Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Nina Ninetta    15/04/2023    6 recensioni
Anita è una studentessa di 16 anni che vive un profondo disagio sociale e se ne sta fin troppo spesso per conto proprio. Completamente sola, all’inizio del terzo anno, si trasforma nella vittima perfetta di un gruppetto di bulli che la vessa con dispetti e insulti di ogni genere. Il peggiore fra tutti, secondo Anita, è Stefano: un ragazzo scaltro e intelligente che sa usare fin troppo bene le parole, cosa in cui anche lei è brava! Qualsiasi altra persona, al posto di Anita, si sarebbe lasciata avvilire da questa situazione, ma non lei, poiché non si sente affatto sola, c’è il suo migliore amico a darle man forte: ȾhunderWhite! Un ragazzo con cui chatta ormai da tempo e che ha conosciuto in rete, su un sito per giovani scrittori come lo sono loro! Sebbene vivano nella stessa città, Torino, non si sono mai incontrati di persona, fin quando ȾhunderWhite non sente il desiderio di vederla dal vivo...
Questa storia partecipava alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” - aggiornamenti ogni 15 giorni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutt*!
Ritorno con una long nella mia comfort zone che più comfort non si può! 
Ritorno con una storia ambientata nei primi anni 2000, quindi niente social e niente whatsapp, dove i protagonisti assoluti sono gli adolescenti e gli amori...
L'idea ce l'avevo in testa da un po', ma non trovavo mai il tempo (o il coraggio) di metterla nero su bianco, fin quando non ho deciso di iscrivermi a questa challenge indetta da Severa Crouch, la quale prevede proprio di sviluppare una long e di aggiornarla ogni 15 del mese.
Ringrazio in anticipo chiunque la leggerà/seguirà e recensirà,
Nina^^

P.S. Torino farà da sfondo a questa vicenda, ma non sono della città, quindi farò affidamento a Google per ogni eventuale dubbio, mi scuso in anticipo con chi magari vive lì o la conosce bene.
 
 

Ⱦhunders&Łightnings


 
Ȼapitolo Ʉno
Sfigatella
 
 

 

 
“Wild boys never lose it
 Wild boys never chose this way
 Wild boys never close your eyes
 Wild boys always shine”

 

 
Anita Lentini tamburellava le dita sulla superficie verdina del banco di scuola, dove per generazioni gli studenti lo avevano marchiato con le proprie firme, i propri sogni, le passioni calcistiche, guardando fuori dalla finestra le macchine che passavano in strada. Si chiedeva dove fossero dirette tutte quelle persone, cosa avessero da sbrigare di così urgente da essere sempre incazzate, esagitate nel parlare al cellulare, a volte gesticolando simili a mimi francesi. Il riflesso nel vetro ritraeva un viso tondo, al naturale, dai lineamenti morbidi e l’espressione malinconica. Gli occhi verdi osservavano attraverso occhiali da vista dalla forma esagonale e la montatura dorata, che ben si sposava con il biondo cenere dei capelli, tagliati a caschetto al livello della mascella, lisci e con la riga laterale, così che un ciuffo le ricadesse sempre a nascondere una parte di volto. Il mento era adagiato su entrambe le mani e i gomiti sul tavolo duro, completamente presa da ciò che accadeva in strada – nulla di particolare in realtà, solita routine cittadina –, quando i suoi pensieri vennero interrotti in maniera così brusca che per poco non urlò dallo spavento.
«Ehi, sfigatella! Che hai oggi da mangiare?» Fabio Morini le strappò le auricolari dalle orecchie, poi afferrò il suo zaino, capovolgendolo e scuotendolo.
Tutto ciò che conteneva la borsa si rovesciò sul pavimento: libri di testo, quaderni, fogli strappati e arrotolati, vecchi fazzoletti, una borraccia, alcune penne, un pacchetto di cracker al rosmarino (la sua merenda) e due assorbenti.
Anita scattò in piedi e gli strappò lo zaino con foga, chinandosi sulle ginocchia per rimettere tutto a posto. La rabbia le aveva colorato le guance di rosso acceso e gli occhi pizzicavano di lacrime.
«Salatini?!» Sbuffò Fabio, calpestandoli con la pianta delle sue Jordan rosse e nere, sbriciolandoli. «Lo sai che non mi piacciono!» Aggiunse, dando un calcio alla borraccia che rotolò verso la cattedra.
Nell’aula era calato il silenzio, come accadeva in quei momenti. Coloro che non prendevano parte a quella sceneggiata, che oramai si ripeteva dall’inizio dell’anno, abbassavano lo sguardo o si voltavano dall’altra parte; qualcuno usciva addirittura nei corridoi, preferendo prendersi una strigliata dal bidello, invece di intervenire per difendere la compagna, temendo di essere preso di mira a sua volta.
Anita odiava questi ultimi più di quel gruppetto di bulletti prepotenti che ce l’avevano con lei, che si divertivano a umiliarla forse solo perché era diversa dalle altre. Non si conformava alle sue coetanea, non aveva i loro stessi interessi, né le importava fare qualcosa per cambiare la situazione. Oramai era fuori dal gruppo, qualsiasi gruppo, un’anima solitaria che preferiva andare per la sua strada che mettersi contro la propria natura.
Quando finì di raccogliere le sue cose, si rialzò con la testa china, evitando di incrociare lo sguardo di Fabio o dei suoi compari, sperando che si stancassero e se ne tornassero ai propri posti.
«Ehi, la sfigatella ha le “sue cose”!» Esclamò invece gioioso Morini, sollevando un assorbente per mostrarlo agli altri a mo’ di trofeo. Qualcuno rispose che il solo pensiero gli faceva venire la nausea; qualcun altro fece il verso della scimmia; un altro ancora si meravigliò che anche lei avesse le “sue cose” come una ragazza normale. Aveva usato proprio questo aggettivo: normale. Quasi che lei non fosse come le altre, non fosse una ragazza vera e propria. Non fosse normale. Il problema era l’abbigliamento. Anita lo sapeva, glielo diceva sempre anche sua sorella minore: ma come cazzo ti vesti? Sembri una sfigata!
Ecco, appunto!
Con le lacrime pronte a uscire, le guance in fiamme e una sensazione di vergogna assoluta, si riaccomodò nuovamente al suo posto, tenendo sulle gambe il proprio zaino, temendo che Fabio potesse svuotarlo di nuovo. O lanciarlo fuori dall’aula come aveva già fatto una volta. Si crede di potersi abituare a certe situazioni, ma è una bugia, non ci si abitua mai ad essere trattati da schifo, si spera sempre che gli altri comprendano il male che stanno commettendo e si redimano, invano.
«Sentiamo che musica ascolta la nostra Ani» la schernì un altro dell’allegro gruppetto, forse il peggiore, poiché Anita lo riteneva mediamente più intelligente e furbo degli altri, i quali erano solo dei sbruffoni convinti di essere simpatici e che volevano mettersi in mostra. Per chi poi, Anita non lo aveva ancora capito.
Stefano Parisi si portò una delle auricolari all’orecchio destro e rimase qualche secondo in ascolto, poi glielo lanciò in faccia con aria di superiorità:
«Canzoni della prima era glaciale!»
«Sono i Duran Duran» ribatté lei. Non avrebbe permesso a nessuno di prendere in giro i Duran Duran, né tantomeno quella canzone in particolare, dal momento che era la preferita del suo migliore amico e, di conseguenza, anche la sua.
Stefano la fissò dall’alto del suo metro e ottantacinque circa:
«Ani… anche il tuo nome fa schifo! Richiama i buchi del culo di tutto il mondo!»
Gli altri risero forte, troppo forte. Fabio gli diede un paio di pacche sulle spalle, sollevandosi sulle punte dei piedi tanto era alto l’altro e basso lui.
Anita strinse i pugni, senza distogliere lo sguardo. A dispetto degli altri, Stefano la feriva solo con le parole ed era bravo, doveva ammetterlo. Pungente e offensivo. Per questo lo riteneva più intelligente, più colto, non solo per i voti a scuola, ma perché ci vuole una certa attitudine e capacità anche nell’oltraggiare sapendo usare i vocaboli. Inoltre, quello era un campo in cui la ragazza sapeva difendersi, poiché anche lei era brava con le parole, a differenza dei gesti aggressivi.
«Buffo che a dirlo sia una persona che si chiama Stefano e ha nel nome la parola -ano.»
Fabio colpì il banco con un palmo spalancato, facendola sobbalzare sulla sedia. No, gli atti violenti la terrorizzavano, non riusciva a controbattere, la intimorivano come una bambina che viene sgridata da un padre autoritario.
«Come ti permetti, sfigatella
Stefano Parisi tirò indietro il compagno, fissando Anita con un mezzo sorriso compiaciuto. Si divertiva. Stefano sorrideva di soddisfazione quando la punzecchiava e lei rispondeva a tono, Anita poteva leggerglielo nel guizzò che gli attraversava lo sguardo. Questa era un’altra differenza sostanziale che lo differenziava da Fabio Morini e dagli altri bulletti della comitiva, i quali sembravano sempre annoiati, anche di farle i dispetti, anche di ridere di lei. E più di una volta, la ragazza aveva avuto la sensazione che Stefano fosse il mandante e che intervenisse solo in un secondo momento, per denigrarla a frasi.
«Comunque i Duran Duran fanno cagare. Meglio i Dire Straits.» Le disse, mentre la professoressa di italiano, Giovanna Dell’Arco, entrava in classe, con la consueta aria annoiata, urlando agli alunni di sedersi:
«Oggi non è giornata, quindi vediamo di fare poco casino che sono stanca morta!» Si accomodò sulla sedia, dietro la scrivania e inforcò gli occhiali, sfiorando con la punta dei piedi la borraccia di Anita che rotolò verso la porta. «E quella? Di chi è?»
La classe si voltò verso la ragazza, ma fu Stefano ad alzarsi e riprenderla, scusandosi per l’inconveniente. La professoressa lo fissò da sopra gli occhiali, dondolando la gamba accavallata, senza aggiungere nulla.
 
Quando alle 13:15 la campanella trillò in tutto l’istituto, gli studenti si riversarono nei corridoi e nell’atrio simili a una mandria di bufali impazziti.
Anita Lentini provò un forte senso di sollievo, per fortuna anche quella giornata era giunta al termine, presto sarebbe stata al sicuro nella sua stanza, davanti al pc a chiacchierare con il suo amico…
«Ehi, sfigatella!» La voce stridente di Fabio si elevò fra tutte le altre, penetrandole la mente come mille aghi. Erano ormai nel cortile antistante l’ingresso, Anita avrebbe tanto voluto svignarsela, poiché sapeva che loro facevano una strada diversa dalla sua – ringraziando il cielo! Invece qualcuno l’afferrò per lo zaino e la trattenne, mentre Fabio Morini versava l’acqua della sua stessa borraccia all’interno della cartella, inzuppando tutto ciò che vi era contenuto.
«No, no, no!» Fece lei, provando a divincolarsi senza ottenere risultati.
«Ciao ciao, Ani!» Fabio lasciò la bottiglia nella borsa, che ormai colava acqua e le stava bagnando anche i jeans, allontanandosi con Stefano, il quale gli passò un braccio intorno al collo e se lo portò via, mentre dall’altra parte teneva il compare che aveva trattenuto la ragazza, impedendole di scappare. Quest’ultima li vide allontanarsi, trotterellando come una famiglia felice, fissando con odio Stefano che ricambiò con un ultimo sguardo allegro e mimando il gesto di lanciarle un bacetto con le dita, sparendo poi oltre i cancelli della scuola.
Anita si sistemò lo zaino meglio che poteva, di asciugarlo ora non se ne parlava, meglio tornare a casa, quella giornata si stava rivelando più schifosa del previsto. Per fortuna le auricolari e il lettore mp3 erano sani e salvi nella tasca del giubbotto. Infilò le auricolari nelle orecchie e premette play, sforzandosi di non piangere sotto l’effetto della voce di Simon Le Bon.
 
Dall’ultimo piano del liceo scientifico Ferraris di Torino, la professoressa di materie umanistiche Giovanna Dell’Arco stava bevendo il suo caffè affacciata alla finestra che dava sul cortile antistante, assistendo all’intera scena. Seguì con lo sguardo la sua alunna, Anita Lentini, una delle più brave e brillanti che avesse mai avuto negli anni di insegnamento, e s’intristì.
«Questi ragazzi sono senza regole» disse ai presenti nella sala professori. Nessuno le diede retta, eccetto Elia Morales, insegnante di lingua spagnola che era entrato nell’organico quell’anno stesso, a settembre, ed era stato eletto sex symbol dell’istituto da tutte le studentesse.
«Sono solo giovani» rispose quest’ultimo, con il suo marcato accento ispanico.
Giovanna scosse la testa. No, non era solo quello. Le generazioni cambiano, si evolvono, si scontrano tra loro e crescono. Ne aveva visti tanti di adolescenti scapestrati che con gli anni avevano messo la testa a posto e si erano costruiti una vita dignitosa, trovando un lavoro e mettendo su famiglia. Ma questa generazione era diversa dalle precedenti, si annoiava e tendeva a prendere di mira i più deboli e questo comportamento lei non poteva tollerarlo. Non era ciò che insegnava durante le sue lezioni.
«Non capisco come riesci a bere quel coso» continuò Elia, avvicinandosi a sua volta alla finestra e alla professoressa.
«Lungo e amaro. Come la vita» rispose lei, finendo di bere il caffè prima di indossare il trench chiaro e riordinare libri e registri.
«Sei preoccupata per i ragazzi? Ne vuoi parlare? Magari questa se-»
«No, grazie» Giovanna si sistemò la borsa a tracolla, salutò tutti e uscì di gran carriera.
«Lasciala perdere quella lì», intervenne il professore di matematica, seduto al lungo tavolo di ciliegio con aria insoddisfatta, rivolgendosi ovviamente a Elia Morales. «È una zitella nata» concluse.
 
Anita Lentini appese alle corde del suo balconcino i quaderni e i libri pieni zeppi d’acqua, sperando che il tiepido solo di aprile potesse asciugarli e riparare almeno in parte ai danni. Il problema non erano tanto i quaderni, poteva sempre comprarne di nuovi e ricopiarne gli appunti, quanto i libri di scuola che costavano un occhio della testa e alcuni valevano per più anni.
Stava ancora valutando ciò che poteva essere salvato e ciò che, invece, sarebbe finito inevitabilmente nella spazzatura, quando le giunse forte e chiaro il trillo di Messenger: era arrivato!
La ragazza si precipitò all’interno della stanza, il cuore colmo di gioia quando vide lampeggiare sul desktop del pc la finestra con la chat di ȾhunderWhite.
Era arrivato, finalmente!


 
>>>
 
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Nina Ninetta