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Autore: Ghostro    25/04/2023    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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CAPITOLO NOVE – DI SPADE E SCUDI
 
«Insomma, stai dicendo che queste “Giratempo” esistono davvero e sono a disposizione degli studenti di Hogwarts» puntualizzò Damien, seduto accanto al finestrino. «E Silente ne ha sospeso la fornitura a tempo indeterminato.»
Richie annuì impaziente. «Sì, te l’ho detto! Silente è venuto a casa mia mentre facevo colazione.»
«Ma perché agire soltanto adesso? L’Amato non gironzola nel castello da mesi, ormai?»
Nessuno dei due seppe rispondere e rimasero chiusi in un silenzio meditabondo.
«Forse l’Invasato che ha arrestato la professoressa Mcgranitt ha cantato» azzardò Rich.
«Non credo. Non avrebbero aspettato l’arrivo delle vacanze. Se avesse messo le mani su una di quelle cose, l’Amato potrebbe tornare indietro nel tempo a suo piacimento. I-Insomma, devono averci pensato!»
«Non hai detto che lui e Glyn odiano questa “Magia del Tempo”?»
Damien annuì. «Non sono sicuro che i professori lo sappiano, però. Piton mi ha cacciato via subito dopo aver scoperto che l’Amato cercava le Giratempo. Cercava.» Incrociò le braccia al petto. «Tu che ne pensi, Alma?» Si schiarì la gola. «Alm!»
Seduta dirimpetto a Damien, la strega stava guardando con aria assorta il paesaggio al di là del finestrino con la testa appoggiata contro il vetro. «Ci sono. Non c’è bisogno che ti ripeti.»
Richie si sporse verso di lei. «E allora?»
«State dimenticando due cose. Primo: Hogwarts è una scuola di magia. Ha già dovuto affrontare la sua buona dose di scandali in questi anni. Mettere di nuovo a rischio la vita degli studenti è l’ultimo caso di cattiva pubblicità di cui ha bisogno. E vi invito a ricordare quante volte l’abbiamo rischiata soltanto in questo semestre. Secondo: fossi in te, razza di pervertito, mi chiederei perché il preside in persona si è presentato alla mia porta, senza annunciarsi, per parlare con un membro del Wizengamot e il figlio che, guarda caso, è direttamente coinvolto nella vicenda.»
Damien e Richie si guardarono negli occhi, ponendosi la stessa domanda: «Se non era un caso, cos’ha in mente Silente?»
«Piton ha scoperto della Giratempo leggendoti nella mente, giusto?» Poi si voltò verso Rich. «E subito dopo Silente appare alla tua porta. È come se volesse confermarci che siamo sulla strada giusta, non credete? Altrimenti perché riferire di persona un messaggio che poteva banalmente essere spedito tramite gufo?»
«Per sviare il Ministero.»
«Non essere sciocco, Dam. La madre di Richie sarà sotto osservazione da mesi, vista la sua dichiarata amicizia con Silente.»
«In effetti, mamma ha capito subito che c’era qualcosa di strano. Solo che non sa cosa. E Silente mi ha detto di non fare tardi il giorno del mio ritorno a scuola… Ma il motivo della visita non può essere questo, giusto? Cosa si aspetta che facciamo: andare a caccia del mago oscuro che si nasconde sotto il suo naso?»
Damien si torturò le dita nervosamente. Non poteva fare a meno di ricordare quella volta in cui il preside era entrato nella sua, di casa, solo per riconsegnare una bacchetta. Anche quello era un caso? Gli aveva spiegato che aveva un affare da sbrigare, e vista la data aveva immaginato che si riferisse all’udienza di Harry Potter. Era folle pensare che il preside avesse voluto consegnare un messaggio a Richie. Eppure…
Il suo sguardo si soffermò di nuovo su Alma. Continuava a guardare fuori dal finestrino, ma c’era qualcosa di diverso, in lei, quel giorno, che Damien proprio non riusciva ad afferrare. Una sorta di pallore malaticcio, proprio lì, stampato sul suo viso.
La strega disse loro che doveva andare al bagno e si defilò nel corridoio.
Damien non la fermò, ma continuò ad ascoltare i discorsi di Richie con la mente rivolta altrove. Continuava ad essere turbato da qualcosa. In questo, l’arrivo di Lucilla Ollivander capitò proprio al momento giusto. La Serpeverde entrò nella cabina con il suo solito sorrisetto indecifrabile e si sedette al posto di Alma. Damien dovette solo aspettare che lei e Richie cominciassero a spettegolare su un presunto bacio tra Harry Potter e Cho Chang, prima di abbozzare una scusa e uscire anche lui.
Trovò Alma verso il fondo del vagone successivo, alle prese con Ernie Mcmillian. Il Tassorosso le stava dicendo qualcosa con un tono severo. C’era Hannah Abbott insieme a loro. «Lo sai che come prefetto…» Non appena lo vide, il ragazzo sbuffò. «Damien, anche tu! Si può sapere che vi prende, oggi? Non si va in giro per le cabine quando il treno è in corsa. Tornate subito ai vostri posti.»
«Scusa, Ernie! Avevo un po’ di nausea e Alma si è offerta di chiamare la signora del carrello. Sono venuto per dirle che mi è passata.»
Ernie li scrutò, se possibile, ancora più severo. Fu Hannah a toglierli dall’impaccio pregandolo di lasciarli andare. Damien attese con un sorriso tirato che lo superassero, senza distogliere gli occhi da Alma. Non stava sognando: sembrava davvero turbata per qualcosa.
«Se non vuoi parlare, avrai le tue ragioni.» Rimase silenziosa e capì di non doverle mettere fretta. «Ti… aspetto di là. Vedi di non farti trovare da Malfoy, però. Un prefetto Serpeverde in infermeria costerebbe a Corvonero parecchi punti.»
«Damien.» Lo chiamò quando si era ormai girato. «Non farti strane idee. Volevo solo prendere un po’ d’aria.»
«No, non è vero.»
 
Passò il resto del viaggio a riflettere.
Glyn gli aveva mostrato i suoi ricordi. Gli aveva raccontato di aver combattuto gli Invasati per secoli, servendosi di maghi più o meno ignari del fatto che una parte di lui vivesse dentro un bracciale. Eppure quella notte gli Invasati non erano venuti per vendicarsi di lui, ma per riprendersi l’Amato. Di quella storia aveva capito che Glyn, insieme all’Amato e alla loro compagna Aine, avevano affrontato un “Mago del Tempo” e che Aine era morta. Una sua discendente aveva sigillato i due sopravvissuti in quella grotta nella Foresta Proibita e poi nulla. Erano passati secoli. I Fondatori avevano scelto di costruire Hogwarts proprio sulle rive del Lago Nero e fino ad oggi non era successo niente. C’era davvero qualcosa che gli sfuggiva. E non solo sugli Invasati. Aveva ripensato a quella notte un’infinità di volte. Ricordava l’esplosione, di essere entrato nella grotta, quegli strani glifi. Aveva convinto Luna e Richie a tornare indietro. La fuga e… nulla. Qualcosa gli sfuggiva. Pur sforzandosi, non riusciva a capire.
Finché un tonfo non attirò la sua attenzione. Luna Lovegood era appena entrata nella cabina con in mano una bottiglia bianca dalle fattezze di uno scheletro. – Oh… Porca miseria! – Il suo cuore cominciò a battere a mille.
– Cosa c’è? – domandò Glyn, in allarme.
– Porca miseria. Porca miseria! Porca miseria!! – Fece di tutto per non dare a vedere di essere sbiancato. – C-C-C’era un coso in quella grotta! U-U-U-Uno zombie! Un morto vivente, u-u-un…! –
– Ah, lui. No, non devi preoccuparti. Ero io. – Lo disse con una tale semplicità da lasciarlo senza fiato.
– Tu?! Ma che…?! Come?! –
– Quello è il mio corpo. Il mio corpo adesso. Non per vantarmi, ma in gioventù ero parecchio attraente. –
– Cosa può fregarmene di com’eri da giovane?! –
– Questo è il tipico atteggiamento di chi non ha ancora conosciuto davvero una donna. O, certamente, che non possiede il coraggio per sedurne una... –
Damien chiuse gli occhi per mantenere la calma. Luna forse gli stava parlando, ma la sua testa era mille miglia altrove. – Puoi spiegarmi, gentilmente? La faccenda del corpo! –
– Se certi argomenti imbarazzano i ragazzi di oggi, piango per l’umanità. Ad ogni modo, quando ti dicevo che io e l’Amato siamo stati seppelliti insieme non mentivo. Vedi, le nostre anime non risiedono in un solo “corpo”. Parte di me vive ancora in me, seppur condannata a sopportare questa sorta di non-vita. Io sono… Puoi immaginarmi come il Glyn al momento della mia “morte”. L’altro ha vissuto per secoli, sepolto per l’eternità a rimuginare sul passato. –
Era qualcosa di così assurdo che aveva paura a credere che fosse vero. – Intendi dire che la tua anima è stata strappata in due pezzi e tu sei… cosa: una specie di ricordo pre-morte, che però è vivo? –
Glyn ci rifletté sopra per un momento. – Direi che più o meno è esatto. Ma non ti dirò altro, ragazzo. Come ti ho già spiegato, non ho intenzione di tramandare questa magia oscura. –
– Ok, ma l’Amato? Ci sono due… “Amato”. Insomma, c’è un altro zombie in quella grotta? –
– Gli Invasati hanno preso solo un bracciale, no? Ciò vuol dire che l’Amato, l’altro Amato, è ancora lì dentro. –
– M-M-M-Ma allora voi due siete immortali! –
– Lo siamo? – C’era qualcosa di beffardo, e al tempo stesso di malinconico, nella sua voce. – Può darsi. Ma è una maledizione che ci trattiene su questa terra, su questo non c’è dubbio. Non passa giorno senza che io ripensi al momento in cui ho perduto Aine. In qualunque forma io esista. Mentre giaccio sepolto, eternamente a guardia del mio antico amico… ed eterno nemico. Di chi ha rubato il cuore di lei. Fidati, ragazzo: questa non è vita. –
 
«Non avevo mai visto un mago più distratto di te» disse Luna, mentre s’incamminavano verso le carrozze.
«Scusami. Ero...» Chinò la testa, un po’ abbattuto dal fatto che la strega si era avvicinata per parlargli e il suo cervello non l’avesse nemmeno considerata. Certo, non accadeva tutti i giorni di avere una conversazione con un uomo praticamente immortale. Neanche lei, però, poteva essere definita un essere ordinario. Luna Lovegood era come una cerva: una creatura selvatica e sfuggevole. Vederla avvicinarsi era un’occasione che per uno come lui capitava una, forse due volte nella vita. E l’aveva completamente sciupata.
«Oh, non fa niente! Anche io mi perdo spesso nei miei pensieri. È come fare un bel viaggio in un posto pieno di creature rarissime.»
Già s’immaginava il commento acido di Richie. «Immagino di sì.»
«Cosa stavi immaginando di bello?»
Damien non sapeva esattamente cosa l’avesse spiazzato in quella domanda. Impiegò del tempo per pensare a cosa risponderle, e anche di più per sussurrarle quanto bastava. Tanto che la carrozza trainata dai thestral stava per uscire dai confini della Foresta Proibita.
«E questo è quanto. A te… pare possibile, quello ho visto?»
L’espressione di Luna Lovegood non fece alcuna inflessione. «C’è solo un modo per scoprirlo, non credi?»
«Quale?»
Lei lo prese per mano e si alzò, scansando l’intreccio di gambe e piedi degli studenti che li circondavano. Damien era troppo scioccato per opporre resistenza. «Indagare, naturalmente.»
«Intendi a-adesso?» Si guardò intorno. Tutti quegli occhi fissi su di lui lo mettevano in soggezione.
Luna annuì. «E quando, se no? Andiamo!»
 
Non pensava che Luna fosse il tipo di strega capace di mettersi nei guai. Era eccentrica, e non c’era bisogno che Richie gli spiegasse perché, ma tra il loro incontro fortuito a Notturne Alley, quelli segreti a cui partecipava con Harry Potter e la sua cerchia di amici, era evidente che Damien non la conoscesse bene come avrebbe potuto; un pensiero gli cuciva sempre addosso un profondo senso di tristezza. Le offrì ancora una volta la mano e la aiutò a scendere, come già era successo qualche mese prima.
«Molte grazie.»
Stavolta Damien riuscì a non arrossire, ma anche quella volta aveva la bocca troppo impastata per risponderle. Lo spiazzo era esattamente come lo ricordava. Era lì che avevano affrontato gli Invasati la prima volta. Il varco aperto nell’isoletta di roccia continuava a sembrare minaccioso e buio; Damien si scoprì a deglutire a vuoto, ripensando all’ultima volta che l’aveva attraversato. Aveva troppa paura che potesse succedere qualcosa a Luna. Non se lo sarebbe perdonato.
«Forse è meglio se resti qui. Faccio un controllo veloce e…»
«E perdermi di nuovo l’occasione di esplorare questo posto? Potrebbe essere la tana di una creatura magica.» I suoi occhi s’illuminarono di emozione. «Forse troveremo finalmente una traccia del Ricciocorno Schiattoso! Devo assolutamente…»
L’afferrò per la manica. «Luna, sono serio.»
«Anche io» rispose lei. «Non scherzo mai quando si tratta di creature magiche.»
Arrossì, ma non cedette. «Davvero, potrebbe essere pericoloso.»
«Allora è un bene che ci sei tu. Conosco solo uno studente più in gamba di te nella Difesa contro le Arti Oscure.» Si girò, solo per tornare a rivolgergli un sorriso svagato. «Ma non così tanto, sai?» E cominciò a incamminarsi.
«Non è vero» sussurrò Damien a denti stretti, prima di seguirla.
Se Cedric non l’avesse preso sotto la sua ala, non sarebbe stato capace di lanciare un banalissimo incantesimo Riddikulus. Era Glyn a fare tutto. Lui non doveva fare altro che lasciarsi manovrare come una marionetta e fare da spettatore mentre quello spirito, ricordo pre-morte, o come accidenti voleva chiamarsi, usava il suo corpo meglio di quanto lui sarebbe mai stato in grado di fare. Stava imbrogliando, ecco la verità! Prendendosi dei meriti che non erano suoi; se Glyn non gli avesse proibito di farne parola ad anima viva, l’avrebbe già confessato a tutti. Odiava quella situazione, ma più di ogni altra cosa temeva che qualcuno potesse guardarlo con occhi diversi, vedere in lui un nuovo Cedric. Quello non sarebbe proprio riuscito a sopportarlo: nessuno avrebbe mai eguagliato Ced, men che meno un bamboccio come lui.
Prima quella storia fosse finita, meglio sarebbe stato. Per tutti.
«In verità, c’è un’altra persona» aggiunse Luna, mentre Damien la raggiungeva.
Il Tassorosso s’ingobbì sotto il peso di quelle parole. «Davvero, Luna. Non sono niente di speciale...»
«Alma» sillabò con semplicità, prima di guardarlo con i suoi occhi azzurri strabuzzanti.
«Alma?»
«Non ti ricordi? Quella notte al pub. È stata lei a mettere l’Amato a tappeto.»
Fosse stato per Damien, quella notte l’avrebbe se la sarebbe estratta dalla memoria a mani nude. Si sentiva male al solo pensiero. Glyn non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma quando si erano collegati per combattere Damien aveva guardato dentro di lui e aveva provato le sue stesse sensazioni. Era stato messo alle strette e, se non fosse stato per Alma, davvero non sapeva come sarebbe andata a finire.
«In effetti ha colto di sorpresa un mago capace di battere il professor Piton. Quell’incantesimo che ha usato è un portento.»
«La conoscenza è una risorsa preziosa, se aspira alla grandezza. Il professor Vitious lo ripete in continuazione.»
Damien si grattò la guancia. «Davvero, Luna, non sono così speciale…»
Ma lei era un treno in corsa. «È la sua pupilla, lo sapevi? Conosce tantissimi incantesimi, per essere solo una studentessa del quarto anno.»
«Non era la Granger, la pupilla di Vitious?» Di quella strega sentiva spesso dire in giro che avesse portato l’espressione “pozzo di conoscenza” ad un nuovo livello. Metabolizzava informazioni a colazione, pranzo e cena, come se avesse scoperto un incantesimo capace di potenziare la comprensione e la memoria del 200% rispetto ai comuni mortali; Richie aveva addirittura teorizzato che avesse dei circuiti cibernetici al posto del cervello. 
Per una frazione di secondo, Luna fece una strana smorfia. «Ha dovuto accettare a malincuore che una Corvonero nata è stata assegnata a Grifondoro, ma rimane il nostro direttore. Sai meglio di me quanto gli insegnanti possano essere protettivi con gli studenti della propria casa.»
Aveva ragione. Non passava giorno senza che la professoressa Sprite gonfiasse il petto per ogni impresa di Cedric. L’anno scorso, durante il Torneo Tremaghi, era talmente elettrizzata che dalla sua bacchetta non di rado sprizzavano scintille; la serra aveva rischiato di prendere fuoco almeno cinque volte in un mese! Per non parlare di Piton, sempre pronto a coprire le malefatte dei suoi protetti. Solo la McGranitt sembrava mantenere una sorta di aplomb… ma sotto sotto si vociferava che fosse la più competitiva del corpo insegnanti.
«Immagino di sì.»
Continuarono a esplorare la grotta con le loro bacchette puntate verso l’oscurità. Non di rado, Luna lanciava degli sguardi indagatori ai glifi sparsi sulle pareti di roccia, tuttavia sembrava così decisa ad andare fino in fondo, questa volta, da non soffermarsi su nessuno in particolare. Procedeva così veloce che Damien si chiese come facesse a non inciampare sui propri passi.
«Secondo te hanno già dato un’occhiata a questo posto?»
«Come?»
«Gli insegnanti. Piton non ci avrà creduto quella notte, ma dopo quello che è successo a Notturne Alley e…»
Si fermò così all’improvviso che Damien si guardò immediatamente intorno, aspettandosi di veder sbucare da un momento all’altro chissà quale mostruosità. «Cosa?! Oh, parli della biblioteca! M-Me l’ha detto Alma, prima delle vacanze. Penso che lo sappiano anche Fred e George Weasley, e Richie naturalmente. Però non lo abbiamo detto a nessun altro. Sappiamo che i professori vi hanno ordinato di non dire niente. Solo… I-Insomma, nel bene o nel male in questa storia siamo tutti coinvolti.»
Anche quello era stato strano: un’intera biblioteca esplosa e quasi nessuno sembrava essersi accorto dell’accaduto. Glyn era furioso, quando aveva saputo dell’incontro ravvicinato tra le tre ragazze e l’Amato. Anche questo non l’avrebbe mai confessato apertamente, ma quella facilità, che aveva l’Amato, di muoversi indisturbato in ogni angolo della scuola cominciava a preoccuparlo. Damien… era come se lo percepisse. Certe volte gli sembrava di vedersi mancare la terra sotto i piedi. Ma quel senso di turbamento non apparteneva a lui. Non del tutto.
«Ma cosa vuole questo mago?» domandò Luna.
«Non lo so. Possiamo solo fidarci dei professori. È già successo con la Camera dei Segreti, ricordi? E con Black. Sapranno sicuramente…»
E all’improvviso la terra sotto i piedi gli mancò letteralmente! Il terreno si aprì in una piccola buca e Dam ci capitombolò dentro con tutte le scarpe. Picchiò almeno tre, quattro volte contro qualche spigolo di roccia mentre precipitava. Il tonfo finale fu rumoroso; tremendi i suoi squittii di dolore.
«Damien! Stai bene?»
«Sì» le rispose, cercando di mascherare un gemito di dolore. «Questa non c’era l’altra vol…»
E nemmeno quel viso piagato dalla putrefazione, dagli occhi luminosi, che lo fissava nell’oscurità!
Damien trasalì. Era lui, lo riconosceva! L’essere che aveva visto prima di perdere i sensi. Prima che il bracciale azzurro si attaccasse al suo braccio; prima che quella brutta storia avesse inizio. Cercò a tentoni l’appoggio della parete e dopo essersi sollevato ci rimase appiccicato, senza avere il coraggio di muovere un muscolo, senza fiatare.
– Piano, adesso. –
Damien non diede ascolto alla voce di Glyn. Il suo sangue sembrava che gliel’avessero appena succhiato via tutto d’un fiato, lasciando nelle sue vene soltanto il gelo. Una riga di sudore discese lungo la tempia, scandendo il passare di quegli attimi interminabili. – C-Che sta facendo? –
– Ci sta studiando – disse Glyn, mentre la figura scivolava tra le ombre, e si avvicinava. – Si starà domandando perché non gli abbiamo riportato ciò che vuole. –
– Tu non… Tu non sai cosa sta pensando? –
Non gli rispose, e lo zombie continuava ad avvicinarsi. Un passo sconnesso alla volta, alla volta. Alla volta… Damien lo vide stendere un braccio e iniziò a sudare freddo. La mano, secca e nera, viscida di adipocera, si stava allungando. Sempre più vicina al suo viso.
«Vedi qualche traccia del Ricciocorno?»
La creatura ebbe un sussulto alla voce di Luna. Guardò in alto, prima di fissarlo intensamente con quegli occhi ultraterreni. Poi si dileguò nelle tenebre.
Damien scivolò di nuovo a sedere, incapace di esalare una parola che fosse una.
 
«È qui che ti sei fermato?»
Damien annuì: era un’altra bugia, ovviamente. Aveva esplorato quella grotta fino a trovare uno strano altare tempestato di glifi. Allora la strada era stata dritta come la punta di una freccia. Quel giorno, invece, avevano preso così tante svolte e deviazioni che temeva seriamente di aver perso l’orientamento. C’era qualcosa in quella grotta che la rendeva speciale. Era come se ogni galleria potesse muoversi a suo piacimento, un po’ come le scale del castello. Ma ad Hogwarts Damien aveva sempre la cognizione che le cose stessero per cambiare. Qui, invece, il mutamento era furtivo e disorientante. Luna non poteva immaginarlo, ma Damien ormai l’aveva capito: qualunque magia fosse all’opera, qualcosa, o meglio qualcuno, non voleva che Luna vedesse cose che non doveva vedere. Cose che solo lui aveva visto.
Soltanto lui, in effetti. – Come hanno fatto gli Invasati a raggiungere l’altare? –
– Non sono io a controllare questo posto. – Fu l’unica risposta che ricevette da Glyn.
«Direi che da qui si può solo tornare indietro.»
Se era delusa, Luna doveva essere brava a mascherarlo. Il suo viso non aveva alcuna espressione, era come se il suo cervello si fosse fermato improvvisamente mentre elaborava un pensiero. Cominciò a ispezionare con attenzione i vari glifi che brillavano intorno a loro. Camminandoci vicino, passando le mani sulla parete con fare pensieroso. «Tu hai idea di cosa significhino?»
Damien non aveva idea della stragrande maggioranza delle cose che aleggiavano intorno a Glyn e alla sua presunta non-morte e francamente non aveva nemmeno tutta questa voglia d’indagare. Era certo che non ne avrebbe ricavato nulla di buono. Se rispose, fu solo per educazione: «Non saprei. Mi viene in mente soltanto che il Patronus e l’incantesimo dell’Amato hanno gli stessi colori. Blu e nero, vedi?»
Luna scosse la testa. «Ma c’è anche l’argento.» Gli indicò una porzione di roccia che a prima vista sembrava sgombra. «Proprio lì.» Aguzzando la vista, Damien fece un passo avanti. Allungò il braccio dove Luna aveva indicato e trovò un segno sbiadito, opaco, quasi impercettibile ad occhi nudo. «Sono dappertutto» riferì la giovane strega, mentre lui esaminava con attenzione.
«Sì, adesso ricordo. Probabilmente sono solo delle rune antiche. Qualunque cosa significhino...»
«Non ti sembra un po’ strano?» Luna gli si accostò vicinissimo. «Questo posto era ben nascosto, eppure gli Invasati sapevano benissimo dove cercare. Qualunque cosa volessero, per loro era così importante che ci avrebbero ucciso. Loro sanno cosa significano questi segni.»
La mano di Dam andò a sfiorare uno dei simboli sbiaditi e tutto ciò che lo circondava, immediatamente, iniziò a ruotare in modo impazzito! Fu come se una voragine si fosse di nuovo aperta sotto i suoi piedi. Si sentì trascinare via dalla forza centripeta. Urlò, ma nel marasma di boati fragorosi e vortici impetuosi l’eco della sua voce era come un sibilo nel vento. Fu sballottato dalla corrente e trascinato verso il fondo, sempre più a fondo. In un luogo dove non c’era altro che tenebra. Che diventava molle, poi di nuovo solido. E di nuovo molle. Quell’abisso stava facendo a brandelli tutto ciò che lo circondava. Lo piegava, lo spezzava in frammenti minuscoli di terra e cielo che si mischiavano in modo confuso.
Prima che se ne rendesse conto, quella stessa corrente lo spinse via. Rigettandolo, spedendolo a rotolare sulla sabbia. Lo fece diverse volte prima di riuscire a fermarsi.
Gemette, cominciando a rialzarsi. Aveva le braccia e le spalle dolenti e la schiena la sentiva completamente a pezzi. Quando provò ad aprire gli occhi, vide tutto grigio. «Cos’è successo?» biascicò. «L-Luna?» La cercò in ogni direzione, ma della strega non c’era traccia. «Ma… dove sono finito?»
Il cuore cominciò a battergli all’impazzata. Intorno a lui non c’erano più le anguste pareti di una grotta buia. Si trovava all’esterno: un luogo a cielo aperto, costeggiato da un enorme fiume. Piante acquatiche crescevano sulle sue sponde. Tutto era grigio come il metallo; persino il fuoco e la miriade di bancarelle fatte di tela e corde di canapa che lo circondavano. Sembrava di trovarsi nel cuore di un mercato orientale. Antico, con le strade fatte ancora di terra battuta e illuminate non da lampioni ma da grandi bracieri; sullo specchio dell’acqua, per un momento, scorse il dorso di un enorme rettile e indietreggiò spaventato.
«Che posto è questo? P-Perché è tutto grigio? Perché…?» Rimase a bocca aperta.
Un’enorme piramide svettava sulla piazza di quel mercato. La gente del posto andava e veniva senza curarsi minimamente della colossale struttura che si ergeva sopra le loro teste. Come se fosse sempre stata lì, e fosse lui, in realtà, quello fuori posto. Forse era vero, ragionò, mentre osservava la marea di persone che piano piano diventava sempre più densa; come se ogni secondo il loro numero si moltiplicasse, rendendo quel piazzale sempre più angusto e ricco di astanti.
Non c’erano solo maghi e non erano nemmeno vestiti con abiti moderni. Se stava guardando un raduno di amanti della storia, dovevano essere davvero preparati. I costumi, la sceneggiatura: era la perfetta rappresentazione di un popolo mediorientale. Tremendamente perfetta. Egiziano, forse. Di sicuro molto antico. E perché continuava a vedere tutto grigio?
«Fa’ attenzione» gli comunicò Glyn. Di punto in bianco, era apparso fisicamente alla sua destra, vestito come la prima volta che si erano incontrati faccia a faccia. Non gli lasciò nemmeno il tempo di riprendere fiato. Lo prese per il colletto e iniziò a trascinarlo per le bancarelle. «Stammi vicino.»
«O-Ok, ok! Piano, però!»
«E fa’ silenzio» sibilò. «Il passato è un tempo pericoloso.»
«Questo è il…!»
L’espressione truce e minacciosa che gli lanciò, lo indusse al silenzio. Oltrepassarono carretti pieni di merci esotiche. Nella fretta, Damien riuscì a cogliere solo pochi dettagli. Vide piante carnivore che… cantavano? Avevano voci davvero stridule. Un mago palleggiava con degli alberelli travasati in dei recipienti fatti letteralmente d’aria; lì usava come palloni, neanche fosse Maradona, per l’estasi della folla che gli si era accalcata intorno. Strani strumenti simili a flauti e archetipe fisarmoniche libravano nell’aria, producendo uno sfondo musicale dai toni piuttosto accesi. C’erano incantatori di serpenti, folletti che passeggiavano avvolti in turbanti grandi la metà di loro; donne dall’aspetto curato e dai trucchi più elaborati che Damien avesse mai visto passeggiavano qua e là, accompagnate da strane creature simili a enormi felini. No, non erano creature: quei tatuaggi prendevano forma e poi ritornavano a spalmarsi tra le pieghe e le profonde scollature dei loro abiti. C’era una quantità abnorme di gatti; una donna corpulenta, coperta da decine di strati di veli azzurri, ne era completamente carica e al suo passaggio la gente chinava la testa in forma di rispetto.
«Sì, questo è un ricordo. Perché accidenti hai toccato quel glifo?!»
«Perché non mi hai detto di fermarmi?!»
Glyn grugnì. Continuava a trascinarlo lontano dalla strada principale. «Sei nel mondo magico! Se vedessi una salamandra, ti precipiteresti a toccarle la coda senza prima farti due domande?» Damien gli disse subito di no. «Forse perché niente è come sembra. Non siamo babbani. Sei un druido, per tutti i dei! Mago, o come vuoi farti chiamare! Come sei sopravvissuto fino ad oggi?»
«Sono ancora uno studente!»
Il druido rispose con un verso seccato: «Studente …»
«Sì, beh, magari non sono tra i più brillanti del mio corso, ma…»
«Silenzio, ho detto! Questo ricordo è pericoloso: molto pericoloso. Stai per vedere qualcosa di terribile, ragazzo. Spero che tu abbia lo stomaco per sopportarlo, perché l’uscita si trova proprio nella tana del mostro. Da qui non si torna indietro.»
Qualcuno che si aggirava nelle ombre. Grigio come tutto ciò che li circondava, eppure attirò l’attenzione di Damien come sprigionasse mille colori. Era un uomo. Nastri di stoffa gli coprivano il viso, eccezion fatta per gli occhi. Vestiva una casacca senza maniche che metteva in evidenza due braccia esili ma muscolose, sporche di fuliggine. Indossava delle brache larghe e calzature molto simili a pantofole sottilissime. Lungo tutto il braccio destro era avvolto un ciondolo lunghissimo, simile nella forma a un rosario. Si stava dirigendo verso la grande piramide; proprio dove Glyn li stava conducendo. Veloce come un’ombra nella notte, agile e scattante. Saltava lungo i tetti delle casette limitrofe in terra battuta; per un momento diventava quasi invisibile, salvo poi riapparire poche svolte più avanti. I suoi passi non emettevano alcun suono; le sue orme magicamente sparivano dopo il suo passaggio e il terreno tornava liscio e intonso.
Due guardie sorvegliavano l’accesso alla piramide. Due uomini armati di lunghe picche, che si appoggiavano svogliati alle porte di un lungo passaggio sotterraneo.
Glyn lo costrinse ad accucciarsi insieme a lui dietro una grande palma. «Ascoltami attentamente. Questo popolo è molto lontano dal nostro. Si trova a Sud, molto più a Sud di quanto tu possa immaginare. I loro Dei erano diversi dai miei, e anche le loro tradizioni. Qui erano soliti seppellire i morti di grande valore in queste enormi tombe, ma prima…»
«Lo so che facevano gli egizi» gli rispose Damien.
Il druido sembrò spiazzato dalla sua risposta. «Li conosci?»
«Studio storia. Lo sanno tutti. Mi sorprende che lo sappia tu, a dire il vero.»
«Mi stai dando dello stupido per caso?»
«No! Ma non sapevi cosa fosse una scimmia, quindi vai a capire quanto ne sai di geografia…»
Se era arrossito, Damien non riuscì capirlo. Sia per il grigio che li circondava, sia perché Glyn si era girato di nuovo verso le guardie, borbottando qualcosa come: «Le mie battaglie con l’Amato non conoscevano confine. Molti popoli hanno sanguinato a causa della nostra faida. Molti campioni mi hanno indossato prima di te.»
Mentre lo diceva, lo straniero che avevano inseguito si avvicinò di soppiatto alla prima guardia. Gli prese la testa tra le mani e… Dam volse lo sguardo altrove pur di non assistere e si tappò le orecchie pur di non sentire. Aveva la nausea. Per un attimo fu sul punto di vomitare, poi Glyn gli assestò un paio di pacche decise sulla schiena e gli tirò forte la guancia. «Tirati su. Dobbiamo andare.» E indicò la piramide.
 
Avrebbe avuto gli incubi per settimane. Lo straniero si era lasciato dietro una montagna di corpi, riuscendo a muoversi tra le ombre senza far scattare l’allarme. Si muoveva sinuoso come un serpente. Con movimenti lenti, pazienti… ma letali. A volte attendeva il suo bersaglio per interi minuti in una posizione favorevole, prima di aggredirlo e metterlo fuori combattimento. Procedeva inesorabile verso il suo obiettivo, tanto che Damien e Glyn avevano dovuto iniziare a correre per stargli dietro.
Osservarlo, soltanto per pochi attimi di sfuggita, gli era bastato per capire cosa intendesse Glyn quando diceva che nella sua epoca i maghi erano anche dei guerrieri. Non era solo un potente fattucchiere: affrontava le guardie anche a mani nude, le soffocava in prese contorte fino a farle perdere i sensi. Avrebbe dato del filo da torcere persino a un drago come Bruce Lee; se Richie l’avesse visto, sarebbe andato in brodo di giuggiole.
Le stanze che attraversavano erano tempestate di gradini che salivano, scendevano, deviavano verso destra o sinistra, verso ampi archi che conducevano verso altre centinaia di stanze. Lo straniero era riuscito ad arrampicarsi su una trave e poi a cadere su due guardie calandosi su di loro e facendole cadere per diverse rampe; aveva pietrificato un’altra guardia prima che potesse conficcargli la lancia nella spalla, senza nemmeno pronunciare l’incantesimo, e aveva fatto ruotare quella stessa lancia sopra la sua testa prima di sbatterla sul muso di un altro guardiano.
Non stava usando nemmeno una bacchetta: era quello strano rosario a lanciare le fatture. Sembrava un’entità quasi… viva. Si attorcigliava intorno al collo o al torace dei suoi bersagli e consentiva allo straniero di proiettarli con facilità; il sortilegio scudo poteva essere lanciato da una qualsiasi delle perle che lo componevano e che fluttuavano intorno a lui. Se le appoggiava al muro, ciascuna perla s’illuminava e i mattoni iniziavano a muoversi come un formicaio vivente; certe volte era lo straniero a entrarci, attraversandoli, altre i suoi nemici, che sparivano all’interno di quell’ammasso semovente senza mai più riapparire.
 
Damien aveva il fiatone, quando il suo predecessore varcò l’entrata dell’ultima stanza. Era stata una salita faticosa, sentiva le gambe a pezzi. Eppure, mentre lui era chino sulle ginocchia, lo straniero sembrava non aver versato nemmeno una goccia di sudore.
«Entriamo.» La voce di Glyn divenne più grave e profonda che mai.
Lo seguì dentro e, per la prima volta da quando era entrato in quel ricordo, Damien rabbrividì di paura. Il freddo lo investì all’improvviso, così intensamente che, per lo sforzo di respirare, i polmoni lamentarono una fitta di dolore atroce. Quella stanza sembrava un luogo d’imbalsamazione. C’era un forte odore di putrefazione e composti chimici. Decine di mummie erano disposte in modo ordinato su delle lettighe. Le bende che li avvolgevano erano strappate in corrispondenza degli organi vitali. Nonostante le enormi finestre che davano verso l’esterno, il buio era quasi totale e nell’oscurità tutto ciò che risaltava era il luccichio di due occhi felini.
Quanto più quelli di Damien si abituavano, più particolari affioravano tutti insieme.
Lo straniero guardava dal basso una figura seduta su un trono elaborato. Enorme. Fatto interamente di mattoni grigi e innalzato sopra un altare. A separarli, una lunghissima scalinata. Alla cui metà esatta c’era un altare. Su di esso era deposto un cadavere avvolto da un sudario grigio. Un grigio diverso. Più nitido, rispetto alle tonalità sbiadite che lo circondavano.
C’era un donna, seduta sullo scranno. Una fanciulla dai capelli scurissimi come ali di un corvo e occhi magnetici che rilucevano dello stesso luccichio sinistro che aveva intravisto pochi istanti prima. La sua veste era lunga e scollata. Centinaia di gioielli e bracciali la adornavano, insieme a un elaborato copricapo sacerdotale, ma a far trasalire Damien un solo oggetto, quello stretto al suo braccio destro: due serpenti gemelli che s’intrecciavano, neri. Quella donna era la portatrice dell’Amato.
Lo straniero disse qualcosa in una lingua antica, sprezzante. «… la tua indecenza non conosce limite. Impossessarti del corpo di una donna? Sei riprovevole.»
L’Amato distese le labbra carnose della posseduta in un sorriso di sufficienza. «Cosa c’è, Glyn? Sei troppo uomo per provare a metterti nei panni di una donna? Questo non è più il nostro tempo. La civiltà si evolve. È un procedimento lento ma inarrestabile. E le fondamenta su cui un tempo si reggevano i nostri valori ora vacillano.» Si guardò le unghie. «Senza aprirsi a nuove esperienze, come potremmo sperare di stare al passo? A volte, sai, fa bene cambiare prospettiva.»
«Sei disgustoso. Ora scendi. Qualunque cosa stessi architettando di far per profanare questi morti, finisce qui.»
Il sorriso dell’Amato questa volta divenne più ampio e sornione. «Credo che se tu ragionassi attentamente sul modo in cui ha pronunciato le tue ultime parole, vecchio amico, ti renderesti conto del tuo errore. Vedi, dal mio punto di vista, invecchiare significa smettere di imparare, e di acquisire conoscenza. Di essere. Si diventa più saggi, ma il prezzo è chiudersi al progresso. Sei una reliquia del passato, caro Glyn, più di quanto non sia io.»
Le perle del rosario s’illuminarono. «Scendi, ho detto!»
«Ti sei sempre servito di campioni che sono a tua immagine e somiglianza. Da loro non hai imparato altro che l’arte del combattimento. Ma d’altronde, non sei mai stato famoso per l’erudizione. Io…» A un suo breve gesto della mano, il sudario iniziò a sussultare. «… e te, non potremmo essere più diversi.»
Anche lo straniero percepì quel lieve movimento. Fece un passo avanti. «Creare gli Invasati non ti bastava, adesso vuoi servirti anche degli Inferi?»
«Credi davvero che abbia fatto tutta questa strada per creare degli Inferi? Questo popolo ha ampliato il suo sapere sulla vita e la morte. Nessun druido ha mai raggiunto una simile conoscenza, ed ora è mia.» Il sudario iniziò a sollevarsi lentamente e a cambiare forma. «Dimmi, amico mio: cosa me ne faccio di meri cadaveri, quando al mio fianco ho i Dissennatori?»
La stanza, adesso, era più gelida che mai. La creatura che prese forma intorno al sudario finì di assumere una fisionomia che Damien riconobbe immediatamente: una che, rispetto a ciò che li circondava, era fin troppo reale. A differenza dei Dissennatori che aveva visto finora, quello era più grande e grigio; il freddo che portava con sé era più gelido, tanto che sentiva la pelle iniziare a incrostarsi di ghiaccio.
«Q-Quello c-che cos’è?» domandò con un filo di voce e i denti che battevano all’impazzata.
Bastò quel flebile sussurro per far girare la testa della creatura proprio verso di lui.
«Questo Dissennatore non è nato: è stato creato» gli rispose Glyn, guardingo, facendolo trasalire. «È più forte, più maligno. Più simile all’uomo… Scappa.»
Ancora una volta, Glyn lo prese per un braccio e ricominciò a trascinarlo di peso.
«Scappare? Stai scherzando?! Prima mi trascini qui e ora mi dici di darcela a gambe?!»
Il sibilo spaventoso che sentì alle spalle, tuttavia, lo spronò a correre più veloce che mai, ignorando la fatica e il dolore. Il più lontano possibile, con quanto fiato aveva in corpo.
«Te lo spiego se sopravviviamo!»
«Se sopravviviamo?!!»
Si guardò alle spalle e ciò che vide lo fece rabbrividire: il Dissennatore era già alle loro calcagna! Damien non avrebbe mai immaginato che un ricordo potesse effettivamente uccidere, ma il sesto senso gli suggeriva che cadere nelle grinfie di quella creatura non sarebbe stato affatto salutare; quello e grida di Glyn che gli intimava di muoversi! Aveva paura: una paura terribile. Aveva rischiato la vita ormai decine di volte, ma in quel momento la prospettiva di morire era più concreta che mai ed entrò nel panico più completo. Le gambe tremavano, la sua corsa era diventata così instabile che non si sorprese quando inciampò sul gradino dell’ennesima scalinata. Rotolò giù fino a sbattere con la testa contro l’angolo della parete ai piedi delle scale.
«Ragazzo!» La voce di Glyn echeggiò da qualche parte, ma Damien era troppo stordito per rialzarsi.
Aveva la vista annebbiata. Un rivolo di sangue caldo cadeva dalla fronte e seguiva i contorni di un viso paralizzato nel terrore. Il Dissennatore era lì. Braccia scheletriche, pallide, che fuoriuscivano dal suo sudario e protendevano verso di lui unghie acuminate come artigli. Damien era paralizzato dal terrore. Non riusciva a muoversi, non riusciva respirare. Guardava le forme orribili della creatura, alla bocca che pian piano si apriva, liberando il tanfo della morte. Per un momento non successe nulla. Poi le sue speranze iniziarono a crollare come un castello di carte. La speranza, sembrava che gliel’avessero appena portata via; la felicità, se mai fosse esistita nella sua vita, era solo una pallida ombra della verità. Ricordò il volto esanime di Cedric. S’impresse a fuoco nella sua testa, insieme ai suoi ricordi più orribili. Era come se il muro dietro il quale li aveva imprigionati si fosse dissolto, facendo dilagate le più tremende storture della sua esistenza.
La mano della creatura si serrò intorno alla sua gola. Gli artigli si conficcavano nella carne più in profondità con ogni respiro. Davanti a lui esisteva solo la bocca della creatura: circolare, nera, senza denti, come un orbita vuota dentro alla quale non esisteva altro che vuoto profondo. E più a lungo scavavano, più quelle dita era come se scivolassero sotto pelle, come tentacoli che si aggrovigliavano all’interno della testa. Provocando dolore, sconforto, assorbivano tutto ciò che lo rendeva vivo.
Sprofondarono senza freno finché qualcosa non li frenò improvvisamente.
 
Damien si ritrovò catapultato in un nuovo ricordo. Stavolta non stava osservando la scena da lontano. Era lui a viverla, in prima persona, ma era tutto decisamente diverso da come era stato. Una luce dorata investiva la Sala Grande di Hogwarts. Gli studenti del primo anno, che come lui attendevano di essere smistati, erano ombre che si muovevano come le fronde di un albero. Nessuno di loro era definito. Sembravano le caricature sfocate e annerite di una fotografia davvero troppo vecchia.
«Ginny Weasley» chiamò la voce della McGranitt.
Un’ombra si staccò dal loro gruppo e si fermò dove solitamente veniva posto lo sgabello.
«Oh! Un altro Weasley! Una piccola Weasley, questa volta. Anche con te so esattamente cosa fare. C’è coraggio, in te, ma anche un terribile peso. Quando te ne libererai, spiccherai il volo. Ne sono certo. Grifondoro!!»
Damien non aveva mai capito cosa intendesse il Cappello Parlante. Ginny era sempre stata una ragazza solare e contagiosa. Se mai avesse avuto un peso da portare, lo nascondeva bene.
«Richie Gallagard…»
Un’altra ombra prese il posto di Ginny, che scomparì pian piano sullo sfondo. All’epoca, ancora non conosceva bene il suo migliore amico. Era solo lo strano ragazzo che l’aveva tamponato una volta varcato il passaggio del binario nove e tre quarti.
«Uhm, sei bizzarro, ragazzo. Vedo molta incoscienza, in te. Vedo un futuro roseo, ma non sai ancora come coltivarlo. Se solo ti applicassi, potresti fare grandi cose. Corvonero sarebbe l’ideale, ma sospetto che troppe regole, per uno spirito come il tuo, sarebbero controproducenti. Credo proprio che Tassorosso sia la scelta più giusta.»
Fu il turno di Alma. «Erano anni che non incontravo qualcuno come te. Staresti bene in qualunque casa dovessi collocarti e ciascuna avrebbe su di te la sua influenza. Serpeverde coltiverebbe la tua ambizione, Corvonero soddisferebbe senz’altro la tua sete di conoscenza. In Grifondoro e Tassorosso troveresti degli amici sinceri e leali, pronti a seguirti. Basterebbe una spinta, e il tuo destino cambierebbe in modo così netto che ne provo quasi paura.» Inaspettatamente, le pieghe del Cappello Parlante erano svanite. «Forse non è una spinta, ciò di cui hai bisogno, ma di una mano tesa nel momento del bisogno.»
«Io non ho bisogno d’aiuto» aveva replicato Alma.
«No, certo che no. Non da me, almeno. Ma un aiuto verrà dato sempre, ad Hogwarts, a chi ne ha bisogno. Fino ad allora, sarà meglio… Corvonero!»
Per Damien era impossibile pensare ad Alma in abiti diversi da Corvonero. Sembrava che le fossero stati cuciti addosso come una seconda pelle. Eppure non aveva dimenticato quanto lei potesse essere spaventosa, quando si arrabbiava, o coraggiosa, o protettiva nei confronti di chi voleva bene.
«Lucilla Ollivander.» Era stata l’unica volta, in tutta la serata, in cui la voce della McGranitt aveva avuto un’esitazione. Il Cappello Parlante l’aveva sorteggiata in Serpeverde quasi subito.
«Damien Kiran.»
Quello era il suo momento. Lo ricordava perfettamente. Aveva le gambe di gelatina e gli tremava la voce. Era caduto pesantemente sullo sgabello e si era ingobbito mentre fissava il Cappello Parlante che veniva poggiato sulla sua testa. Sentirlo ridacchiare sopra le sue orecchie era stata una sensazione decisamente strana. «Non poteva capitare una scelta più facile. In te non vedo ambizione, né coraggio. E la conoscenza certamente non è qualcosa a cui un mago come te ambisce.» Ci fu qualche risatina. «Ma non è per queste mancanze che sei degno di sedere tra i Tassorosso…»
 
Riaprendo gli occhi, Damien fu abbagliato da un raggio di luce dorata. Il Dissennatore ne fu investito in pieno e iniziò a disperarsi e stridere come se avesse appena preso fuoco.
Una mano gli afferrò di nuovo il braccio. «Forza, ragazzo!» E insieme a Glyn ricominciarono a correre mettendo più distanza possibile tra loro e il Dissennatore. In quei momenti frenetici, Damien colse con la coda dell’occhio che c’era qualcosa alle spalle della creatura. Sembrava… fumo. Fumo dalle fattezze di una persona incappucciata e due grandi cerchi bianchi al posto degli occhi. Reggeva qualcosa tra le dita della sua mano tremante.
Poi insieme a Glyn superò la soglia della stanza e l’immagine del suo salvatore sparì.
«Chi era quello?»
«Non ne ho idea» gli disse il druido, che protese il braccio verso la parete e strinse la presa sulla manica di Damien.
Non ebbe alcun timore di finirci addosso, ma non era pronto per ciò che l’attese una volta che l’oltrepassarono. Quel vortice inteso che l’aveva risucchiato e risputato nel passato, adesso l’aveva di nuovo catturato nel suo frenetico vorticare. Cercò di rimanere aggrappato a Glyn come se da questo ne dipendesse la sua vita; ed era così. Ma era troppo debole, troppo provato dal Bacio del Dissennatore per mantenere una presa pulita.
Ancora una volta finì per essere rigettato e scaraventato via.
Stavolta, in una stanza ricca di colori e che riconosceva. O almeno, rimase contagiato da una profonda sensazione di familiarità per qualche momento. Quella era l’aula di Difesa contro le Arti Oscure. I tavoli erano stati accatastati agli angoli per fare spazio alla classe che la stava occupando. Maghi e streghe si trovavano nel bel mezzo di una lezione. Avevano tutti più o meno la sua età, eppure per Damien nessuno dei loro volti era familiare.
«Enunciate bene il nome di quest’incantesimo. È fondamentale che, qualora siate in una situazione di pericolo, ne abbiate padroneggiato i gesti e le parole. Quanto più rapidamente riuscirete ad evocarlo, tanto più la morsa della paura non avrà effetto su di voi» stava spiegando una voce maschile. «Di nuovo.»
«Riddikulus!!» ripeterono tutti in coro. Due ragazzi all’ultima fila sghignazzarono cercando di non farsi scoprire.
«Potter, Black. Vedo che vi state divertendo…»
Potter? Damien sbatté gli occhi, mentre un ragazzo dal viso familiare rifilava una gomitata al tizio riccioluto del duo. Effettivamente il ragazzo con gli occhiali era molto simile all’Harry Potter che aveva visto ritratto in milioni di riviste. I suoi occhi però erano diversi e tradivano un luccichio quasi febbrile. Anche l’amico riccioluto, Black, sembrava estremamente familiare, ora che ci pensava; dal modo in cui qualche strega li adocchiava, Damien era certo che Richie avrebbe saputo riconoscerli immediatamente; lui e Lucilla avevano un ossessione per il gossip che rasentava la malattia e quei… quattro ragazzi - sì, anche il Serpeverde minuto che si nascondeva dietro di loro -, avevano tutta l’aria di essere dei tipi che facevano parlare di sé.
Il ragazzo con gli occhiali, Potter, si schiarì la gola. «Ehm, sì, professore. Non è forse questo l’obiettivo di questa lezione? I Mollicci si sconfiggono con le risate.»
«Indubbiamente» gli rispose il… Professore?
Quando si girò, vide che effettivamente la Umbridge non c’era. L’uomo, in piedi vicino alla cattedra, era indecifrabile. Sembrava giovane, ma al tempo stesso c’era qualche ciocca bianca tra quei ricci neri e vivi. Occhi profondi e un viso che non avrebbe fatto fatica a catturare il cuore di qualunque strega volesse. Persino il suo portamento era magnetico, con quelle mani conserte dietro la schiena che mettevano in risalto una postura raffinata. Damien non aveva idea di chi fosse, ma era impossibile che un tipo del genere passasse inosservato.
- Deve essere un altro ricordo. -
«I Mollicci sono creature affascinanti. Hanno compreso che la paura è un’arma e possiedono l’ineguagliabile capacità di leggere nel cuore dei maghi e scoprire ciò che loro più temono. Avete mai riflettuto sulle loro impareggiabili abilità di metamorfosi? Vi siete mai interrogati su quanto intimamente essi siano legati al concetto stesso di magia? Essi possono esistere in molte forme. Possono replicare le abilità stesse della altre creature.»
«Senza questo incantesimo, sarebbe le creatura più pericolosa in questa stanza» rispose una voce sottile.
In molti si girarono verso la fonte: un ragazzo magrolino, dai capelli unti che gli cadevano sul viso e un naso adunco pronunciato. Al suo fianco, una strega dalla sfavillante chioma rossa annuì e prese parola: «Uno solo di essi potrebbe gettare questa scuola nel panico.»
«Molto bene. Il signor Piton e la signorina Evans hanno centrato il punto: la paura è un’arma temibile. Forse, è la più grande e pericolosa fonte di potere per un Mago Oscuro. Immaginate cosa significhi provare una terrore così intenso da cessare qualsiasi pensiero razionale. Temere a tal punto il proprio avversario non osare pronunciare neanche il suo nome. Sarebbe come affrontare una battaglia già persa in partenza. Ed è questa la vera forza della Magia Oscura: provocare paura.» Il professore guardò nuovamente verso Potter e Black. «Una volta che la paura s’insinua dentro di te, è difficile sconfiggerla con qualche risata. Talvolta, ridere non è che una… neanche così sottile manifestazione di paura.»
«Non è il mio caso» replicò Potter; Black rise insieme a lui.
«È chiaro…» replicò l’altro, con una voce melliflua che adesso assomigliava terribilmente a quella del professor Piton. «Sei più portato a terrorizzare i miei studenti, piuttosto che metterti nei loro panni. Dico bene, signor Potter?» Lentamente, il professore iniziò a liberare le braccia conserte. «Dev’essere difficile per uno come te provare empatia.»
Con la grazia di un serpente, il professore puntò la sua bacchetta contro il ragazzo di Grifondoro. Lui e il suo amico ebbero appena il tempo di inorridire, prima il professore enunciasse: «Tirannia.»
Gli effetti dell’incantesimo non furono subito visibili. Potter e Black rimasero immobili, quasi pietrificati sul posto. I tremori iniziarono dopo una dozzina di secondi. Violenti, spasmodici. Le pupille dei loro occhi si dilatarono in un modo che Damien trovò sinceramente in    quietante ed entrambi caddero a terra, girandosi e rigirandosi in preda alla disperazione.
Fu questo che la fece scattare. La ragazza dai capelli rossi, Evans, si precipitò verso di loro per accertarsi della situazione. Sembrava spaventata quanto loro, se non di più. Quando si voltò, aveva le lacrime agli occhi. «La smetta! Professor Voldemort, la smetta!»
Voldemort…
Per un attimo, Damien temette di non aver capito bene. Poi una scarica di adrenalina discese lungo la schiena e tutto ciò che lo circondava divenne più ovattato. Il suo stomaco si contrasse in una morsa feroce. Anche lui si voltò, lentamente, in preda al panico e al terrore più puro. Il più famigerato Mago Oscuro di tutti i tempi era proprio lì, davanti a lui. Un viso d’angelo e un’anima più nera delle pupille dei due Grifondoro che si rivoltavano nella paura. Anche Damien provò paura: un primitivo istinto di fuggire si fece strada attraverso di lui e le sue gambe si mossero da sole per indietreggiare.
Che cosa ci faceva lì il mago che aveva ucciso Cedric? Perché Silente gli aveva permesso di insegnare nel castello? Cosa stava succedendo?
Nonostante la sua nomea, Voldemort ebbe pietà dei due studenti. Sciolse l’incantesimo e per un po’ si limitò a osservare la giovane strega che si sincerava delle loro condizioni. Potter e Black apparivano provati dall’esperienza. Erano ancora a terra e nessuno dei due dava l’impressione di voler alzare la testa.
«Venti punti… saranno assegnati Grifondoro, signorina Evans.»
La strega si voltò immediatamente, come se fosse stata colpita da uno schiaffo. Nei suoi occhi verdi c’era un rancore che non poteva essere espresso a parole. «Ai professori non è concesso usare la magia contro i propri studenti.»
Voldemort annuì. «E ai maghi non è concesso usare magie che il Ministero ha severamente proibito.»
«Silente non approverà mai…»
«Silente mi ha assunto per insegnare a voi giovani studenti come difendervi dalle Arti Oscure ed è ciò che ho intenzione di fare. Il mondo al di fuori di queste mura pullula di maghi e streghe che ogni giorno cedono al suadente richiamo della magia oscura. Uomini e donne che non si faranno alcuno scrupolo ad usare la paura per fare del male. E se un giorno dovessero rivolgere i loro talenti contro i vostri cari. Resterete a guardare, mi domando? Tu, Lily Evans, sei rimasta a guardare?»
«Non lo farei mai.»
E all’improvviso, lo sguardo di Voldemort trovò Damien. Come se riuscisse a vederlo, come se la barriera tra presente, e un passato che non riusciva a concepire, si fosse assottigliata consentendogli di guardare al di là. «Perché il coraggio sarà sempre il nostro strumento più potente contro la paura. Ma la paura non è solo un’arma. Essa può essere uno scudo, impenetrabile quanto potente sarà il nostro bisogno d’impedire che i nostri peggiori incubi possano avverarsi.»
Una mano lo afferrò per il cappuccio della divisa da Tossorosso e lo trascinò via.
 
Un battito di ciglia e si ritrovò nella grotta. Accanto a Luna.
Era accaduto tutto così in fretta da lasciarlo scosso. Avrebbe avuto il fiatone, se il suo corpo non fosse stato paralizzato nell’apnea. La Corvonero lo stava guardando come se gli avesse appena fatto una domanda e si aspettasse una risposta. Quello che aveva visto, quello che aveva sentito… Possibile che lei non si fosse accorta di nulla?
«Ti senti bene? Hai la stessa faccia del tuo amico quando lo interroga il professor Piton.»
«I-Io… non lo so» ammise Damien. «F-Forse è il caso che torniamo indietro. Si staranno preoccupando.»
   
 
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