, scontrandosi contro il freddo del metallo sotto di lui. Il rumore dell’acqua continuava a rimbombargli nella testa e il vociare che cercava di raggiungere le sue orecchie non era d’aiuto.

Lentamente, Aegon aprì le palpebre. Si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Anche le voci divennero più chiare. Arrivavano dal basso, accanto a lui. 

Aegon abbassò lo sguardo e vide delle immagini muoversi, senza però riuscire a capire di cosa si trattasse. 

«Aegon, ti prego, rispondi!»

La voce di Jace lo ridestò dal suo torpore. Scattò a sedere, prendendo lo specchio e portandoselo davanti agli occhi.

«Jace! Finalmente.»

«Oh, Merlino, grazie.» Il ragazzo lasciò andare un lungo sospiro, chinando in avanti il capo. Quando sollevò di nuovo il volto, Aegon vide che aveva gli occhi lucidi. «Non… Non rispondevi e poi… ti abbiamo sentito tossire, sembravi stare male e ti sei accasciato a terra, temevo che…»

«Sto bene» rispose con voce roca, massaggiandosi la gola. «Ho solo rischiato di annegare.»

«Cosa?» esclamarono entrambi i suoi compagni.

«Già. Sapete, non sono così sicuro che l’obiettivo finale di questo torneo non sia ucciderci.»

«Aspetta, andiamo per gradi» disse Joffrey. «Esattamente cos’è successo? Ti abbiamo visto fermo in questo condotto per parecchio tempo e poi all’improvviso sei tornato qui.»

«Se con “questo condotto” intendi il posto in cui mi avevate indirizzato prima, sì, ero lì.» Si alzò in piedi e scosse la testa, spargendo gocce d’acqua tutto intorno a lui. «C’era una grata, in mezzo al condotto» spiegò. «Dall’altra parte c’era della luce, ma non sapevo come aprirla per raggiungerla. Volevo aspettare lì la fine della prima ora e chiamarvi, ma all’improvviso il condotto si è allagato e poi…»

E poi? 

Aegon si guardò intorno. Non era più nello stesso punto: era in un condotto più buio e c’era di nuovo, sotto i suoi piedi, il rigagnolo d’acqua che aveva incontrato all’inizio della prova.

«Dove sono?» chiese.

«Sei tornato indietro» disse Jace. «All’interno del primo condotto che si diramava da quello in cui ti sei svegliato.»

«Ah. E come ci sono arrivato qui?» Ricordava di aver desiderato rivedere Jace e poi si era ritrovato lì, a metri di distanza dal condotto allagato. «Mi sono Smaterializzato?»

«Direi proprio di sì» disse Joffrey. 

«Ma allora posso usare la magia!»

«Sembrerebbe di sì.»

Aegon sbuffò. Si era preoccupato tanto per niente. Certo, non erano molte le magie che si potevano compiere senza bacchetta – ma in una prova che consisteva solo nello spostamento all’interno di uno spazio fisico, la Smaterializzazione era più che sufficiente!

«Allora ditemi dov’è l’uscita e ci vado subito» esclamò, il panico che lo aveva avvolto nell’altro condotto già dimenticato.

«Non credo che sia così facile» disse Jace, guardando la mappa con le sopracciglia aggrottate. 

«Sei davvero carino quando ti concentri così, lo sai?»

Jace arrossì, facendolo sorridere. Per un momento aveva davvero temuto che non lo avrebbe più visto e ora più che mai sentiva di dover cogliere ogni occasione a sua disposizione per fargli sapere quanto lo amasse.

«N-Non mi sembra il momento adatto, Aegon» mormorò. 

«Come vuoi. Allora forza, dimmi dove si trova l’uscita così posso dimostrarti a dovere quanto ti trovo carino.»

«Ragazzi, me ne pentirò, ma… credo che vi preferissi quando flirtavate senza rendervene conto» commentò Joffrey, guadagnandosi un’occhiataccia da entrambi. «Comunque, mancano tre minuti, se vi interessa.»

«Va bene. Senti, Aegon, per l’uscita c’è un’altra strada, parallela a quella che avevi preso prima» disse Jace, tornando a concentrarsi seriamente sulla prova. «Credo sia meglio evitare l’altra. Purtroppo da qui non possiamo vedere le condizioni in cui si trova – non possiamo valutare la sicurezza nemmeno di questa, però…»

«Ma non mi serve la strada, Jace. Fammi solo vedere il traguardo finale e mi Smaterializzo lì.»

Il ragazzo storse la bocca. «Non sono sicuro che funzionerà.»

«Perché non dovrebbe?» intervenne Joffrey. «L’ha già fatto, no?»

«In una situazione di emergenza.»

«Fa lo stesso» commentarono in coro i due Serpeverde.

«Il tempo scorre» avvisò poi Joffrey. 

A quel punto, Jace sbuffò e mosse lo specchio in modo che inquadrasse la mappa. «Mi sembra un’idiozia, ma facciamolo.» Indicò un punto sulla destra, nemmeno troppo lontano da dove si trovava Aegon. «Ecco, l’uscita è questa. Non sono sicuro di come farai a tornare in superficie, ma il punto da raggiungere è qui. Però, davvero, Smaterializzarsi lì sarebbe troppo semplice, ragazzi. Non avrebbe senso.»

«Infatti ti avevo detto che questa prova era stupida.»

«Hai rischiato di morire, Aegon!»

Lui fece spallucce. «Forse era solo un modo per farci sapere che, in realtà, la magia si può usare. Bene, preparatevi a festeggiarmi all’arrivo.»

Pensò al punto che gli aveva indicato Jace e immaginò di raggiungerlo. 

Non accadde niente. 

Ci provò una seconda volta, ma di nuovo non si mosse.

«Hai dimenticato come ci si Smaterializza?» commentò Joffrey.

Aegon si morse la guancia per non ribattere. Chiuse gli occhi, concentrandosi al massimo. 

Quando li riaprì, era ancora nello stesso posto.

«Ma che cazzo!»

«Come immaginavo» disse Jace, spazientito. «Abbiamo pochi secondi, posso dirti che strada devi fare, adesso?»

Aegon sbuffò. «Va bene, va bene!»

«Dunque, c’è un bivio vicino a te. Devi andare a dritto e poi…»

Silenzio. La comunicazione si interruppe. 

Aegon imprecò. La scoperta che, forse, si poteva usare la magia gli aveva fatto perdere tempo e adesso si ritrovava a non sapere cosa dovesse fare. In teoria, aveva ancora una chiamata per quell’ora, ma valeva la pena sprecarla subito?

Si appoggiò alla parete del condotto, buttando la testa indietro contro il freddo metallo. 

Prese un profondo respiro, cercando di calmarsi. Jace gli aveva dato una piccola indicazione: bivio e andare a dritto. Si guardò intorno e constatò che c’erano tre condotti che si diramavano da quel punto e lui era proprio sull’ingresso di uno di questi. Jace aveva detto di andare a dritto – perciò decise di imboccare quella via. 

 

 

Quel condotto era ampio, ma più vi si addentrava, più diventava buio. Dopo un po’, Aegon dovette tenersi alla parete per capire dove stesse andando. Quell’oscurità era tutt’altro che rassicurante e lo portò a chiedersi se non avesse sbagliato strada. 

Continuò a camminare per diversi metri, accompagnato solo dallo sciaff sciaff dei suoi piedi nell’acqua, che gli arrivava di nuovo fino alle caviglie. A un tratto, la mano che scorreva sulla parete si scontrò con un ostacolo. Aegon provò a spingerlo via, ma era troppo pesante. Sollevò l’altra mano davanti a sé e scoprì di essere di fronte a un’altra parete.

«Grandioso» disse. Tastò in lungo e in largo, in cerca di una maniglia o di un’apertura, ma non trovò niente.

«Aegon.» 

La voce di Jace gli giunse attutita dalla stoffa della sua giacca. Prese lo specchio e vide il volto del suo ragazzo fissarlo da lì, portando un briciolo di luce anche nell’ambiente circostante.

«Ehi. Riesci a vedermi?»

«Non proprio, però ti sento. Hai sbagliato condotto, quello in cui ti trovi si interrompe senza una via d’uscita.»

Aegon posò una mano sulla parete che gli bloccava il cammino. «L’ho notato. Devo tornare indietro, quindi?»

Jace annuì. «Scusami, ti ho dato un’indicazione poco chiara.»

«Be’, in realtà non gliel’hai proprio data» commentò Joffrey. «Adesso però abbiamo dieci minuti per rimediare, forse è il caso di sfruttarli a dovere stavolta.»

«Finalmente hai fatto un discorso sensato» disse Jace, guadagnandosi uno sbuffo da parte dell’altro. 

«Lonmouth, non tormentare il mio Grifondoro» lo rimproverò Aegon.

«Ma non ho fatto niente!»

«Aegon, devi uscire da questo condotto» disse Jace, ignorando Joffrey. «Quando torni al punto di partenza, vedrai una strada alla tua destra. Prendila e da lì…»

«Piano, piano.» Aegon iniziò a camminare, tenendo sempre una mano sulla parete accanto a sé. «Intanto esco da qui e poi mi dai l’indicazione successiva.»

«Sì, hai ragione.»

Proseguì in silenzio, a passo più svelto rispetto all’andata, e iniziò anche a correre quando l’oscurità si fece meno fitta. Giunto al bivio iniziale, tornò a guardare lo specchio. Jace gli stava sorridendo e quell’espressione fece comparire un sorriso anche sul suo volto.

«Adesso?» chiese.

«Vai avanti, verso destra. Sì, perfetto. Segui lo stesso percorso di prima, poi…»

«Aspetta, quindi devo passare di nuovo dai chizu?» Non gli mancavano e, inoltre, non aveva più oggetti magici con cui distrarli.

«Chizpurfle» lo corresse Jace, roteando gli occhi al cielo. Aegon temette che volesse fargli una lezione su quelle creature, invece il ragazzo fu abbastanza clemente da passare oltre. «Purtroppo sì, non ci sono altre strade. Speriamo che ormai se ne siano andati.»

Per sua fortuna, era proprio così. Aegon non ricordava il punto preciso in cui li aveva incontrati, ma giunse di fronte al bivio senza imbattersi in alcun tipo di ostacolo.

«Di qua eviterei» disse, indicando alla sua sinistra. «Sono stato in apnea abbastanza a lungo per oggi.»

«Infatti devi proseguire in questo condotto, sempre a dritto.»

Aegon guardò davanti a sé. Il condotto era abbastanza luminoso, anche se un po’ stretto. «Alla fine ti troverai a un bivio con tre strade distinte: dovrai prendere quella di sinistra.»

«E quella strada dove mi porterà?» chiese, riprendendo a camminare.

«Precisamente all’uscita.»

Aegon sgranò gli occhi. «Sul serio? Ma allora è davvero una caz-» L’occhiataccia di Jace lo fece desistere dal concludere la frase. «Volevo dire, allora la strada di prima era corretta. Almeno in linea d’aria.»

Jace annuì. «Sì. Alla fine dovresti sbucare nello stesso condotto, sperando ovviamente che non sia allagato. Mi raccomando, tieni gli occhi aperti e non prendere questa prova sottogamba!»

«Sì, sì, va bene.»

«Aegon, sono serio. Non voglio vederti di nuovo in punto di morte.»

Aegon gli rivolse un sorrisetto compiaciuto. «Eri tanto preoccupato per me, eh?»

«Sì» rispose, serio. «È normale esserlo, se vedo soffrire il ragazzo che amo.»

Il sorriso scomparve dal volto di Aegon. Non era ancora abituato ad accettare che Jace lo amasse, ma non poteva biasimarlo per essersi spaventato: sapeva bene quanto potesse essere terribile, assistere al dolore di chi si ama.

«Ti prometto che farò più attenzione d’ora in poi» disse, sincero.

Jace annuì, poi gli sorrise. «Ti conviene. Non vuoi essere festeggiato a dovere, quando uscirai?»

«Puoi scommetterci!»

«Ehm, piccioncini» si intromise Joffrey, «per la cronaca, all’uscita ci saranno i vostri parenti. Non so se vi conviene saltarvi addosso davanti a loro.»

Aegon ponderò attentamente la questione. In realtà, lui l’avrebbe trovato molto divertente – ma, vedendo il volto paonazzo di Jace, evitò di dirlo. 

«Comunque, buona fortuna, Targaryen» disse Joffrey, sporgendosi verso Jace per guardare nello specchio. «Ci sentiamo tra… una quarantina di minuti, circa.»

«È già finito il tempo?» esclamarono Aegon e Jace.

La scomparsa dell’immagine dallo specchio fu la risposta.

 

 

Aegon proseguì nel suo cammino, guardandosi intorno per accertarsi che non ci fossero pericoli in vista. Il condotto aveva sempre mantenuto una buona luminosità lungo tutto il percorso, sufficiente a permettergli di vedere bene l’ambiente circostante, ma a un certo punto si era ristretto al punto che aveva dovuto camminare con la schiena abbassata. Per fortuna, non era stato un tratto lungo. 

Aveva visto spesso dei condotti aprirsi ai suoi lati, ma Jace aveva parlato di un bivio a tre strade, perciò aveva continuato a dritto. Sperava di non essersi sbagliato. 

Sbuffò. Odiava non poter parlare con lui e, soprattutto, non sapere quando avrebbe potuto contattarlo di nuovo. Quanti minuti erano passati? Cinque? Venti? Non aveva niente con sé che gli permettesse di valutare lo scorrere del tempo. Visto che in quella prova dovevano comportarsi come Babbani, avrebbero almeno potuto dargli uno di quei braccialetti da tenere al polso che segna l’ora. 

Dovette abbassarsi di nuovo per attraversare un punto particolarmente ostico, in cui si era anche formata una grande pozza d’acqua. 

«Non fare altri scherzi, eh!» le disse, mentre la attraversava bagnandosi fino alla vita. 

Dopo quel passaggio, però, Aegon si permise di tirare un sospiro di sollievo: davanti a lui si aprivano tre strade. 

Sorrise. L’uscita ormai doveva essere vicina. 

Puntò lo sguardo verso il condotto di sinistra, ma prima che potesse raggiungerlo, il silenzio intorno a lui venne rotto da una melodia. Era un suono armonioso e dolce, e gli dispiacque non averlo ascoltato prima, gli avrebbe potuto tenere compagnia durante il tragitto. Aveva un che di confortante: gli ricordava la voce di sua madre.

Aegon si voltò, cercando di capire da dove venisse quel suono. Sembrava avere origine dietro di lui, ma non ne era del tutto certo. Non che avesse importanza, in fondo. Chiunque ne fosse il responsabile, forse si sarebbe spaventato vedendolo e avrebbe smesso di cantare. Aegon voleva ascoltare quella melodia per tutta la vita. 

Chiuse gli occhi e si rivide bambino, steso sotto le coperte mentre sua madre cantava per lui e suo padre gli raccontava delle sue avventure da Auror, finché non si addormentava. Era un ricordo piacevole, in cui sarebbe sprofondato volentieri; ma non poteva farlo, giusto?

Aegon aprì gli occhi. C’erano tre condotti davanti a sé e uno alle sue spalle. Gli sembrava di essere arrivato da lì, ma lui doveva andare avanti. Giusto? Sì, in effetti, quello non era un bel posto: sarebbe stato meglio uscire. 

Osservò le strade davanti a sé, cercando di capire quale dovesse prendere. Jace non glielo aveva detto? Gli sembrava di sì…

A un tratto, il canto si fece più flebile, come se si stesse spegnendo. 

«No!» esclamò. Non voleva tornare a sentire solo il silenzio. Non riusciva ancora a capire l’origine di quel suono, ma si rese conto che stava svanendo nel condotto centrale. 

Lo seguì.

Corse là dentro, dove il suono si alternava in note più vicine e altre più lontane. Aegon continuò a correre, inseguendolo e lasciandosi avvolgere dai ricordi che gli provocava.

Il primo Natale trascorso con tutta la sua famiglia, quando Daeron non aveva nemmeno compiuto un anno.

La Firebolt che suo padre gli aveva regalato prima di accompagnarlo al binario 9 e ¾.

I complimenti degli insegnanti per il suo ottimo percorso scolastico.

L’ammirazione di Aemond, che desiderava diventare come lui un giorno.

Il piccolo drago di legno che Jace gli aveva regalato al primo anno di scuola, perfetto come il Sunfyre leggendario.

Aegon si fermò. Nella sua mente si era formata l’immagine di una statuina fatta a regola d’arte, che non aveva niente a che vedere con quella che teneva sul suo comodino. Jace decisamente non era un intagliatore esperto e quel Sunfyre non aveva niente a che vedere con l’originale. Aegon lo amava lo stesso, ma…

Non aveva mai avuto una Firebolt. O meglio, gli era stata regalata, sì, ma non da suo padre. Era stato un dono di Harwin e Rhaenyra, che sua madre gli aveva proibito di usare dopo l’incidente tra Luke e Aemond. 

Si massaggiò le tempie, sentendo improvvisamente la testa pesante. Come mai quelle fantasie – quei desideri – lo avevano colto in un momento del genere? Aveva una gara da portare a termine, non poteva…

Si guardò intorno, rendendosi conto solo in quel momento di trovarsi in un condotto completamente buio e silenzioso. La melodia che aveva sentito poc’anzi era svanita e, anche se non sapeva con esattezza dove si trovasse, era piuttosto certo di non aver imboccato la strada giusta. Jace aveva detto di andare a sinistra – lui dov’era andato?

Si voltò, sperando di vedere dietro di sé la strada giusta; ma anche lì era tutto buio. Si era immerso nell’oscurità senza essersene reso conto.

Aegon sbuffò e sbatté la testa contro la parete metallica. Estrasse lo specchio dalla giacca, poi scosse la testa, riponendolo nella tasca. Non era ancora iniziata la terza ora o Jace e Joffrey, vedendo che aveva imboccato la strada sbagliata, lo avrebbero chiamato. 

Si passò le mani sul viso, lasciandosi scivolare a terra. Avrebbe dovuto aspettare che i suoi compagni lo contattassero per riuscire a uscire da lì e ritrovare la strada giusta, e questo gli avrebbe fatto perdere altro tempo. Senza contare che, anche sulla strada giusta, avrebbe potuto imbattersi in qualche ostacolo che l’avrebbe intralciato di nuovo. E se non fosse riuscito a uscire nel tempo previsto dalla Prova? Gli avrebbero sottratto punti? Avrebbero squalificato la sua squadra? Tutti i loro sforzi sarebbero andati perduti.

Be’, gli sforzi di Joffrey e Jace. 

Lui cos’aveva fatto di utile per la sua squadra? Lamentarsi, disinteressarsi alla sfida, considerare quella prova una passeggiata, nonostante i ripetuti moniti di fare attenzione. 

Si lasciò sfuggire una risata. Davvero aveva creduto di poter dare un qualche tipo di apporto alla sua squadra, in un torneo così complesso come il Tremaghi? Era stato un vero idiota. Non importava cosa facesse, quanto ci provasse: non sarebbe mai stato altro che una delusione.

Strinse le ginocchia al petto e vi poggiò sopra la fronte. Perché si ostinava a provarci? Il risultato era sempre lo stesso. Suo padre continuava a odiarlo, sua madre si vergognava a chiamarlo “figlio” e i suoi fratelli lo disprezzavano. E lui era così stupido nel desiderare più affetto dalla sua famiglia, che aveva trasformato le sue illusioni in ricordi reali e si era fatto fregare da…

Maridi. Era il canto dei Maridi quello che aveva udito e che lo aveva condotto fin lì.

Rise, mentre le lacrime iniziavano a cadere dai suoi occhi. Era semplice riconoscerli, erano anche una delle poche Creature Magiche che ricordava di aver studiato, eppure non l’aveva capito finché non era stato troppo tardi. Un perfetto esempio della sua vita: errori reiterati e delusioni cocenti per gli altri – e per se stesso.

Prese di nuovo lo specchio. Avrebbe voluto vedere Jace, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Il suo ragazzo gli aveva dato indicazioni precise e lui era comunque riuscito a perdersi. Non era in grado di fare niente senza il suo aiuto. Jace non meritava un simile fallimento accanto a sé.

Non avrebbero festeggiato niente al suo ritorno. Ad aspettarlo, avrebbe solo trovato i suoi compagni delusi e imbarazzati per la sua performance. Jace non gli avrebbe sorriso, non lo avrebbe abbracciato: lo avrebbe guardato come facevano tutti, capendo che non aveva senso sprecare il suo tempo con lui. 

Aegon lo avrebbe perso di nuovo. Avrebbe dovuto dire addio all’unica cosa bella che esistesse nel suo mondo. 

Quel pensiero gli tolse il fiato. 

Ripensò a tutti i momenti che avevano trascorso insieme e poi a quegli ultimi mesi, che erano stati, senza ombra di dubbio, i più felici della sua vita. Rideva, scherzava, addirittura studiava. Tutto era più bello e semplice, se aveva Jace accanto a sé. 

E anche Jace sembrava felice con lui e approfittava di ogni occasione per stare in sua compagnia. 

“Ti amo anch’io, Aegon.”

Anche quelle parole erano un’illusione della sua mente? No, di questo ne era certo: erano reali. Jace gli aveva davvero detto di amarlo, con parole e gesti.

“Io credo in te, Aegon.”

Quand’era stata l’ultima volta che qualcuno aveva avuto fiducia in lui? Non riusciva a ricordarlo. 

Io credo in te, Aegon.”

Aegon alzò la testa, sentendo quelle parole rimbombare intorno a lui. Erano ancora più melodiose del canto dei Maridi, ma a differenza loro non lo trascinarono a fondo. 

Si alzò, passandosi la manica della giacca sul volto per asciugare le lacrime.

Jace credeva in lui. Tutti gli altri si erano arresi, ma lui non l’aveva ancora fatto e Aegon non poteva permettersi di deluderlo. 

Doveva provarci. 

Magari avrebbe fallito, ma almeno avrebbe dimostrato – a Jace, e anche a se stesso – che non era un vigliacco che si arrendeva alla prima difficoltà. 

Si incamminò verso destra. Era ancora tutto buio, ma sapeva per certo di essere venuto da là. A un tratto, finì con i piedi immersi nell’acqua, ma lo prese come un segno positivo: ricordava di essere passato da un’ampia pozza prima di sentire il canto. E, a tal proposito, decise di coprirsi le orecchie, nel caso i Maridi fossero ricomparsi. 

Continuò a camminare, cercando di ricordare se aveva visto qualcosa di particolare all’andata, così da riconoscere se era sulla strada giusta oppure no. Gli sembrava di ricordare di aver imboccato il condotto centrale, perciò, ammesso che avesse proseguito sempre a dritto, l’uscita doveva trovarsi alla sua destra in quel momento. Era un’ipotesi azzardata, ma decise di sperare in un po’ di fortuna e ignorò completamente i condotti che si aprivano alla sua sinistra.

Finalmente iniziò a scorgere qualche raggio di luce davanti a sé. Credeva di non aver camminato molto a lungo all’inizio e, infatti, ben presto si ritrovò al bivio di partenza.

Aegon si guardò intorno, incredulo. Ce l’aveva fatta davvero. Aveva risolto il problema facendo affidamento sulle sue sole forze!

Avrebbe voluto esultare, ma non aveva tempo. Ne aveva sprecato già troppo a sognare e compatirsi: adesso era il momento di agire. 

Si avvicinò al condotto opposto a quello da cui era appena sbucato e si voltò, guardando le tre strade davanti a sé. Ricreò la stessa situazione in cui si era trovato prima che i Maridi lo distraessero, così da essere certo di non sbagliare di nuovo. 

Inspirò a fondo e si diresse verso il condotto di sinistra.

 

 

«Aegon!»

Aegon prese lo specchio e non riuscì a trattenere un sorriso a trentadue denti quando vide Jace.

«Ciao, Jace.»

«Ciao.» Lui abbozzò un sorriso, ma aggrottò le sopracciglia in un’espressione dubbiosa. «Va tutto bene? Abbiamo visto che sei entrato nel condotto sbagliato, sei stato fermo per un po’ e ora…»

«Sono nel posto giusto, vero?» chiese. 

«S-Sì, stai andando verso l’uscita. Ormai non dovrebbe nemmeno mancare molto.»

«Bene!»

«Già, ma perché non hai preso subito questa strada?» chiese Joffrey, infilandosi nell’inquadratura. «Non ti ricordavi più dove dovevi andare?»

Aegon sbuffò. «Certo che me lo ricordavo. Ho solo… incontrato un altro ostacolo.»

«Un ostacolo? Di che tipo?» chiese Jace.

Aegon si grattò il mento. Non aveva problemi a raccontargli tutto quello che era successo, ma non aveva voglia di aprirsi davanti a Joffrey. Chiedergli di tapparsi le orecchie, però, non era un’opzione.

«Maridi» rispose. «Il loro canto mi ha distratto e mi ha fatto prendere la strada sbagliata. Ma sono riuscito ad accorgermene in tempo e tornare indietro.»

«Maridi? Cavolo! Quelli sono dei veri bastardi» commentò Joffrey. «Complimenti per essere riuscito a liberartene.»

Aegon aggrottò le sopracciglia. «Grazie» rispose, piano.

«Sei stato bravissimo, Aegon» disse Jace, rivolgendogli un sorriso che desiderò poter baciare all’istante. «Sono fiero di te. Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontarli da solo, sarei voluto essere insieme a te.»

Aegon sorrise. «C’eri.»

Jace sbatté le palpebre, confuso, ma prima che potesse chiedere spiegazioni, Joffrey esclamò: «Guarda, sei vicinissimo!»

Jace abbassò lo sguardo sulla mappa, mentre lui si guardò intorno. Notò che il condotto virava verso sinistra e da lì arrivava più luce.

«Quindi è… La prova è davvero finita?» chiese. 

«Be’... suppongo di sì» disse Jace. 

«Secondo voi, i punti in base a cosa li assegneranno?» chiese Joffrey.

«Non ne ho idea. Ma, per quello che ho affrontato, direi che già solo uscire in tempo dovrebbe farmi meritare il primo posto!»

Jace scosse la testa, sorridendo. «Non voglio infrangere i tuoi sogni, ma anche i tuoi sfidanti hanno incontrato le tue stesse difficoltà.»

«Già, a proposito» disse Aegon, guardandosi intorno. «Non ho visto nessuno di loro. È normale?»

«Sì. Ognuno aveva un percorso diverso, così da poter svolgere la prova nello stesso momento senza interferire l’uno con l’altro.»

Aegon annuì. Non era stata una brutta idea, ma sarebbe stato divertente passare un po’ di tempo con la Greyjoy. Forse lei sarebbe stata più loquace di Cregan e avrebbe finalmente risolto il mistero sulla natura della loro relazione.

«Bene, adesso il condotto dovrebbe virare» disse Jace, riscuotendolo dai suoi pensieri. «Poi da lì vai a destra e ci sei.»

Aegon svoltò verso sinistra e si ritrovò con i piedi nell’acqua. Vide in lontananza una grata e sbuffò.

«Credo di essere tornato nel condotto in cui sono quasi morto» disse.

«Sì, è lo stesso» confermò Jace. «Ma ora dovresti poter proseguire senza ostacoli. Riesci a vedere l’uscita?»

Aegon si guardò intorno. Verso destra, a pochi metri di distanza da lui, notò una luce azzurra brillare sul soffitto. Non aveva l’aria di un fenomeno naturale. 

«C’è una luce strana, qui vicino» disse. «È quella? Non è esattamente come immaginavo l’uscita.»

«Forse c’è una Passaporta» disse Joffrey. «Sei sottoterra, dubito che ci sia una porta normale che si apra sulla superficie e ti permetta di uscire.»

Aegon pensò che avesse ragione, anche se non sarebbe stato sorpreso se lo avessero costretto ad arrampicarsi fino in cima, come avrebbe dovuto fare un Babbano se si fosse trovato al suo posto. 

La vita senza magia era davvero difficile.

Si diresse verso quel punto. L’acqua iniziò a salirgli fino alle caviglie e poi alle ginocchia.

«Tutto bene?» gli chiese Jace.

«Sì, sì. Però non voglio più vedere una goccia d’acqua per il resto della mia vita.»

Jace e Joffrey risero, guadagnandosi un’occhiataccia da parte sua. Non l’avrebbero trovato divertente, se fossero stati al suo posto.

A un tratto, Aegon sentì qualcosa afferrargli la caviglia destra in una morsa ferrea. Provò a muovere il piede, ma sembrava incastrato.

«Perché ti sei fermato?» chiese Jace, nello stesso momento in cui avvertì qualcosa graffiargli la gamba. «Aegon?»

«Che cazzo!» sbottò, voltandosi per cercare di capire cosa stesse succedendo. «C’è qualcosa qui den-Argh!» 

Aegon perse l’equilibrio e cadde in avanti, ed ebbe solo la prontezza di ripararsi la faccia con il braccio prima di sbattere sul pavimento. Sollevò la testa, sputando l’acqua che per sbaglio aveva ingoiato, e imprecò. Si voltò su se stesso, restando seduto a terra, e finalmente vide ciò che lo aveva aggredito.

«Un Avvincino!» esclamò. «Mi ci mancava solo un Avvincino, oggi! Questo come me lo levo dal cazzo senza magia?» 

Non ricevendo risposta, spostò lo sguardo sullo specchio, che gli restituì solo il suo riflesso. Sbuffò: probabilmente i dieci minuti erano già passati. Poco male, aveva un’altra chiamata a disposizione.

«Jacaerys.» Nessuna risposta. Aegon aggrottò le sopracciglia. «Joffrey. Ehi, mi sentite?»

Perché non riusciva a contattarli? La terza ora era appena iniziata e aveva parlato con loro solo una volta. Doveva per forza aspettare del tempo prima di poterli chiamare di nuovo? Ma quella era un’emergenza, non poteva…

L’Avvincino lo trascinò indietro all’improvviso, facendolo finire in acqua. Aegon riuscì a sollevarsi subito e si ritrovò a fissare il volto del demone, che ghignava attraverso la superficie. 

«Jace!» Tentò di nuovo, ma, continuando a non ricevere risposta, ripose lo specchio nella giacca e si concentrò sul suo avversario. «Ehi, senti, sono stanco e non ho voglia di giocare con te. Va’ a tormentare qualcun altro.»

L’Avvincino sbatté le palpebre. Sembrava confuso e Aegon non ricordava se fosse in grado di comprendere il suo linguaggio oppure no. Lo aveva affrontato durante il terzo anno di scuola, ma l’unica cosa che rammentava era che era riuscito a sconfiggerlo con la magia. 

La confusione, comunque, lasciò presto il volto del demone, che sempre con il suo ghigno tronfio gli affondò gli artigli nella coscia. Aegon gemette e cercò di afferrarlo per toglierselo di dosso, ma la tua testa era viscida e scivolosa, e i suoi tentativi di combatterlo sembrarono solo farlo divertire di più. 

Aegon lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove vedeva ancora brillare la luce blu. Pochi metri e l’avrebbe raggiunta. 

Strinse i denti e si alzò in piedi, deciso a raggiungere subito la Passaporta o qualunque cosa ci fosse stata lì che lo avrebbe riportato in superficie. 

Appena fu fuori dall’acqua, l’Avvincino emise un verso stridulo e lo lasciò andare. Aegon inarcò un sopracciglio, ma non gli prestò ulteriori attenzioni: se aveva deciso di lasciarlo in pace, non era sua intenzione fargli cambiare idea. 

Si diresse verso la luce, più lentamente di quanto avrebbe voluto perché costretto a combattere contro la resistenza dell’acqua. 

Proprio quando credeva di essere davvero giunto alla fine, l’Avvincino si attaccò di nuovo a lui.

«Ma non hai proprio niente di meglio da fare?» sbottò. «E voi stronzi del Ministero, se è un modo per non farmi vincere, me la pagherete cara!»

L’Avvincino stavolta aveva attaccato l’altra gamba, ma Aegon notò che il suo corpo era ancora sott’acqua. Ripensò al verso che aveva emesso quando si era ritrovato fuori: sembrava sofferente, come se non sopportasse di uscire dal suo ambiente naturale. Il che era plausibile, considerato che si trattava di un demone acquatico. 

Aegon ricambiò il ghigno che l’Avvincino continuava a rivolgergli, gesto che la creatura non sembrò apprezzare. 

«Ehi, ci sono altri punti del mio corpo che puoi colpire» disse, avvicinandosi a lui. «Vieni, lascia che te li mostri.»

Quando provò ad afferrarlo, l’Avvicino agitò le sue lunghe dita, cercando di scacciarlo. Il sorrisetto compiaciuto era scomparso dal suo volto, ma riuscire a prenderlo mentre si difendeva era ancora più complicato di prima. Presto, la sua sicurezza tornò, mentre Aegon si fece sempre più impaziente. Gli stava facendo perdere un’infinità di tempo.

Con uno dei suoi artigli, riuscì a graffiargli una mano. Rise, soddisfatto del suo operato.

«Mi hai veramente rotto il cazzo!»

Aegon strinse una delle dita dell’Avvincino e questa, in un attimo, si spezzò. All’improvviso la sua mente fu invasa da un ricordo: era estate, lui e Jace erano fuori dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure in attesa del loro esame di fine anno. Il Grifondoro era nervoso, mentre lui aspettava tranquillo appoggiato al davanzale della finestra.

“Stai tranquillo, Jace. Se sbagli Incantesimo, puoi sempre usare il metodo Babbano per liberarti: hanno dita talmente fragili che penso basti toccarle per spezzarle.”

Aegon sorrise. Doveva ammettere che il suo ragazzo aveva ragione: conoscere il proprio nemico era il modo più utile per abbatterlo.

L’Avvincino, anche se dolorante, strinse la presa sulla sua gamba e lo fissò pieno di rabbia. 

Aegon indicò verso il lato opposto del condotto. «Guarda che nessuno ti obbliga a stare qui» disse. «Vattene e potrai tenerti le altre dita.»

Il demone emise un grido infastidito e lo colpì di nuovo con i suoi artigli. Aegon non perse altro tempo. Strinse le mani attorno alle dita dell’Avvincino, riuscendo a spezzarne un paio prima che questo allentasse la presa. A quel punto, lo afferrò per il corpo e lo tirò fuori dall’acqua. Quello si guardò intorno, gemendo terrorizzato.

«Guarda, guarda. Come mai non ridi più?» lo canzonò lui. «Vuoi tornare in acqua, per caso?»

L’Avvincino lo fissò con occhi supplicanti. Aegon guardò in basso, verso la sua gamba piena di tagli. Non aveva molta voglia di lasciarlo vivere – ma poi ricordò che era stato proprio dopo il loro esame che Jace lo aveva baciato per la prima volta, ringraziandolo per avergli dato dei consigli utili per superare la prova. 

Aegon sospirò. Lanciò l’Avvincino in acqua, abbastanza lontano perché potesse finalmente raggiungere la sua meta senza che quella creatura lo infastidisse ancora.

Si voltò e corse il più in fretta che potè verso la luce. Lì scoprì che l’illuminazione era dovuta a un cerchio magico, all’interno del quale si trovava una bacchetta.

La sua bacchetta.

«Merlino, grazie! Non sono mai stato così felice di vederti» disse.

Allungò il braccio verso il bastoncino di legno e, appena lo toccò, ebbe l’impressione che un gancio lo afferrasse all’ombelico e lo strattonasse via.

 

 

Aprì gli occhi e subito li richiuse, portando una mano a schermarli dal Sole. La sua luce gli faceva dolere le tempie e le urla attorno a lui gli facevano scoppiare la testa. Credeva di essere uscito dall’impianto idraulico, ma già altre volte quella mattina aveva creduto di essere arrivato alla fine solo per essere brutalmente smentito, perciò aspettò a cantare vittoria. 

Quando riuscì a schiudere abbastanza le palpebre per mettere a fuoco l’ambiente circostante, notò un gruppo di persone radunate su un prato. Prato su cui si trovava anche lui. 

A un tratto si sentì colpire da qualcosa e, abbassando la testa, si ritrovò a fissare i riccioli scuri di Luke.

«Complimenti, Aegon.» Helaena si avvicinò a lui, seguita da Aemond e Cregan Stark. 

Impiegò qualche secondo a realizzare la situazione.

Era fuori. Era uscito!

Si guardò intorno, cercando il volto di Jace, ma si scontrò invece con la faccia di sua madre – e i suoi capelli in faccia, quando lei lo abbracciò.

«Mi hai fatto spaventare» disse. «In certi momenti temevo che non ce l’avresti fatta… ma sei stato bravissimo!»

Aegon sbatté le palpebre. Chi era quella donna che aveva l’aspetto di sua madre e gli parlava con tanta gentilezza?

«Hai svolto un’ottima prova, Aegon» disse Rhaenyra Targaryen, avvicinandosi a lui al fianco di suo marito. 

Aegon annuì appena, sempre più confuso. E la sua confusione peggiorò ulteriormente quando vide sua cugina passare una mano sulla schiena di Alicent, in un amichevole gesto di conforto. Sua madre si separò da lui, rivolgendogli un grande sorriso prima di voltarsi verso Rhaenyra, a cui sorrise timidamente.

Aegon guardò Aemond, che stava cercando di ripulire Luke dall’acqua sporca che lo aveva macchiato quando lo aveva abbracciato. Quando suo fratello incontrò il suo sguardo, lui inarcò un sopracciglio e indicò con la testa le due donne vicino a loro. La sua unica risposta fu un piccolo cenno del capo, che però Aegon non riuscì a interpretare.

Helaena gli si avvicinò, prendendogli una mano tra le sue.

«Le torri non bruciano più. Dal fango si può risorgere, più splendenti di prima. Le parole sanno fare miracoli.»

Aegon aggrottò le sopracciglia, ma poi scosse la testa. Aveva avuto una mattinata fin troppo piena di avvenimenti per i suoi gusti: a sua madre e Rhaenyra avrebbe pensato un’altra volta.

«Aegon!»

Si voltò all’istante sentendo quella voce e si ritrovò subito stretto tra le braccia di Jace. Aegon ricambiò l’abbraccio, lasciandosi avvolgere da quell’agognato contatto. Affondò il volto nell’incavo del suo collo e respirò a fondo il suo familiare profumo. 

«Come stai?» gli chiese Jace, scostandosi da lui quanto bastava per guardarlo in viso. «Cos’è successo alla fine? Ti abbiamo sentito urlare, ma poi sei scomparso. Perché non rispondevi?»

«Calma, calma.» Joffrey si avvicinò a loro, mettendo le mani sulle spalle di Jace. «Lascialo respirare, come vedi è vivo, quindi tutto a posto. Congratulazioni per essere uscito, Targaryen. E sei anche il primo, credo.»

«Tyana Greyjoy è uscita pochi minuti prima di lui» rispose Rhaenys Velaryon, avvicinandosi a loro nel suo elegante completo blu, che Aegon le aveva visto sfoggiare anche durante la Prima Prova. «Hai comunque concluso la prova prima dello scadere del tempo, il che è encomiabile. Lo sono meno le parole che hai rivolto agli organizzatori del Torneo.»

Aegon sgranò gli occhi. «Avete… Lo avete sentito?»

Tutti, a eccezione di Jace e Joffrey, annuirono, qualcuno ridendo – Luke e Laenor –, qualcuno guardandolo con rimprovero – Cregan e Aemond. 

«Abbiamo seguito tutto il tuo percorso, Targaryen» rispose la preside. «Ma, per tua fortuna, abbiamo accettato che la fatica e lo stress della prova abbiano attenuato i tuoi freni inibitori e tu ti sia lasciato andare a uno sfogo… comprensibile, in quella situazione.»

Che al Ministero fossero degli stronzi Aegon lo pensava già prima – ci lavoravano suo nonno e suo zio Viserys –, ma la stretta di Jace al suo braccio lo convinse a concordare con Rhaenys.

«Ehm, sì, ho… ho parlato a vanvera, non ho riflettuto. Mi dispiace.»

La donna annuì. Estrasse la sua bacchetta e la puntò contro Aegon, che all’improvviso sentì i vestiti più leggeri e caldi. 

«Adesso andate a riposare» disse. «Saprete i risultati di questa prova e la classifica parziale quando anche il signor Lannister avrà terminato il suo percorso.»

Aegon non se lo fece ripetere due volte. Strinse la mano di Jace e si incamminò con lui e il resto della famiglia verso la scuola.

«Quindi voi avete visto tutto?» chiese Jace a Luke.

«Sì, tutto. Perché, tu e Joffrey non lo avete visto?»

«No! Noi avevamo solo una mappa col suo nome sopra per seguirlo.» Sbuffò. «Non è giusto. Se avessimo avuto una visione completa della situazione, ti avremmo potuto aiutare molto meglio di così. Anzi, praticamente non siamo serviti a niente.»

«Questo non è vero» disse Aegon. «Mi avete indirizzato voi all’uscita. Inoltre, non sarei riuscito a superare certe sfide senza il tuo aiuto.»

Jace abbassò lo sguardo. «Peccato che non te lo abbia dato.»

Aegon si fermò e gli sorrise. Gli mise due dita sotto il mento, sollevandogli il volto. «Pensare a te mi ha dato la forza di andare avanti. Perciò credimi quando dico che sei stato tu a tirarmi fuori da lì.»

Jace sgranò gli occhi e Aegon poté leggere tutto lo stupore e la commozione che provava nelle sue iridi nocciola. Quando lo baciò, Aegon lo strinse a sé e sorrise contro quelle labbra che aveva temuto di non poter assaporare più.

Un colpo di tosse li costrinse a separarsi. Aegon era indeciso se ridere o scappare, mentre Jace si limitò ad abbassare lo sguardo mentre il suo volto virava al rosso acceso.

Era stato Harwin Strong a richiamare la loro attenzione, ma tutta la loro famiglia aveva assistito a quel bacio. Vedendo che Harwin era quasi più imbarazzato del figlio, suppose che non lo avrebbe ucciso – per il momento – e ne approfittò per osservare la reazione di sua madre. Lei stava guardando Rhaenyra con gli occhi sgranati, ma la donna si limitò a una stretta di spalle. Quando Alicent incontrò il suo sguardo, Aegon non vi lesse il disgusto o la delusione che si sarebbe aspettato di trovarci. Ripensò a ciò che il canto dei Maridi aveva scatenato nella sua mente e si chiese se, in fondo, il desiderio di essere accettato da sua madre non si sarebbe potuto avverare davvero.

«Jace?» Harwin si avvicinò a loro, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. «Quindi, ehm, voi state di nuovo insieme?»

«Sì» rispose Jace, sostenendo il suo sguardo, mentre lentamente il suo volto tornava al colorito normale. «Ti ho detto che le cose tra noi andavano molto meglio.» Si voltò, sorridendogli, e Aegon fece altrettanto.

Harwin si passò una mano tra i capelli. «Sì, solo non pensavo a… questo.» 

Sospirò. Poi puntò i suoi occhi blu su Aegon, fissandolo con una tale intensità che temette stesse cercando di incenerirlo con lo sguardo. 

«Lo farai soffrire di nuovo?» chiese.

«Papà…»

Harwin alzò una mano, zittendo Jace. «No. Se è un qualche giochetto per rendere più piccante il Torneo o l’ultimo anno di scuola, questa storia finisce qui. Se, invece, hai intenzioni serie, avrai la mia approvazione.»

Aegon si era aspettato una reazione molto più dura da parte sua. Sapeva di non piacergli più da quando aveva spezzato il cuore del suo figlio preferito – era anche per questo che aveva chiesto a Jace di aspettare a dare la notizia ai suoi genitori, così da avere il tempo di riguadagnarsi parte della loro fiducia. Invece, Harwin sembrava disposto a restituirgliela subito: gli stava solo chiedendo di essere sincero.

«Signor Strong, non intendo commettere gli stessi errori del passato. Amo Jacaerys e mi prenderò cura di lui ogni giorno, per il resto della mia vita.»

Harwin lo fissò in silenzio, anche se Aegon ebbe l’impressione che il suo sguardo si fosse addolcito. Ma non gli importava; gli bastò sentire le dita di Jace stringersi attorno alle sue per respirare con serenità. 

«Va bene. Ti credo.» Harwin sorrise e si avvicinò a entrambi per scompigliare loro i capelli. «Ma se mai dovessi venire meno alla tua parola, sappi che non ci sarà un angolo del mondo in cui potrai nasconderti da me, chiaro?» aggiunse, a bassa voce.

Aegon annuì.

Il resto del gruppo, intanto, si era messo a ridere – inclusa sua madre. Non ricordava che la sua risata avesse un suono così bello.

Anche Cregan gli sorrise: l’approvazione di Harwin forse lo aveva ammorbidito. E, accanto a lui, vide Luke e Aemond parlottare tra di loro, compiaciuti. Quelle espressioni, soprattutto quella del più piccolo, non gli piacquero affatto.

Si voltò verso Jace e gli fece cenno di guardare i loro fratelli.

«Papà, comunque non sono l’unico a essersi fidanzato» disse lui. «Luke e Aemond stanno insieme.»

Jace e Aegon erano una storia nota, e probabilmente sentivano tutti che era destinata a ripetersi; Luke e Aemond erano una novità, certamente ritenuta impossibile da chiunque li conoscesse.

Mentre l’attenzione di tutti si focalizzò su di loro, lui e Jace ne approfittarono per svignarsela – non prima, però, di aver apprezzato il volto paonazzo di Luke e l’occhio sgranato di Aemond. 

«Sai che ce la faranno pagare, vero?» disse Jace, anche se non riusciva a smettere di ridere.

Aegon fece spallucce. «Stanno insieme da più tempo di noi e ce l’hanno tenuto nascosto. Meritavano di subire la nostra vendetta.»

«Hai ragione» concordò. Poi, guardando in basso alla sua destra, gli rivolse un sorrisetto divertito. «È stato così traumatico stare senza bacchetta che adesso la terrai sempre in mano?»

Aegon seguì il suo sguardo. Non si era accorto di non averla ancora riposta nella divisa.

«Potrei farlo, sai?» disse. «Fai poco lo spiritoso, Jacaerys. Guarda che la vita dei Babbani fa davvero schifo. Tuo padre è stato molto fortunato a nascere mago.»

«È stata una fortuna anche per te: senza di lui, io non ci sarei.»

Aegon gli portò un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé. «Non voglio neanche pensarci a un mondo senza di te. Sarebbe troppo deprimente.»

Jace rise. «Esagerato.»

Aegon gli diede un bacio sui capelli e ripose la bacchetta nella tasca della divisa. Sentì qualcosa all’interno e, infatti, quando estrasse la mano teneva tra le dita un foglio di pergamena. Era piegato in quattro ed era certo di non averlo avuto prima. 

«Cos’è?» chiese Jace.

Aegon si fermò e lo aprì. «Ah, sembra qualcosa di relativo alla Terza Prova.» Poi gli rivolse un sorrisetto compiaciuto e lo passò a lui. «Direi che è roba tua. Puoi divertirti a leggerlo quanto vuoi.»

Jace sbuffò. «Stavolta voglio arrivare preparato sul serio, Aegon. Spero di poter contare su di te e il Mago dei Baci.»

«Su di me puoi contare sempre. Ti farò uno striscione gigantesco e ti inciterò con baci e carezze durante il tuo periodo di preparazione.»

«Dovrò cavarmela da solo, quindi.»

Aegon sorrise, ma prima che potesse dirgli qualcosa, sentì delle voci che li chiamavano. Quando si voltò, vide Luke e Aemond che si stavano avvicinando a loro – suo fratello con la bacchetta già sguainata. 

Afferrò Jace per mano e scapparono insieme dentro il castello.




 
   
 
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