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Autore: ThatXX    06/06/2023    1 recensioni
– Cosa dovrei fare adesso? – chiese lei con un filo di voce. Assurdo. Aveva appena domandato a un folle assassino, all’uomo la cui spada aveva trafitto il ragazzo col quale aveva fatto l’amore, a colui che l’aveva salvata sparandole un colpo in testa, ‘dio che razza di follia, che cosa avrebbe dovuto fare da quel momento in avanti. Si chiese se non potesse andare peggio di così.
– Cambia cognome, allontanati da qui e non ti avvicinare mai più all’Istituto né a quei ragazzi. Se ho fatto credere loro di averti uccisa è stato solo perché tuo padre desiderava questo –.
[Continuo di Crisantemo]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Lei gli somigliava. Tutta la parte superiore del viso, colore degli occhi compreso, l’aveva ereditata da lui: dall’uomo che lo aveva reso libero. E se Toji Fushiguro si era spinto a tanto – nella sua scarna lista di buone azioni questa era senz’altro al primo posto – era stato solo per restituirgli il favore: una vita per una vita, ma con l’aggiunta di un extra in denaro o non se ne sarebbe fatto nulla. In fin dei conti, un milione e mezzo di yen era una richiesta esigua e onesta se messa a confronto con la ricompensa promessa da quegli invasati della Ruota Astrale. Di quella somma da capogiro era riuscito a mettersi in tasca soltanto l'anticipo, mentre il resto della paga era andato a farsi fottere per aver "distrutto" il corpo del Ventre. Che massa di creduloni.
Pazienza. L’anticipo di trenta milioni era più che sufficiente per starsene sei mesi in ozio, sempre che non si fosse fatto prendere dalla sua inveterata mania per le scommesse.
Con i soldi di quell’uomo avrebbe pagato Kong per il favore che stava per chiedergli, se solo quell’idiota si fosse dato una mossa a tornare.
 
Ayame si svegliò di soprassalto. L’ultima cosa che ricordava era il viso sereno di Suguru ma poteva essere che lo avesse solamente sognato. Aveva un nauseante mal di testa.
Le ciglia si mossero pazzamente qua e là a guardarsi attorno: era distesa sul divano di un piccolo salotto in una casa mai vista prima. Quanto all’uomo che fece capolino dalla cucina in quel momento, quello sì che lo aveva già visto. La frangetta corvina e frastagliata gli scendeva appena sugli occhi allungati. Lo sguardo della ragazza cadde sulla cicatrice che solcava verticalmente l’angolo destro della sua bocca.
 
L’uomo le rivolse un’espressione accigliata. Aveva l’aria pericolosa, lo sapeva; aveva con i propri occhi visto la sua spada svettare dal petto squarciato di Satoru. Ciononostante, Ayame non provò che un breve e fulmineo istinto di fuggire, solo quello, poi il nulla. Tornò a sentirsi come quelle bambole di pezza smarrite o abbandonate sul ciglio della strada. L’avrebbe uccisa, ne era sicura.
 
Lui venne avanti, le porse una tazza di tè e Ayame si animò di scatto mettendosi a sedere. Chiuse la tazza tra le dita infreddolite e la portò sotto al naso perché il vapore le desse un po’ di sollievo. Aveva freddo e il corpo non cessava di tremare.
 
- È normale – chiarì l’uomo esibendo una voce grave e uniforme. – Hai perso una notevole quantità di sangue e ora deve tornare in circolo -.
 
- Cosa è successo? –. Ayame lo fissò un istante, intensamente, un po’ a voler mettere una distanza di sicurezza tra sé e quell’uomo sinistro mostrando il proprio sangue freddo, ma poi abbassò lo sguardo. Non aveva saputo sostenerlo. Gli occhi erano quelli di uno spietato assassino e il loro verde acceso, smeraldino, aveva lo stesso colore di un potente veleno.
 
- Tecnicamente ti ho quasi uccisa – replicò lui con un tono inflessibilmente glaciale. – Ti ho sparato alla testa -.
 
Ayame si irrigidì ma continuò a mostrare un certo distacco. – Fai parte degli Q? -.
 
Fushiguro esplose in una risata fragorosa. La sua bocca era ampia, mostrò una dentatura perfetta e bianchissima. – Figurati se faccio parte di quella massa di imbecilli. Anzi, dovresti ringraziarmi. Se nessuno di loro ha cercato di mettere le mani su di te, principessa – sottolineò smaccatamente – è solo per merito mio -.
 
La ragazza comprese al volo. – Li hai uccisi? – chiese per avere conferma. Bevve un lungo sorso di tè.
 
- Precisamente – sibilò lui. L’uomo si sedette scompostamente sul divano. Tese il braccio lungo lo schienale, le dita rasentavano la spalla della ragazza, e divaricò le lunghe gambe. Gettò la testa all’indietro e la rivolse verso Ayame, ora rimpicciolita nell’angolo del divano. Lui la guardò con un sorriso sghembo, decisamente poco raccomandabile.

– Conosci la Tecnica di Inversione? – chiese e una risata argentina vibrò nel silenzio quando Ayame scosse timorosamente la chioma spettinata. – Sei davvero uno spasso, principessa – sottolineò ancora. L’accento un poco salace di quella parola le fece venire la pelle d’oca. – Ti consiglio di smetterla di guardarmi con quegli occhi spaventati o mi verrà ancora più voglia di farti paura – e si passò la punta della lingua sulle labbra frattanto che un sorrisetto sadico gli si dispiegava sulla bocca.
 
- Comunque – riprese sospirando; ora i suoi occhi di smeraldo puntavano al soffitto. – Ti ho fatta curare in tempo da un medico di mia conoscenza che è in grado di utilizzare la Tecnica di Inversione -.
 
- È impossibile – constatò prontamente lei: un velato coraggio trasparì nel tono di voce.
 
L’uomo la fulminò con lo sguardo. - No, non lo è – ribatté Fushiguro infastidito per essere stato contraddetto. – Ma per poter usare quella tecnica è necessario che la persona resti viva. Ti starai chiedendo come hai fatto a sopravvivere dopo un colpo in testa. Hai mai sentito parlare di Phineas Gage*? -.
 
Ayame annuì piano. Bevve un altro sorso di tè e posò la tazza sul tavolino davanti a lei. – Allora non serve che ti dica altro – concluse l’uomo alla svelta.
 
- Continuo a non comprendere. Per Phineas Gage si è trattato di fortuna. Mi sembra di capire, invece, che tu l’abbia fatto di proposito. È… -.
 
- Impossibile? – l’uomo le tolse le parole di bocca. – Non per me. Per farla breve, i miei sensi sono di gran lunga più sviluppati di qualunque altro essere umano. Sapevo perfettamente dove colpirti, principessa -.
 
Poi strisciò accanto a lei. Il petto ampio e scolpito, chiaramente visibile da sotto la maglietta aderente, si chinò sulla ragazza sovrastandola con la sua ombra. Il corpo rigido di Ayame era ritratto più che poteva contro il divano; sentiva le molle conficcarsi dolorosamente nella schiena.
 
Le labbra dell’uomo si accostarono al suo orecchio. - Posso persino sentire la tua paura, principe- -.
 
Il rumore di uno schiaffo, secco, acuto come una frustata, tagliò di netto quel soprannome: il soprannome che suo padre Izashi usava spesso per rivolgersi a lei.
 
Toji arretrò placidamente e sorrise. A guardarlo sembrava soddisfatto. – Adesso sì che gli somigli – ammise a bassa voce, così sottilmente che le parole parvero giungere dal fondo dell’anima, dalle labbra di un uomo esistito in passato e ora sostituito da un guscio traboccante d’odio. La voce grave sembrava quella di un ragazzo.
 
- Quindi è questo che vuoi? Fottermi? – fece lei volgarmente. La paura la teneva inchiodata a quel divano.
 
L’uomo ridacchiò incredulo. – Però che caratterino. E comunque non sei il mio tipo, sei solo una ragazzina -. Il commento la offese. – E poi non mi va proprio di tradire tuo padre -.
 
Ayame sgranò gli occhi. – Mio… padre? – biascicò.
 
- È stato lui a salvarmi quando avevo quindici anni. Tu non ne sai niente di come funziona il mondo dell’occulto ma io e tuo padre sì. Devi sapere che nel mondo degli stregoni esistono tre grandi clan: il clan Gojo, quello da cui proviene il tuo fidanzatino, il clan Zenin, quello da cui provengo io, e il clan Kamo – spiegò Fushiguro.
 
– O forse è il capellone il tuo fidanzatino? Comunque… - e scosse la testa a quella piccola, intenzionale digressione. – Per il mondo dell’occulto, e soprattutto per gli Zenin, io sono nato difettoso. Non posso essere considerato né un senza poteri né uno stregone, dal momento che a differenza vostra non possiedo un briciolo di energia malefica. Sin da piccolo sono stato tenuto prigioniero dai membri della mia stessa famiglia e sono stato torturato fino all’esaurimento. La vedi questa? – e puntò l’indice alla cicatrice che solcava la sua bocca – è un piccolo ricordo di quei tempi -.
 
- Che crudeltà – commentò Ayame sommessamente. Ora i suoi occhi blu non lo guardavano più con timore ma con sincero dispiacere. A Toji quello sguardo non piacque affatto.
 
- Quando eri piccola tuo padre è venuto da me. È stato un incontro fortuito, in realtà. Lui aveva cominciato a lavorare tra la servitù degli Zenin, ovviamente tra quella servitù di senza poteri che credeva di lavorare per un dojo di samurai, non certo per degli stregoni. Solo che, a differenza loro, tuo padre sapeva perfettamente in che posto era finito. A quel tempo stava cercando uno stregone di cui potersi fidare per assegnargli un importante incarico. Sarebbe stato tutto molto più semplice se tua madre non ti avesse abbandonata ma che vuoi farci? Certe persone non dovrebbero fare figli a prescindere –.
 
- Un giorno mio fratello maggiore Jinichi inviò tuo padre nelle prigioni del dojo, dove gli Zenin tengono i “traditori”, per portare loro il pasto. Sfortunatamente, il mio caro fratellone si era dimenticato di avermi gettato dentro una di quelle gabbie, e solo per aver cercato di oppormi ai suoi giochetti sadici. Fu allora che incontrai tuo padre. Cercava di avvicinarsi solo a coloro che erano in qualche modo ripudiati dagli Zenin o tenuti sotto scacco, perché solo tra loro sapeva di poter trovare qualcuno disposto ad aiutarlo senza fare la spia. E trovò me. Mi chiese se fossi bravo a combattere – Fushiguro sghignazzò: fu una risatina agghiacciante. Poi si massaggiò il viso con la mano. – Altroché se ero bravo e devo ringraziare quegli stronzi della mia famiglia per questo. Ero continuamente costretto a combattere contro centinaia, no migliaia di maledizioni. Non ero bravo, ero il migliore. Nel mondo dell’occulto questo tipo di capacità prende il nome di “Battesimo di Dio”: una capacità fisica innata che risvegliai a forza di combattere -.
 
- Tuo padre mi disse che sarebbe stato disposto a liberarmi se lo avessi aiutato. Gli chiesi anche dei soldi in cambio e lui accettò. Mantenne la promessa e una settimana dopo mi aiutò a fuggire. Facemmo in modo che la colpa ricadesse su un membro dell’unità Kuruku, altra lunga storia, così nessuno sospettò di tuo padre e lui poté continuare a lavorare indisturbato al dojo. Gli servivano i soldi per potermi pagare per quell’incarico e vendere fiori non gli sarebbe bastato -.
 
- Quale incarico? – Ayame si intromise nel racconto.
 
- Quello di salvarti, principessa – rispose lui con melliflua ovvietà. – Quando sei nata, l’Istituto di Arti Occulte ha fatto visita a tuo padre per informarlo della nascita di un Ventre perfettamente compatibile con Tengen e quel Ventre eri tu. Lo informarono anche che, compiuti diciotto anni, l’Istituto ti avrebbe presa per prepararti alla fusione. Da quel giorno tuo padre non ha fatto altro che cercare un modo per salvarti. Sai, principessa, ti conosco molto più di quanto pensi -. Prese una breve pausa: il tempo di fissare i suoi occhi di smeraldo in quelli blu, ora spenti, di Ayame e riprese.
 
– Vuoi sapere perché è scomparso? Perché tuo padre era uno stupido. Ci fu un’altra fuga dal dojo, circa dieci anni più tardi, ma non fu opera sua. Lui, però, da quando mi aveva aiutato a fuggire, aveva preso il brutto vizio di contattarmi per sapere dove fossi, se stessi bene, se mi servissero dei soldi. Io non facevo che ripetergli di dimenticarsi di me, di non cercarmi, perché se qualcuno della mia famiglia avesse scoperto il nostro legame lo avrebbe accusato di tradimento. Tornai persino dalla mia famiglia per non alimentare sospetti. Ero diventato così forte da essere temuto da tutti e nessuno si azzardava più a considerarmi. In pratica, ero un fantasma. Poi incontrai una donna e la sposai poco dopo. Mi allontanai nuovamente dal clan, cambiai persino cognome, e alla fine diventai padre. Izashi continuava a contattarmi nonostante mi rifiutassi di rispondergli. E quando morì mia moglie, quando rimasi da solo a occuparmi di mio figlio, lui venne a saperlo. A nessuno importava un fico secco di me, eppure in quella famiglia non si faceva che sparlare alle mie spalle. Sospetto che tuo padre l’abbia saputo dalle voci di corridoio -.
 
- Come poteva un tipo come me occuparsi di un bambino in fasce? Un uomo maltrattato sin da piccolo dalla propria famiglia, capace solo di provare odio e rabbia. Riesci a immaginartelo? Tuo padre conosceva i miei limiti e sapeva anche per quale motivo li avessi, e quando venne a sapere di me e… mio figlio volle darmi a tutti i costi una mano – disse. Aveva provato a ricordare il nome del figlio ma era stato tutto inutile.
 
- Mi ha insegnato a cambiargli il pannolino, a lavarlo, a calmarlo, a svezzarlo. Si precipitava qui quando il piccolo si ammalava o quando piangeva disperato e io non riuscivo a farlo smettere. Lo definiva il suo “nipotino”. Che sciocco. Poi ci fu la seconda fuga dal dojo, quella di cui ti parlavo. A quel punto, la mia famiglia cominciò a sospettare di qualcuno all’interno del clan e iniziarono le indagini. La prima a finire nel loro mirino fu la servitù. Iniziarono a farli seguire di nascosto, tra loro c’era anche tuo padre, e quando lo beccarono insieme a mio figlio era ormai troppo tardi -.
 
- Ci aveva visto lungo, il vecchio – disse quasi con tono nostalgico. – Aveva capito che dopo quella seconda fuga la mia famiglia si sarebbe messa in moto. Mi disse che aveva un brutto presentimento e che doveva andarsene o ti avrebbero trovata e l’avrebbero fatta pagare a te. Da qui in avanti conosci la storia. Lui ti lasciò un biglietto di addio e io lo aiutai a scappare ma fu tutto inutile. Quel vecchio si era affezionato a… - provò a ricordare ancora. Niente. – Insomma, a mio figlio e a me, e credeva sul serio che alla fine ce l’avrei fatta a salvarti. Gli importava solo aver salvato l’uomo che avrebbe messo al sicuro sua figlia. E alla fine si è fatto ammazzare, così che gli Zenin non se la prendessero anche con te -.
 
Ayame rimase ad ascoltare tutto il tempo. Si sentiva vuota, ancora come la bambola di pezza smarrita o abbandonata sul ciglio della strada, ma non versò una lacrima. Aveva già pianto a sufficienza allora, il giorno del ritrovamento del biglietto, quando una vocina stridula nella testa le aveva immediatamente suggerito di farsene una ragione, perché suo padre era morto. Non sparito, non andato chissà dove, ma morto.
 
- Cosa dovrei fare adesso? – chiese lei con un filo di voce. Assurdo. Aveva appena domandato a un folle assassino, all’uomo la cui spada aveva trafitto il ragazzo col quale aveva fatto l’amore, a colui che l’aveva salvata sparandole un colpo in testa, ‘dio che razza di follia, che cosa avrebbe dovuto fare da quel momento in avanti. Si chiese se non potesse andare peggio di così.
 
- Cambia cognome, allontanati da qui e non ti avvicinare mai più all’Istituto né a quei ragazzi. Se ho fatto credere loro di averti uccisa è stato solo perché tuo padre desiderava questo -.
 
Ayame lo guardò con gli occhi colmi di lacrime. – No, non voglio - scosse animatamente la testa.
 
- Se tornerai da loro, l’Istituto ucciderà te e i tuoi amici diventeranno dei traditori. Per i piani alti tu sai troppo. Andava bene finché fossi rimasta un Ventre, perché una volta completata la cerimonia ti saresti fusa con Tengen, ma adesso la questione è diversa. La fusione salterà, Tengen evolverà e il mondo dell’occulto subirà un drastico cambiamento -.
 
- Non voglio – ribadì.
 
- Allora fatti ammazzare e metti in pericolo le persone che ami! Fa’ pure la stessa fine di tuo padre, a me non interessa. Gli ho restituito il favore, il mio compito è finito. E ora aspetta qui – ruggì alzandosi dal divano. – Devo chiamare quello stronzo del mio collega -.
 
Fushiguro lasciò Ayame a meditare in salotto. Cercava di ricordare quale fosse il cognome di sua madre mentre fissava il vuoto con le guance rigate dalle lacrime. E di punto in bianco le venne in mente. Aveva visualizzato i mazzetti di gigli rigogliosi che suo padre aveva piantato nel piccolo giardino davanti alla loro vecchia casa e a quel punto aveva ricordato il cognome di sua madre.
Non aveva alcun ricordo di lei ma Shoto sì: una foto scattata proprio ai piedi di quella casa, dove papà aveva piantato i gigli. La foto ritraeva un piccolo Shoto di quattro anni in braccio a sua madre con il grembo appena rigonfio. Anche Ayame, a modo suo, era finita in quella fotografia.
Ripensando ai gigli, alla loro vecchia casa, al sorriso sdentato di suo fratello, alla madre in dolce attesa, Ayame aveva ricordato.
Il suo cognome era Yoshimura.
Yoshimura Kasumi


 
*Un uomo sopravvissuto dopo che una sbarra di metallo gli trapassò il cervello danneggiando i lobi frontali
Per scaramanzia non dirò nulla. Spero vi piaccia.

 
   
 
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