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Autore: blackjessamine    18/06/2023    7 recensioni
"Un’estate come un prologo.
Giornate accattivanti come frasi lapidarie, pronte a brillare e a restare impresse nella testa del lettore come la splendida promessa di un’avventura indimenticabile.
Non che Victoire fosse una lettrice poi così appassionata, ma le piaceva l’idea di pensare a quell’estate che si faceva più vicina ad ogni curva dell’Hogwarts Express come al luminoso prologo della storia che finalmente era pronta a scrivere con le sue stesse mani".

Camminare sul confine che separa l'infanzia dal mondo degli adulti ha infinite controindicazioni: entusiasmi facili, dolori difficili, incertezze che offuscano la vista e infiniti sentieri sbagliati in cui perdersi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio, Teddy Lupin, Victorie Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Estate Tuttigusti+1




 

Un’estate come un prologo.

Giornate accattivanti come frasi lapidarie, pronte a brillare e a restare impresse nella testa del lettore come la splendida promessa di un’avventura indimenticabile.

Non che Victoire fosse una lettrice poi così appassionata, ma le piaceva l’idea di pensare a quell’estate che si faceva più vicina ad ogni curva dell’Hogwarts Express come al luminoso prologo della storia che finalmente era pronta a scrivere con le sue stesse mani.

Come minimo, nel suo prologo avrebbe dovuto trovare posto un evento fuori dall’ordinario: qualcosa a cui nei prossimi vent’anni avrebbe ripensato, dicendosi che sì, lo avrebbe dovuto capire da quel viaggio in treno che quell’estate sarebbe stata il perfetto inizio del capitolo più bello della sua vita. 

E invece, a dispetto di tutto, si era ritrovata come spesso accadeva a dividere lo scompartimento con Ophelia Greenwood, di Corvonero – una media di due parole pronunciate all’ora, due colpi di tosse al minuto, tre sorrisi in cinque anni di lezione condivise e zero rilevanza nel circolo sociale costituito dagli studenti del quinto anno – e Magda Stern. Magda che, con la sua capacità di pronunciare all’incirca trecento parole in un minuto, era il contraltare perfetto di Ophelia, con cui coltivava una intensa e spesso incomprensibile amicizia sin dal primo anno. Lo stesso non si poteva dire di Victoire, che pur avendo trascorso cinque anni a dormire nel letto accanto a quello di Magda non aveva mai trovato particolarmente interessante il suo costante e inarrestabile chiacchiericcio. Del resto, il chiacchiericcio di Magda era almeno innocuo, in netto contrasto con quello delle Baddock, le due cugine che rappresentavano la restante parte del dormitorio femminile di Grifondoro, sempre pronte a spargere veleno e a istigare gli altri studenti distribuendo sapientemente mezze verità e distorcendo a loro piacere ogni pettegolezzo su cui riuscissero a mettere le mani.

Del resto, Victoire doveva ammettere che Magda e Ophelia erano quanto di più vicino lei avesse a due amiche: Magda riempiva i silenzi di Ophelia, Victoire pianificava di fare sciocchezze e Ophelia la fulminava con un sopracciglio sollevato e un lapidario un’altra cazzata, Weasley? Funzionavano, in un certo senso. Almeno a scuola, perché fuori da Hogwarts non si erano mai frequentate e probabilmente non lo avrebbero mai fatto, e a Victoire stava bene così. 

Forse avrebbe dovuto provare a interrompere l’infinito flusso di coscienza con cui Magda stava riesaminando ogni singola domanda di ogni singolo test G.U.F.O. per provare a spiegare quali fossero i suoi piani per il futuro, ma Victoire non ne aveva voglia: le stava benissimo pescare distrattamente gelatina Tuttigusti+1 dalla confezione che teneva in grembo per poi lanciarsele direttamente in bocca con una destrezza che aveva segretamente allenato per anni, accontentandosi di ascoltare passivamente il costante chiacchiericcio di Magda e scivolando talvolta in un pigro dormiveglia.

Un prologo perfetto: una protagonista mezza addormentata dall’alito all’aroma di mirtilli e caccole di Troll. 

Un best-seller assicurato.  

 

“E poi la Almond ha guardato la mia pozione e mi ha chiesto se fossi sicura che i miei coleotteri non fossero avariati, perché quando sono avariati il loro effetto si dimezza, e allora mi sono ricordata di non averli proprio messi! Quindi la Almond ha cercato di aiutarmi, no? Mi ha suggerito senza davvero suggerire, capito?”
Il lungo riesame del G.U.F.O. di Pozioni di Magda venne interrotto da un lieve bussare alla porta dello scompartimento: Victoire, che temeva l’arrivo di una o di entrambe le Baddock, ignorò completamente il suono. Magda rimase per qualche istante in silenzio a fissare la porta, come se la sola idea che su quel treno esistesse anche qualcun altro potesse lasciarla miracolosamente senza parole. Fu Ophelia  a scattare in piedi e a dischiudere appena la porta dello scompartimento per scrutare il corridoio con circospezione e decidere, dopo un’attenta valutazione, che non c’era pericolo nel lasciare entrare il visitatore inaspettato.

Una mano piccola, dita bianche e sottili sormontate da lunghe unghie dipinte di cinque diverse tonalità di rosa precedettero l’ingresso della divisa perfettamente stirata e drappeggiata con cura attorno a Dominique. Una Dominique che rivolse un sorriso indecifrabile a Victoire, per poi gettarsi su Magda e Ophelia come se le due ragazze fossero le sue più care amiche ritrovate dopo anni di assenza. 

Quel giorno Dominique aveva scelto di avvolgersi il capo in un foulard di seta argentata raccolto sulla fronte in un nodo vaporoso: una scelta estetica quantomeno bizzarra, ma del resto era Dominique quella abbonata a due riviste di moda magica e a una di moda babbana, quindi forse i turbanti sarebbero davvero stati l’ultimo grido in fatto di acconciature entro qualche mese.

 

Ascoltando sua sorella informarsi su come fossero andati gli esami delle sue amiche e partecipare con profondi cenni del capo al racconto di interrogazioni e test scritti, Victoire trattenne a stento un sorriso: a Dominique non fregava niente di Ophelia e Magda, che trovava per motivi opposti ugualmente noiose, ma sua sorella non era capace di contrariare il prossimo. Non per una particolare sensibilità d’animo, ma semplicemente perché avere attorno persone compiacenti e bendisposte nei suoi confronti le piaceva, e le rendeva più facile fare in modo che le cose seguissero un flusso a lei favorevole. 

E infatti, puntuale come la prima tazza di tè al tavolo della colazione in Sala Grande, Dominique trovò il modo di inserirsi con apparente naturalezza in una pausa di Magda, mettendo in scena un dispiacere estremamente convincente:
“Scusate, posso rubarvi mia sorella per un secondo? È per una cosa di famiglia, insomma, e preferirei parlare la sola”. 

Il sorriso di Dominique era così ampio da risultare palesemente finto, ma né Magda né Ophelia sembravano essersene accorte. Era il suo sorriso da Veela, quello che Dominique allenava sin da quando era una bambina e che quasi sempre risultava un’arma vincente, perché le persone – tutti: uomini, donne, adulti, bambini – sembravano incapaci di fare qualcosa in grado di offuscare quel sorriso. 

E infatti fu proprio Ophelia ad alzarsi in piedi, la fronte leggermente corrugata, e a esclamare con un vigore del tutto estraneo al suo abituale modo di fare:

“Ma naturalmente! Ne approfitterei per andare in bagno… tu vieni, Magda?”
Victoire alzò gli occhi al cielo: non sapeva mai se essere divertita o esasperata dal fatto che tutti ritenessero Dominique una creatura dotata di straordinaria gentilezza ed empatia quando, in realtà, la maggior parte delle volte la sua era solo pigrizia astutamente mascherata.

“Non vogliamo sfrattarvi dal vostro scompartimento. Usciamo noi, voi restate pure. Proteggete le mie Tuttigusti a costo della vita”, si inserì Victoire, prendendo la mano della sorella e trascinandola verso la porta dello scompartimento: Victoire poteva anche non dispensare sorrisi grandi come la luna a chiunque, ma non era nella sua natura – checché ne dicessero i molti critici della sua scarsa accondiscendenza – buttare fuori da uno scompartimento le sue amiche solo perché sua sorella non voleva farsi ascoltare da loro.

“Allora? Quale sarebbe questa questione di famiglia?”
Dominique gettò uno sguardo al gruppo di studenti dell’ultimo anno che se ne stavano a confabulare in fondo al corridoio, le teste chine e vicine, probabilmente intenti ad architettare qualcosa di non del tutto lecito.

“Non qui, aiutami a trovare uno scompartimento vuoto!”
Le dita di Dominique avevano cominciato a correre insistentemente al foulard che si era legata sul capo, continuando a controllare che il nodo tenesse. 

“Hai combinato qualcosa?”
“Non ho combinato niente”.

Il sorriso di Dominique sarebbe stato in grado di rassicurare anche la preside McGrannitt, ma Victoire, forse a causa dei geni Veela che scorrevano anche nelle sue vene, o forse semplicemente perché aveva condiviso la stanza con sua sorella da quando Dominique era ancora una ranocchietta urlante, era completamente immune a quel tipo di sorrisi. 

“Hai combinato qualcosa di grosso, tu!”
Ma Dominique la ignorò completamente, socchiudendo uno scompartimento dopo l’altro e dispensando sorrisi e piccoli convenevoli a chiunque: sembrava che sua sorella, in tre anni a Hogwarts, si fosse presa la briga di imparare il nome di tutti gli studenti e si fosse fatta un punto d’onore quello di salutare chiunque per nome. 

E Victoire non era nemmeno sicura di aver parlato direttamente con tutti gli studenti del suo anno, nonostante cinque anni di lezioni condivise.

Alla fine, quando ormai Victoire temeva che avrebbero dovuto spodestare il macchinista per avere livelli di privacy che soddisfacessero sua sorella, Dominique aprì la porta dell’ennesimo scompartimento e finalmente si voltò a farle un cenno esultante, invitandola ad entrare.

 

***

 

Un’estate come un epilogo.

Un tempo preso a prestito, il prolungarsi di qualcosa che tutti sanno essere già finito ma che nessuno è pronto a lasciare andare.

Teddy sperava che quell’estate, non ancora cominciata, potesse durare per sempre e conservare il sapore di un capitolo della sua vita che ancora non si era concluso, ma che già sentiva come un ricordo lontano.

Non sapeva quale fosse il modo migliore per vivere l’ultimo viaggio sull’Hogwarts Express della sua vita: forse la chiave stava tutta nella definizione di vivere. Smettere di ripetersi che quello era il suo ultimo viaggio sul treno, smettere di dirsi che avrebbe dovuto viverlo in modo intenso, costruendosi dei ricordi a cui poter tornare in futuro, e semplicemente lasciare che le cose fluissero in maniera naturale. 

Avrebbe dovuto farlo, ma non ci riusciva. 

Era impossibile farlo, non quando Evie Hamilton continuava a ripetere che dovevano tutti promettere che non sarebbe cambiato niente e che lei, Bruce Marshall, Andrew Scout e Teddy avrebbero continuato ad essere amici e non permettere alla vita di cambiare il loro legame.
Ma il loro legame era già cambiato. E avrebbe continuato a farlo, inesorabilmente, ora che non sarebbero più stati solo i quattro Tassorosso, quello strano scherzo del destino per cui al loro primo anno la loro Casa si era ritrovata con un bassissimo numero di nuovi studenti e la povera Evie addirittura si era ritrovata sola in un dormitorio tutto per lei. Per anni erano stati inseparabili, grandi amici oltre che semplici compagni di Casa. 

E non c'erano promesse forti abbastanza da assicurare loro che quell'amicizia sarebbe sopravvissuta senza cambiare neanche di una virgola al Grand Tour che Andrew voleva intraprendere prima di essere costretto a cercare una carriera davvero di suo interesse, o al negozio di Creature Magiche della famiglia di Evie in cui lei avrebbe cominciato un apprendistato già la settimana seguente o al seminario per aspiranti Spezzaincantesimi della Gringott a cui Bruce era stato ammesso. 

Per non parlare poi dei piani di Teddy per il futuro,  cosa a cui lui non aveva la minima intenzione di pensare, non fino a che non fossero arrivati i risultati dei M.A.G.O. che, chissà, forse sarebbero stati abbastanza scadenti da prendere  una decisione al posto suo.

Eppure Evie sembrava intenzionata ad alternare lacrime a momenti di entusiasmo in cui cercava di dipingere loro un futuro irreale fatto di amicizie in grado a resistere a qualsiasi cosa. 


Era stato quindi con un misto di senso di colpa e gratitudine che aveva accolto il frenetico bussare alla porta dello scompartimento da parte di Jordan Summer, la collega Caposcuola di Grifondoro, che lo aveva raggiunto per cercare aiuto nel sedare un torneo di Sparaschiocco sfuggito di mano a dei Corvonero del secondo anno che avevano cercato di modificare gli effetti esplosivi delle carte intossicando di denso fumo verdognolo un intero vagone.

Jordan, i capelli stretti in una crocchia che cercava di imitare la severità di quella della preside McGrannitt aveva provato inutilmente a riportare l’ordine, ma era servito a poco. Era una ragazza responsabile e studiosa, probabilmente la migliore in ogni corso, ma era assolutamente incapace di tenere testa agli altri studenti, e così, ogni volta che si trovavano a condividere la ronda, era Teddy a dover prendere in mano la situazione, spesso adottando tattiche intimidatorie non del tutto coerenti con il suo ruolo da Caposcuola.
In questo caso però non c’era stato bisogno di trasformare in tentacoli i piedi di nessuno, era stato sufficiente lanciare pochi Incantesimi della Pastoia ben piazzati per fermare i giocatori irriducibili e poi concentrarsi su quel pestilenziale fumo verde per riportare l’ordine nello scompartimento.

“Grazie, Teddy. Mi mancherà non farmi aiutare da te a rimettere in riga i nani malefici”.

Jordan indugiava sulla soglia del suo scompartimento, un sorriso timido sulle labbra solitamente atteggiate in un’espressione austera che la faceva sembrare molto più vecchia dei suoi diciotto anni.

“Avrai intorno molti nani malefici da rimettere in riga?”
Jordan si strinse nelle spalle.

“Non so. Prima o poi spero di sì, perché mi piacerebbe tornare a Hogwarts e stare dall’altra parte della cattedra, ma immagino dovrò prima fare un po’ di esperienza”.

Teddy annuì: Jordan sarebbe stata un’ottima insegnante, se solo avesse imparato a tenere davvero testa agli studenti. Cosa che al momento sembrava pura utopia, ma Teddy non era il tipo di persona da pronunciare ad alta voce verità scomode, se non vi era costretto.

“Posso sempre prestarti qualche nano Weasley-Potter, se vuoi fare esperienza”.

Jordan si era scontrata abbastanza spesso con l’incoscienza di Jamie Potter, che al suo primo anno aveva già accumulato un numero di punti sottratti capaci di onorare appieno gli uomini da cui aveva preso il nome, al punto che la ragazza rabbrividì di terrore autentico.

“Grazie, ma credo che declinerò l’offerta. Uno mi è bastato e avanzato”. 

Il che era piuttosto ingiusto, perché il resto del clan Weasley-Potter non era così tanto agitato. O almeno, non sempre.

Jordan aprì la porta dello scompartimento, balzando però all’indietro quando un ehi indignato rivelò che qualcuno, nel frattempo, si era impossessato del suo posto.

La soglia fu presto riempita dall’alta figura di una ragazza infilata in una maglia di un paio di taglie troppo grande. Una treccia spettinata non riusciva a trattenere i suoi capelli di un bel biondo dorato, e le sue sopracciglia inarcate le davano al viso un aspetto decisamente indispettito. 

Victoire Weasley, quasi volesse affermare con una sola occhiataccia che sì, decisamente Jordan non poteva avere voglia di avere a che fare con i membri della famiglia Weasley-Potter, si esibì nel suo miglior tono stizzito:

“Lo scompartimento è occupato, Summer, scusaci”.

“Ma questo era il mio scompartimento!”

“È tutto a posto?”, provò a intervenire Teddy, guadagnandosi un’occhiata a fronte aggrottata da parte di Victoire. 

“Teddy?”
Oltre la spalla di Victoire comparve il profilo di Dominique, un profilo così perfetto da risultare inconfondibile anche quando la ragazzina si stringeva con foga uno scialle attorno alla testa, cercando di aggiustarne i lembi. Dominique osservò Teddy, poi Jordan, poi diede un colpetto al fianco della sorella, costringendola a spostarsi dalla porta.

“Scusaci, Jordan, non volevamo rubarti lo scompartimento, pensavamo fosse vuoto…”
“Senti, ce lo lasci ancora per cinque minuti?”, la interruppe brusca Victoire. Dominique le diede un altro colpetto, e le due sorelle si fissarono per un attimo negli occhi, le fronti aggrottate in una serie di piccoli movimenti, increspature e distensioni che Teddy non era mai stato in grado di decifrare e che, invece, per loro erano una lingua perfettamente intelligibile. 

Alla fine Victoire dovette arrendersi, perché rientrò nello scompartimento e si lasciò cadere sul sedile accanto al finestrino. 

Dominique sorrise, mettendo in mostra una dentatura a dir poco perfetta, e si rivolse a Jordan e a Teddy con gli occhi venati di un pizzico di implorazione:
“Scusaci ancora, Jordan, ma non è che saresti così gentile da aiutarmi? Ho avuto un… una specie di incidente, e magari tu che sei la studentessa migliore della scuola puoi aiutarmi”.

Teddy finse di non vedere gli occhi platealmente alzati al cielo di Victoire, ma a stento trattenne una risata: Dominique era così sfacciata nelle sue adulazioni che prima o poi avrebbe trovato una parolaccia come risposta.
Ma Jordan si limitò ad arrossire e chiudersi alle spalle la porta dello scompartimento, mormorando qualcosa a proposito del fatto che era ancora Caposcuola, almeno per qualche ora, e quindi sì, certamente avrebbe aiutato una studentessa più giovane in difficoltà. 

Teddy dovette fissarsi con estrema attenzione la punta sporca delle scarpe da ginnastica, perché se avesse incrociato ancora una volta lo sguardo di Victoire e le sue smorfie, non sarebbe mai stato in grado di trattenere una risata. 

La povera Jordan era decisamente senza speranza. 

“Ecco, io… vi faccio vedere”. 

Dominique, con uno svolazzo elegante, si scoprì il capo. La cascata di morbide ciocche che scese a coprirle le spalle e a sfiorarle i fianchi non era più composta dai suoi luminosi capelli biondi. Al loro posto, voluminose onde di un pallido ma inequivocabile rosa ondeggiavano piano ad ogni sobbalzo del treno, catturando la luce delle lampade e riflettendola in vibranti riflessi di puro argento. 

Teddy doveva ammettere che le stavano piuttosto bene – e del resto, non credeva esistesse al mondo qualcosa in grado di stare male addosso a Dominique – ma era chiaro che Dominique non poteva presentarsi a sua madre conciata in quel modo, non se voleva evitare di scatenare una lite lunga e tediosa. Ed era risaputo che la sorella sempre intenta a cercare lo scontro era Victoire, non Dominique, che invece preferiva gli strumenti della persuasione.

“Chi è stato a ridurti così?”
Gli occhi di Jordan erano ridotti a una fessura, proprio come accadeva ogni volta che la ragazza subodorava qualche scontro fra studenti. Era entrata in piena modalità da Caposcuola, cosa che, quando gli studenti indisciplinati erano lontani, le veniva peraltro piuttosto bene.

“È stata la mia maschera per capelli…”, rispose evasiva Dominique, passandosi distrattamente le dita fra chioma.

“Hai idea di chi possa averti sabotato la maschera?”
“Ma nessuno!”
Gli occhi di Jordan si strinsero ancora di più, e Teddy avrebbe potuto giurare di essere in grado di vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi piano, mentre la ragazza rifletteva sulle parole giuste da scegliere.
“Non devi aver paura di denunciare chi ti ha preso di mira, sai?”
Questa volta, Teddy non riuscì a trattenersi: i suoi occhi scivolarono in quelli di Victoire, che erano socchiusi in un moto di esasperazione. Per quanto Dominique e Victoire potessero apparire superficialmente diverse, chiunque pensasse che una delle due sorelle Weasley potesse essere intimorita dalle angherie di un compagno di Casa sarebbe stato sicuramente un pessimo insegnante, in quanto totalmente incapace di comprendere le dinamiche dei ragazzi.

“Nessuno l’ha presa di mira, ma mia sorella è così scema da aver pensato che l’ultimo giorno di scuola fosse il momento ideale per fare uno dei suoi esperimenti idioti. Ha aggiunto una Pozione Colorante alla sua maschera, e ora non riesce più a togliere l’effetto”, intervenne irritata Victoire, che evidentemente non vedeva l’ora di risolvere la situazione.

“E ha funzionato perfettamente! I miei capelli sono bellissimi, e sono esattamente del colore che volevo!”

Dominique non riusciva a distogliere lo sguardo dai propri capelli.

“Sì, certo, tutto perfetto, peccato che il tuo piano fosse far durare il colore un solo lavaggio, o sbaglio?”
Il battibecco proseguì per un po’: Teddy si divertiva sempre molto a vedere le sorelle bisticciare, ma mancava davvero poco al loro arrivo a Londra, e lui sospettava che entrambe preferissero ristabilire il naturale biondume della situazione prima che Fleur potesse vedere la figlia minore conciata in quel modo.

“Hai ancora un po’ di quella maschera?” domandò Teddy, pensieroso: se davvero ai M.A.G.O. di Pozioni era riuscito a identificare correttamente gli ingredienti di un veleno complesso e a creare un antidoto efficace in due ore – e a giudicare dal sorriso smagliante che la professoressa Almond gli aveva regalato quando aveva consegnato il suo lavoro, doveva avercela fatta –  forse poteva anche trovare un antidoto a un pasticcio cosmetico combinato da una tredicenne.
Dopo che Dominique ebbe posato sul suo palmo un barattolino ancora umido pieno di una vischiosa sostanza verdastra, Teddy si rivolse risoluto a Jordan:
“Nel tuo baule hai il tuo calderone e gli ingredienti di Pozioni, giusto?”
E, al suo cenno affermativo, Teddy si sfilò la bacchetta da dietro l’orecchio, pronto a concentrarsi sul compito che aveva davanti.

 

Trascorrere le ultime ore del suo ultimo viaggio sull’Hogwarts Express seduto per terra ad annusare la brodaglia che sobbolliva sul calderone di Jordan Summer, mentre le sorelle Weasley fissavano ogni sua mossa con sguardo indagatore: decisamente non era quello l’epilogo che si sarebbe aspettato.

Eppure, per qualche indecifrabile motivo, non riusciva a smettere di sorridere.





 

 


 

Note: 

È una follia iniziare a scrivere ora una nuova long? Sì.

La porterò a termine? Eh. Io lo spero, ma non prometto nulla.

Questa storia ha le sue radici in un’idea che risale al 2018 (se qualcuno fosse in questi lidi dai tempi di “A riveder le stelle” e, cosa del tutto improbabile, si ricordasse dei tatuaggi di Teddy, ebbene sì, parlo proprio di quello), ma non sono mai riuscita a svilupparla come avrei voluto. Però per anni l’idea è sempre rimasta lì, e periodicamente tornava a stuzzicarmi.

In realtà, ultimamente sto riflettendo molto sulla nuova generazione in generale, e quello che vorrei davvero è scrivere qualcosa di molto più ampio respiro (a livello di lunghezza, ma anche di tematiche trattate e “ampiezza” del focus), ma al momento non credo di averne le energie. Però, chissà, magari cominciare ad accostarmi a questo nuovo contesto mi aiuterà a schiarirmi le idee e a prepare il terreno per eventualmente una storia più ampia e incisiva.

Intanto, ringrazio chiunque abbia dato una possibilità a questo primo capitolo, e metto subito le mani avanti dicendo che, purtroppo, gli aggiornamenti saranno poco frequenti, quindi se da subito sapete di avere problemi con le storie aggiornate molto lentamente, vi consiglio di scendere dalla nave prima che l’irritazione vi travolga.

 
   
 
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